Capitolo
17 – Quarto Evo
Il
lungo corridoio che
collegava i palazzi di Autorità e Censori era silenzioso,
deserto.
Nessun suono di passi risuonava sotto il candido soffitto a volta;
nessuna figura s’intravedeva, dall’esterno, oltre
vetri su
entrambi i lati – da una parte la piazza che separava i due
palazzi, dall’altra edifici più bassi che dal lato
opposto
costeggiavano la Via. Le uniche presenze erano i due Esecutori alle
estremità, immobili appena oltre il punto in cui il
corridoio
terminava di snodarsi in un palazzo per superarne le mura e
collegarsi all’altro: controllavano il movimento e si
rendevano
disponibili ad Autorità e Censori per trasmettere messaggi
–
entrambi compiti riservati ai Guardiani, di solito, ma la
scarsità
di fasce nere aveva ormai reso necessario affidarsi a quelle blu.
L’Esecutore
che
sorvegliava il passaggio dal palazzo dei Censori si spostò
con
deferenza non appena, svoltata un’ansa del corridoio
all’interno,
comparve una donna: le ali candide da serafino raccolte sulla
schiena, la fascia color avorio delle Autorità a cingerle i
fianchi.
Coperta la distanza che li separava, lei gli concesse un cenno del
capo in saluto e si diresse silenziosamente verso l’altro
palazzo,
ma dopo pochi passi arrestò l’andatura lieve e
regolare per
voltarsi, come richiamata da qualcuno; infatti un istante
più tardi
l’Esecutore si spostò di nuovo per permettere il
passaggio ad un
altro serafino, con la fascia bianca dei Censori. Gli occhi verdi
erano puntati sulla donna, non infastiditi dalle ciocche rosse,
tagliate corte in modo da non sfiorarli nemmeno – ma,
nonostante
quel colore che ricordava vagamente i Cherubini, nessuno avrebbe
potuto definirlo infantile, con quello sguardo freddo e
l’espressione
distaccata.
«Autorità.»
la
salutò per primo, senza un accenno di calore.
«Censore.»
rispose
nello stesso modo «Ho un impegno. Devo il tuo Richiamo ad un
motivo
improrogabile, o possiamo rimandare?»
«Sarò
breve,
Autorità, non temere. Se mi concedi di accompagnarti sino ai
vostri
uffici, non ti richiederò altro tempo. Stavo proprio
recandomi lì.»
«Come
desideri,
dunque.»
S’incamminò
di nuovo
nel lungo corridoio, verso il palazzo delle Autorità. Il
Censore la
affiancò dal lato che lasciava intravedere il Fuoco della
Via, sulla
destra, come a ribadire la superiorità del proprio sesso e
della
propria carica; tuttavia rimase un passo indietro, poiché
era lui a
doverle chiedere qualcosa e ad essere in suo potere, e non il
contrario.
Una
situazione che non
favoriva nessuno dei due; piuttosto abituale. Sin da cherubini il
loro rapporto era stato teso, ma da quando avevano ottenuto ruoli
così prestigiosi si era logorato più di quanto in
principio
ritenessero possibile. Non avevano semplicemente sostituito Censore
e Autorità ai loro nomi; al di
là dei Daniel e Leliel
taciuti, qualcosa di più profondo e velenoso
aveva scavato un
solco di rancori e invidie, nel terreno ammorbidito da
un’infanzia
trascorsa a detestarsi – circostanza comune, per i Cherubini
cresciuti durante il convulso Secondo Evo, ma che di rado aveva una
raggiunto simile intensità. Nessuno dei due era ancora
riuscito a
prevalere in quella lotta silenziosa, che languiva in uno stato di
parità sin dal momento in cui era iniziata.
Lotta
che stava per
raggiungere anche un altro ambito, a quanto Leliel poteva capire
dalle vuote formule con cui l’uomo stava esponendo la propria
richiesta.
