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Autore: TuttaColpaDelCielo    03/06/2012    4 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 18 – Accusa





Anane poteva dire molte cose di sua madre; alcune inquietanti, altre spiacevoli, quasi nessuna gradevole, che sommate davano davvero un’infinità di informazioni, caratteristiche e aneddoti.
Eisheth era un demone, innanzitutto, e persino più potente di quanto il suo comportamento rendesse lecito supporre. Non erano molti gli Antichi che vagavano per la dimensione umana, immischiandosi nella vita dei figli ed evitando ad intervalli regolari che si facessero ammazzare per una lite, imprudenza, sfacciataggine o qualsiasi altro problema riuscissero a crearsi con le proprie stesse mani. In quest’instancabile opera di soccorso, per giunta, trovava anche il tempo di convincere l’uno a non rendersi figlio unico e l’altra a non perdersi tra sogni, incubi, false promesse e messaggi giunti a lei come brevi scarabocchi su carta umana e riletti poi sino a consumarsi gli occhi.
In secondo luogo, a chi avesse dovuto fare la conoscenza di sua madre – poiché che qualcuno potesse volerlo le risultava in tutta sincerità piuttosto improbabile – avrebbe dovuto comunicare che Eisheth era, appunto, una madre. Non madre creatrice, ma proprio madre madre: con affetto, preoccupazioni e rancori degni del peggior rapporto di dipendenza. Non puoi legarti a qualcuno senza impazzire, diceva spesso il demone, sono cose per gli Umani, non per noi; e sembrava, a dirla tutta, piuttosto fiera della propria follia.
Avrebbe potuto aggiungere molto altro, ovviamente: come, ad esempio, la sua tremenda abitudine di esercitare la propria Influenza su qualsiasi essere senziente, la figlia compresa – benché lei fosse già legata all’Influenza di qualcun altro e, quindi, quella altrui le provocasse crisi emotive anche quando tentava di rallegrarla. Non era neppure certa che tale inconveniente dispiacesse del tutto ad Eisheth, e questo bastava a chiarire la particolarità con cui il demone esprimeva il proprio affetto materno.
Oppure il suo divertimento nello strappare le unghie delle persone. Ecco, questo andava sottolineato, perché poteva capitare che il demone rimirasse affascinato le mani dell’interlocutore; in tal caso, la tattica migliore era affondarle nelle tasche e pregare con tutte le proprie forze di non irritarlo. O anche fuggire il più lontano possibile, ma questa con Eisheth era una buona strategia a priori.
Oppure il profondo livore che provava per il modo di pensare della figlia. Non per le sue idee, ma proprio per come le esprimeva; e, benché di solito lei parlasse in maniera molto più concisa e lineare di come formulava in realtà le proprie riflessioni, Eisheth era in grado di strapparle le parole così come le pensava: non poteva parlare con sua madre senza lasciar fluire le frasi in modo un po’ confusionario, inelegante e grossolano, in cui il soggetto spesso si perdeva tra le prime cinque parole e il verbo arrivava nelle ultime tre, dopo una sequenza interminabile di avverbi e congiunzioni – come se la sua mente divagasse e ricordasse poi di dover ancora concludere una frase di cui, in realtà, quasi non ricordava l’inizio. Se fosse dipeso da Anane, si sarebbe espressa volentieri nel modo più conciso che le era abituale, ma era Eisheth a chiederle di non porre filtri tra pensieri e parole, e se Eisheth chiedeva qualcosa era consigliabile accontentarla; salvo poi lamentarsi dell’ineleganza nella mente di sua figlia, che rifletteva come se stesse conversando con un amico particolarmente amante delle frasi contorte. Questa doveva essere in realtà un’avversione verso qualcun altro che, avendo avuto la sua stessa insegnante alla prima classe, ne aveva assorbito almeno in parte il modo di esprimersi; un modo così caratteristico e riconoscibile che si potevano identificare gli allievi di Kasbeel con una certa sicurezza – almeno quelli della prima classe, a contatto solo con lei, o quelli che ne erano rimasti maggiormente influenzati. Anche Ridwan aveva studiato sotto la sua giuda e, nelle sue parole, spesso Anane poteva individuare le tracce lasciate da Kasbeel; e, anche se il cherubino aveva superato la prima classe in un tempo quasi accettabile, languiva al ciclo superiore da un periodo ben più lungo della norma, perciò non ci si poteva stupire che il suo modo di esprimersi fosse nella sua mente così influenzato dai due insegnanti.
