Capitolo
18 – Accusa
Anane
poteva dire molte cose di sua madre; alcune inquietanti, altre
spiacevoli, quasi nessuna gradevole, che sommate davano davvero
un’infinità di informazioni, caratteristiche e
aneddoti.
Eisheth
era un demone, innanzitutto, e persino più potente di quanto
il suo
comportamento rendesse lecito supporre. Non erano molti gli Antichi
che vagavano per la dimensione umana, immischiandosi nella vita dei
figli ed evitando ad intervalli regolari che si facessero ammazzare
per una lite, imprudenza, sfacciataggine o qualsiasi altro problema
riuscissero a crearsi con le proprie stesse mani. In
quest’instancabile opera di soccorso, per giunta, trovava
anche il
tempo di convincere l’uno a non rendersi figlio unico e
l’altra a
non perdersi tra sogni, incubi, false promesse e messaggi giunti a
lei come brevi scarabocchi su carta umana e riletti poi sino a
consumarsi gli occhi.
In
secondo luogo, a chi avesse dovuto fare la conoscenza di sua madre
–
poiché che qualcuno potesse volerlo le
risultava in tutta
sincerità piuttosto improbabile – avrebbe dovuto
comunicare che
Eisheth era, appunto, una madre. Non madre creatrice, ma proprio
madre madre: con affetto, preoccupazioni e rancori degni del peggior
rapporto di dipendenza. Non puoi legarti a qualcuno senza
impazzire, diceva spesso il demone, sono cose per
gli Umani,
non per noi; e
sembrava, a dirla
tutta, piuttosto fiera della propria follia.
Avrebbe
potuto aggiungere molto altro, ovviamente: come, ad esempio, la sua
tremenda abitudine di esercitare la propria Influenza su qualsiasi
essere senziente, la figlia compresa – benché lei
fosse già
legata all’Influenza
di qualcun altro e, quindi, quella altrui le provocasse crisi emotive
anche quando tentava di rallegrarla. Non era neppure certa che tale
inconveniente dispiacesse del tutto ad Eisheth, e questo bastava a
chiarire la particolarità con cui il demone esprimeva il
proprio
affetto materno.
Oppure
il suo
divertimento nello strappare le unghie delle persone. Ecco, questo
andava sottolineato, perché poteva capitare che il demone
rimirasse
affascinato le mani dell’interlocutore; in tal caso, la
tattica
migliore era affondarle nelle tasche e pregare con tutte le proprie
forze di non irritarlo. O anche fuggire il più lontano
possibile, ma
questa con Eisheth era una buona strategia a priori.
Oppure
il profondo livore che provava per il modo di pensare della figlia.
Non per le sue idee, ma proprio per come le esprimeva; e,
benché di
solito lei parlasse in maniera molto più concisa e lineare
di come
formulava in realtà le proprie riflessioni, Eisheth era in
grado di
strapparle le parole così come le pensava: non poteva
parlare con
sua madre senza lasciar fluire le frasi in modo un po’
confusionario, inelegante e grossolano, in cui il soggetto spesso si
perdeva tra le prime cinque parole e il verbo arrivava nelle ultime
tre, dopo una sequenza interminabile di avverbi e congiunzioni
–
come se la sua mente divagasse e ricordasse poi di dover ancora
concludere una frase di cui, in realtà, quasi non ricordava
l’inizio. Se fosse dipeso da Anane, si sarebbe espressa
volentieri
nel modo più conciso che le era abituale, ma era Eisheth a
chiederle
di non porre filtri tra pensieri e parole, e se Eisheth chiedeva
qualcosa era consigliabile accontentarla; salvo poi lamentarsi
dell’ineleganza nella mente di sua figlia, che rifletteva
come se
stesse conversando con un amico particolarmente amante delle frasi
contorte. Questa doveva essere in realtà
un’avversione verso
qualcun altro che, avendo avuto la sua stessa insegnante alla prima
classe, ne aveva assorbito almeno in parte il modo di esprimersi; un
modo così caratteristico e riconoscibile che si potevano
identificare gli allievi di Kasbeel con una certa sicurezza –
almeno quelli della prima classe, a contatto solo con lei, o quelli
che ne erano rimasti maggiormente influenzati. Anche Ridwan aveva
studiato sotto la sua giuda e, nelle sue parole, spesso Anane poteva
individuare le tracce lasciate da Kasbeel; e, anche se il cherubino
aveva superato la prima classe in un tempo quasi accettabile,
languiva al ciclo superiore da un periodo ben più lungo
della norma,
perciò non ci si poteva stupire che il suo modo di
esprimersi fosse
nella sua mente così influenzato dai due insegnanti.
