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Autore: TuttaColpaDelCielo    27/05/2012    4 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 17 – Quarto Evo





Il lungo corridoio che collegava i palazzi di Autorità e Censori era silenzioso, deserto. Nessun suono di passi risuonava sotto il candido soffitto a volta; nessuna figura s’intravedeva, dall’esterno, oltre vetri su entrambi i lati – da una parte la piazza che separava i due palazzi, dall’altra edifici più bassi che dal lato opposto costeggiavano la Via. Le uniche presenze erano i due Esecutori alle estremità, immobili appena oltre il punto in cui il corridoio terminava di snodarsi in un palazzo per superarne le mura e collegarsi all’altro: controllavano il movimento e si rendevano disponibili ad Autorità e Censori per trasmettere messaggi – entrambi compiti riservati ai Guardiani, di solito, ma la scarsità di fasce nere aveva ormai reso necessario affidarsi a quelle blu.
L’Esecutore che sorvegliava il passaggio dal palazzo dei Censori si spostò con deferenza non appena, svoltata un’ansa del corridoio all’interno, comparve una donna: le ali candide da serafino raccolte sulla schiena, la fascia color avorio delle Autorità a cingerle i fianchi. Coperta la distanza che li separava, lei gli concesse un cenno del capo in saluto e si diresse silenziosamente verso l’altro palazzo, ma dopo pochi passi arrestò l’andatura lieve e regolare per voltarsi, come richiamata da qualcuno; infatti un istante più tardi l’Esecutore si spostò di nuovo per permettere il passaggio ad un altro serafino, con la fascia bianca dei Censori. Gli occhi verdi erano puntati sulla donna, non infastiditi dalle ciocche rosse, tagliate corte in modo da non sfiorarli nemmeno – ma, nonostante quel colore che ricordava vagamente i Cherubini, nessuno avrebbe potuto definirlo infantile, con quello sguardo freddo e l’espressione distaccata.
«Autorità.» la salutò per primo, senza un accenno di calore.
«Censore.» rispose nello stesso modo «Ho un impegno. Devo il tuo Richiamo ad un motivo improrogabile, o possiamo rimandare?»
«Sarò breve, Autorità, non temere. Se mi concedi di accompagnarti sino ai vostri uffici, non ti richiederò altro tempo. Stavo proprio recandomi lì.»
«Come desideri, dunque.»
S’incamminò di nuovo nel lungo corridoio, verso il palazzo delle Autorità. Il Censore la affiancò dal lato che lasciava intravedere il Fuoco della Via, sulla destra, come a ribadire la superiorità del proprio sesso e della propria carica; tuttavia rimase un passo indietro, poiché era lui a doverle chiedere qualcosa e ad essere in suo potere, e non il contrario.
Una situazione che non favoriva nessuno dei due; piuttosto abituale. Sin da cherubini il loro rapporto era stato teso, ma da quando avevano ottenuto ruoli così prestigiosi si era logorato più di quanto in principio ritenessero possibile. Non avevano semplicemente sostituito Censore e Autorità ai loro nomi; al di là dei Daniel e Leliel taciuti, qualcosa di più profondo e velenoso aveva scavato un solco di rancori e invidie, nel terreno ammorbidito da un’infanzia trascorsa a detestarsi – circostanza comune, per i Cherubini cresciuti durante il convulso Secondo Evo, ma che di rado aveva una raggiunto simile intensità. Nessuno dei due era ancora riuscito a prevalere in quella lotta silenziosa, che languiva in uno stato di parità sin dal momento in cui era iniziata.
Lotta che stava per raggiungere anche un altro ambito, a quanto Leliel poteva capire dalle vuote formule con cui l’uomo stava esponendo la propria richiesta.
