Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: TuttaColpaDelCielo    20/05/2012    5 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 16 – Pioggia





«No.»
Quel no, sibilato in tono esausto e tutt’altro che fermo, ebbe il potere di farla tornare lucida. Quasi l’avesse proferito lei, si allontanò di scatto, sgusciando via dalla sua presa – non che Michael avesse tentato di impedirglielo, anzi, abbandonò lui stesso le braccia lungo i fianchi.
Si sentiva ancora annegare nel languore, ma qualcosa di ancora più intenso la faceva tremare, urlandole che era sbagliato, era disgustoso, era osceno. Aveva l’impressione di essere sporca dove lui l’aveva toccata, e la cosa più nauseante era che continuava a piacerle. Si strinse le braccia attorno al corpo, come per proteggersi – o per impedirsi di tornare a toccarlo e sentirsi di nuovo stringere e assaporare il suo respiro gelido.
«No.» ripeté Michael, fissando un punto sopra il suo capo «Non... Sei alla quinta classe. Quinta classe. È da insani.»
Amitiel abbassò lo sguardo, offesa e ferita. L’aveva rifiutata. Le aveva impedito di compiere un’oscenità, sì, ma l’aveva rifiutata.
Era... un senso di contrarietà strano, che non aveva mai provato.
Voleva che tornasse a stringerla. Aveva fatto male, la sua pelle gelida, ma era stato bello – bello in quel modo strano e nuovo che nonostante sembrava naturale, familiare. Istintivo. Umano.
«Devo parlare con Liwet. Resta qui.» le ordinò, ancora senza guardarla.
«Credo» trillò Eisheth con una risata acuta, facendola sobbalzare: non si era accorta che si fosse di nuovo avvicinata, con quel corpo tanto minuto «che sia meglio farla ascoltare, caro. Non c’è tempo per spiegarle tutto più tardi.»
«C’è.»
«Liwet è stanca, povera cara: influenzare due Custodi contemporaneamente, così a lungo, immatura com’è... e anche Sephon sarà esausto. Non perdiamo tempo, rischiamo che si deconcentrino.» abbracciò di scatto Amitiel, premendo la guancia contro il suo ventre «E non priviamo Amitiel della tua presenza per questi ultimi istanti, sì?»
Prima ancora che il cherubino tentasse di allontanare quel corpo infantile da sé, Michael l’aveva strattonato lontano da lei e con un brusco cenno del capo aveva ordinato a Liwet di raggiungerli. La donna scavalcò il corpo a terra con una noncuranza che stonava con la sua aria gentile e si avvicinò a passi piccoli e rapidi; dava l’impressione di fluttuare, più che di camminare, e il suo viso grondante sangue dallo squarcio sembrava una maschera congelata in un’espressione materna. Amitiel non riusciva a capire se quella donna le piacesse o meno.
«Avete bisogno di me?» chiese con voce sommessa una volta che li ebbe raggiunti, fermandosi per rispetto un paio di passi più indietro di Eisheth.
«Ripeti anche a loro il tuo suggerimento, cara.» la invitò Eisheth, in tono di comando quasi gentile.
«Si potrebbe» lasciò vagare lo sguardo su tutti loro, Amitiel compresa, che si stupì di una simile considerazione verso un cherubino «simulare un attacco. Isolato, improvviso, non pianificato. In alcun modo legato alle nostre strategie. Mirato solo al Custode, per vendetta – magari da parte di un folle, privo di controllo, perché non venga considerata una voluta violazione dei patti da parte di tutti noi. Casuale il luogo, casuale la presenza dei Cherubini.»
«Ho giusto qualcuno di cui volevo liberarmi da un po’.» Eisheth batté le mani, entusiasta «Posso convincerlo a venire qui e fargli perdere il controllo.»
«Non avevo dubbi sulla capacità della tua Influenza.» le rispose Liwet, con un tono che non sembrava adulatorio, ma solo velato di una sincera ammirazione «E tua figlia mi sembra abbastanza matura da fingere in modo convincente.»
«Non Amitiel.» intervenne Michael «E c’è il rischio che venga... vengano ferite anche loro.»