Altra
caratteristica
che Eisheth trovava francamente esasperante era la sua
capacità di
perdersi con tutta tranquillità in simili riflessioni
mentre, ad
esempio, con la massima naturalezza strattonava Amitiel in modo che
la coprisse e poi si chinava su quell’infida serpe di
Shoftiel per
estinguere la sua essenza. Era già tanto debole e fragile
che
sarebbe bastata la minima pressione offensiva, come quella di un
cherubino terrorizzato, per eliminare definitivamente il rischio di
un’accusa nei confronti suoi o di Amitiel. Non sapeva invece
se
quella calma surreale – che dopo un iniziale panico si era
impossessata di lei e non sembrava intenzionata ad abbandonarla
–
fosse una dote di famiglia, un effetto della compagnia di Eisheth, un
dono naturale o una conseguenza dell’abitudine;
più probabilmente
l’ultima opzione, perché aveva ormai compreso che
per sopravvivere
doveva mantenersi lucida e fredda.
Le
lacrime e l’orrore
sarebbero giunti più tardi, in solitudine, quando il
pericolo fosse
stato scongiurato. Per il momento, era spaventosamente calma.
Calma
quando, il volto
atteggiato ad una credibile smorfia terrorizzata, si chinò
sul
Custode, come se volesse controllare il suo stato, mentre in
realtà
si stava avventando con la propria essenza sulla sua.
Calma
quando percepì
la vita scomparire lentamente da lui, inghiottita dal velo di nebbia
cangiante del cherubino.
Calma
quando gli occhi
dell’angelo divennero opachi, vuoti, privi della scintilla
che li
aveva resi tanto maligni e tanto odiati.
Calma
quando il corpo si tramutò lentamente in cenere, impastata
dalla
pioggia, che urlava «Assassina!»
senza essere – per il momento – ascoltata.
Calma
quando, emulando
lacrime incontrollate, si accasciò a terra per affondare le
mani in
quella polvere grigiastra, come se non potesse credere che la propria
essenza si fosse avventata, in preda al panico, su quella del
Custode.
Invece
si agitò un po’ – si agitò molto
– quando Amitiel le crollò accanto in ginocchio,
piangendo
davvero, lei; perché
l’amica singhiozzava, ed era una reazione troppo umana
per essere mostrata in pubblico.
Dopo
un istante notò che non aveva i capelli raccolti dal solito
nastro
bianco, ma da uno scuro, di tessuto umano. Abituata da secoli a
tradire in silenzio il Paradiso, non poté non cogliere quel
dettaglio che avrebbe potuto farle scoprire in meno di un istante,
perché non avrebbero certo potuto spiegare che fine avesse
fatto
il primo nastro, e come si fossero procurate
quell’altro. Nel
migliore dei casi, avrebbero ricevuto una punizione per aver rubato
e portato in Paradiso quell’oggetto indegno; nel peggiore
– e,
quando si trattava di mantenere quella fragile finzione orchestrata
per secoli, le cose si volgevano sempre
nel peggiore dei casi – sarebbero state scoperte. Si
affrettò a
strapparle il nastro dai capelli con un gesto brusco, pregno
d’urgenza, e a gettarlo tra il folto degli alberi, lontano da
loro.
Non
aveva bisogno di
chiedere ad Amitiel chi glielo avesse dato: ricordava di averlo visto
spuntare da una tasca del bambino posseduto da Eisheth.
Delle
tante cose che
Anane poteva dire di sua madre, figurava sicuramente
l’abitudine di
essere doppia e infida.
