Capitolo
16 – Pioggia
«No.»
Quel
no,
sibilato in tono esausto
e tutt’altro che fermo, ebbe il potere di farla tornare
lucida.
Quasi l’avesse proferito lei, si allontanò di
scatto, sgusciando
via dalla sua presa – non che Michael avesse tentato di
impedirglielo, anzi, abbandonò lui stesso le braccia lungo i
fianchi.
Si
sentiva ancora
annegare nel languore, ma qualcosa di ancora più intenso la
faceva
tremare, urlandole che era sbagliato, era disgustoso, era osceno.
Aveva l’impressione di essere sporca dove lui
l’aveva toccata, e
la cosa più nauseante era che continuava a piacerle. Si
strinse le
braccia attorno al corpo, come per proteggersi – o per
impedirsi di
tornare a toccarlo e sentirsi di nuovo stringere e assaporare il suo
respiro gelido.
«No.»
ripeté Michael, fissando un punto sopra il suo capo
«Non... Sei
alla quinta classe. Quinta classe.
È da insani.»
Amitiel
abbassò lo sguardo, offesa e ferita. L’aveva
rifiutata. Le aveva
impedito di compiere un’oscenità, sì,
ma l’aveva
rifiutata.
Era...
un senso di
contrarietà strano, che non aveva mai provato.
Voleva
che tornasse a
stringerla. Aveva fatto male, la sua pelle gelida, ma era stato bello
– bello in quel modo strano e nuovo che nonostante sembrava
naturale, familiare. Istintivo. Umano.
«Devo
parlare con
Liwet. Resta qui.» le ordinò, ancora senza
guardarla.
«Credo»
trillò
Eisheth con una risata acuta, facendola sobbalzare: non si era
accorta che si fosse di nuovo avvicinata, con quel corpo tanto minuto
«che sia meglio farla ascoltare, caro. Non
c’è tempo per
spiegarle tutto più tardi.»
«C’è.»
«Liwet
è stanca,
povera cara: influenzare due Custodi contemporaneamente,
così a
lungo, immatura com’è... e anche Sephon
sarà esausto. Non
perdiamo tempo, rischiamo che si deconcentrino.»
abbracciò di
scatto Amitiel, premendo la guancia contro il suo ventre «E
non
priviamo Amitiel della tua presenza per questi ultimi istanti,
sì?»
Prima
ancora che il
cherubino tentasse di allontanare quel corpo infantile da
sé,
Michael l’aveva strattonato lontano da lei e con un brusco
cenno
del capo aveva ordinato a Liwet di raggiungerli. La donna
scavalcò
il corpo a terra con una noncuranza che stonava con la sua aria
gentile e si avvicinò a passi piccoli e rapidi; dava
l’impressione
di fluttuare, più che di camminare, e il suo viso grondante
sangue
dallo squarcio sembrava una maschera congelata in
un’espressione
materna. Amitiel non
riusciva a capire se quella donna le piacesse o meno.
«Avete
bisogno di me?»
chiese con voce sommessa una volta che li ebbe raggiunti, fermandosi
per rispetto un paio di passi più indietro di Eisheth.
«Ripeti
anche a loro
il tuo suggerimento, cara.» la invitò Eisheth, in
tono di comando
quasi gentile.
«Si
potrebbe» lasciò
vagare lo sguardo su tutti loro, Amitiel compresa, che si
stupì di
una simile considerazione verso un cherubino «simulare un
attacco.
Isolato, improvviso, non pianificato. In alcun modo legato alle
nostre strategie. Mirato solo al Custode, per vendetta –
magari da
parte di un folle, privo di controllo, perché non venga
considerata
una voluta violazione dei patti da parte di tutti noi. Casuale il
luogo, casuale la presenza dei Cherubini.»
«Ho
giusto qualcuno di
cui volevo liberarmi da un po’.» Eisheth
batté le mani,
entusiasta «Posso convincerlo a venire qui e fargli perdere
il
controllo.»
«Non
avevo dubbi sulla
capacità della tua Influenza.» le rispose Liwet,
con un tono che
non sembrava adulatorio, ma solo velato di una sincera ammirazione
«E
tua figlia mi sembra abbastanza matura da fingere in modo
convincente.»
«Non
Amitiel.»
intervenne Michael «E c’è il rischio che
venga... vengano ferite
anche loro.»
«L’accusatore
più
attivo dai tempi delle grandi Cadute e due Cherubini di cui quasi
s’ignora l’esistenza. Tu attaccheresti i Cherubini,
sì?»
«Rimane
il problema.