La
tutela di un allievo
del ciclo superiore. Non una novità, per lui:
benché l’attività
di insegnante di Daniel non fosse assidua quanto la sua, non era
nuovo ad un simile compito; più volte aveva osservato le
lezioni
dell’arcangelo Hadar nella settima classe, non di rado anche
quelle
di Khamiel nella sesta, alla ricerca di un cherubino particolarmente
promettente tra quelli già considerati migliori. Da quando
era
divenuto Censore, non aveva mai ottenuto risultati inferiori
all’eccellenza, con i suoi allievi – gli errori del
periodo
precedente erano ormai dimenticati da tutti, e quei due Custodi non
diminuivano la gloria dei molti Guardiani e Strateghi che aveva
formato in seguito. Diversamente da lei, che aveva avuto tra i propri
allievi un traditore e un debole morto al primo scontro, Daniel non
aveva mai avuto altra colpa che l’inesperienza.
Questo
era il
contenuto, celato dietro formule rispettose e sorrisi cortesi:
l’esaltazione del proprio operato, lo svilimento del suo. Se
stava
chiedendo la tutela di un allievo a lei e non ad un’altra
Autorità
solo per soddisfare la propria vanità, però,
sarebbe rimasto
deluso, poiché lei non aveva alcuna intenzione di mostrarsi
colpita.
Giunti al termine del lungo corridoio, Daniel doveva ancora
comunicarle il nome dell’allievo – il Censore non
aveva il dono
della sintesi e, anzi, sembrava compiacersi delle vuote formule con
cui diluiva il discorso – e Leliel non aveva ancora dato il
minimo
segno d’irritazione per le continue allusioni ai suoi
fallimenti.
«Devo
chiederti di
sintetizzare, Censore: siamo quasi giunti.» gli disse, quando
furono
abbastanza lontani dall’Esecutore per non essere uditi
«Il nome
dell’allievo?»
Fu
con malcelata
soddisfazione e con ancor meno discreta sfida che Daniel
identificò,
finalmente, l’allievo – o meglio
l’allieva – che avrebbe
avuto l’onore della sua guida; e fu con poco stupore che
Leliel lo
accolse, benché avesse sperato di essersi ingannata nelle
proprie
previsioni.
E
invece.
Cassiel.
Il
cherubino per cui
lei aveva già – informalmente – sporto
richiesta alle altre
Autorità, e che avrebbe assicurato gloria a sé e
al suo insegnante.
Nessun altro aveva osato avanzare rivendicazioni su Cassiel, sapendo
delle sue intenzioni e ritenendola una valida guida; e se qualcuno
non ne era sicuro, aveva accortamente scelto di non esprimere i
propri dubbi. Non riteneva ancora il cherubino una sua proprietà,
ma aveva sperato che il Censore non volesse scatenare una lotta,
sottovalutandole l’astio e l’ambizione.
Spettava
alle Autorità
decidere a chi andassero affidati gli allievi del ciclo superiore, ai
Censori approvare la loro scelta; i membri più influenti
della
fascia dell’insegnante dovevano valutare se
l’ulteriore compito
non gli richiedesse troppo tempo o troppa attenzione;
l’atteggiamento
di tutti gli adulti verso il cherubino avrebbe poi gettato su allievo
e maestro l’ombra della mediocrità, o li avrebbe
al contrario
consacrati entrambi alla gloria.
Non
era mai accaduto
prima che tutti dovessero schierarsi a favore dell’uno o
dell’altro, perché entrambi erano sempre stati
abbastanza accorti
da capire che una lotta troppo palese avrebbe devastato la loro
Circoscrizione senza portare a nulla. Perché rompere quel
tacito
accordo? Erano già in una situazione fin troppo incerta,
senza
aggiungere conflitti intestini. Avrebbero rischiato di soccombere e,
in un clima simile, sarebbe ricominciato tutto ciò che aveva
reso il
Secondo Evo così convulso e incontrollato.
Angoscia.
Sospetti.
Livore. Tradimenti reali e presunti.
Qualcuno
ne sarebbe
uscito...
La
sua espressione, a
quel pensiero, mutò per la prima volta in un lieve
turbamento –
violento allarme ben mascherato.
Qualcuno
ne sarebbe uscito completamente annientato.
Il
possesso di un
cherubino – perché di possesso si trattava, con
quell’avanzare
rivendicazioni e diritti sulla sua essenza immatura – era
appena
divenuto il nuovo ambito di scontro tra Autorità e Censore.