Altra caratteristica che Eisheth trovava francamente esasperante era la sua capacità di perdersi con tutta tranquillità in simili riflessioni mentre, ad esempio, con la massima naturalezza strattonava Amitiel in modo che la coprisse e poi si chinava su quell’infida serpe di Shoftiel per estinguere la sua essenza. Era già tanto debole e fragile che sarebbe bastata la minima pressione offensiva, come quella di un cherubino terrorizzato, per eliminare definitivamente il rischio di un’accusa nei confronti suoi o di Amitiel. Non sapeva invece se quella calma surreale – che dopo un iniziale panico si era impossessata di lei e non sembrava intenzionata ad abbandonarla – fosse una dote di famiglia, un effetto della compagnia di Eisheth, un dono naturale o una conseguenza dell’abitudine; più probabilmente l’ultima opzione, perché aveva ormai compreso che per sopravvivere doveva mantenersi lucida e fredda.
Le lacrime e l’orrore sarebbero giunti più tardi, in solitudine, quando il pericolo fosse stato scongiurato. Per il momento, era spaventosamente calma.
Calma quando, il volto atteggiato ad una credibile smorfia terrorizzata, si chinò sul Custode, come se volesse controllare il suo stato, mentre in realtà si stava avventando con la propria essenza sulla sua.
Calma quando percepì la vita scomparire lentamente da lui, inghiottita dal velo di nebbia cangiante del cherubino.
Calma quando gli occhi dell’angelo divennero opachi, vuoti, privi della scintilla che li aveva resi tanto maligni e tanto odiati.
Calma quando il corpo si tramutò lentamente in cenere, impastata dalla pioggia, che urlava «Assassina!» senza essere – per il momento – ascoltata.
Calma quando, emulando lacrime incontrollate, si accasciò a terra per affondare le mani in quella polvere grigiastra, come se non potesse credere che la propria essenza si fosse avventata, in preda al panico, su quella del Custode.
Invece si agitò un po’ – si agitò molto – quando Amitiel le crollò accanto in ginocchio, piangendo davvero, lei; perché l’amica singhiozzava, ed era una reazione troppo umana per essere mostrata in pubblico.
Dopo un istante notò che non aveva i capelli raccolti dal solito nastro bianco, ma da uno scuro, di tessuto umano. Abituata da secoli a tradire in silenzio il Paradiso, non poté non cogliere quel dettaglio che avrebbe potuto farle scoprire in meno di un istante, perché non avrebbero certo potuto spiegare che fine avesse fatto il primo nastro, e come si fossero procurate quell’altro. Nel migliore dei casi, avrebbero ricevuto una punizione per aver rubato e portato in Paradiso quell’oggetto indegno; nel peggiore – e, quando si trattava di mantenere quella fragile finzione orchestrata per secoli, le cose si volgevano sempre nel peggiore dei casi – sarebbero state scoperte. Si affrettò a strapparle il nastro dai capelli con un gesto brusco, pregno d’urgenza, e a gettarlo tra il folto degli alberi, lontano da loro.
Non aveva bisogno di chiedere ad Amitiel chi glielo avesse dato: ricordava di averlo visto spuntare da una tasca del bambino posseduto da Eisheth.
Delle tante cose che Anane poteva dire di sua madre, figurava sicuramente l’abitudine di essere doppia e infida.
Stava cercando di affrettare la sua Caduta.
...stava cercando di far accusare Amitiel.

* * *

Sachiel si lasciò crollare a terra, in ginocchio, le mani che artigliavano i capelli alle tempie e gli occhi serrati. Un lamento sfuggiva, flebile, dalle labbra socchiuse.
La sua essenza, come impazzita, si tendeva e si contraeva, senza alcuna logica, investita da troppi stimoli; le ali, in preda allo stesso smarrimento, fremevano come se una brezza agitasse le piume, o come se il peso della pioggia fosse eccessivo.
Troppi Richiami che avvertiva pur non essendo diretti a lei, troppe essenze che si tendevano in una ricerca angosciosa, troppo panico che scorreva in un brivido gelido lungo la schiena. I Guardiani sapevano essere efficienti e rapidi – così rapidi da stordirla, per la prontezza con cui avevano reagito le loro essenze. Un qualsiasi cherubino avrebbe potuto semplicemente annullare le Percezioni, ma lei era troppo vicina allo Sviluppo per non godere già della sensibilità degli adulti, che avvertivano ogni cosa anche senza il proprio volere.