«L’accusatore più attivo dai tempi delle grandi Cadute e due Cherubini di cui quasi s’ignora l’esistenza. Tu attaccheresti i Cherubini, sì?»
«Rimane il problema. Amitiel non sa mentire.»
«Prima imparerà, più possibilità avrà di sopravvivere in Paradiso. Sono certa che Anane saprà essere un’ottima maestra.»
«Anane è un’allieva del ciclo superiore.» intervenne Liwet in tono pacifico «Vorranno parlare con lei, non con una della quinta classe.»
«È un rischio.» ringhiò l’uomo.
Continuava a non guardarla, notò Amitiel, e a rimanere distante; parlava come se lei non ci fosse, un contrasto stridente e offensivo con la considerazione che Liwet continuava a riservarle, attraverso brevi occhiate rassicuranti.
«Hai altre soluzioni, caro?»
Michael non rispose.
«Perfetto. Liwet, devo abbandonare questo corpo, riportalo dove l’ho preso. Spiega tu a mia figlia e a Sephon – lui saprà gestire tutto. Mia cara» si volse verso Amitiel, ghignando «se vuoi farti spiegare qualcos’altro sullo Sviluppo, io sono sempre disponibile.»
«Evita, Eisheth.»
«Sempre felice che tu riconosca il nostro legame, figlio mio, ma non farti distrarre troppo dall’affetto verso di me. Sta’ attento, tesoro, mi raccomando.»
E, schioccatogli un bacio sul palmo di una mano, lasciò quel corpo. Amitiel poté giurare di aver scorto una sottile traccia rossastra svanire dagli occhi del bambino, come un filo di fumo, prima che questi si accasciasse privo di sensi; il cherubino sussultò, vedendolo inerte, ma Liwet lo afferrò prima che crollasse a terra e, strettolo al petto senza fatica, le mormorò: «Rinverrà tra poco, non temere. Per lui sarà solo come aver dormito molto a lungo.»
Espose le ali nere da angelo caduto e si alzò in volo senza un’altra parola. Amitiel la salutò con un cenno della mano appena abbozzato, come per ringraziarla dell’attenzione che le aveva concesso – anche se a ben vedere nessuno, nemmeno Liwet, le aveva chiesto se si sentisse in grado di sostenere quella recita. D’altronde, era un cherubino: che importanza potevano avere le sue parole?
Gli Sconsacrati non erano poi molto diversi dagli Angeli.
Michael rimase per un istante in silenzio, senza guardarla, poi si avvicinò al corpo che ancora giaceva a terra, immobile – doveva aver perso tanto sangue da non riuscire più a controllare i movimenti. Lei distolse gli occhi. Era possibile essere più colpita dal comportamento scostante del caduto che dall’orrore di cui si era resa complice?
...sì, evidentemente lo era, almeno in quel momento. Voleva che tornasse a guardarla, a prestarle attenzione, a toccarla – no, a toccarla no, perché era un’oscenità, quello che provava.
Come se tessere legami con gli Sconsacrati non fosse anch’esso una colpa.
«Michael?» lo chiamò, esitante, senza osare avvicinarsi.
«Taci.»
«...perché?»
Non era un ‘perché devo tacere?’, ma un ‘perché fai così?’ e, anche se forse Amitiel non se ne rendeva nemmeno pienamente conto, lui invece lo colse. Le sue enormi ali da arcangelo ebbero un fremito.
«Sei alla quinta classe. Non posso sporcarti. Lo vedrebbero.»
«Avevi detto che... l’essenza dei Cherubini...»
«Non in quel senso.»
«Non capisco.» ammise, frustrata. Voleva che tornasse a stringerla; perché non poteva? Perché si allontanava? Perché cercava di ignorarla il più possibile?
«Ti cambierebbe. Ti farebbe... maturare, in modo troppo rapido e troppo evidente.»
«Davvero?»
«No, sto lontano perché lo trovo divertente.»
Era un’ammissione – strappata come un ringhio sarcastico, ma pur sempre un’ammissione. Le fece piacere. Persa tra il compiacimento che le riscaldò le guance e il languore tiepido che ancora le accarezzava il ventre, aveva quasi dimenticato l’orrore per quel corpo dilaniato e abbandonato a terra.