Forse
l’ultimo.
* * *
Il
vento sibilava tra
le cime più alte, scuotendo le foglie di un verde smorto,
accarezzando le cortecce ruvide. Un intenso aroma di erba bagnata lo
colpiva, quando respirava per percepire gli odori, e acuti richiami
di animali gli ferivano l’udito abituato al silenzio.
Il
Paradiso gli
sembrava sempre più perfetto ogni volta che discendeva nella
dimensione umana – occasioni che erano andate diradandosi nel
corso
della sua esistenza, arrivando persino a non accadere per tutto il
tempo in cui il suo gruppo di allievi si era completamente rinnovato
quattro volte. Aveva chiesto e ottenuto di rimanere
nella
dimensione angelica.
Troppi
ricordi, troppi
rimpianti. Memorie ancora troppo vive di persone che, in
realtà,
morte non erano.
Aveva
sperato di non
dovervi discendere almeno sino a quando anche le ultime testimonianze
tangibili sarebbero scomparse dallo Specchio, inghiottite dalla marea
febbrile della vita adulta – ali bianche e
identità perse sotto il
colore di una fascia, niente più volti familiari, niente
più
essenze immature che portavano un’impronta dolorosamente
conosciuta. Niente più promesse da mantenere.
E
invece era tornato in
quel luogo mutevole e pregno di ricordi, imperfetto di
un’imperfezione che poteva quasi amare.
L’inchiostro con cui
tratteggiare la perfezione si era esaurito in Paradiso, con i suoi
colori sempre accesi e vitali, le superfici lisce, suoni rari e odori
inesistenti; la dimensione umana sembrava essere stata abbozzata da
una penna dal tratto troppo chiaro e irregolare, che nel disegnare
una figura avrebbe probabilmente reso i capelli con il semplice
candore della carta, gli occhi trasparenti, la pelle diafana. Un
nitore abbagliante che in pochi sarebbero stati in grado di
apprezzare, come in pochi apprezzavano le imperfezioni della
dimensione umana.
Era
cambiata, nei
secoli in cui lui era stato assente: la notte sussurrava maligna di
carestie e guerre e morte, la luna mormorava confortante di vita e
pace e sviluppo. O forse – probabile – era solo la
sua
immaginazione, perché, se qualcuno avrebbe potuto trarre
bisbigli
dagli astri e dall’oscurità non era di certo lui.
...chissà
cosa
sussurrava in realtà la notte, alla figura che gli dava la
schiena.
Stava immobile, inginocchiata su un masso nel torrente, le mani
posate morbidamente sulle cosce, il capo chinato a guardare il
proprio riflesso nell’acqua; le ali da serafino esposte e
dilatate,
così com’era dilatata l’essenza, per
dare finalmente sfogo al
proprio potere. Le ombre notturne guizzavano, ai lati del campo
visivo dell’uomo, e non c’entravano le nubi che
spesso oscuravano
la luna.
Si
stupiva che gli
avesse permesso di giungere fino a lei, ma forse lei si stupiva ancor
di più che fosse disceso per cercarla.
Rimase
in piedi sulla
riva, cogliendo in un’ombra più densa delle altre
l’avvertimento
a non avvicinarsi ancora.
«Perché?»
gli chiese
lei, semplicemente «Perché, Nelchael?»
Ed
era una domanda
bisbigliata in tono così esausto, così rassegnato
che dovette
impedirsi di raggiungerla; ma soprattutto era una domanda,
e
tra gli Angeli nessuno avrebbe mai osato formularne una ad alta voce,
senza la certezza di essere al riparo da un tradimento.
Chiedere
perché
equivaleva ad offrire la propria reputazione, la propria sicurezza,
la propria stessa esistenza. Sarebbe bastato un accenno
dell’accaduto
ai Censori, per strapparle ogni goccia di quel rispetto così
faticosamente guadagnato.
Leliel
si stava
fidando.
«Daniel?»
indovinò
lui, con voce quasi gentile.
Il
serafino alzò il
viso per guardare il cielo. La luna.
Troppi
ricordi anche per lei.
«Daniel.
Sta chiedendo
di schierarsi.»
«Ora?
