Salve a tutti :) Ho scritto questa storia in un impeto di impellente ispirazione, mentre guardavo un ova di kuroshitsuji. Mi sono ricordata di un libro che ho letto molto tempo fa: "l'amuleto di samarcanda"... e ho finito per prendere ispirazione da entrambi :P
Beh, detto questo spero che la storia vi piaccia. Buona lettura!
Corvi
con l'artrite.
Per
quanto
tutti gli esseri pensanti abbiano espresso almeno una volta nella
loro vita lo spasmodico desiderio di volare, vi assicuro che se siete
nel corpo di un corvo con l'artrite e state combattendo contro una
gelida tempesta da quaranta minuti, l'esperienza non è delle
migliori.
D'accordo,
d'accordo, non posso negare che quando si taglia l'aria con le
possenti ali di un'aquila – e le condizioni atmosferiche
promettono
bene –, il mio umore cambia radicalmente. In ogni caso tutti
i
volatili hanno un cervello piccolo ch'è una scocciatura:
più di
mezza giornata dentro al loro corpo e già comincia ad
inebetirsi il
vostro, di grumo pensante.
Adoro
queste
due parole: grumo pensante.
E'
la sintesi perfetta di voi umani: pensieri poco concreti e desideri
non realizzabili. Se solo scopriste quanto sarebbero orribili la
metà
delle fantasie – inattuabili – che sperate di veder
espresse,
sono sicuro che concordereste con me: i vostri sono nient'altro che
inutili, permalosi, grumi pensanti. E questo non è un mio modesto
parere,
è l'assoluta certezza –
per non chiamarla verità – di un'esistenza che ne
ha viste davvero
tante.
Con
una mossa dell'ala destra sferzai velocemente nella direzione
opposta. Cominciavo a sentirmi incredibilmente pesante, e
l'intorpidimento del quale vi ho parlato giusto poco fa cominciava a
farsi pressante. Riuscivo a comprendere che la pesantezza del mio
corpo era da attribuire alle costanti gocce di pioggia che non mi
lasciavano un attimo di tregua – maledizione! - ma al tempo
stesso
era quasi come se non ne fossi completamente certo. Avevo bisogno di
sgranchirmi e di cambiare forma: ma soprattutto di trovare un rifugio
finché il grumo pensante più odioso con cui
avessi avuto a che fare
negli ultimi dieci anni non mi avesse richiamato al servizio.
Ma
conoscendolo, se avesse saputo quali fossero state le mie reali
condizioni – particolare non da escludere completamente
– ero
sicuro che mi avrebbe lasciato a marcire sotto la pioggia ancora per
ore.
Cornelius
Mitchell, un mago che purtroppo cadeva nella classificazione
più
brutta di quelli della sua specie: senza cuore – non che io
potessi
vantare di averne uno, chiariamo, ma per gli umani questa sembra
sempre una frase cattivissima – pronto ad incolpare noi
demoni a
spada tratta, senza considerare in quella sua testolina bacata che i
motivi del suo successo non erano attribuibili ad altri che a noi.
Da
tempo immemorabile i maghi ci sfruttavano, invocandoci nel loro mondo
ed obbligandoci a servirli. Demoni, anime dannate potentissime,
trasformate in una specie di piccolo cagnolino da vestire con abiti
di dubbio gusto e da comandare a bacchetta.
Non
penso di dovervi chiarire, a questo punto, che l'odio che la maggior
parte di loro prova nei nostri confronti è completamente
ricambiato.
Finalmente,
mentre avvistavo un cassonetto aperto nel quale trovare un puzzolente
rifugio, sentii il richiamo: una morsa potentissima allo stomaco,
alla quale nessuno di noi poteva resistere.
Trattandosi
di Cornelius lo feci – avrei fatto di tutto pur di
danneggiarlo, ma
quel mago era davvero astuto – e il mio corpo fu interamente
pervaso di dolore. Strinsi il becco
e cercai di resistere ancora un altro po' – giusto il tempo
di
irritarlo almeno un pochino -, ma alla fine fui costretto a cedere.