Ma, se in Paradiso questo era un vantaggio, nella dimensione umana riusciva solo a stordirla dolorosamente – ancora poco abituata allo stridore delle essenze angeliche in quei luoghi. E alla sgradevole abitudine dei Guardiani di sovrapporre le proprie voci, riuscendo a comprendersi anche se stavano gridando tre o quattro arcangeli insieme.
In compenso lei non aveva capito molto, tra «Ramiel è già lì? Da lei, muovetevi!», «Gabriel, aspetta gli altri, non da solo.», «Avvisate gli insegnanti.» e altri ordini berciati con brusca efficienza da un punto all’altro – spesso così distanti che si era chiesta come riuscissero ad udirsi, prima ancora che ad intendere ciò che l’altro stava dicendo.
Se avesse potuto concentrarsi su qualcosa di diverso dal dolore al capo, avrebbe probabilmente valutato che Cassiel, in piedi accanto a lei, sembrava più contrariata che spaesata. Nessuno più si curava di loro: finché rimanevano tra i Guardiani non avevano nulla da temere, e complimentarsi per la sottigliezza delle loro Percezioni non era certo una priorità.
Ma non poteva, tutta la sua attenzione era focalizzata su quel dolore, lacerante, immenso. Quasi non avvertiva la pioggia scorrerle addosso, le ali vibrare, i movimenti attorno a lei: male, solo male. Stridii assordanti e fitte al capo che le strappavano un gemito ogni volta.
Sussultò quando una mano esile le afferrò un braccio e la costrinse con una certa delicatezza ad alzarsi, senza riuscire a capire se fosse Cassiel o un’adulta – in quel caos assordante non distingueva nemmeno le presenze. Un’essenza tiepida e conosciuta avvolse la sua, impedendole di avvertire altro, e il suo stridore così vicino era più sopportabile di decine e decine più distanti. Le fitte al capo si acquietarono, divenendo pulsazioni sostenibili; tornò all’improvviso consapevole dell’acqua che impregnava i capelli e scorreva sugli abiti inumidendoli appena, delle ali frementi, del corpo tiepido contro cui si appoggiava.
Sollevò le palpebre con espressione rassicurata, quasi distesa, per rivolgere alla donna un sorriso.
Leliel la ignorò, continuando a pronunciare ordini in tono imperioso; tuttavia non smise per un istante di sorreggerla, le ali quasi avvolte attorno a loro per isolare meglio l’essenza dell’allieva. Il sorriso di Sachiel si spense in fretta, divisa tra lo stupore di trovarla nella dimensione umana e il disagio di essersi mostrata così debole.
Le chiese, con un filo di voce, se fosse stata deludente.
«Non hai agito male.» le concesse l’insegnante, dopo aver ordinato ad un Custode di sorvegliare il secondo cherubino.
«Ti ringra-»
«Sei stata tu a percepire quell’anomalia?»
«...l’ho identificata.»
«Ma è stata la tua compagna a percepirla per prima.»
Non rispose, perché non era domanda; un rimprovero, semmai, che la spinse ad abbassare gli occhi e a scostarsi lievemente da Leliel.
«Sta’ ferma. Ci sono ancora troppe essenze per te.»
«Io... mi dispiace esserti di disturbo, maestra.»
«Se avessi trascorso più tempo nella dimensione umana come ti avevo consigliato, ora non mi disturberesti.»
Il cherubino si morse il labbro inferiore, avvilito da quell’accusa ingiusta.
«Ho provato ad abituarmici, maestra, ma-»
«Le labbra, Sachiel. Come ti dico ogni volta
I denti smisero di torturare la carne.
«...non me n’ero accorta.»
«Hai intenzione di non accorgertene nemmeno durante il colloquio con il Censore, o posso sperare che tu acquisisca un po’ di autocontrollo prima dello Sviluppo?»
Disturbata dall’essenza dell’insegnante e mortificata da quel rimprovero, non ebbe nemmeno la forza di formulare una risposta.
«Avrai tempo per migliorare, non temere. Molto tempo.»
Voleva ritardare il suo Sviluppo? Per... per le Percezioni troppo sensibili e un labbro mordicchiato? Era assurdo, assolutamente assurdo, non era certo un motivo sufficiente – non dopo averlo già rinviato a lungo, al punto che tutti si erano chiesti se non vi fosse qualche vizio che non doveva giungere sotto gli occhi dei Censori, o qualche debolezza di troppo per ciò che si diceva del suo talento. Iniziavano a considerarla problematica, iniziavano a macchiarla con dubbi e insinuazioni – perché, per quanto la sua maestra potesse considerarla ingenua, lei vedeva. Udiva. Soffriva.