Si sta
preparando una guerra e lui inasprisce i
conflitti?»
«Il
Paradiso – la
nostra Circoscrizione – è terrorizzato.
È il passato che torna,
sì? Le lotte, l’angoscia... siamo al limite.
Quando lo
supereremo...» rise, aspra «Quando lo supereremo
sai cosa accadrà,
sì?»
«...lo
so. C’ero.»
E,
come lui, molti
altri – o almeno quelli che non erano andati persi nelle
Condanne,
nelle grandi Cadute, nelle circostanze convulse in cui il Paradiso si
era purificato e ricostruito. C’era Leliel, c’era
Daniel, c’era
una donna crudele e corrotta che aveva avuto più amore e
coraggio di
molti puri. C’era una figura
d’inchiostro sbiadito,
imperfetta e mutevole come la dimensione umana, che osservava il
mondo con occhi trasparenti; figura candida che era maturata e
cresciuta, rendendo infine il proprio sguardo viola e le proprie ali
uguali alle altre. C’erano anche altre figure incolori,
sempre che
di loro si potesse dire questo, perché in realtà non
erano,
solo corpi acerbi come gusci vuoti in attesa di essere colmati
–
attesa vana. Attesa eterna.
Era
un Paradiso
immaturo, che muoveva passi incerti dopo che la prima grande Caduta
l’aveva sconvolto, segnando la fine del Primo Evo; erano
Angeli che
si guardavano attorno, scossi e angosciati, temendo altri traditori.
La serenità se n’era andata per sempre, o almeno
così sembrava, e
persino i Cherubini se n’erano resi conto – ma come
non rendersi
conto di un cambiamento così grande? Schiene lisce, ali
candide,
corpi acerbi pronti a mutare; e cicatrici e sangue e piume rosse, e
la fissità di corpi già maturi. Diffidenza,
insulti sibilati a
mezza voce, occhi di vetro e figli di
nessuno, due
schieramenti opposti che logoravano lo Specchio – lo,
perché
a quel tempo erano in pochi e ancora non vi erano Circoscrizioni,
né
schemi ripetuti mille volte e in mille luoghi –, alleanze
basate
sul sangue e sulle origini. Cherubini che non avrebbero dovuto
esistere, che avrebbero dovuto avere sguardi trasparenti e corpi
inerti; Cherubini che sperimentavano per primi il cambiamento, nati
dal Fuoco e non dall’essenza materna. Il Primo Evo che ancora
languiva durante la loro infanzia, instillando sospetti e rancori,
gettando le basi per ciò che sarebbe accaduto.
E
ancora altre
Condanne, altre Cadute, la diffidenza tornata a logorare il Paradiso.
Il Secondo Evo che si chiudeva insieme ai cancelli dell’Eden.
Infanti
che portavano
il marchio indelebile di una schiena liscia e che
in quel
momento crollavano sotto il peso di sangue traditore, se non erano
stati generati da Angeli ancora tali e non Sconsacrati; e
c’era chi
proponeva di isolarli, di allontanarli, per la grave colpa di essere
nati. Serviva qualcuno contro cui scagliarsi, per sentirsi poi al
sicuro da altri tradimenti, e quei Cherubini erano la preda migliore
– ultimi resti di un passato che si era rinnegato e
cancellato,
provocavano timori e angosce pur non avendo macchie, e Nelchael si
era trovato più volte a ringraziare di avere quegli squarci
sulla
schiena. Una grettezza di cui anche a posteriori non riusciva a
vergognarsi, perché era terrificante il
pensiero di essere
uno di loro, di subire le accuse e gli insulti – occhi
di vetro,
come se fossero nati dopo, bambole inerti la cui
esistenza non
era contemplata.
I
pochi che erano
riusciti a non crollare – ed erano stati pochi, veramente
pochi –
avevano dovuto dimostrare la propria devozione al Paradiso
più di
quanto fosse lecito pretendere; di quei pochi, quasi tutti erano poi
divenuti cenere, essendosi fatalmente trovati in luoghi sbagliati a
momenti sbagliati. Perché nessuno avesse tentato di
avvisarli del
pericolo, però, non era una domanda che qualcuno avesse mai
voluto
porsi.