* * *

«E così» stava dicendo Cassiel, seduta con le gambe nel vuoto sul robusto ramo di un albero che, con la sua chioma, le proteggeva parzialmente dalla pioggia «tu sei l’allieva dell’Autorità più influente dell’intero collegio?»
«Non la più influente.» la corresse Sachiel, accanto a lei, sovrastando a malapena lo scroscio dell’acqua «Quella che riferisce all’arcangelo Raphael e al Consiglio. È un ruolo onorevole, ma non concede poteri maggiori rispetto alle altre Autorità.»
«Sì, naturalmente. Mi sono espressa male.»
Il tono di voce, l’espressione, la luce che brillava nei loro sguardi, tutto contraddiceva il senso delle loro parole. Leliel era riconosciuta da tutti come l’Autorità più influente della loro Circoscrizione, e questo garantiva ai suoi allievi una posizione altrettanto considerevole nelle implicite gerarchie dei Cherubini; persino i Custodi, se non tutti gli adulti, avevano un atteggiamento più rispettoso nei loro confronti, poiché era preferibile non attirarsi i rancori di chi un giorno sarebbe di certo stato influente.
Questo nonostante i Cherubini del ciclo superiore fossero tutti alla pari, indipendentemente dal loro insegnante, e che non fosse permesso né privilegiare qualcuno né portare rancore. Ma d’altronde non era nemmeno regolare che ad un’Autorità fosse riconosciuto maggior potere rispetto alle altre.
Si parlava per sottintesi.
Quando Cassiel aveva terminato di analizzare ogni presenza, con delle Percezioni sorprendentemente sviluppate – sorpresa di cui l’altra non aveva voluto mostrare alcun segno –, Sachiel non si era perciò stupita che sfruttasse quella pausa per informarsi sull’identità del suo insegnante. La domanda, pronunciata in tono casuale e disinteressato, nascondeva in realtà la valutazione di quanto rispetto le fosse dovuto; e, benché il solo fatto di essere al ciclo superiore le garantisse una posizione superiore a quella dell’altra, Sachiel aveva accontentato quella curiosità calcolatrice con non poca soddisfazione.
Avrebbero dovuto rimproverarla per quella superbia che mostrava spesso con gli altri allievi, ma in realtà nessuno poteva biasimarla davvero – in primo luogo la sua maestra. Quando con la voce le suggeriva di essere più umile con i suoi pari, con gli occhi sembrava invece ordinarle di mostrare un po’ di quell’orgoglio anche con gli adulti; il problema era che, in quanto adulti, Sachiel li rispettava troppo per non essere modesta.
Non che non rispettasse gli altri Cherubini – sarebbe stata un’arroganza inaccettabile – ma aveva guadagnato la propria posizione con impegno e intendeva sfruttarne i vantaggi; e la sua maestra, dietro un’esortazione a concentrarsi solo sullo studio e non su simili distrazioni, sarebbe stata senza dubbio compiaciuta da questi pensieri.
Chi sembrava non rispettare gli altri Cherubini – e ne aveva di certo meno motivo di Sachiel – era Cassiel: con gli occhi neri animati da una scintilla calcolatrice e ambiziosa, dava l’impressione di valutare gli altri a seconda della loro utilità e di ritenersi superiore ad ogni altro in virtù della propria genialità. Era quella genialità a permetterle un comportamento simile, lasciando un senso d’invidia strisciante, una rispettosa ammirazione, una vaga confusione. Cos’altro si poteva esigere da chi, ad un soffio dalla propria creazione, era quasi alla fine del ciclo? Quanto altro impegno era lecito pretendere? Si poteva biasimare la sua superbia per qualcosa che le era riconosciuto da tutti?
