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Autore: TuttaColpaDelCielo    29/04/2012    5 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 13 – Scelta





La tiepida acqua nelle vasche era cristallina, rilucente al chiarore senza provenienza del Paradiso. Dei larghi gradini di pietra scendevano dal bordo candido – al livello del pavimento – fino al fondo, permettendo così alle visitatrici delle terme d’immergersi più comodamente. Su uno di essi era seduta Leliel, immersa fino al ventre, composta come ad una riunione ufficiale: ormai assuefatta a tale atteggiamento, non abbandonava il proprio contegno nemmeno sola. I capelli biondi raccolti sulla nuca con uno spillone, la schiena spoglia – sorprendentemente priva di cicatrici – e dritta, le mani intrecciate sul ventre, sembrava quasi temere una visita improvvisa, mentre in realtà quella nicchia delle terme era riservata alle Autorità: la sua pace non sarebbe stata disturbata, poiché era l’unica donna in un collegio di uomini – prima in un collegio di uomini, pensò con un moto d’orgoglio.
Solo la sua allieva poteva talvolta accedervi, con il suo permesso. Era una di quelle occasioni.
Percepì la sua essenza avvicinarsi, calma ed imperscrutabile come le aveva insegnato ad essere, e poco dopo il rumore dei suoi passi regolari risuonò nel corridoio. Non vi erano porte, alle terme, ma la vasca di quella nicchia era sistemata in modo che dall’ingresso non si scorgesse nulla – riserbo concesso solo alle Autorità e, in un’altra sala, ai Censori. Perciò l’allieva si fermò rispettosamente prima dell’entrata, come avrebbe fatto con un uscio, e disse con voce distaccata: «Eccomi, maestra.»
Leliel si sciolse i capelli, che ricaddero fin oltre le scapole, nascondendo la mancanza di cicatrici alla schiena. Posato lo spillone sul pavimento asciutto, come se lo avesse tolto prima d’immergersi, la inviò ad entrare. L’allieva, con la pelle chiara e la chioma bionda umide, era avvolta in un telo bianco: prima di accedere alle sale con le vasche bisognava spogliarsi e sciacquarsi, per non portare polvere all’interno, anche se non si aveva intenzione d’immergersi.
«Hai terminato prima del previsto.» le fece notare Leliel, voltando appena il capo verso di lei.
«Gli Strateghi si sono mostrati molto disponibili nel fornirmi le informazioni di cui necessitavo.» esitò «Ho sbagliato nel venire a cercarti? Desideravi rimanere sola?»
«No, Sachiel, non temere. Il tuo zelo è lodevole.»
«Ti ringrazio, maestra.»
«Come ti sono sembrate le mansioni degli Strateghi?»
Un’altra esitazione, che l’avrebbe forse fatta sorridere divertita, se quelle continue incertezze non fossero state biasimevoli in un cherubino dal talento di Sachiel. Conosceva la sua allieva e sapeva già cos’avrebbe pensato nel vedere da vicino l’attività delle fasce indaco.
«Sono ammirata e onorata per l’esperienza e la serietà delle nostre guide.»
«Ma?»
La vide mordersi il labbro inferiore. L’avrebbe rimproverata per quella dimostrazione d’insicurezza, se l’argomento fosse stato meno importante; si ripromise, comunque, di farglielo notare una volta terminato il discorso.
«Ma... temo che non sia adatto a me. Non ritengo di essere abbastanza meticolosa e... pronta, per un incarico del genere.»
«Troppe responsabilità?»
«Sì.»
«Non per nulla, gran parte degli Strateghi sono Arcangeli – tutti i condottieri sul campo, almeno. Sono i più adatti a guidare. Mentre la tua essenza non sembra affatto predisposta a svilupparsi in un arcangelo, cherubino.»
Sachiel era una promessa di serafino – una grande, gloriosa promessa – ma preferì non dirglielo, volendo mostrarsi per il momento un’insegnante esigente e severa.
La giovane chinò il capo senza ribattere, mortificata.
«Non devi avere timore delle responsabilità, Sachiel.»
«Desideri che dopo il mio Sviluppo io chieda un apprendistato tra gli Strateghi, maestra? Mi stai dicendo questo? Perdonami, non capisco.»
«Desidero che tu non sprechi le tue potenzialità, ma non ho intenzione d’importi un ruolo per cui non ti senti adatta. Sei davvero sicura di non volerlo?»
«Sì, io... troppe decisioni, troppe responsabilità, non...»
«Sachiel, ti ho già chiesto più volte di parlare in modo chiaro. Non farfugliare così.»