La tutela di un allievo del ciclo superiore. Non una novità, per lui: benché l’attività di insegnante di Daniel non fosse assidua quanto la sua, non era nuovo ad un simile compito; più volte aveva osservato le lezioni dell’arcangelo Hadar nella settima classe, non di rado anche quelle di Khamiel nella sesta, alla ricerca di un cherubino particolarmente promettente tra quelli già considerati migliori. Da quando era divenuto Censore, non aveva mai ottenuto risultati inferiori all’eccellenza, con i suoi allievi – gli errori del periodo precedente erano ormai dimenticati da tutti, e quei due Custodi non diminuivano la gloria dei molti Guardiani e Strateghi che aveva formato in seguito. Diversamente da lei, che aveva avuto tra i propri allievi un traditore e un debole morto al primo scontro, Daniel non aveva mai avuto altra colpa che l’inesperienza.
Questo era il contenuto, celato dietro formule rispettose e sorrisi cortesi: l’esaltazione del proprio operato, lo svilimento del suo. Se stava chiedendo la tutela di un allievo a lei e non ad un’altra Autorità solo per soddisfare la propria vanità, però, sarebbe rimasto deluso, poiché lei non aveva alcuna intenzione di mostrarsi colpita. Giunti al termine del lungo corridoio, Daniel doveva ancora comunicarle il nome dell’allievo – il Censore non aveva il dono della sintesi e, anzi, sembrava compiacersi delle vuote formule con cui diluiva il discorso – e Leliel non aveva ancora dato il minimo segno d’irritazione per le continue allusioni ai suoi fallimenti.
«Devo chiederti di sintetizzare, Censore: siamo quasi giunti.» gli disse, quando furono abbastanza lontani dall’Esecutore per non essere uditi «Il nome dell’allievo?»
Fu con malcelata soddisfazione e con ancor meno discreta sfida che Daniel identificò, finalmente, l’allievo – o meglio l’allieva – che avrebbe avuto l’onore della sua guida; e fu con poco stupore che Leliel lo accolse, benché avesse sperato di essersi ingannata nelle proprie previsioni.
E invece.
Cassiel.
Il cherubino per cui lei aveva già – informalmente – sporto richiesta alle altre Autorità, e che avrebbe assicurato gloria a sé e al suo insegnante. Nessun altro aveva osato avanzare rivendicazioni su Cassiel, sapendo delle sue intenzioni e ritenendola una valida guida; e se qualcuno non ne era sicuro, aveva accortamente scelto di non esprimere i propri dubbi. Non riteneva ancora il cherubino una sua proprietà, ma aveva sperato che il Censore non volesse scatenare una lotta, sottovalutandole l’astio e l’ambizione.
Spettava alle Autorità decidere a chi andassero affidati gli allievi del ciclo superiore, ai Censori approvare la loro scelta; i membri più influenti della fascia dell’insegnante dovevano valutare se l’ulteriore compito non gli richiedesse troppo tempo o troppa attenzione; l’atteggiamento di tutti gli adulti verso il cherubino avrebbe poi gettato su allievo e maestro l’ombra della mediocrità, o li avrebbe al contrario consacrati entrambi alla gloria.
Non era mai accaduto prima che tutti dovessero schierarsi a favore dell’uno o dell’altro, perché entrambi erano sempre stati abbastanza accorti da capire che una lotta troppo palese avrebbe devastato la loro Circoscrizione senza portare a nulla. Perché rompere quel tacito accordo? Erano già in una situazione fin troppo incerta, senza aggiungere conflitti intestini. Avrebbero rischiato di soccombere e, in un clima simile, sarebbe ricominciato tutto ciò che aveva reso il Secondo Evo così convulso e incontrollato.
Angoscia. Sospetti. Livore. Tradimenti reali e presunti.
Qualcuno ne sarebbe uscito...
La sua espressione, a quel pensiero, mutò per la prima volta in un lieve turbamento – violento allarme ben mascherato.
Qualcuno ne sarebbe uscito completamente annientato.
Il possesso di un cherubino – perché di possesso si trattava, con quell’avanzare rivendicazioni e diritti sulla sua essenza immatura – era appena divenuto il nuovo ambito di scontro tra Autorità e Censore.
Forse l’ultimo.