Amitiel non sa mentire.»
«Prima
imparerà, più
possibilità avrà di sopravvivere in Paradiso.
Sono certa che Anane
saprà essere un’ottima maestra.»
«Anane
è un’allieva
del ciclo superiore.» intervenne Liwet in tono pacifico
«Vorranno
parlare con lei, non con una della quinta classe.»
«È
un rischio.»
ringhiò l’uomo.
Continuava
a non
guardarla, notò Amitiel, e a rimanere distante; parlava come
se lei
non ci fosse, un contrasto stridente e offensivo con la
considerazione che Liwet continuava a riservarle, attraverso brevi
occhiate rassicuranti.
«Hai
altre soluzioni,
caro?»
Michael
non rispose.
«Perfetto.
Liwet, devo
abbandonare questo corpo, riportalo dove l’ho preso. Spiega
tu a
mia figlia e a Sephon – lui saprà gestire tutto.
Mia cara» si
volse verso Amitiel, ghignando «se vuoi farti spiegare
qualcos’altro
sullo Sviluppo, io sono sempre disponibile.»
«Evita,
Eisheth.»
«Sempre
felice che tu
riconosca il nostro legame, figlio mio, ma non farti distrarre troppo
dall’affetto verso di me. Sta’ attento, tesoro, mi
raccomando.»
E,
schioccatogli un
bacio sul palmo di una mano, lasciò quel corpo. Amitiel
poté
giurare di aver scorto una sottile traccia rossastra svanire dagli
occhi del bambino, come un filo di fumo, prima che questi si
accasciasse privo di sensi; il cherubino sussultò, vedendolo
inerte,
ma Liwet lo afferrò prima che crollasse a terra e, strettolo
al
petto senza fatica, le mormorò:
«Rinverrà tra poco, non temere.
Per lui sarà solo come aver dormito molto a lungo.»
Espose
le ali nere da
angelo caduto e si alzò in volo senza un’altra
parola. Amitiel la
salutò con un cenno della mano appena abbozzato, come per
ringraziarla dell’attenzione che le aveva concesso
– anche se a
ben vedere nessuno, nemmeno Liwet, le aveva chiesto se si sentisse in
grado di sostenere quella recita. D’altronde, era un
cherubino: che
importanza potevano avere le sue parole?
Gli
Sconsacrati non
erano poi molto diversi dagli Angeli.
Michael
rimase per un
istante in silenzio, senza guardarla, poi si avvicinò al
corpo che
ancora giaceva a terra, immobile – doveva aver perso tanto
sangue
da non riuscire più a controllare i movimenti. Lei distolse
gli
occhi. Era possibile essere più colpita dal comportamento
scostante
del caduto che dall’orrore di cui si era resa complice?
...sì,
evidentemente
lo era, almeno in quel momento. Voleva che tornasse a guardarla, a
prestarle attenzione, a toccarla – no, a toccarla no,
perché era
un’oscenità, quello che provava.
Come
se tessere legami
con gli Sconsacrati non fosse anch’esso una colpa.
«Michael?»
lo chiamò,
esitante, senza osare avvicinarsi.
«Taci.»
«...perché?»
Non
era un ‘perché
devo tacere?’, ma un ‘perché
fai così?’ e, anche
se forse Amitiel non se ne rendeva nemmeno pienamente conto, lui
invece lo colse. Le sue enormi ali da arcangelo ebbero un fremito.
«Sei
alla quinta
classe. Non posso sporcarti. Lo
vedrebbero.»
«Avevi
detto che...
l’essenza dei Cherubini...»
«Non
in quel senso.»
«Non
capisco.»
ammise, frustrata. Voleva che tornasse a stringerla; perché
non
poteva? Perché si allontanava? Perché cercava di
ignorarla il più
possibile?
«Ti
cambierebbe. Ti
farebbe... maturare, in modo troppo rapido e troppo evidente.»
«Davvero?»
«No,
sto lontano
perché lo trovo divertente.»
Era
un’ammissione –
strappata come un ringhio sarcastico, ma pur sempre
un’ammissione.
Le fece piacere. Persa tra il compiacimento che le riscaldò
le
guance e il languore tiepido che ancora le accarezzava il ventre,
aveva quasi dimenticato l’orrore per quel corpo dilaniato e
abbandonato a terra.
* * *
«E
così» stava
dicendo Cassiel, seduta con le gambe nel vuoto sul robusto ramo di un
albero che, con la sua chioma, le proteggeva parzialmente dalla
pioggia «tu sei l’allieva
dell’Autorità più influente
dell’intero collegio?»