E ancora Leliel voleva ritardare il momento in cui avrebbe potuto, se non proprio sottrarsi ai sussurri, almeno fissare i maligni negli occhi, senza dover abbassare lo sguardo – piume rosse. Maledette piume rosse. Quante? Poche. Pochissime. Tanto da farla spesso scambiare per un’adulta; ma abbastanza per renderla inferiore a chi, invece, non aveva che candore – candore e un talento che non si poteva neppure pensare di paragonare al suo.
E nonostante tutto rimaneva inferiore.
Non che ritenesse ingiusto quel rapporto gerarchico, naturalmente, ma iniziava ad esserne stanca. Forse era ciò che provava anche Cassiel, nel trovarsi così diversa, così geniale rispetto agli altri Cherubini, e comunque costretta a confondersi tra loro, nient’altro che scarso talento e instabilità e squarci sanguinanti; inadeguata all’ambiente a cui doveva appartenere. Tuttavia abbandonò presto questo pensiero compassionevole, non sentendosi particolarmente empatica o comprensiva in quella situazione – soprattutto nei confronti di chi, a quanto sembrava, le aveva strappato il favore dell’insegnante per il grande merito di aver percepito qualcosa appena prima che se ne accorgesse lei stessa. Cassiel, con il suo genio, si attirava già abbastanza ammirazione da gratificare a sufficienza il suo ego smisurato, che bisogno c’era di rubare anche ciò che sarebbe spettato a lei?
Non le importava di ciò che potevano pensare gli altri – non più di quanto fosse ragionevole, almeno, e poteva permettersi di ignorare ciò che aveva udito, finché non si procurava astio o sospetti particolari. Era Leliel a ferirla, con la delusione e i rimproveri e le pressioni per indirizzarla verso gli Strateghi.
La sua aspirazione segreta – molto segreta, perché l’insegnante non l’avrebbe di certo apprezzata o ritenuta degna di lei, nonostante si ostinasse a non concederle lo Sviluppo come se non fosse mai abbastanza brava, abbastanza zelante, abbastanza giusta – era di perdersi tra le fasce viola degli Esecutori Spirituali, conquistando una posizione non tanto in basso da poter essere attaccata senza timore e non tanto in alto da farla oggetto di invidie. Mire modeste, per un cherubino che dimostrava il suo talento, ma si sarebbe volentieri accontentata di poter guardare con superiorità i semplici Angeli; non aveva alcun interesse nell’inimicarsi Serafini e Arcangeli mostrandosi superba.
Ma ancora poteva far valere il proprio talento solo sugli altri Cherubini – soddisfazione pressoché nulla –, perché aveva il vizio di mordersi il labbro inferiore e Percezioni troppo acute per la sua essenza infantile.
Motivi validi per ritardare ancora il suo Sviluppo e dare adito ad altri bisbigli malevoli.
Motivi davvero molto validi.
«Sachiel.» la richiamò seccamente il serafino, affondando le dita nel suo braccio «Trattieni l’essenza. Almeno di fronte agli interessati, sii più discreta con il rancore.»
«Io...»
«Risparmiami le tue scuse patetiche, cherubino. Non ho tempo da perdere.»
«Come desideri.»
Leliel tornò lentamente a distendere le ali dietro la schiena. La sua essenza, dopo un’ultima pressione – come ad ammonirla a controllarsi –, abbandonò quella dell’allieva; il cherubino vacillò, stordito di nuovo dalla sofferenza, rimanendo in piedi solo grazie al suo sostegno.
Sul punto di lasciarsi cadere in ginocchio, Sachiel faticò a trattenere le lacrime. Uno stridio continuo le assaliva la mente, facendo svanire ogni pensiero nel dolore, spingendo l’essenza a contorcersi e contrarsi nel tentativo di attenuare le Percezioni. Tutto ciò che riusciva ad elaborare lucidamente era l’espressione gelida dell’insegnante e quelle parole, risparmiami le tue scuse patetiche, in un tono che non era né ostile né deluso: semplicemente prendeva atto della situazione con distacco, come se non fosse importante. Come se non le interessasse.
Una fitta più intensa delle altre la fece quasi crollare in ginocchio.
«Sachiel, sai controllare le Percezioni. Devi solo calmarti.»
«Non... mi dispiace, non ci rie-»
«Come si acquieta l’essenza?»
«...come?»
«Come si acquieta l’essenza, cherubino. Rispondi.»