* * *

Il vento sibilava tra le cime più alte, scuotendo le foglie di un verde smorto, accarezzando le cortecce ruvide. Un intenso aroma di erba bagnata lo colpiva, quando respirava per percepire gli odori, e acuti richiami di animali gli ferivano l’udito abituato al silenzio.
Il Paradiso gli sembrava sempre più perfetto ogni volta che discendeva nella dimensione umana – occasioni che erano andate diradandosi nel corso della sua esistenza, arrivando persino a non accadere per tutto il tempo in cui il suo gruppo di allievi si era completamente rinnovato quattro volte. Aveva chiesto e ottenuto di rimanere nella dimensione angelica.
Troppi ricordi, troppi rimpianti. Memorie ancora troppo vive di persone che, in realtà, morte non erano.
Aveva sperato di non dovervi discendere almeno sino a quando anche le ultime testimonianze tangibili sarebbero scomparse dallo Specchio, inghiottite dalla marea febbrile della vita adulta – ali bianche e identità perse sotto il colore di una fascia, niente più volti familiari, niente più essenze immature che portavano un’impronta dolorosamente conosciuta. Niente più promesse da mantenere.
E invece era tornato in quel luogo mutevole e pregno di ricordi, imperfetto di un’imperfezione che poteva quasi amare. L’inchiostro con cui tratteggiare la perfezione si era esaurito in Paradiso, con i suoi colori sempre accesi e vitali, le superfici lisce, suoni rari e odori inesistenti; la dimensione umana sembrava essere stata abbozzata da una penna dal tratto troppo chiaro e irregolare, che nel disegnare una figura avrebbe probabilmente reso i capelli con il semplice candore della carta, gli occhi trasparenti, la pelle diafana. Un nitore abbagliante che in pochi sarebbero stati in grado di apprezzare, come in pochi apprezzavano le imperfezioni della dimensione umana.
Era cambiata, nei secoli in cui lui era stato assente: la notte sussurrava maligna di carestie e guerre e morte, la luna mormorava confortante di vita e pace e sviluppo. O forse – probabile – era solo la sua immaginazione, perché, se qualcuno avrebbe potuto trarre bisbigli dagli astri e dall’oscurità non era di certo lui.
...chissà cosa sussurrava in realtà la notte, alla figura che gli dava la schiena. Stava immobile, inginocchiata su un masso nel torrente, le mani posate morbidamente sulle cosce, il capo chinato a guardare il proprio riflesso nell’acqua; le ali da serafino esposte e dilatate, così com’era dilatata l’essenza, per dare finalmente sfogo al proprio potere. Le ombre notturne guizzavano, ai lati del campo visivo dell’uomo, e non c’entravano le nubi che spesso oscuravano la luna.
Si stupiva che gli avesse permesso di giungere fino a lei, ma forse lei si stupiva ancor di più che fosse disceso per cercarla.
Rimase in piedi sulla riva, cogliendo in un’ombra più densa delle altre l’avvertimento a non avvicinarsi ancora.
«Perché?» gli chiese lei, semplicemente «Perché, Nelchael?»
Ed era una domanda bisbigliata in tono così esausto, così rassegnato che dovette impedirsi di raggiungerla; ma soprattutto era una domanda, e tra gli Angeli nessuno avrebbe mai osato formularne una ad alta voce, senza la certezza di essere al riparo da un tradimento.
Chiedere perché equivaleva ad offrire la propria reputazione, la propria sicurezza, la propria stessa esistenza. Sarebbe bastato un accenno dell’accaduto ai Censori, per strapparle ogni goccia di quel rispetto così faticosamente guadagnato.
Leliel si stava fidando.
«Daniel?» indovinò lui, con voce quasi gentile.
Il serafino alzò il viso per guardare il cielo. La luna.
Troppi ricordi anche per lei.
«Daniel. Sta chiedendo di schierarsi.»
«Ora? Si sta preparando una guerra e lui inasprisce i conflitti?»
«Il Paradiso – la nostra Circoscrizione – è terrorizzato. È il passato che torna, sì? Le lotte, l’angoscia... siamo al limite. Quando lo supereremo...» rise, aspra «Quando lo supereremo sai cosa accadrà, sì?»
«...lo so. C’ero.»