«Non
la più
influente.» la corresse Sachiel, accanto a lei, sovrastando a
malapena lo scroscio dell’acqua «Quella che
riferisce
all’arcangelo Raphael e al Consiglio. È un ruolo
onorevole, ma non
concede poteri maggiori rispetto alle altre
Autorità.»
«Sì,
naturalmente. Mi
sono espressa male.»
Il
tono di voce,
l’espressione, la luce che brillava nei loro sguardi, tutto
contraddiceva il senso delle loro parole. Leliel era riconosciuta da
tutti come l’Autorità più influente
della loro Circoscrizione, e
questo garantiva ai suoi allievi una posizione altrettanto
considerevole nelle implicite gerarchie dei Cherubini; persino i
Custodi, se non tutti gli adulti, avevano un atteggiamento
più
rispettoso nei loro confronti, poiché era preferibile non
attirarsi
i rancori di chi un giorno sarebbe di certo stato influente.
Questo
nonostante i
Cherubini del ciclo superiore fossero tutti alla pari,
indipendentemente dal loro insegnante, e che non fosse permesso
né
privilegiare qualcuno né portare rancore. Ma
d’altronde non era
nemmeno regolare che ad un’Autorità fosse
riconosciuto maggior
potere rispetto alle altre.
Si
parlava per
sottintesi.
Quando
Cassiel aveva
terminato di analizzare ogni presenza, con delle Percezioni
sorprendentemente sviluppate – sorpresa di cui
l’altra non aveva
voluto mostrare alcun segno –, Sachiel non si era
perciò stupita
che sfruttasse quella pausa per informarsi
sull’identità del suo
insegnante. La domanda, pronunciata in tono casuale e disinteressato,
nascondeva in realtà la valutazione di quanto rispetto le
fosse
dovuto; e, benché il solo fatto di essere al ciclo superiore
le
garantisse una posizione superiore a quella dell’altra,
Sachiel
aveva accontentato quella curiosità calcolatrice con non
poca
soddisfazione.
Avrebbero
dovuto
rimproverarla per quella superbia che mostrava spesso con gli altri
allievi, ma in realtà nessuno poteva biasimarla davvero
– in primo
luogo la sua maestra. Quando con la voce le suggeriva di essere
più
umile con i suoi pari, con gli occhi sembrava invece ordinarle di
mostrare un po’ di quell’orgoglio anche con gli
adulti; il
problema era che, in quanto adulti, Sachiel li rispettava troppo per
non essere modesta.
Non
che non rispettasse
gli altri Cherubini – sarebbe stata un’arroganza
inaccettabile –
ma aveva guadagnato la propria posizione con impegno e intendeva
sfruttarne i vantaggi; e la sua maestra, dietro
un’esortazione a
concentrarsi solo sullo studio e non su simili distrazioni, sarebbe
stata senza dubbio compiaciuta da questi pensieri.
Chi
sembrava non
rispettare gli altri Cherubini – e ne aveva di certo meno
motivo di
Sachiel – era Cassiel: con gli occhi neri animati da una
scintilla
calcolatrice e ambiziosa, dava l’impressione di valutare gli
altri
a seconda della loro utilità e di ritenersi superiore ad
ogni altro
in virtù della propria genialità. Era quella
genialità a
permetterle un comportamento simile, lasciando un senso
d’invidia
strisciante, una rispettosa ammirazione, una vaga confusione.
Cos’altro si poteva esigere da chi, ad un soffio dalla
propria
creazione, era quasi alla fine del ciclo? Quanto altro impegno era
lecito pretendere? Si poteva biasimare la sua superbia per qualcosa
che le era riconosciuto da tutti?
Forse
il problema,
rifletté Sachiel, era proprio che non le si chiedeva nulla
più di
ciò che già dava. La obbligavano a saltare
classi, a recuperare
interi libri in appena qualche ciclo temporale, ma non sembrava
risentirne: non appariva stanca, provata, o anche incerta su
ciò che
aveva dovuto apprendere tanto in fretta. Gli insegnanti esigevano
solo che non rimanesse indietro rispetto al gruppo e questo non
doveva essere troppo pesante, data la sua genialità; non si
doveva
sforzare più di qualsiasi altro allievo, in proporzione alle
sue
capacità.