Stava
cercando di
affrettare la sua Caduta.
...stava
cercando di
far accusare Amitiel.
*
* *
Sachiel
si lasciò
crollare a terra, in ginocchio, le mani che artigliavano i capelli
alle tempie e gli occhi serrati. Un lamento sfuggiva, flebile, dalle
labbra socchiuse.
La
sua essenza, come
impazzita, si tendeva e si contraeva, senza alcuna logica, investita
da troppi stimoli; le ali, in preda allo stesso smarrimento,
fremevano come se una brezza agitasse le piume, o come se il peso
della pioggia fosse eccessivo.
Troppi
Richiami che
avvertiva pur non essendo diretti a lei, troppe essenze che si
tendevano in una ricerca angosciosa, troppo panico che scorreva in un
brivido gelido lungo la schiena. I Guardiani sapevano essere
efficienti e rapidi – così rapidi da stordirla,
per la prontezza
con cui avevano reagito le loro essenze. Un qualsiasi cherubino
avrebbe potuto semplicemente annullare le Percezioni, ma lei era
troppo vicina allo Sviluppo per non godere già della
sensibilità
degli adulti, che avvertivano ogni cosa anche senza il proprio
volere.
Ma,
se in Paradiso
questo era un vantaggio, nella dimensione umana riusciva solo a
stordirla dolorosamente – ancora poco abituata allo stridore
delle
essenze angeliche in quei luoghi. E alla sgradevole abitudine dei
Guardiani di sovrapporre le proprie voci, riuscendo a comprendersi
anche se stavano gridando tre o quattro arcangeli
insieme.
In
compenso lei non
aveva capito molto, tra «Ramiel è
già lì? Da lei, muovetevi!»,
«Gabriel, aspetta gli altri, non da solo.»,
«Avvisate
gli insegnanti.» e altri ordini berciati con brusca
efficienza
da un punto all’altro – spesso così
distanti che si era chiesta
come riuscissero ad udirsi, prima ancora che ad
intendere ciò
che l’altro stava dicendo.
Se
avesse potuto
concentrarsi su qualcosa di diverso dal dolore al capo, avrebbe
probabilmente valutato che Cassiel, in piedi accanto a lei, sembrava
più contrariata che spaesata. Nessuno più si
curava di loro: finché
rimanevano tra i Guardiani non avevano nulla da temere, e
complimentarsi per la sottigliezza delle loro Percezioni non era
certo una priorità.
Ma
non poteva, tutta la
sua attenzione era focalizzata su quel dolore, lacerante, immenso.
Quasi non avvertiva la pioggia scorrerle addosso, le ali vibrare, i
movimenti attorno a lei: male, solo male. Stridii assordanti e fitte
al capo che le strappavano un gemito ogni volta.
Sussultò
quando una
mano esile le afferrò un braccio e la costrinse con una
certa
delicatezza ad alzarsi, senza riuscire a capire se fosse Cassiel o
un’adulta – in quel caos assordante non distingueva
nemmeno le
presenze. Un’essenza tiepida e conosciuta avvolse la sua,
impedendole di avvertire altro, e il suo stridore così
vicino era
più sopportabile di decine e decine più distanti.
Le fitte al capo
si acquietarono, divenendo pulsazioni sostenibili; tornò
all’improvviso consapevole dell’acqua che
impregnava i capelli e
scorreva sugli abiti inumidendoli appena, delle ali frementi, del
corpo tiepido contro cui si appoggiava.
Sollevò
le palpebre
con espressione rassicurata, quasi distesa, per rivolgere alla donna
un sorriso.
Leliel
la ignorò,
continuando a pronunciare ordini in tono imperioso; tuttavia non
smise per un istante di sorreggerla, le ali quasi avvolte attorno a
loro per isolare meglio l’essenza dell’allieva. Il
sorriso di
Sachiel si spense in fretta, divisa tra lo stupore di trovarla nella
dimensione umana e il disagio di essersi mostrata così
debole.
Le
chiese, con un filo
di voce, se fosse stata deludente.