Forse il problema, rifletté Sachiel, era proprio che non le si chiedeva nulla più di ciò che già dava. La obbligavano a saltare classi, a recuperare interi libri in appena qualche ciclo temporale, ma non sembrava risentirne: non appariva stanca, provata, o anche incerta su ciò che aveva dovuto apprendere tanto in fretta. Gli insegnanti esigevano solo che non rimanesse indietro rispetto al gruppo e questo non doveva essere troppo pesante, data la sua genialità; non si doveva sforzare più di qualsiasi altro allievo, in proporzione alle sue capacità.
Il che, Sachiel lo sapeva, era un errore. Avrebbe dovuto andare a riposare esausta, dolorante, molto più degli altri Cherubini; avrebbe dovuto impegnarsi sino allo sfinimento, per completare il periodo da cherubino nel minor tempo possibile, e non in quello che si riteneva fosse adatto al suo talento. Non dava più di ciò che le veniva chiesto, mentre avrebbe dovuto sempre offrire tutto ciò che era in suo potere. Lo Specchio sapeva insegnare bene questo tipo di sacrificio, ma lei, che esulava dalla didattica classica, avrebbe dovuto impararlo in altro modo – ancora da cherubino, possibilmente, in modo da non rischiare la vita per non essersi impegnata abbastanza in uno scontro.
Sachiel si sistemò meglio sul ramo, la schiena ritta e le gambe solo leggermente oscillanti nel vuoto. Si voltò per osservare l’altra, che nel frattempo era tornata a concentrarsi sulle proprie Percezioni, sotto suo ordine; spostando dietro un orecchio una ciocca sfuggita alla treccia, notò che Cassiel invece portava i capelli più corti, raccolti da un nastro. Non era usuale: benché non vi fosse una netta distinzione, le allieve preferivano superare almeno le scapole o tagliarli tanto corti da non doverli legare, mentre alle spalle era una misura tipicamente maschile. In questo, e nel suo celare il seno e i fianchi da donna lasciando gli abiti larghi il più possibile, sembrava quasi voler rinnegare il proprio sesso – la propria inferiorità nei confronti di chi, a parità di rango, le sarebbe sempre stato superiore in quanto uomo.
Non era stata educata ad accettare la subordinazione, evidentemente. Abituata a sentirsi superiore, a non impegnarsi a fondo, a compiacersi sterilmente del proprio talento; Leliel non ne sarebbe stata soddisfatta, rifletté. Forse non l’avrebbe ritenuta abbastanza matura per il ciclo superiore.
«Sachiel.» la riscosse l’altra, con voce stranamente incerta. Aveva le palpebre socchiuse, come se non sapesse decidere se aprirle o serrarle di nuovo, e i denti affondati nel labbro inferiore. Le ali tremavano lievemente, le mani artigliavano spasmodicamente la corteccia del ramo, l’essenza – Sachiel la scorgeva con poco sforzo – si tendeva con inquietudine.
«Sì?»
«C’è... qualcosa. Qualcosa di strano.»
«Cosa?»
«Non lo so, non riesco a concentrarmi. Mi... respinge.» si umettò le labbra «Ma c’è, lo sento. È disturbante.»
Ansia. Angoscia. Inquietudine.
...sollievo.
«Sto cercando, ma non avverto nulla.»
«Cerca meglio
«Porta rispetto, fascia rossa.» sibilò, perdendo momentaneamente la concentrazione.
Cassiel chinò il capo senza scusarsi.
«Continuo a non avvertire nu-» ad occhi sgranati, dovette aggrapparsi ad un ramo sopra di sé per non cadere «Dai Guardiani, subito.»
«Cosa-»
«Subito!»