Il
che, Sachiel lo
sapeva, era un errore. Avrebbe dovuto andare a riposare esausta,
dolorante, molto più degli altri Cherubini; avrebbe dovuto
impegnarsi sino allo sfinimento, per completare il periodo da
cherubino nel minor tempo possibile, e non in quello che si riteneva
fosse adatto al suo talento. Non dava più di ciò
che le veniva
chiesto, mentre avrebbe dovuto sempre offrire tutto ciò che
era in
suo potere. Lo Specchio sapeva insegnare bene questo tipo di
sacrificio, ma lei, che esulava dalla didattica classica, avrebbe
dovuto impararlo in altro modo – ancora da cherubino,
possibilmente, in modo da non rischiare la vita per non essersi
impegnata abbastanza in uno scontro.
Sachiel
si sistemò
meglio sul ramo, la schiena ritta e le gambe solo leggermente
oscillanti nel vuoto. Si voltò per osservare
l’altra, che nel
frattempo era tornata a concentrarsi sulle proprie Percezioni, sotto
suo ordine; spostando dietro un orecchio una ciocca sfuggita alla
treccia, notò che Cassiel invece portava i capelli
più corti,
raccolti da un nastro. Non era usuale: benché non vi fosse
una netta
distinzione, le allieve preferivano superare almeno le scapole o
tagliarli tanto corti da non doverli legare, mentre alle spalle era
una misura tipicamente maschile. In questo, e nel suo celare il seno
e i fianchi da donna lasciando gli abiti larghi il più
possibile,
sembrava quasi voler rinnegare il proprio sesso – la propria
inferiorità nei confronti di chi, a parità di
rango, le sarebbe
sempre stato superiore in quanto uomo.
Non
era stata educata
ad accettare la subordinazione, evidentemente. Abituata a sentirsi
superiore, a non impegnarsi a fondo, a compiacersi sterilmente del
proprio talento; Leliel non ne sarebbe stata soddisfatta,
rifletté.
Forse non l’avrebbe ritenuta abbastanza matura per il ciclo
superiore.
«Sachiel.»
la
riscosse l’altra, con voce stranamente incerta. Aveva le
palpebre
socchiuse, come se non sapesse decidere se aprirle o serrarle di
nuovo, e i denti affondati nel labbro inferiore. Le ali tremavano
lievemente, le mani artigliavano spasmodicamente la corteccia del
ramo, l’essenza – Sachiel la scorgeva con poco
sforzo – si
tendeva con inquietudine.
«Sì?»
«C’è...
qualcosa.
Qualcosa di strano.»
«Cosa?»
«Non
lo so, non riesco
a concentrarmi. Mi... respinge.» si umettò le
labbra «Ma c’è,
lo sento. È disturbante.»
Ansia.
Angoscia.
Inquietudine.
...sollievo.
«Sto
cercando, ma non
avverto nulla.»
«Cerca
meglio.»
«Porta
rispetto,
fascia rossa.» sibilò, perdendo momentaneamente la
concentrazione.
Cassiel
chinò il capo
senza scusarsi.
«Continuo
a non
avvertire nu-» ad occhi sgranati, dovette aggrapparsi ad un
ramo
sopra di sé per non cadere «Dai Guardiani,
subito.»
«Cosa-»
«Subito!»
*
* *
Capitolo
tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato).
Precipitazione dalle nubi (sottolineato; vedi capitolo due, paragrafo
quattro) di gocce d’acqua (sottolineato) più o
meno grandi e
fitte. Spesso accompagnata da bassa temperatura (vedi capitolo uno,
paragrafo due), minore luminosità (vedi capitolo uno,
paragrafo
uno), vento (vedi capitolo tre, paragrafo otto). Se di particolare
intensità, accompagnata da tuoni (vedi capitolo quattro,
paragrafo
sei) e fulmini (vedi capitolo quattro, paragrafo sette), prende il
nome di temporale (maiuscolo, sottolineato).
Indispensabile
per la crescita della vegetazione (sottolineato; vedi capitolo sette,
paragrafi dieci e undici) e per la stabilità dei corsi
d’acqua
(sottolineato; vedi capitolo sette, paragrafo sei).
Aveva
riletto quel paragrafo così spesso, per tentare di capirlo,
da
impararlo a memoria, e continuava a ripeterselo – note e
sottolineature e maiuscole incluse – per assicurarsi che
quella che
si riversava su di lei fosse effettivamente pioggia. Aveva dovuto
assicurarglielo Michael, appena prima che Anane arrivasse e lui si
congedasse con una lieve carezza ai capelli, altrimenti non
l’avrebbe
mai compreso: ‘precipitazione’
non rendeva bene l’idea di quella moltitudine di gocce
sottili
rigettate dal grigiore delle nubi, non definiva la sensazione dei
rivoli che scorrevano lungo il corpo, non descriveva quel
tamburellare rilassante, non tratteggiava l’immagine
dell’acqua
che rimaneva impigliata tra i capelli come piccole lacrime, non
evocava quel profumo intenso, strano, piacevole –
l’odore tipico
di un bosco sotto la pioggia, terra e muschio e umidità, che
in
Paradiso non aveva mai potuto percepire.