«Non
hai agito male.»
le concesse l’insegnante, dopo aver ordinato ad un Custode di
sorvegliare il secondo cherubino.
«Ti
ringra-»
«Sei
stata tu a
percepire quell’anomalia?»
«...l’ho
identificata.»
«Ma
è stata la tua
compagna a percepirla per prima.»
Non
rispose, perché
non era domanda; un rimprovero, semmai, che la spinse ad abbassare
gli occhi e a scostarsi lievemente da Leliel.
«Sta’
ferma. Ci sono
ancora troppe essenze per te.»
«Io...
mi dispiace
esserti di disturbo, maestra.»
«Se
avessi trascorso
più tempo nella dimensione umana come ti avevo consigliato,
ora non
mi disturberesti.»
Il
cherubino si morse
il labbro inferiore, avvilito da quell’accusa ingiusta.
«Ho
provato ad
abituarmici, maestra, ma-»
«Le
labbra, Sachiel.
Come ti dico ogni volta.»
I
denti smisero di
torturare la carne.
«...non
me n’ero
accorta.»
«Hai
intenzione di non
accorgertene nemmeno durante il colloquio con il Censore, o posso
sperare che tu acquisisca un po’ di autocontrollo prima dello
Sviluppo?»
Disturbata
dall’essenza
dell’insegnante e mortificata da quel rimprovero, non ebbe
nemmeno
la forza di formulare una risposta.
«Avrai
tempo per
migliorare, non temere. Molto tempo.»
Voleva
ritardare il suo
Sviluppo? Per... per le Percezioni troppo sensibili e un labbro
mordicchiato? Era assurdo, assolutamente assurdo, non era certo un
motivo sufficiente – non dopo averlo già rinviato
a lungo, al
punto che tutti si erano chiesti se non vi fosse qualche vizio che
non doveva giungere sotto gli occhi dei Censori, o qualche debolezza
di troppo per ciò che si diceva del suo talento. Iniziavano
a
considerarla problematica, iniziavano a macchiarla
con dubbi e
insinuazioni – perché, per quanto la sua maestra
potesse
considerarla ingenua, lei vedeva. Udiva. Soffriva.
E
ancora Leliel voleva ritardare il momento in cui avrebbe potuto, se
non proprio sottrarsi ai sussurri, almeno fissare i maligni negli
occhi, senza dover abbassare lo sguardo – piume rosse.
Maledette
piume rosse. Quante? Poche. Pochissime. Tanto da farla spesso
scambiare per un’adulta; ma abbastanza per renderla inferiore
a
chi, invece, non aveva che candore – candore e un talento che
non
si poteva neppure pensare
di paragonare al suo.
E
nonostante tutto
rimaneva inferiore.
Non
che ritenesse ingiusto quel rapporto gerarchico, naturalmente, ma
iniziava ad esserne stanca.
Forse era ciò che provava anche Cassiel, nel trovarsi
così diversa,
così geniale rispetto agli altri Cherubini, e comunque
costretta a
confondersi tra loro, nient’altro che scarso talento e
instabilità
e squarci sanguinanti; inadeguata
all’ambiente a cui doveva appartenere. Tuttavia
abbandonò presto
questo pensiero compassionevole, non sentendosi particolarmente
empatica o comprensiva in quella situazione – soprattutto nei
confronti di chi, a quanto sembrava, le aveva strappato il favore
dell’insegnante per il grande
merito di aver percepito qualcosa appena prima che se ne accorgesse
lei stessa. Cassiel, con il suo genio, si attirava già
abbastanza
ammirazione da gratificare a sufficienza il suo ego smisurato, che
bisogno c’era di rubare
anche ciò che sarebbe spettato a lei?
Non
le importava di ciò che potevano pensare gli altri
– non più di
quanto fosse ragionevole, almeno, e poteva permettersi di ignorare
ciò che aveva udito, finché non si procurava
astio o sospetti
particolari. Era Leliel
a ferirla, con la delusione e i rimproveri e le pressioni per
indirizzarla verso gli Strateghi.