«Autocontrollo.» rispose, confusa.
«E?»
«E lucidità.»
«E?»
«E... e...» si morse il labbro inferiore, senza riuscire a concentrarsi «E... pressione non aggressiva di altre essenze... e...»
«Niente interventi esterni. Come puoi tu acquietare l’essenza?»
«Mantenendomi lucida e... controllata, e... e...»
Il cherubino portò una mano al capo dolorante.
«Le ali, Sachiel. Ritira le ali.»
Perché non c’aveva pensato prima? Umiliazione. Disagio. Si stava mostrando troppo debole.
Socchiuse gli occhi, tentando di concentrarsi sull’essenza, per spingerla a comprimersi. Avvertì le ossa ritirarsi, assorbite dalla schiena, le piume frusciare prima di venire inghiottite; un lieve dolore agli squarci, una pressione spiacevole alle scapole, dall’interno, come se le ali volessero tornare ad esporsi e a distendersi.
Le Percezioni, attenuate dalla quiete dell’essenza, distinguevano in modo vago, poco disturbante: uno stridio sommesso per Leliel così vicina, le presenze confuse dei Custodi, quelle più intense dei Guardiani, la flebile essenza di un cherubino. O più di uno? A tratti le sembrava di percepirne almeno due, ma non riusciva a capire se fosse la realtà o solo un’impressione dovuta alla particolare intensità della presenza di Cassiel.
«Va meglio, sì?» le chiese l’insegnante, dopo averle concesso qualche istante per quella silenziosa analisi.
«Sì, maestra. Grazie.»
«Avresti dovuto pensare subito alle ali.»
«Non... riuscivo a concentrarmi.»
«Risparmiami le tue scuse. La prossima volta, piuttosto, ricordatene.»
«Lo farò.»
«Lo spero. Non si è mai visto uno Stratego perdere il controllo per non aver saputo gestire le Percezioni.»
Una sensazione sgradevole al petto, come una stretta gelida. Ansia.
«Uno... Stratego, maestra?»
«Va’ da Cassiel.» la ignorò «Quel Custode avrà altri allievi a cui badare, tra poco.»
«Vado subito, maestra.»
Anche una volta che si fu allontanata, non riuscì a scacciare quella stretta angosciante al petto. Non si è mai visto uno Stratego... ma lei doveva diventare un’Esecutrice. Sfuggire alle trame delle cariche più potenti e vivere la propria eternità da rispettato membro di una fascia poco considerata in quegli intrighi. Leliel aveva promesso – perché, se non proprio la voce, almeno lo sguardo assicurava che sarebbe stato così – di procurarle una fascia viola e un incarico di insegnante, non poteva all’improvviso tornare a parlare di Strateghi e potere. Doveva aver immaginato lei significati velati in una frase che invece era trasparente, cristallina.
Se si fosse voltata avrebbe visto che l’azzurro limpido degli occhi di Leliel sembrava, in quel momento, il grigio opaco del cielo che continuava a vomitare pioggia.

* * *

«Non volevo, non volevo, davvero, io non-»
«Dopo, cherubino, dopo. Riesci ad alzarti? Aspetta, ecco... così... appoggiati. E tu?»
«Della fascia rossa mi occupo io.»
«Simiel, lascia stare i cherubini e va’ a chiamare una... due fasce viola.»
«Non possiamo lasciarle so-»
«Dopo che tu ti sei precipitata qui da sola, Ramiel, sei l’ultima persona che... Simiel, che ci fai ancora lì?»
«Gabriel, Ramiel, tornate a concentrarvi. Simiel, vai.»
«Cherubino, sta’ ferma. E tu... Amitiel, alzati.»
«Amitiel? Amitiel, stai bene?»
«Ferma, ho detto. Amitiel, lascia stare quella cenere e alzati. E non singhiozzare, non sei umana.»
Voci. Voci che non riusciva a riconoscere mentre si sovrapponevano, ringhiavano, sibilavano ordini, lasciavano trasparire un’angoscia pressante. Non c’era tempo. Servivano Esecutori Spirituali. Ma per cosa? Per cosa? Il demone era ancora vivo? E se era vivo... se era vivo lei – e Anane, sì, certo, anche Anane, come poteva pensare solo a sé stessa? – sarebbe stata scoperta? E quella cenere, quella cenere che stringeva tra le dita, era davvero il corpo di quel Custode?
Aveva visto la sua essenza estinguersi. Estinguersi sotto quella di Anane.