La
pioggia la lavava
dal sangue che era rimasto sul tessuto della sua divisa –
difficile
da sporcare e semplice da pulire, con suo enorme sollievo. La
accarezzava con dita fredde, delicate, come la mano di Michael tra i
capelli prima che si congedasse. La cullava con il suono ritmico e
ipnotico, melodioso quanto la voce di Anane che tentava di
rassicurarla. La investiva con il suo profumo, la avvolgeva in un
abbraccio leggero, la immergeva in un mondo ovattato. La meravigliava
sussurrando storie d’acqua che sgorgava dalle sorgenti,
scivolava
lungo i ciottoli del greto come un nastro d’argento e
giungeva alle
onde spumose dell’oceano, e poi risaliva sino al cielo e si
riversava di nuovo verso il basso per nutrire il terreno arido;
storie di pietre levigate dalla corrente, di sentieri scavati dal suo
corso lungo le pendici dei monti, di villaggi sorti lungo il suo
corso; storie di creature che si erano chinate sui suoi flutti per
dissetarsi, di radici affondate nel terreno umido per assorbirne
vita.
Se
si concentrava su di
essa e sulla sterile ripetizione di ciò che aveva studiato,
poteva
rimanere distaccata. Assorta nel suo ripasso, le mani tese in avanti
per raccogliere la pioggia, gli occhi fissi sulla scena senza quasi
vederla davvero, riusciva a cancellare tutto il resto.
«Amitiel?
Amitiel, non
piangere, per favore, non piangere. Andrà tutto
bene.»
Capitolo
tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato).
Via
la sagoma del
demone che si avventava sul corpo a terra e feriva, lacerava,
dilaniava.
«Adesso
finisce, non
preoccuparti, tra poco chiamo i Custodi.»
Precipitazione
dalle nubi (sottolineato; vedi capitolo due, paragrafo quattro) di
gocce d’acqua (sottolineato) più o meno grandi e
fitte.
Via
l’odore dolciastro e nauseante del sangue.
«Girati,
non guardare,
non guardare!»
Spesso
accompagnata da bassa temperatura (vedi capitolo uno, paragrafo due),
Via
la nebbia bianca
che si diffondeva, sottile, dagli occhi quasi vitrei del Custode.
«Amitiel,
non devi
vederlo, girati!»
minore
luminosità (vedi capitolo uno, paragrafo uno),
Via
la nube rossastra
che soffocava lentamente quella foschia, come ingoiandola.
«Va
tutto bene, va
tutto bene, non guardare.»
vento
(vedi capitolo tre, paragrafo otto).
Via
Anane che la
abbracciava ma non faceva niente, niente, assolutamente niente per
fermare quello scempio.
«...ci
sta mettendo
troppo tempo.»
Se
di particolare intensità, accompagnata da tuoni (vedi
capitolo
quattro, paragrafo sei) e fulmini (vedi capitolo quattro, paragrafo
sette),
Via
la voce fredda e
calcolatrice che neanche sembrava appartenerle.
«Di
questo passo,
qualcuno potrebbe accorgersi di... no, tranquilla, va tutto bene, va
tutto bene, non piangere.»
prende
il nome di temporale (maiuscolo, sottolineato).
Via
i suoi occhi
azzurri socchiusi per concentrarsi e controllare i movimenti dei
Custodi.
«Amitiel,
ti ricordi
cosa devi dire ai Custodi, sì?»
Indispensabile
per la crescita della vegetazione (sottolineato; vedi capitolo sette,
paragrafi dieci e undici)
Via
l’urgenza della
sua voce, le mani che le scuotevano le spalle.
«...arriva
qualcuno.»
e
per la stabilità dei corsi d’acqua (sottolineato;
vedi capitolo
sette, paragrafo sei).
Via
Ramiel, la
Guardiana, che compariva all’improvviso tra gli alberi e si
avventava sul demone.
«No.
No, no, no,
no...»
Capitolo
tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato).
Via
il corpo dilaniato
del Custode a terra, i suoi occhi annebbiati dal dolore.
I
suoi occhi vivi.
***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre
liste e soprattutto commenta!
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