«Chiedo perdono.»
Leliel represse a fatica un sospiro. Apprezzava l’evidente rispetto che Sachiel portava agli adulti – e a lei in particolare, in quanto sua insegnante e Autorità –, ma troppo spesso si traduceva in incertezza e timore. Non poteva certo farle notare che con i Cherubini parlava in modo più disinvolto, adatto ad un’allieva con le sue potenzialità, perché sarebbe stato come un invito a trattare gli adulti con troppa confidenza; a volte, però, avrebbe davvero voluto. Così insicura non avrebbe percorso molta strada, altrimenti, per quanto fosse talentuosa.
«Porgimi il telo, Sachiel, per favore.»
L’allieva si affrettò a raccogliere da terra il tessuto e a porgerglielo. Lei, alzatasi in piedi senza pudore – erano tra donne, in fondo, non c’era alcuno sguardo lascivo a cui doversi celare –, lo prese e se lo avvolse delicatamente intorno al corpo. Quando fosse stato asciutto, avrebbe stretto il seno nelle fasce che giacevano sul pavimento, poiché trovava sconveniente esibire le proprie forme, se non aveva le ali esposte che le impedivano di avvolgersi il torace con il tessuto.
Un tempo, prima che prendesse quell’abitudine, alcuni avevano insinuato che usasse il proprio corpo fin troppo attraente per corrompere i suoi superiori e avanzare di grado.
Divenuta Autorità, li aveva fatti punire uno ad uno per pensieri impuri – tanto che in molti si erano chiesti perché non avesse cercato un posto tra i Censori, se amava così profondamente accusare e condannare. Anche questi avevano poi pagato la propria mancanza di rispetto.
«Tra gli Strateghi potresti diventare grande, Sachiel.» le spostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia, con un contatto che poteva essere sia invito all’ordine sia una brusca carezza «Per un serafino, è il primo passo per divenire poi Censore, o Autorità.»
«Sono onorata che tu mi ritenga degna di ambire a tale ruolo, maestra.»
«Ma non sono queste le tue aspirazioni.» fece schioccare la lingua sul palato, contrariata «Perché vuoi sprecare così il tuo talento, Sachiel?»
«Non credo di essere in grado di... sostenere tutte queste responsabilità, maestra.»
«Crescerai. Maturerai.»
«Avrò tempo di aspirare a ruoli importanti una volta che sarò maturata, maestra.» le rispose con voce conciliante. Diplomatica, negoziatrice: sarebbe davvero diventata un ottimo serafino.
«A volte penso davvero che dovresti avere più ambizioni, Sachiel.» sospirò, senza più nascondere la propria disapprovazione.
Il cherubino chinò il capo, mordendosi il labbro – di nuovo. Le aveva ripetuto più volte di non farlo.
«Non volevo contrariarti, maestra...» esitò per l’ennesima volta, prima di dare voce al suo timore più pressante: «...o deluderti.»
«So che servirai sempre il Paradiso al meglio delle tue possibilità, e le tue possibilità non mi deludono, né mi deluderanno, se continuerai ad impegnarti.» si sedette su una delle panche addossate alla parete, frizionandosi la pelle con il telo «Il problema, Sachiel, è che la tua mancanza di fiducia rischia di fartele apparire minori di quanto siano in realtà. Se non t’interessano gli Strateghi, a cosa aspiri?»
«In realtà non lo so, maestra.»
«I Serafini hanno ampia scelta.» guardò in viso l’allieva, rispettosamente in piedi, composta, a qualche passo da lei «Eppure, in realtà, hanno le imposizioni più rigide. Non possiamo sprecare l’essenza di un serafino come Custode o Vegliante, o come Geniere, o... ma perché te lo dico? Tu non vuoi responsabilità.»
«Non voglio deluderti, maestra.» abbassò lo sguardo sul pavimento umido «E intendo assumermi le mie responsabilità – intendo servire il Paradiso al mio meglio. Temo solo di non essere pronta a guidare altre persone.»
Troppo insicura, troppo fragile. Come un effimero fiore della dimensione umana. Quanto sarebbe durata, dopo lo Sviluppo, senza più la sua protezione? Temeva di scoprirlo. Poteva solo sperare che il suo timore reverenziale verso gli adulti si attenuasse, una volta che Sachiel lo fosse divenuta a sua volta, o davvero sarebbe rimasta schiacciata dalle ambizioni altrui.