La
sua aspirazione segreta – molto
segreta, perché l’insegnante non
l’avrebbe di certo apprezzata o
ritenuta degna di lei, nonostante si ostinasse a non concederle lo
Sviluppo come se non fosse mai abbastanza brava, abbastanza zelante,
abbastanza giusta –
era di perdersi tra le fasce viola degli Esecutori Spirituali,
conquistando una posizione non tanto in basso da poter essere
attaccata senza timore e non tanto in alto da farla oggetto di
invidie. Mire modeste, per un cherubino che dimostrava il suo
talento, ma si sarebbe volentieri accontentata di poter guardare con
superiorità i semplici Angeli; non aveva alcun interesse
nell’inimicarsi Serafini e Arcangeli mostrandosi superba.
Ma
ancora poteva far
valere il proprio talento solo sugli altri Cherubini –
soddisfazione pressoché nulla –, perché
aveva il vizio di
mordersi il labbro inferiore e Percezioni troppo acute per la sua
essenza infantile.
Motivi
validi per
ritardare ancora il suo Sviluppo e dare adito ad altri bisbigli
malevoli.
Motivi
davvero molto
validi.
«Sachiel.»
la
richiamò seccamente il serafino, affondando le dita nel suo
braccio
«Trattieni l’essenza. Almeno di fronte agli
interessati, sii più
discreta con il rancore.»
«Io...»
«Risparmiami
le tue
scuse patetiche, cherubino. Non ho tempo da perdere.»
«Come
desideri.»
Leliel
tornò
lentamente a distendere le ali dietro la schiena. La sua essenza,
dopo un’ultima pressione – come ad ammonirla a
controllarsi –,
abbandonò quella dell’allieva; il cherubino
vacillò, stordito di
nuovo dalla sofferenza, rimanendo in piedi solo grazie al suo
sostegno.
Sul
punto di lasciarsi
cadere in ginocchio, Sachiel faticò a trattenere le lacrime.
Uno
stridio continuo le assaliva la mente, facendo svanire ogni pensiero
nel dolore, spingendo l’essenza a contorcersi e contrarsi nel
tentativo di attenuare le Percezioni. Tutto ciò che riusciva
ad
elaborare lucidamente era l’espressione gelida
dell’insegnante e
quelle parole, risparmiami le tue scuse patetiche,
in un tono
che non era né ostile né deluso: semplicemente
prendeva atto della
situazione con distacco, come se non fosse importante. Come se non le
interessasse.
Una
fitta più intensa
delle altre la fece quasi crollare in ginocchio.
«Sachiel,
sai
controllare le Percezioni. Devi solo calmarti.»
«Non...
mi dispiace,
non ci rie-»
«Come
si acquieta
l’essenza?»
«...come?»
«Come
si acquieta
l’essenza, cherubino. Rispondi.»
«Autocontrollo.»
rispose, confusa.
«E?»
«E
lucidità.»
«E?»
«E...
e...» si morse
il labbro inferiore, senza riuscire a concentrarsi «E...
pressione
non aggressiva di altre essenze... e...»
«Niente
interventi
esterni. Come puoi tu acquietare
l’essenza?»
«Mantenendomi
lucida
e... controllata, e... e...»
Il
cherubino portò una
mano al capo dolorante.
«Le
ali,
Sachiel. Ritira le ali.»
Perché
non c’aveva
pensato prima? Umiliazione. Disagio. Si stava mostrando troppo
debole.
Socchiuse
gli occhi,
tentando di concentrarsi sull’essenza, per spingerla a
comprimersi.
Avvertì le ossa ritirarsi, assorbite dalla schiena, le piume
frusciare prima di venire inghiottite; un lieve dolore agli squarci,
una pressione spiacevole alle scapole, dall’interno, come se
le ali
volessero tornare ad esporsi e a distendersi.
Le
Percezioni,
attenuate dalla quiete dell’essenza, distinguevano in modo
vago,
poco disturbante: uno stridio sommesso per Leliel così
vicina, le
presenze confuse dei Custodi, quelle più intense dei
Guardiani, la
flebile essenza di un cherubino. O più di uno? A tratti le
sembrava
di percepirne almeno due, ma non riusciva a capire se fosse la
realtà
o solo un’impressione dovuta alla particolare
intensità della
presenza di Cassiel.