Assassina. Traditrice. Anane, la limpida allegra meravigliosa Anane. Assassina assassina assassina. Anane. Assassina.
E lei... lei, nonostante vi fosse la pioggia a sciacquarla, era sporca di sangue. Sangue bianco, sangue alleato. Non aveva fatto nulla per impedire quell’orrore, troppo concentrata su sé stessa, sulle attenzioni di Michael. Impotente – no, indifferente. Aveva chiuso gli occhi e basta. Era un’assassina? Una traditrice?
Singhiozzava, senza accorgersene – lei, un cherubino. Un angelo. Un essere che non avrebbe dovuto avere quel riflesso.
Anomalo.
«Basta
Unghie nelle braccia. Uno strattone. Il corpo trascinato verso l’alto.
Il viso di Anane ad un’estremità del campo visivo – assassina assassina assassina –, ali bianche a sfiorare le sue, braccia maschili a sostenerla. Oltre la spalla dell’Esecutore, scorse Ramiel china su qualcosa. Un uomo al suo fianco. Altri Guardiani attorno a loro, le ali dilatate spasmodicamente insieme all’essenza, alle Percezioni.
Ancora Anane che mormorava il suo nome, in lacrime. Ancora un richiamo dell’Esecutore a non singhiozzare – di chi era quella voce? Di chi? Era familiare, era... era... Nelchael. Un sussulto.
Ancora gli occhi tornarono su Ramiel. Era ferita, sporca di sangue bianco ma anche rosso, soprattutto rosso, una tonalità più cupa e carica di quella del gatto. Il gatto, chissà come stava.
...aveva voluto salvare un gatto e non aveva fatto nulla per aiutare un Custode. Un angelo. Un fratello.
Assassina. Assassina.
Fruscii di ali. Una fascia nera, due fasce viola. Altre nere dietro di loro. Voci.
«Simiel, finalmente. Venite qui.»
«Dobbiamo allontanare i Cherubini.»
«Non è il momento, Ramiel.»
«Possiamo rinunciare ad un Guardiano. Simiel, vuoi...?»
«Solo io?»
«Sì, forse sarebbe meglio... tre?»
«Due
«Gabriel...»
«Due basteranno, ha ragione. Ci sarà anche l’Esecutore con noi.»
Passi. Voci nuove.
E lei singhiozzava, sostenuta da Nelchael. E lei si odiava e si dava della traditrice e si chiedeva come Anane, la limpida allegra meravigliosa Anane, avesse potuto fare una cosa del genere. E lei tremava, temendo un’accusa – codarda fino in fondo.
E non capiva quel che dicevano, non riusciva a concentrarsi, percepiva solo la pioggia che scorreva sul suo viso insieme alle lacrime e i singhiozzi che le squassavano il petto, e quell’urlo dentro di lei, assassina, assassina.
«Riesci a volare, fascia grigia?»
«Credo... credo di sì.»
«E tu?»
«Lei non riesce.»
«La por-»
«Me ne occupo io.»
«Esecutore...»
«Ha ragione, Simiel, meglio che abbia lui le braccia occupate.»
«...va bene. Andiamo.»
La pressione delle ali bianche sulle sue aumentò, spingendole a raccogliersi sulla schiena. Un braccio attorno ai fianchi e uno sotto le ginocchia, si trovò sollevata da terra, premuta contro il busto dell’Esecutore.
Il viso spaesato all’altezza di quello serio e ostile di Nelchael.
Assassina assassina assassina.
Era sicura che avrebbe aperto la bocca per gridarlo, per accusarla – sapeva, sapeva, era ovvio, lui sapeva. Si vedeva dagli occhi, non si fidava di loro due, aveva capito tutto, sì, aveva capito tutto.
Un ringhio aggressivo. Minaccioso.
«Avrai molto di cui rendere conto.»
Sì, lui sapeva.





***
Angolo autrice
Grazie a chi legge, inserisce la storia in una delle tre liste e come sempre un ringraziamento speciale a chi commenta (:
La parte iniziale ha uno stile probabilmente confuso, lo so. Benvenuti nella testa di Anane. Come al solito, potrebbe sembrare inutile ma non lo è; e si avvicina il momento in cui si capirà il senso di tutti questi approfondimenti. Ormai la metà della storia è stata raggiunta, tempo un paio di capitoli l'attenzione tornerà a focalizzarsi su pochissimi personaggi fondamentali, e quelli secondari potranno agire senza destare un enorme WTF? in tutti voi.
A domenica prossima!
   
 
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