E, come lui, molti altri – o almeno quelli che non erano andati persi nelle Condanne, nelle grandi Cadute, nelle circostanze convulse in cui il Paradiso si era purificato e ricostruito. C’era Leliel, c’era Daniel, c’era una donna crudele e corrotta che aveva avuto più amore e coraggio di molti puri. C’era una figura d’inchiostro sbiadito, imperfetta e mutevole come la dimensione umana, che osservava il mondo con occhi trasparenti; figura candida che era maturata e cresciuta, rendendo infine il proprio sguardo viola e le proprie ali uguali alle altre. C’erano anche altre figure incolori, sempre che di loro si potesse dire questo, perché in realtà non erano, solo corpi acerbi come gusci vuoti in attesa di essere colmati – attesa vana. Attesa eterna.
Era un Paradiso immaturo, che muoveva passi incerti dopo che la prima grande Caduta l’aveva sconvolto, segnando la fine del Primo Evo; erano Angeli che si guardavano attorno, scossi e angosciati, temendo altri traditori. La serenità se n’era andata per sempre, o almeno così sembrava, e persino i Cherubini se n’erano resi conto – ma come non rendersi conto di un cambiamento così grande? Schiene lisce, ali candide, corpi acerbi pronti a mutare; e cicatrici e sangue e piume rosse, e la fissità di corpi già maturi. Diffidenza, insulti sibilati a mezza voce, occhi di vetro e figli di nessuno, due schieramenti opposti che logoravano lo Specchio – lo, perché a quel tempo erano in pochi e ancora non vi erano Circoscrizioni, né schemi ripetuti mille volte e in mille luoghi –, alleanze basate sul sangue e sulle origini. Cherubini che non avrebbero dovuto esistere, che avrebbero dovuto avere sguardi trasparenti e corpi inerti; Cherubini che sperimentavano per primi il cambiamento, nati dal Fuoco e non dall’essenza materna. Il Primo Evo che ancora languiva durante la loro infanzia, instillando sospetti e rancori, gettando le basi per ciò che sarebbe accaduto.
E ancora altre Condanne, altre Cadute, la diffidenza tornata a logorare il Paradiso. Il Secondo Evo che si chiudeva insieme ai cancelli dell’Eden.
Infanti che portavano il marchio indelebile di una schiena liscia e che in quel momento crollavano sotto il peso di sangue traditore, se non erano stati generati da Angeli ancora tali e non Sconsacrati; e c’era chi proponeva di isolarli, di allontanarli, per la grave colpa di essere nati. Serviva qualcuno contro cui scagliarsi, per sentirsi poi al sicuro da altri tradimenti, e quei Cherubini erano la preda migliore – ultimi resti di un passato che si era rinnegato e cancellato, provocavano timori e angosce pur non avendo macchie, e Nelchael si era trovato più volte a ringraziare di avere quegli squarci sulla schiena. Una grettezza di cui anche a posteriori non riusciva a vergognarsi, perché era terrificante il pensiero di essere uno di loro, di subire le accuse e gli insulti – occhi di vetro, come se fossero nati dopo, bambole inerti la cui esistenza non era contemplata.
I pochi che erano riusciti a non crollare – ed erano stati pochi, veramente pochi – avevano dovuto dimostrare la propria devozione al Paradiso più di quanto fosse lecito pretendere; di quei pochi, quasi tutti erano poi divenuti cenere, essendosi fatalmente trovati in luoghi sbagliati a momenti sbagliati. Perché nessuno avesse tentato di avvisarli del pericolo, però, non era una domanda che qualcuno avesse mai voluto porsi.
I sopravvissuti non erano che qualche decina, ormai, e di rado in posizioni influenti. L’eccezione era inginocchiata su un masso nel torrente, di fronte a lui, e nessuno avrebbe potuto accusarla di non essersi purificata dall’onta di un sangue maledetto due volte – e poi una terza, per colpa di morti che morti non erano.
Era feroce, rancorosa e inflessibile, ma anche devota al Paradiso più di molti altri.
Di certo più di chi non aveva dovuto conquistare rispetto e fiducia con una difficoltà così esagerata, di chi aveva cercato una posizione influente solo per appagare la propria brama di potere.
Di certo più di Daniel.