«Diverrai un serafino, Sachiel.» le disse con sicurezza, reprimendo a fatica un sorriso nel vedere la luce orgogliosa che all’improvviso le aveva ravvivato lo sguardo «Non perdo il mio tempo ad istruire un allievo perché si sviluppi in un angelo, né perché lui sprechi le sue potenzialità. Quindi, nonostante questa tua biasimevole insicurezza, diverrai un serafino. Questo è fuori discussione.»
«Sono onorata dalle tue parole, maestra.»
«Ma la strada di un serafino è segnata, che tu lo voglia o meno. L’apprendistato tra gli Strateghi e, ottenuta la fascia, l’insegnamento, per condividere il proprio sapere. Se hai la fortuna d’essere promettente, con l’esperienza puoi ottenere un posto tra i collaboratori delle Autorità o dei Censori – e infine nel loro collegio.»
«Hai... maestra, hai sempre detto che viene concessa a tutti la possibilità di scegliere.»
«Non se c’è la possibilità che un serafino compia la scelta sbagliata.»
«...dovrò divenire una Stratega?»
«I Serafini sono troppo pochi per permetterci di sprecarli: molti, molti meno degli Angeli, e persino meno degli Arcangeli. Ma gli Arcangeli, se non altro, sono per natura portati al comando e alla lotta; noi dobbiamo adattarci ad un ruolo che non sempre ci sembra quello adatto, invece. Essere un serafino è difficile, Sachiel, perché la nostra potenza è faticosa da gestire, ma soprattutto perché ci vengono richieste decisioni gravose. Sacrifici.»
«...dovrò divenire una Stratega?» ripeté, con evidente sforzo nel mantenere la voce ferma e neutra.
Leliel si alzò con un inutile sospiro. Fissò l’allieva, temendo ancora una volta per il suo futuro; poi, in una dimostrazione d’affetto che concedeva assai raramente, le sfiorò la guancia con la punta delle candide dita.
«Parlerò con i responsabili degli Esecutori Spirituali. So che cercano un apprendista.»
«Ti ringrazio, maestra.» mormorò l’allieva, gli occhi lievemente socchiusi per assaporare meglio il suo tocco, senza riuscire a mascherare la propria felicità con la dovuta apparenza distaccata. Per una volta, però, forse avrebbe potuto rinunciare a rimproverarla.
«Ma ultimamente hanno ben poche occupazioni. Si sta spostando tutto sul piano fisico.» allontanò la mano e tornò a sedersi, poggiando la schiena spoglia contro la parete «Perciò, Sachiel, potrai – dovrai – avere anche un’altra mansione.»
«Sì, maestra?»
«Preparati in fretta, va’ nella dimensione umana.» accompagnò le parole con un cenno imperioso della mano, incurante della confusione dell’allieva per quell’ordine improvviso «La sesta classe sta facendo lezione. Dovrebbe essere quasi il momento di dividere gli allievi, ognuno con un compagno del ciclo superiore. Cerca Cassiel, una femmina, lineamenti da orientale umana. Secondo gruppo, sotto la guida dell’angelo Tagas... a meno che non l’abbiano già spostata al quarto, dell’arcangelo Khamiel. Pensi di ricordarlo?»
«Cassiel, femmina, secondo gruppo, di Tagas, o quarto, di Khamiel. Nel caso di omonimie, quella con i lineamenti degli Umani d’Oriente.» ripeté Sachiel, nonostante lo smarrimento.
«Ottimo. Di’ al suo insegnante che ti ho ordinato io stessa di prenderla in custodia, nel caso sia già accompagnata da un altro allievo.»
«Posso chiedere cosa devo fare, maestra?»
«Osservarla. E comunicarmi, una volta tornata, se secondo te è pronta per la settima classe, o eventualmente anche per il ciclo superiore. Non badare troppo all’incarico che assegnerà l’insegnante al gruppo, ti concedo la libertà di metterla alla prova come preferisci – sempre nei limiti della vostra sicurezza e della discrezione, naturalmente. Non deve rendersi conto che è un esame.»
«Come desideri, maestra.» esitò, per l’ennesima volta «Ma... la seconda mansione di cui mi parlavi? Perdonami, non voglio insistere, ma temo di non aver capito ciò che intendevi.»
Leliel si preparò mentalmente a leggere la gioia sul viso di Sachiel, e non venne delusa, quando le disse: «Prima di accettarti come apprendista insegnante, preferisco metterti alla prova.»
«Ti... ti ringrazio, maestra.»
«Va’, ora.»
La osservò allontanarsi con forzata calma, la schiena spoglia rigida, le braccia lungo i fianchi.
...aveva dimenticato di rimproverarla.