Non
appena smisi di opporre resistenza e abbandonai i muscoli, mi
ritrovai nello studio del mio adorato padrone.
Mi materializzai nella mia forma umana preferita, e presto Cornelius
potè osservarmi nei panni di un giovane alto e snello, con
una
lunghissima chioma di capelli che mi sfioravano le cosce –
d'un
lilla molto chiaro –, un paio di sensuali occhi color
ghiaccio e
labbra tinte di nero.
Abbozzai
un ghigno davanti all'espressione accigliata di Cornelius.
“Lieto
di vederti, spero che tu abbia sofferto mentre ero via.” gli
sussurrai, avvicinandomi per quanto potevo ai confini del cerchio
magico che lui aveva tracciato per evocarmi. Approfittando dei pochi
attimi di distrazione del mago – nei quali si sistemava
l'ampia
veste nera – controllai accuratamente ogni incisioni, ogni
runa,
ogni parola. Ma come sempre il cerchio era perfetta: privo del minimo
errore ed io, seppur la cosa mi rammaricasse enormemente, non potevo
nuocergli in alcun modo.
Cornelius
sorrise, intuendo quello che stavo facendo.
“Qualunque
cosa tu stia cercando, Eshiat, sappi che non la troverai.” mi
informò, con un tono mellifluo e cattivo.
Oh,
se solo
nel cerchio ci fosse stata anche la più piccola delle
imperfezioni...
Ma
non c'era, e quello era un dato di fatto, per cui mi misi seduto ed
incrociai le gambe, esibendo il sorriso più beffardo e
inquietante
che quel volto umano mi consentisse di riprodurre.
Cornelius
incrociò le braccia, schiarendosi la voce.
“Mi
hai portato quello che stavo cercando?” mi chiese, come al
solito
impostanto la frase con un tono imperioso che non mi faceva ne caldo
ne freddo.
Io
sorrisi.
Gli
umani avevano la tendenza ad usare un ridicolissimo tono di comando
quando ci parlavano – forse per sentirsi più
forti, chissà, non
avevo mai avuto la voglia di indagare seriamente su quel buffo
fenomeno -, e non si rendevano mai conto di quanto, ai nostri occhi,
sembrassero ridicoli.
“Potrei
dartelo in cambio del tuo nome...” gli sussurrai lascivo,
facendo
schioccare la lingua rosea sul palato mentre assumevo le sembianze di
una donna formosa e senza vesti. Mi mossi in modo sensuale, mentre
Cornelius distoglieva lo sguardo e si sistemava il colletto della
camicia che spuntava dalla veste.
Il
vero nome di un mago –
o di un qualsiasi essere – era per noi di importanza vitale.
Non
conoscendolo, eravamo costretti ad obbedire a chiunque ci convocasse
incondizionatamente, senza la possibilità di lanciare alcun
controicantesimo o, al limite, di smembrarli e metter fine alle loro
patetiche ciance.
Per
questo i maghi venivano addestrati fin da piccoli a non rivelarlo mai
ai demoni: gliene veniva dato uno nuovo e il loro finiva quasi sempre
nel dimenticatoio. Scoprire il vero nome di qualcuno era davvero
difficile, e solo una volta mi era capitato questo piacevole onore:
che ovviamente avevo sfruttato nel più succulento dei modi.
Cornelius
alla fine si decise a guardarmi di nuovo: e il suo sguardo si
posò
sui seni della donna che mi ospitava. All'altezza dei quali vi era un
imponente ciondolo, la reliquia che lui stesso mi aveva ordinato di
recuperare.
“E'...”
“Oh,
sì. Il tuo nome, Corny... e sarà tutta
tua.”
Cornelius
mi inflisse un incantesimo di dolore, e il corpo della donna
lasciò
spazio alla trasformazione del mio umano preferito: era quella che mi
era più affine e che negli anni avevo perfezionato meglio,
ogni qual
volta il mio spirito si trovava in una situazione di pericolo
prendevo inevitabilmente quelle vesti.