«Va
meglio, sì?» le
chiese l’insegnante, dopo averle concesso qualche istante per
quella silenziosa analisi.
«Sì,
maestra.
Grazie.»
«Avresti
dovuto
pensare subito alle ali.»
«Non...
riuscivo a
concentrarmi.»
«Risparmiami
le tue
scuse. La prossima volta, piuttosto, ricordatene.»
«Lo
farò.»
«Lo
spero. Non si è
mai visto uno Stratego perdere il controllo per non aver saputo
gestire le Percezioni.»
Una
sensazione
sgradevole al petto, come una stretta gelida. Ansia.
«Uno...
Stratego,
maestra?»
«Va’
da Cassiel.»
la ignorò «Quel Custode avrà altri
allievi a cui badare, tra
poco.»
«Vado
subito,
maestra.»
Anche
una volta che si
fu allontanata, non riuscì a scacciare quella stretta
angosciante al
petto. Non si è mai visto uno Stratego...
ma lei doveva
diventare un’Esecutrice. Sfuggire alle trame delle cariche
più
potenti e vivere la propria eternità da rispettato membro di
una
fascia poco considerata in quegli intrighi. Leliel aveva promesso
– perché, se non proprio la voce, almeno lo
sguardo assicurava che
sarebbe stato così – di procurarle una fascia
viola e un incarico
di insegnante, non poteva all’improvviso tornare a parlare di
Strateghi e potere. Doveva aver immaginato lei significati velati in
una frase che invece era trasparente, cristallina.
Se
si fosse voltata
avrebbe visto che l’azzurro limpido degli occhi di Leliel
sembrava,
in quel momento, il grigio opaco del cielo che continuava a vomitare
pioggia.
* * *
«Non
volevo, non
volevo, davvero, io non-»
«Dopo,
cherubino,
dopo. Riesci ad alzarti? Aspetta, ecco... così...
appoggiati. E tu?»
«Della
fascia rossa mi
occupo io.»
«Simiel,
lascia stare
i cherubini e va’ a chiamare una... due fasce
viola.»
«Non
possiamo
lasciarle so-»
«Dopo
che tu
ti sei precipitata qui da sola, Ramiel, sei l’ultima persona
che...
Simiel, che ci fai ancora lì?»
«Gabriel,
Ramiel,
tornate a concentrarvi. Simiel, vai.»
«Cherubino,
sta’
ferma. E tu... Amitiel, alzati.»
«Amitiel?
Amitiel,
stai bene?»
«Ferma,
ho
detto. Amitiel, lascia stare quella cenere e alzati. E non
singhiozzare, non sei umana.»
Voci.
Voci che non
riusciva a riconoscere mentre si sovrapponevano, ringhiavano,
sibilavano ordini, lasciavano trasparire un’angoscia
pressante. Non
c’era tempo. Servivano Esecutori Spirituali. Ma per cosa? Per
cosa?
Il demone era ancora vivo? E se era vivo... se era vivo lei –
e
Anane, sì, certo, anche Anane, come poteva pensare solo a
sé
stessa? – sarebbe stata scoperta? E quella cenere, quella
cenere
che stringeva tra le dita, era davvero il corpo di quel Custode?
Aveva
visto la sua essenza estinguersi. Estinguersi sotto quella di Anane.
Assassina.
Traditrice.
Anane, la limpida allegra meravigliosa Anane. Assassina assassina
assassina. Anane. Assassina.
E
lei... lei,
nonostante vi fosse la pioggia a sciacquarla, era sporca di sangue.
Sangue bianco, sangue alleato. Non aveva fatto nulla per impedire
quell’orrore, troppo concentrata su sé stessa,
sulle attenzioni di
Michael. Impotente – no, indifferente. Aveva chiuso gli occhi
e
basta. Era un’assassina? Una traditrice?
Singhiozzava,
senza
accorgersene – lei, un cherubino. Un angelo. Un essere che
non
avrebbe dovuto avere quel riflesso.