Non che servisse a molto criticare le sue continue dimostrazioni d’insicurezza: lo faceva da quando l’aveva scelta come sua allieva – un tempo esiguo, rispetto alla durata media del ciclo superiore – e ancora non era riuscita ad estirpare quei gesti istintivi, come toccarsi i capelli o mordersi il labbro.
Nessuno dei Cherubini che aveva istruito si era mai mostrato così incerto; e dire che con i compagni Sachiel era invece così sicura, così orgogliosa. Ci rifletteva di continuo, eppure non era ancora riuscita a trovare un rimedio e l’allieva era ormai ad un passo dall’età adulta. Poteva non autorizzarla a svilupparsi, ma per quanto ancora? Il Consiglio le chiedeva sempre più spesso quando il cherubino sarebbe stato pronto. Se avesse ritardato troppo, in attesa che Sachiel maturasse, le avrebbero ordinato di concederle il permesso – un allievo non poteva tentare lo Sviluppo, senza l’approvazione del proprio maestro, ma all’insegnante si poteva imporre di acconsentire.
E i sussurri! Sachiel forse non li udiva, così ingenua, ma lei sì – lei vi era cresciuta in mezzo e poteva immaginare le parole delle serpi ancor prima che le sibilassero. Un cherubino così promettente, perché rallentare la sua gloriosa maturazione? Forse temeva che i Censori, nell’esaminare la sua allieva, vi trovassero qualche vizio? Forse non la riteneva abbastanza dotata da superare la prova? Forse sapeva che non sarebbe stata in grado di gestire la potenza di un serafino? Non sarebbe stata certo la prima volta. Come dimenticare quel traditore, unitosi ai Demoni appena dopo lo Sviluppo? E quello più recente, l’arcangelo apprendista Stratego, che non era stato nemmeno in grado di sopravvivere alla prima incursione nemica?
Ma d’altronde cosa ci si poteva aspettare da una donna come lei, senza cicatrici alla schiena? Da una donna così arida da non permettere nemmeno all’allieva di chiamarla per nome? Da una donna con sangue corrotto nelle vene, sangue sbagliato, sangue marcio? Il frutto non cade mai lontano dall’albero, dicevano gli Umani, e la loro saggezza popolare non aveva forse un fondamento di verità?
Nessuno ricordava i tanti altri Arcangeli e Serafini che aveva offerto al Paradiso, Guardiani, Strateghi, persino collaboratori di Autorità e di Censori. Nessuno pensava a come la loro Circoscrizione fosse divenuta più famosa e celebre, da quando vi era lei alla guida.
Permettere a Sachiel di non seguire la strada tradizionale, divenendo Esecutrice anziché Stratega, era un rischio; ma sarebbe stato un rischio anche imporle un ruolo che non sentiva adatto a sé, o ritardare il suo Sviluppo sperando che maturasse più sicurezza.
...in qualunque modo fosse andata, sarebbe stata un’altra macchia sulla sua reputazione.
E non poteva permetterlo, non ora che stava per essere esaminata per ottenere un incarico più influente. Se avesse affrontato degnamente la rovinosa situazione nella dimensione umana, avrebbe di certo ottenuto un ruolo come collaboratrice del Consiglio; e, quando uno dei suoi membri avesse rinunciato alla carica, avrebbe potuto prendere il suo posto. Il più giovane serafino entrato a far parte a tutti gli effetti dell’assemblea più influente di tutte le Circoscrizioni; la prima donna che avesse conquistato quel ruolo seguendo il lungo percorso stabilito dalla burocrazia, senza che le fosse assegnato per la sua appartenenza agli Antichi.
Poteva solo sperare che l’allieva compisse le scelte giuste e non disonorasse la sua già compromessa fama di ottima insegnante – o che la nuova che aveva individuato, Cassiel, si sviluppasse tanto in fretta e tanto gloriosamente da oscurare anche il fallimento di Sachiel.
Non aveva per nulla bisogno di un’altra macchia sulla propria reputazione.

* * *

Bruciava. Dentro. Tante piccole unghie bollenti affondate in lei, nel suo corpo, nella sua testa. E un artiglio gelido a lacerarla. Uno stridio la stava assordando, ma non poteva essere ancora l’essenza di Anane, perché ormai le Percezioni erano abbandonate nel nulla e c’era solo quel dolore assurdo e incomprensibile. Qualcosa che la stava trascinando verso di sé a costo di strapparla in due – e lo stava facendo, la stava strappando.
Faceva... male.
«Madre... madre, cosa facciamo?»
«Aspettiamo, cara. Prima o poi smetterà.»
«Ma...» un singhiozzo, poi una mano le accarezzò il viso «Amitiel...»