Avrei
fatto volentieri a meno di tutti quegli involucri di pelle, ma
all'interno del cerchio la nostra vera forma non
poteva materializzarsi. Il che era un vero peccato: mentre soffrivo e
mi mordevo un labbro, immaginai che faccia avrebbe fatto Cornelius
nell'osservare le mie reali sembianze, e la visione fu abbastanza
rincuorante.
“Dammi
quello che voglio se non vuoi soffrire ancora!” si impose
Cornelius, imperturbabile.
Con
un notevole sforzo mi sfilai il medaglione di dosso e lo buttai fuori
dal cerchio, ai suoi piedi.
“Perfetto.”
Venni
ributtato nel mio mondo ed esalai un sospiro di sollievo.
Le
fiamme mi solleticavano il volto quando nuovamente sentii la
familiare stretta alle viscere.
Maledetto
Cornelius,
imprecai, quando
venni catapultato in una stanza buia illuminata solo da un paio di
candele.
Apparvi
con una nuvola di fumo puzzolente, perché ero piuttosto
irritato –
anche io avevo diritto ad un po' di ferie, no? - e subito gli odori
di quella cantina mi fecero capire che non ci avevo visto male: mi
trovavo ancora a casa del mago.
Eppure
avvertivo in quell'evocazione delle rune più rudimentali,
dei
procedimenti più frettolosi, possibile che...
“Chi
sei, oh tu, che osi disturbare il mio sonno immortale?”
domandai
con voce potente, sorridendo amaramente nel sentir rimbombare la mia
stessa voce tra le mura di quel posto. Doveva trovarsi in basso,
parecchi metri sotto terra, troppo lontano perché le mie
lamentali
raggiungessero orecchie estranee.
“Chi
sono non è affar tuo, demone.” mi rispose una voce
femminile,
giovane, incerta.
Feci
svanire in fretta la nuvola di fumo per lo stupore.
Una
donna?
La
magia era riservata ai maghi. Maschi.
Avevo udito da qualche mio conoscente di un'invocazione o due da
parte di una strega, e le cose, nei loro racconti, erano sempre
finite male. Non per noi, ovviamente, dato che le donne che
praticavano la magia solitamente lo facevano per conto proprio e non
potevano vantare l'istruzione che i maghi si tramandavano, in anni e
anni di studio.
Sbagliavano
sempre qualcosa: una runa inesatta, una presentazione con il proprio
vero nome...
Mi
leccai le
labbra alla vista di quella giovanissima donna: pelle candida come la
luna, lunghissimi capelli castani e un viso dolce dalla forma a
cuore. Sudava copiosamente e si torturava continuamente una ciocca di
capelli, stringendola intorno all'indice fino a far diventare la
pelle rossa.
Ci
osservavamo a vicenda, e lei sembrava quasi più stupita di
me.
L'aspetto che avevo scelto, solitamente, faceva colpo sulle donne.
Probabilmente quella ragazza si stava chiedendo se fosse questo
l'aspetto di un demone...
Decisi
di sfruttare quel punto a mio favore, mentre frettolosamente
controllavo la validità del cerchio: con una smorfia
constatai che,
seppur fosse stato scritto da una mano inesatta, era minuzioso e
preciso.
Beh,
pazienza, le cose troppo facili non mi avevano mai allettato
granchè.
La
ragazzina indossava una semplice tunica bianca che a malapena le
copriva le ginocchia – che tremavano – ed era
scalza.
Una
schiava di Cornelius?
Sapevo
che i maghi erano soliti reclutare ragazzini molto giovani, ma si
trattava pur sempre di maschi. Però, riflettendoci su, i
maghi
oscuri più potenti si servivano spesso di sacrifici umani...
La
faccenda si stava facendo interessante.
“Fammi
almeno il piacere di dirmi il tuo nome...” le sussurrai
ammaliante,
mentre già immaginavo quel fragile corpicino spezzarsi tra
le mie
braccia.
“Zitto,
demone!” ringhiò lei, “Non mi ingannerai
con i tuoi subdoli
trucchetti.”
Ah,
pensai,
riversando la cascata di fluenti capelli dietro le spalle,
dicevano sempre tutti così...
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