* * *

Capitolo tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato). Precipitazione dalle nubi (sottolineato; vedi capitolo due, paragrafo quattro) di gocce d’acqua (sottolineato) più o meno grandi e fitte. Spesso accompagnata da bassa temperatura (vedi capitolo uno, paragrafo due), minore luminosità (vedi capitolo uno, paragrafo uno), vento (vedi capitolo tre, paragrafo otto). Se di particolare intensità, accompagnata da tuoni (vedi capitolo quattro, paragrafo sei) e fulmini (vedi capitolo quattro, paragrafo sette), prende il nome di temporale (maiuscolo, sottolineato).
Indispensabile per la crescita della vegetazione (sottolineato; vedi capitolo sette, paragrafi dieci e undici) e per la stabilità dei corsi d’acqua (sottolineato; vedi capitolo sette, paragrafo sei).

Aveva riletto quel paragrafo così spesso, per tentare di capirlo, da impararlo a memoria, e continuava a ripeterselo – note e sottolineature e maiuscole incluse – per assicurarsi che quella che si riversava su di lei fosse effettivamente pioggia. Aveva dovuto assicurarglielo Michael, appena prima che Anane arrivasse e lui si congedasse con una lieve carezza ai capelli, altrimenti non l’avrebbe mai compreso: ‘precipitazione’ non rendeva bene l’idea di quella moltitudine di gocce sottili rigettate dal grigiore delle nubi, non definiva la sensazione dei rivoli che scorrevano lungo il corpo, non descriveva quel tamburellare rilassante, non tratteggiava l’immagine dell’acqua che rimaneva impigliata tra i capelli come piccole lacrime, non evocava quel profumo intenso, strano, piacevole – l’odore tipico di un bosco sotto la pioggia, terra e muschio e umidità, che in Paradiso non aveva mai potuto percepire.
La pioggia la lavava dal sangue che era rimasto sul tessuto della sua divisa – difficile da sporcare e semplice da pulire, con suo enorme sollievo. La accarezzava con dita fredde, delicate, come la mano di Michael tra i capelli prima che si congedasse. La cullava con il suono ritmico e ipnotico, melodioso quanto la voce di Anane che tentava di rassicurarla. La investiva con il suo profumo, la avvolgeva in un abbraccio leggero, la immergeva in un mondo ovattato. La meravigliava sussurrando storie d’acqua che sgorgava dalle sorgenti, scivolava lungo i ciottoli del greto come un nastro d’argento e giungeva alle onde spumose dell’oceano, e poi risaliva sino al cielo e si riversava di nuovo verso il basso per nutrire il terreno arido; storie di pietre levigate dalla corrente, di sentieri scavati dal suo corso lungo le pendici dei monti, di villaggi sorti lungo il suo corso; storie di creature che si erano chinate sui suoi flutti per dissetarsi, di radici affondate nel terreno umido per assorbirne vita.
Se si concentrava su di essa e sulla sterile ripetizione di ciò che aveva studiato, poteva rimanere distaccata. Assorta nel suo ripasso, le mani tese in avanti per raccogliere la pioggia, gli occhi fissi sulla scena senza quasi vederla davvero, riusciva a cancellare tutto il resto.

«Amitiel? Amitiel, non piangere, per favore, non piangere. Andrà tutto bene.»

Capitolo tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato).
Via la sagoma del demone che si avventava sul corpo a terra e feriva, lacerava, dilaniava.

«Adesso finisce, non preoccuparti, tra poco chiamo i Custodi.»

Precipitazione dalle nubi (sottolineato; vedi capitolo due, paragrafo quattro) di gocce d’acqua (sottolineato) più o meno grandi e fitte.
Via l’odore dolciastro e nauseante del sangue.

«Girati, non guardare, non guardare!»

Spesso accompagnata da bassa temperatura (vedi capitolo uno, paragrafo due),
Via la nebbia bianca che si diffondeva, sottile, dagli occhi quasi vitrei del Custode.

«Amitiel, non devi vederlo, girati!»

minore luminosità (vedi capitolo uno, paragrafo uno),
Via la nube rossastra che soffocava lentamente quella foschia, come ingoiandola.

«Va tutto bene, va tutto bene, non guardare.»

vento (vedi capitolo tre, paragrafo otto).
Via Anane che la abbracciava ma non faceva niente, niente, assolutamente niente per fermare quello scempio.

«...ci sta mettendo troppo tempo.»

Se di particolare intensità, accompagnata da tuoni (vedi capitolo quattro, paragrafo sei) e fulmini (vedi capitolo quattro, paragrafo sette),
Via la voce fredda e calcolatrice che neanche sembrava appartenerle.

«Di questo passo, qualcuno potrebbe accorgersi di... no, tranquilla, va tutto bene, va tutto bene, non piangere.»

prende il nome di temporale (maiuscolo, sottolineato).
Via i suoi occhi azzurri socchiusi per concentrarsi e controllare i movimenti dei Custodi.

«Amitiel, ti ricordi cosa devi dire ai Custodi, sì?»

Indispensabile per la crescita della vegetazione (sottolineato; vedi capitolo sette, paragrafi dieci e undici)
Via l’urgenza della sua voce, le mani che le scuotevano le spalle.

«...arriva qualcuno.»

e per la stabilità dei corsi d’acqua (sottolineato; vedi capitolo sette, paragrafo sei).
Via Ramiel, la Guardiana, che compariva all’improvviso tra gli alberi e si avventava sul demone.

«No. No, no, no, no...»

Capitolo tre, paragrafo nove: pioggia (maiuscolo, sottolineato).
Via il corpo dilaniato del Custode a terra, i suoi occhi annebbiati dal dolore.
I suoi occhi vivi.





***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre liste e soprattutto commenta!
   
 
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