«Cara, non piangere. Sai che m’infastidisce.» un sospiro «Oh, Sephon, eccoti. Temevo di doverti richiamare fino al tramonto.»
A fatica aprì le palpebre. Era in piedi, notò: Anane la sosteneva tra sé e un tronco d’albero, come una marionetta inerme. Il viso del cherubino, ad un soffio dal suo, era alterato e in lacrime per la preoccupazione. Ai margini del suo campo visivo, un uomo piuttosto esile sembrava parlare da solo – con Eisheth, a quanto aveva capito, ma non riusciva a vedere la donna.
«Madre, ha aperto gli occhi.» esclamò Anane, ricevendo una risposta disinteressata, di cui Amitiel non capì la provenienza. Dov’era il demone?
«I Custodi passeranno ogni cinque tramonti.» disse riflessiva Eisheth, o qualcuno che aveva la sua voce «Ci serve che manchino un controllo, cinque non basteranno, con lei in queste condizioni. Pensi di riuscire a celarci per dieci tramonti, Sephon?»
«Dipende dal numero.»
«Di me non devi preoccuparti... solo di Michael. Pensi di farcela? Sì? Anane, richiamalo allora, o farà una scenata da ragazzina isterica, se scoprirà che la sua cara Amitiel è stata male e noi non lo abbiamo chiamato subito.»
«Perdonami, Eisheth, ma in questa forma la tua Influenza è molto... ridotta.» l’uomo si schiarì la voce, incerto «Sei sicura di poterla esercitare bene sui Custodi?»
«...forse hai ragione. Chiama... Liwet, ha un’essenza piuttosto esile, riuscirai a celare anche lei, sì?»
L’uomo dispiegò le rosse ali da demone e si alzò in volo, sgusciando tra le chiome degli alberi.
Un altro strappo a lacerare la pace che Amitiel aveva quasi trovato. Le sfuggì un gemito.
«Tranquilla, cara, passerà tra poco.» la rassicurò la voce di Eisheth con una risatina.
Lei si guardo intorno, ma ancora non la vide. Stanca, si liberò dalla stretta di Anane e si lasciò scivolare lungo il tronco, ad occhi chiusi, fino a trovarsi rannicchiata tra le radici nodose.
«Su, su, tesoro.» ridacchiò la voce di Eisheth, vicinissima.
Non capì se fosse diretta a lei o ad Anane, ancora piangente, ma il suo fiato – letteralmente – sul collo la fece rabbrividire come se le avesse sussurrato una minaccia. Sollevò le palpebre di scatto.
...un bambino?
Un’altra fitta le fece chiudere gli occhi.

* * *

«Oh, finalmente. Iniziavo a temere che la tua essenza non si stancasse più di agitarsi.» ridacchiò Eisheth «Ma cosa pensavi di fare, sciocchina, con quelle Percezioni così estese? Non sei un po’ troppo immatura per cercare qualcuno in questo modo?»
Sospirò, esausta. Aveva smesso di soffrire, non udiva più quello stridio assordante, né provava più quegli strappi a... a qualcosa, dentro di sé, che ancora non era riuscita a identificare. Però si sentiva stanca, e... irritata? Non riusciva a definire bene il vago fastidio che serpeggiava in lei, ma c’era e questo bastava. Non aveva bisogno di un motivo preciso per sentirsi nervosa.
«Cara, posso capire che tu tenga gli occhi chiusi, è una reazione naturale, ma non mi nascondi comunque l’essenza, è inutile. Perciò, da brava, metti a tacere l’istinto e apri gli occhi. Parlare con qualcuno che non mi guarda è francamente molto irritante.»
...quella voce. Così ipocrita, così leziosa, così falsamente materna. Spalancò le palpebre, infastidita, ma ammutolì ancor prima di trovare qualcosa da sbottare.
Non era stato uno scherzo della sua mente confusa, prima: quello che aveva davanti era effettivamente un bambino. Il bambino che, nel vicolo, sembrava fissare lei e gli altri Angeli, non il gatto sofferente. Il bambino, forse, che nella pianura saltellava lontano, all’orizzonte, lungo una circonferenza che aveva lei come centro.
«Possessione.» le spiegò quel fanciullo dalla voce di donna, con un largo sorriso «Un giochetto molto carino, sì? E molto discreto, se fatto bene. Quei Custodi non si sono nemmeno accorti di me.»
«Anane?» mormorò, senza trovarla accanto a sé. Preferì ignorare l’inquietante giochetto di Eisheth.
«L’ho mandata da Sephon a concordare gli ultimi dettagli. Stava diventando davvero fastidiosa, la sua immotivata preoccupazione.»