I
sopravvissuti non
erano che qualche decina, ormai, e di rado in posizioni influenti.
L’eccezione era inginocchiata su un masso nel torrente, di
fronte a
lui, e nessuno avrebbe potuto accusarla di non essersi purificata
dall’onta di un sangue maledetto due volte – e poi
una terza, per
colpa di morti che morti non erano.
Era
feroce, rancorosa e
inflessibile, ma anche devota al Paradiso più di molti altri.
Di
certo più di chi
non aveva dovuto conquistare rispetto e fiducia con una
difficoltà
così esagerata, di chi aveva cercato una posizione influente
solo
per appagare la propria brama di potere.
Di
certo più di
Daniel.
«È
passato molto
tempo, e tu sei un’Autorità in procinto di entrare
nel Consiglio.
Non devi temere nulla.»
«Sai
anche tu di
mentire, Nelchael.»
No,
Nelchael non
mentiva: sperava, e
pregava che quella speranza non fosse inutile come l’ultima
volta
che aveva desiderato salvare qualcuno.
Probabilmente
s’illudeva. L’atmosfera in tutto il Paradiso
– in generale –
e nella loro Circoscrizione – in particolare –
stava tornando
come durante la loro infanzia: tensioni, angosce, sospetti. Lutti.
Accuse maligne, congetture febbrili, menti sconvolte. Il Terzo Evo
stava di nuovo rimanendo invischiato nel grumo di inquietudine e odio
che aveva intrappolato le epoche precedenti, e di cui loro ancora
portavano i segni, Cherubini del Secondo; e che ancora rinnovavano,
con quelle lotte tra fratelli,
offrendo il petto e la gola agli Sconsacrati.
Leliel
era il terrore
di molti, e quella paura poteva ritorcersi contro di lei. Anche
Daniel lo era, certo, ma per un motivo diverso: l’una era
un’ombra
del passato, sangue di traditori a scorrerle nelle vene e dominio
sulla notte a renderla potente; l’altro un emblema del nuovo
Evo,
nato dal Fuoco e temuto per la fascia bianca di Censore.
Se
si fossero scontrati
apertamente, avrebbero dovuto schierarsi i due collegi principali, e
poi tutte le altre fasce; e il Consiglio, con i membri di tutte le
Circoscrizioni. Diffidenze, alleanze, processi. Una terza grande
Caduta, forse; il Quarto Evo.
Chi
sarebbe stato
sacrificato, questa volta, per la pretesa di purificare il Paradiso?
«Se
mi spiegassi,
potrei capire meglio.»
«Ricordi
Cassiel, sì?»
«Il...
mio, quello
appena diventato Stratego? Ha chiesto il suo appoggio?»
«No,
l’ultima di
Haniel. Il genio.» un guizzo minaccioso delle ombre attorno a
lei
«L’ho chiesta come allieva. Ora l’ha
fatto anche lui.»
«No.»
ringhiò
dopo un istante «Non potete sacrificare un cherubino per una
vostra
contesa. Non puoi.»
«Ho
scelta?»
No,
non l’aveva.
E
pensare ad una Leliel
impotente era spaventoso. Inconcepibile. Lei, che non si era lasciata
trascinare nel fango nemmeno dalla propria nascita, dal tradimento
dei propri creatori, dall’onta del proprio sangue; e dal
proprio
potere così inconsueto e temuto, dal fallimento di un
allievo, dalle
dicerie maligne. Lei, che dell’autorità aveva il
nome e l’emblema.
Sembrava
che ogni
certezza fosse sul punto di essere sovvertita, e che quel sul
punto seguisse la concezione degli Angeli, a cui i secoli
potevano sembrare attimi, non riusciva a rincuorarlo. Per lui non
cambiava nulla sapere se si dovessero attendere giorni o millenni:
era sufficiente la sensazione che qualcosa dovesse accadere, per
instillargli un’inquietudine sempre più violenta e
opprimente.