«È passato molto tempo, e tu sei un’Autorità in procinto di entrare nel Consiglio. Non devi temere nulla.»
«Sai anche tu di mentire, Nelchael.»


No, Nelchael non mentiva: sperava, e pregava che quella speranza non fosse inutile come l’ultima volta che aveva desiderato salvare qualcuno.
Probabilmente s’illudeva. L’atmosfera in tutto il Paradiso – in generale – e nella loro Circoscrizione – in particolare – stava tornando come durante la loro infanzia: tensioni, angosce, sospetti. Lutti. Accuse maligne, congetture febbrili, menti sconvolte. Il Terzo Evo stava di nuovo rimanendo invischiato nel grumo di inquietudine e odio che aveva intrappolato le epoche precedenti, e di cui loro ancora portavano i segni, Cherubini del Secondo; e che ancora rinnovavano, con quelle lotte tra fratelli, offrendo il petto e la gola agli Sconsacrati.
Leliel era il terrore di molti, e quella paura poteva ritorcersi contro di lei. Anche Daniel lo era, certo, ma per un motivo diverso: l’una era un’ombra del passato, sangue di traditori a scorrerle nelle vene e dominio sulla notte a renderla potente; l’altro un emblema del nuovo Evo, nato dal Fuoco e temuto per la fascia bianca di Censore.
Se si fossero scontrati apertamente, avrebbero dovuto schierarsi i due collegi principali, e poi tutte le altre fasce; e il Consiglio, con i membri di tutte le Circoscrizioni. Diffidenze, alleanze, processi. Una terza grande Caduta, forse; il Quarto Evo.
Chi sarebbe stato sacrificato, questa volta, per la pretesa di purificare il Paradiso?


«Se mi spiegassi, potrei capire meglio.»
«Ricordi Cassiel, sì?»
«Il... mio, quello appena diventato Stratego? Ha chiesto il suo appoggio?»
«No, l’ultima di Haniel. Il genio.» un guizzo minaccioso delle ombre attorno a lei «L’ho chiesta come allieva. Ora l’ha fatto anche lui.»
«No.» ringhiò dopo un istante «Non potete sacrificare un cherubino per una vostra contesa. Non puoi
«Ho scelta?»