«...Michael?»
«Arriverà. Se non fosse stato trattenuto, sarebbe stato qui prima di me, conoscendo la sua impazienza.» commentò, con l’ennesima risatina irritante «Oh, penso sia arrivata Liwet ad influenzare i Custodi. Si stanno allontanando. Nonostante lo scherzetto della tua essenza, pare che stia andando tutto bene, sì?»
«Cos’è successo?»
Cos’era quel dolore assurdo?’ avrebbe voluto chiedere, ma preferì mantenersi neutra.
«È successo che i giovani si sopravvalutano sempre.» avvicinò il viso tondo da bambino per schioccarle un bacio sulla fronte «Hai esteso troppo le Percezioni, sciocchina. Troppo sforzo per un’essenza troppo immatura. Ma ora è passato, sì?»
Senza attendere risposta, si voltò e saltellò tra gli alberi, canticchiando qualcosa. Era così irritante. La trattava con una confidenza offensiva, con una falsità nauseante, con... con un comportamento da Eisheth, non trovava altra definizione.
Ringhiò, infastidita, provocando una risata del demone.
«Anane è prossima allo Sviluppo, te l’ha detto?» le chiese quello, tornando vicino a lei.
No, si rese conto Amitiel. Non gliel’aveva detto. Non avevano avuto molte possibilità di parlare, di recente, però... però Eisheth lo sapeva e lei no. Lei, che si considerava come una sorella – sì, erano tutti fratelli, però loro due lo erano un po’ di più. Lei, che era sua amica. Perché Anane non le aveva detto una cosa così importante? Perché doveva saperlo quella donna insopportabile, mentre lei ne era all’oscuro?
Si sentiva messa da parte. Offesa.
«Mi è mancata tanto, sai?» mormorò Eisheth, annuendo con espressione esageratamente triste «Ma finalmente mia figlia potrà cadere. Sperando che non sia ingrata quanto suo fratello... un caduto.» sbuffò «Un caduto. Dopo tutto quello che ho fatto per lui, poteva almeno diventare un demone, sì? Ma sono sicura che Anane sarà più riconoscente. Prossima allo Sviluppo! Quasi non ci credo. Mi sembra un attimo fa che aveva ancora gli squarci sanguinanti... Come passa in fretta il tempo, per le madri che vedono crescere i figli, sì?»
Non poteva essere sua madre. Non davvero. Non esistevano nemmeno più, le madri. C’era solo il Fuoco della Venuta. Perché quella donna intollerabile cercava di turbarla in quel modo? Possibile che si divertisse nel confonderla?
...era un demone. Naturale che si divertisse.
«Diventerà di certo un angelo... povera cara, la sua mancanza di talento è davvero desolante. Ma tra i Demoni non avrà problemi.»
«Come puoi essere sicura della sua Caduta?» le chiese, mossa dal bisogno di sfidare quelle convinzioni, quella confidenza, quella possessività di Eisheth nei confronti di Anane «Ha aspettato fino ad ora, perché non potrebbe rimanere in Paradiso?»
«Oh, sciocchina, sei davvero divertente.» il bambino saltellò attorno all’albero contro cui era seduta, ridendo «Per lo Sviluppo, non è ovvio?»
Amitiel soffocò a malapena un ringhio. Non capiva – le mancava qualcosa per comprendere, lo sapeva lei e lo sapeva anche Eisheth, ma non si degnava di spiegarle nulla. E come si permetteva di trattare Anane come un oggetto, come poteva essere così sicura che fosse sua, mentre era libera di decidere se cadere o no, se diventare un demone o un caduto, se... se restare con lei in Paradiso o abbandonarla. Ma non avrebbe mai scelto di abbandonarla, quindi Eisheth si sbagliava. Doveva sbagliarsi.
Il bambino si fermò di fronte a lei con espressione delusa, smettendo di ridere e abbandonando le mani lungo i fianchi. Mormorò: «...oh. Non è ovvio.»
«No.» ringhiò «Evidentemente no.»
«Non insegnano più il rispetto, in Paradiso? Sei fortunata, cara, che non voglia sopportare gli strepiti di Michael. Altrimenti in questo momento ti starei strappando la sanità mentale... e non solo quella.»
Il tono con cui lo disse, senza una reale inflessione minacciosa, ma anzi quasi divertito, complice, la fece rabbrividire. In special modo quando, a metà della frase, studiò le proprie unghie rosicchiate con sguardo critico.
«Non è ovvio.» mormorò, allarmata e all’improvviso più rispettosa «Potresti spiegarmelo?»