Anomalo.
«Basta.»
Unghie
nelle braccia.
Uno strattone. Il corpo trascinato verso l’alto.
Il
viso di Anane ad
un’estremità del campo visivo – assassina
assassina assassina
–, ali bianche a sfiorare le sue, braccia maschili a
sostenerla.
Oltre la spalla dell’Esecutore, scorse Ramiel china su
qualcosa.
Un uomo al suo fianco. Altri Guardiani attorno a loro, le ali
dilatate spasmodicamente insieme all’essenza, alle Percezioni.
Ancora
Anane che
mormorava il suo nome, in lacrime. Ancora un richiamo
dell’Esecutore
a non singhiozzare – di chi era quella voce? Di chi? Era
familiare,
era... era... Nelchael. Un sussulto.
Ancora
gli occhi
tornarono su Ramiel. Era ferita, sporca di sangue bianco ma anche
rosso, soprattutto rosso, una tonalità più cupa e
carica di quella
del gatto. Il gatto, chissà come stava.
...aveva
voluto salvare
un gatto e non aveva fatto nulla per aiutare un Custode. Un angelo.
Un fratello.
Assassina.
Assassina.
Fruscii
di ali. Una
fascia nera, due fasce viola. Altre nere dietro di loro. Voci.
«Simiel,
finalmente.
Venite qui.»
«Dobbiamo
allontanare
i Cherubini.»
«Non
è il momento,
Ramiel.»
«Possiamo
rinunciare
ad un Guardiano. Simiel, vuoi...?»
«Solo
io?»
«Sì,
forse sarebbe
meglio... tre?»
«Due.»
«Gabriel...»
«Due
basteranno, ha
ragione. Ci sarà anche l’Esecutore con
noi.»
Passi.
Voci nuove.
E
lei singhiozzava,
sostenuta da Nelchael. E lei si odiava e si dava della traditrice e
si chiedeva come Anane, la limpida allegra meravigliosa Anane, avesse
potuto fare una cosa del genere. E lei tremava, temendo
un’accusa –
codarda fino in fondo.
E
non capiva quel che
dicevano, non riusciva a concentrarsi, percepiva solo la pioggia che
scorreva sul suo viso insieme alle lacrime e i singhiozzi che le
squassavano il petto, e quell’urlo dentro di lei, assassina,
assassina.
«Riesci
a volare,
fascia grigia?»
«Credo...
credo di
sì.»
«E
tu?»
«Lei
non riesce.»
«La
por-»
«Me
ne occupo io.»
«Esecutore...»
«Ha
ragione, Simiel,
meglio che abbia lui le braccia occupate.»
«...va
bene. Andiamo.»
La
pressione delle ali
bianche sulle sue aumentò, spingendole a raccogliersi sulla
schiena.
Un braccio attorno ai fianchi e uno sotto le ginocchia, si
trovò
sollevata da terra, premuta contro il busto dell’Esecutore.
Il
viso spaesato
all’altezza di quello serio e ostile di Nelchael.
Assassina
assassina assassina.
Era
sicura che avrebbe
aperto la bocca per gridarlo, per accusarla – sapeva, sapeva,
era
ovvio, lui sapeva. Si vedeva dagli occhi, non si fidava di loro due,
aveva capito tutto, sì, aveva capito tutto.
Un
ringhio aggressivo.
Minaccioso.
«Avrai
molto di cui
rendere conto.»
Sì,
lui sapeva.
***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre
liste e come sempre un ringraziamento speciale a chi commenta (:
La parte iniziale ha uno stile probabilmente confuso, lo so. Benvenuti nella testa di Anane.
Come al solito, potrebbe sembrare inutile ma non lo è; e si
avvicina il momento in cui si capirà il senso di tutti
questi approfondimenti. Ormai la metà della storia
è stata raggiunta, tempo un paio di capitoli l'attenzione
tornerà a focalizzarsi su pochissimi personaggi
fondamentali, e quelli secondari potranno agire senza destare un enorme
WTF? in tutti voi.
A domenica prossima!
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