Anzi, forse non riuscire a quantificarne la durata rendeva
l’attesa
ancor più tormentata, nonostante vi fosse abituato da
millenni – i
cicli temporali scandivano solo la vita dei Cherubini, secondo i
ritmi del riposo, mentre gli adulti quasi non percepivano il Fuoco
del Richiamo. Il tempo si misurava in avvenimenti, in Richiami
privati verso le proprie mansioni, in attese interminabili, in ali di
infanti che viravano gradualmente al bianco; le ere trascorrevano
senza gettare stanchezza sui loro corpi o turbamento sulle loro
menti. Creati per sostenere il peso dell’eternità,
non vi era
nulla da cui non potessero riprendersi in fretta, tornando uguali a
prima: i lutti, le ferite, le torture, le delusioni, tutto poteva
riversarsi su di loro e lasciarli intatti, immutati.
Un
vantaggio, per
esseri immortali che non potevano permettersi il lusso di marcire nel
proprio dolore come gli Umani.
Una
promessa di rovina
ad ogni rinnovamento – perché così le
chiamavano, quelle
rivoluzioni. Rinnovamento. Tutto
più puro, più
limpido, più giusto. Tutto ripulito dalla decadenza, dalle
essenze
corrotte. Tutto come in un tempo precedente, sempre migliore
dell’attuale, sempre perfetto. Rinnovamento.
Il passato che
tornava, com’era legittimo che fosse, a proteggere le essenze
degli
Angeli da pericolosi mutamenti a cui non avrebbero potuto resistere.
Il cerchio che si chiudeva, iniziando alla fine. Rinnovamento.
Di nuovo come prima, per il loro bene, per la purezza del Paradiso.
Nessuna degenerazione folle e viziosa di ciò che era in
origine.
Rinnovamento. Per il loro bene.
E
gli Evi nascevano e
morivano, in questo continuo ritorno al passato, e con loro chi non
riusciva ad adattarsi. Cambiamento nascosto dalle parole, evoluzione
celata dietro rassicurazioni vuote. Rinnovo di un passato che nessuno
più ricordava, perché chi esisteva già
allora ormai era perso,
distrutto, devastato. Schiere intere ritiratesi nella zona neutra del
Consiglio, pur di non dover più sopportare oltre.
Cherubini
del Secondo
Evo che erano i soli adulti del Terzo, superstiti di una rivoluzione
a cui avevano potuto adattarsi con la malleabilità
dell’infanzia.
Essenze rese fragili e folli ugualmente – da guide troppo
scosse e
turbate dalle grandi Cadute, dalla solitudine,
dall’indifferenza,
da lotte germogliate tra loro come steli velenosi nutriti dal sangue.
Ma folli abbastanza, anomali abbastanza da assistere al crollo di un
Evo senza rimanerne sconvolti?
Ne
dubitava.
Di
certo non vi sarebbe
riuscito chi sarebbe caduto sin dall’inizio, sotto il peso di
accuse maligne e tradimenti non propri; e forse nemmeno chi avrebbe
vinto quella prima lotta – perché ricostruire
tutto era incombenza
dei più immaturi, non di chi apparteneva ancora ad un Evo
precedente. Sarebbero crollati tutti, vittime di uno scontro tra
mondi opposti, di un passato che, rinnovato, non
smetteva di
tormentarli.
Guardò
Leliel, le sue
ali candide e tese per l’ira, per la disperazione; poi
abbassò lo
sguardo sulle proprie mani, strette istintivamente a pugno sul
tessuto candido della divisa da Esecutore.
«Capisci,
Nelchael?»
«...capisco.»
Il
Quarto Evo sarebbe
nato con la loro morte.
***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre
liste, recensisce. Se ne avete voglia, mi fa sempre molto piacere
ricevere commenti e consigli (:
...ma possibilmente non sommergetemi d'insulti per non avervi detto
nulla su Amitiel xD Nel prossimo capitolo torna, nel frattempo godetevi
Leliel e i viaggi mentali di Nelchael. Ho cercato di rendere il tutto
il più chiaro possibile - risultando magari un po' prolissa
nelle spiegazioni - e, anche se alcune cose devono rimanere per forza
vaghe o incomprensibili, spero che non sia troppo pesante. Si tratta di
un punto cardine della storia, sappiatelo u.u Non volendo fare spoiler,
per ora vi dico solo che ogni
cosa di questo capitolo è fondamentale.
A domenica prossima (:
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