«Così va meglio.» annuì soddisfatta e tornò a saltellare tra gli alberi, alzando la voce per farsi sentire anche a distanza «Per lo Sviluppo, sì? Un cherubino non può cadere.»
«...davvero?»
«Be’, in realtà può, ma non è una vera e propria Caduta. L’essenza dei Cherubini è troppo immatura per mutare in quella di uno sconsacrato.»
«Un cherubino caduto rimane un angelo?»
«No.» rise il demone.
Amitiel aspettò che aggiungesse qualcosa, ma ottenne solo un’altra risatina. Eisheth si stava divertendo a confonderla volutamente, si rese conto con rabbia. Ma aveva bisogno di comprendere, perciò trattenne le emozioni e ammise: «Non capisco.»
«L’essenza di un cherubino non è né angelo né sconsacrato.» le spiegò finalmente «È immatura, indefinita, ambigua. Persino il suo colore muta spesso – di solito è rossa, come le ali, ma... oh, sapessi che spettacoli ho visto, a volte.» mosse le mani in ampi gesti, entusiasta «Bianche. Nere. Grigie. E anche violacee, bluastre, ocra... spesso, prima dello Sviluppo, assume il colore della fascia che poi si indosserà. O meglio» schioccò la lingua sul palato con espressione saccente «il colore della fascia è lo stesso dell’essenza, non il contrario. Sono state scelte in base a questo, le varie tonalità, lo sapevi?»
«...lo Sviluppo di Anane.» mormorò, esausta. Trattenere l’irritazione le costava davvero molta dell’esigua energia rimastale.
«Oh, sì, cara, hai ragione. Be’, subito dopo lo Sviluppo cadrà, è ovvio. E diventerà di certo un demone... anche se la transizione è un po’ più dolorosa, è di certo un ruolo migliore per lei... come caduto davvero non sarebbe per nulla adatta, sì?»
«Ha aspettato fino ad ora. Magari vorrà rimanere in Paradiso.»
«Non dire sciocchezze, cara. Se ha aspettato fino ad ora, è per lo Sviluppo, non per altro.»
Non per te.
«Ma che importa se l’essenza di un cherubino non può marcire? Avrebbe potuto cadere comunque, se avesse voluto, ma non l’ha fatto.»
«Solo perché è una codarda.» ridacchiò «Lo Sviluppo, senza il Fuoco, è molto più doloroso. Teme di soffrire, per questo.»
Non per te.
«...lo Sviluppo è doloroso?»
Non sapeva nulla dello Sviluppo: ai Cherubini troppo immaturi non veniva permesso di assistervi, per non turbarvi, dicevano gli adulti. Questo avrebbe dovuto farle venire qualche dubbio, effettivamente.
«Mettiamola così, ignorantella.» sospirò Eisheth, in tono esasperato «Se dovessi perdere le piume ancora rosse, distruggere organi inutili, svilupparne altri, riformare tutto il sangue perso, irrobustire le ossa... non saresti la persona più serena e tranquilla mai esistita, sì?»
Rabbrividì. Era questo, lo Sviluppo? La distruzione di un corpo perché potesse rinnovarsi?
«Questo con il Fuoco, naturalmente – rende il tutto meno traumatico, meno doloroso. E... oh, forse questo non dovrei dirtelo, potrei turbarti.»
«Che cosa?» chiese, incapace di trattenersi.
Eisheth sorrise di nascosto, un ghigno che mal si addiceva al corpo infantile che stava manovrando.
«Senza il Fuoco, è anche più violento – l’essenza si sente esposta, in pericolo, e reagisce con più rapidità. Le piume cadono, quasi strappate. Gli organi non si consumano, ma vengono rigurgitati uno ad uno... anche quelli che, in condizioni normali, non comunicano con la gola. Delle lacerazioni spaventose. Gli organi da adulto ricrescono così in fretta che spezzano le ossa attorno a sé, a volte... hanno funzioni diverse da quelli dei Cherubini, e anche dimensioni, posizioni. Un vero massacro.» sgranò gli occhi chiari del bambino «Vogliamo parlare delle ossa? Devono ispessirsi, irrobustirsi... specialmente nel caso di Arcangeli e Serafini, per le ali, sì? Lacerano la pelle, le membrane, tutto ciò che si oppone alla loro crescita. Spesso gli stessi organi che prima le avevano spezzate.»
Amitiel serrò gli occhi, atterrita. Non aveva idea che fosse così spaventoso.