No, non l’aveva.
E pensare ad una Leliel impotente era spaventoso. Inconcepibile. Lei, che non si era lasciata trascinare nel fango nemmeno dalla propria nascita, dal tradimento dei propri creatori, dall’onta del proprio sangue; e dal proprio potere così inconsueto e temuto, dal fallimento di un allievo, dalle dicerie maligne. Lei, che dell’autorità aveva il nome e l’emblema.
Sembrava che ogni certezza fosse sul punto di essere sovvertita, e che quel sul punto seguisse la concezione degli Angeli, a cui i secoli potevano sembrare attimi, non riusciva a rincuorarlo. Per lui non cambiava nulla sapere se si dovessero attendere giorni o millenni: era sufficiente la sensazione che qualcosa dovesse accadere, per instillargli un’inquietudine sempre più violenta e opprimente. Anzi, forse non riuscire a quantificarne la durata rendeva l’attesa ancor più tormentata, nonostante vi fosse abituato da millenni – i cicli temporali scandivano solo la vita dei Cherubini, secondo i ritmi del riposo, mentre gli adulti quasi non percepivano il Fuoco del Richiamo. Il tempo si misurava in avvenimenti, in Richiami privati verso le proprie mansioni, in attese interminabili, in ali di infanti che viravano gradualmente al bianco; le ere trascorrevano senza gettare stanchezza sui loro corpi o turbamento sulle loro menti. Creati per sostenere il peso dell’eternità, non vi era nulla da cui non potessero riprendersi in fretta, tornando uguali a prima: i lutti, le ferite, le torture, le delusioni, tutto poteva riversarsi su di loro e lasciarli intatti, immutati.
Un vantaggio, per esseri immortali che non potevano permettersi il lusso di marcire nel proprio dolore come gli Umani.
Una promessa di rovina ad ogni rinnovamento – perché così le chiamavano, quelle rivoluzioni. Rinnovamento. Tutto più puro, più limpido, più giusto. Tutto ripulito dalla decadenza, dalle essenze corrotte. Tutto come in un tempo precedente, sempre migliore dell’attuale, sempre perfetto. Rinnovamento. Il passato che tornava, com’era legittimo che fosse, a proteggere le essenze degli Angeli da pericolosi mutamenti a cui non avrebbero potuto resistere. Il cerchio che si chiudeva, iniziando alla fine. Rinnovamento. Di nuovo come prima, per il loro bene, per la purezza del Paradiso. Nessuna degenerazione folle e viziosa di ciò che era in origine. Rinnovamento. Per il loro bene.
E gli Evi nascevano e morivano, in questo continuo ritorno al passato, e con loro chi non riusciva ad adattarsi. Cambiamento nascosto dalle parole, evoluzione celata dietro rassicurazioni vuote. Rinnovo di un passato che nessuno più ricordava, perché chi esisteva già allora ormai era perso, distrutto, devastato. Schiere intere ritiratesi nella zona neutra del Consiglio, pur di non dover più sopportare oltre.
Cherubini del Secondo Evo che erano i soli adulti del Terzo, superstiti di una rivoluzione a cui avevano potuto adattarsi con la malleabilità dell’infanzia. Essenze rese fragili e folli ugualmente – da guide troppo scosse e turbate dalle grandi Cadute, dalla solitudine, dall’indifferenza, da lotte germogliate tra loro come steli velenosi nutriti dal sangue. Ma folli abbastanza, anomali abbastanza da assistere al crollo di un Evo senza rimanerne sconvolti?
Ne dubitava.
Di certo non vi sarebbe riuscito chi sarebbe caduto sin dall’inizio, sotto il peso di accuse maligne e tradimenti non propri; e forse nemmeno chi avrebbe vinto quella prima lotta – perché ricostruire tutto era incombenza dei più immaturi, non di chi apparteneva ancora ad un Evo precedente. Sarebbero crollati tutti, vittime di uno scontro tra mondi opposti, di un passato che, rinnovato, non smetteva di tormentarli.
Guardò Leliel, le sue ali candide e tese per l’ira, per la disperazione; poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette istintivamente a pugno sul tessuto candido della divisa da Esecutore.


«Capisci, Nelchael?»
«...capisco.»


Il Quarto Evo sarebbe nato con la loro morte.





***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre liste, recensisce. Se ne avete voglia, mi fa sempre molto piacere ricevere commenti e consigli (:
...ma possibilmente non sommergetemi d'insulti per non avervi detto nulla su Amitiel xD Nel prossimo capitolo torna, nel frattempo godetevi Leliel e i viaggi mentali di Nelchael. Ho cercato di rendere il tutto il più chiaro possibile - risultando magari un po' prolissa nelle spiegazioni - e, anche se alcune cose devono rimanere per forza vaghe o incomprensibili, spero che non sia troppo pesante. Si tratta di un punto cardine della storia, sappiatelo u.u Non volendo fare spoiler, per ora vi dico solo che ogni cosa di questo capitolo è fondamentale.
A domenica prossima (:
   
 
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