«Oh, non preoccuparti, cara. Senza Fuoco dello Sviluppo, spesso l’essenza... bara, possiamo dire così.» annuì compita «Si sviluppa in arcangelo, perché è il corpo che meglio può sopportare tutto questo dolore. Peccato che non tutti possano gestire la potenza degli Arcangeli... spesso chi non è adatto finisce ammazzato al primo scontro, o consumato dalla propria stessa essenza. Hai mai visto una persona morire consumata? No? Oh, è davvero uno spettacolo te-»
«Eisheth.»
Amitiel sussultò. Non aveva minimamente avvertito Michael avvicinarsi, o atterrare a qualche passo di distanza da loro due: la sua voce la colse impreparata, facendole alzare lo sguardo di scatto verso di lui, che però fissava Eisheth, furioso.
«Le spiegavo, Michael.» si giustificò quella con un ghigno «Me lo ha chiesto lei.»
«E tu perché le fai certe domande?» ringhiò al cherubino «Non l’hai capito che si diverte, a-» si bloccò e sgranò gli occhi «Cosa cazzo hai fatto all’essenza?»
«Su, Michael, non aggredirla, non è certo colpa sua.» ridacchiò Eisheth.
Li udì discutere – il demone divertito, il caduto furioso – ma non li ascoltò, esausta.
Voleva solo andare via. Parlare con Anane, magari, e chiederle se quello che diceva sua madre era vero, se sul serio era rimasta in Paradiso solo per lo Sviluppo e non perché c’era lei. O forse solo dormire, ma dormire del sonno degli Angeli, senza sogni, non di quello popolato di incubi che talvolta doveva subire.
Lontano da quella donna crudele che si divertiva a spaventarla e nausearla e ferirla, lontano da Michael che le ringhiava contro e la fissava con occhi furiosi – e tutte le domande che aveva, tutti i dubbi, tutti i pensieri sparivano in confronto all’enorme stanchezza che la stava invadendo.
Era... ferita. E sfinita. E offesa. E delusa. Era troppe cose insieme, che non facevano altro che confonderla ancora di più.
Voleva avere scelta – e avrebbe scelto senza dubbio di fuggire, in quel momento. O di non aver mai incontrato nessuno degli Sconsacrati... magari nemmeno Anane.
Non si accorse che Eisheth se n’era andata, saltellando tra gli alberi, finché le mani di Michael non la costrinsero ad alzarsi, rudi. Si ritrovò a fissare i suoi occhi grigi, ardenti di rabbia.
«Cos’hai fatto all’essenza?» le ringhiò ad un soffio dalle sue labbra, affondando le unghie nelle sue spalle.
Le ali reagirono con un violento fremito che lacerò la pelle irritata attorno all’attaccatura, così che gli squarci stillarono gocce di sangue bianco che le imbrattò la divisa. Soffocò un gemito.
Era stanca. Perché non lo capiva? Perché non la lasciava in pace?
Voleva avere scelta – fuggire, dimenticare, riposare.
Gli occhi grigi che la fissavano furiosi, però, le dicevano che non l’aveva: lei era stata scelta e, per questo, si trovava incatenata a quell’uomo di cui in realtà non conosceva nulla. Per cosa stava tradendo il Paradiso, lei? Per cosa l’aveva tradito? Per qualche informazione, per qualche risposta, per qualche attenzione? Per ritrovarsi poi con le sue unghie affondate nella carne, gli squarci doloranti, la testa pesante e una domanda ringhiata come una minaccia?
Voleva fuggire dimenticare risposare.
Ma non aveva scelta, perché era stata scelta.





***
Angolo autrice
Come sempre, grazie a chi ha inserito la storia in una delle tre liste e in special modo a chi commenta! Consigli, critiche e commenti sono sempre ben accetti (:
Spero che questa versione di Leliel non vi dispiaccia u.u Ha anche un cuore, quella donna - sepolto molto in fondo. Se qualcuno si stesse interrogando sull'effettiva utilità della scena, posso solo dire che alcuni personaggi vanno introdotti lentamente, mostrandoli a piccoli sprazzi. Ognuno ha il suo ruolo e il suo modo di adempirvi.
Una nota sul "Cosa cazzo hai fatto all'essenza?" di Michael. Può sembrare un modo di parlare troppo attuale e per questo ho avuto qualche dubbio sull'inserirlo, ma ogni lingua ha le sue imprecazioni, anche la loro. Mentre un angelo non avrebbe di certo usato un termine simile, qui sta parlando un caduto, per giunta piuttosto alterato; sul fatto che Amitiel capisca la parola, quando invece non avrebbe mai dovuto nemmeno sentirla... be', è amica di Anane. Questo spiega tutto.
Grazie ancora e a domenica prossima! (:
   
 
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