Eccomi qui, scusate!
Ultimamente sto facendo un macello indegno su EFP! XD
Mi scuso in particolare con Edvige86
che, gentilmente, aveva già commentato il post e che ha visto sparire
l’entry. Come avevo già scritto, non mi convinceva affatto la resa del
capitolo e non ce l’ho fatta a tenerlo in linea, ho dovuto eliminarlo e
modificarlo. Ecco cosa succede a scrivere a tarda sera. >O<
Scusate ancora per l’inconveniente! Spero di leggere le vostre
considerazioni.
1
Il gioco degli dèi
Il cielo di Asgard era inondato da una luce calda, rosea, che pareva
risplendere anche nelle ore più buie della notte. Nell’isola
magicamente sospesa nel vuoto cosmico dell’albero del mondo, tenuta in
orbita da un fascio d’energia nucleare incontaminato e potente, il sole
pareva non tramontare mai.
Loki se ne era reso conto per la prima volta da bambino, dopo una
battuta di caccia particolarmente sfortunata, quando si era perduto nei
boschi assieme al fratello ed aveva speso lunghe ore a fissare gli
astri e le nuvole, magicamente dorate come i capelli di Thor.
Nell’innocenza dell’infanzia aveva immaginato al cielo di Asgard come
ad un fratello premuroso: impediva l’oscuramento totale della terra per
istinto di protezione nei confronti della sorella minore; in seguito,
quando anche l’ultimo velo di ingenuità era stato spazzato via dagli
eventi e Loki giaceva prigioniero nelle celle anonime del palazzo
reale, anche il sole costantemente presente all’orizzonte era sembrato
più una maledizione che una protezione di qualsiasi genere.
“A cosa pensi, fratello?”
Loki si voltò con grazia, inclinando il capo illuminato dal calore del
tramonto.
Si trovava nelle sue stanze, nel palazzo reale di Asgard, circondato da
nuovi libri, drappi e sete preziose, vicino a Thor, venuto a dialogare
con lui dopo una lunga giornata di governo.
Il re si era seduto al tavolo degli scacchi e beveva vino, studiando
con attenzione la posizione delle pedine.
“Al moto dei pianeti.” Replicò Loki, sobrio.
Abbottonò distrattamente la veste nera e carezzò i capelli lunghi,
pettinati indietro e intrecciati morbidamente.
“Stai bene.” Disse Thor, quasi arrossendo. I suoi occhi chiari non
abbandonavano la sagoma del fratello per più di qualche secondo, come
impegnati a rassicurare la mente che, sì, Loki era tornato, era
presenza tangibile e libera, finalmente. “Stai meglio.”
“Ti ringrazio.” Replicò il dio dell’Inganno, intrecciando le mani sul
grembo, accomodandosi sul sedile opposto a quello di Thor: le sue
pedine erano nere e Thor aveva appena mangiato una torre. “Interessante
…”
“La mia strategia è migliorata, fratello?” ironizzò il re, carezzando
la barba folta sul mento. “Regnare su Asgard mi ha forse istruito
nell’arte dell’attesa?” Aggiunse ancora, più sibillino.
Loki umettò le labbra rosse, sfiorando con attenzione il capo delle
pedine scure.
“Come ti senti?” domandò ancora Thor, con un tono più preoccupato,
onesto.
Loki rifletté attentamente.
“Gli incubi sono finiti.” Disse solamente, e le sue pedine volarono a
scontrarsi contro quelle di Thor: due vennero mangiate, una riuscì a
fare breccia nelle difese dell’avversario.
“Capisco.” Mormorò il re di Asgard, ingoiando la tensione come vino
amaro. “Capisco.”
Le dita di Loki si avvicinarono timidamente alle sue, in una carezza
accennata.
“Ti ringrazio per la tua ospitalità e per le cure che hai messo a mia
disposizione. Non riuscirò mai a sdebitarmi.”
“Sai perché lo faccio,” rispose il dio del Tuono, alzando lo sguardo
fiero, deciso. “Sei parte della famiglia nonostante tutto e ti voglio
al mio fianco. Ti voglio al mio
fianco, Loki.”
Lui non replicò.
Avanzò ancora con un alfiere.
“L’oro dei re ti dona,” esalò con un’onestà che lo fece quasi soffrire.
“È il tuo colore.”
Lo è sempre stato.
“In qualità di principe di Asgard potresti indossare l’oro che ti ho
donato: hai scelto di non farlo, invece.”
“Non sono più un principe, Thor. Sono solo un mago, l’ombra di un
passato perduto. Lasciami vivere in pace, al riparo dall’odio del tuo
popolo.”
Il re serrò la mascella, colmo d’ira e rimorso.
“Ho bisogno di te …” sussurrò, talmente piano da rivolgersi più a se
stesso che a Loki. “Non ritirerò la mia offerta, soprattutto ora che mi
hai assicurato di esserti rimesso in forze. Un mago potente come te è
prezioso nel Consiglio di Asgard e tutto ritornerebbe come … sarebbe
più giusto, più simile al passato.”
Le labbra del dio dell’Inganno si piegarono in una smorfia sarcastica,
sgradevole.
“Sono divenuto re,” riprese Thor, determinato. “In un modo che non
avrei mai immaginato. A prezzo della vita del padre e senza il fratello
amato al mio fianco, a guardare le mie spalle e tenere il mio scudo in
battaglia. Sono solo, Loki. Il
potere mi ha allontanato dagli altri.”
“Il potere è solitudine,” replicò lui, muovendo ancora l’alfiere. “E il
tuo potere è grande Thor, anche più grande di quello di Odino.”
L’espressione del re si colmò di dolore muto, inesprimibile.
“Vuoi che ti narri i suoi ultimi giorni?” mormorò, la voce rotta dalla
commozione.
“Non è necessario.” Fece Loki, frettoloso. “Ho saputo ogni cosa dai
domestici e … ho visto. L’ho
visto accadere, nei miei sogni. La barca sul fiume, le lacrime di
Frigga e il tuo braccio che reggeva
la torcia infuocata …”
La discussione s’interruppe brevemente, così come la partita.
Un silenzio insostenibile, carico di parole non dette, schiacciò i
giocatori sulle sedie. Thor dovette scuotere il mantello e alzarsi,
soffocato dal peso dei ricordi, della distanza forzata che Loki
riusciva ancora ad imporgli.
“Avrei dovuto averti al mio fianco …”
“Avresti potuto scarcerarmi.” Ribatté Loki, crudele.
“No, non avrei potuto. Non a prezzo di ignorare la legge di Asgard, di
infangare il ricordo delle vittime midgardiane con un’ingiustizia.
Dovevi scontare la tua pena.”
Il respiro lieve di Loki si spezzò percettibilmente.
Il dio dell’Inganno dovette espirare piano, a fondo.
“Un re giusto, Thor. Sei molto di più di quello che è stato Odino …”
“Nostro padre!” esclamò lui,
incapace di contenere l’ira e l’emozione. “Nostro padre, Loki! Un re giusto quanto
me!”
“Tuo padre.” Replicò l’altro,
a denti stretti. “Tuo padre. Non dimenticare che non siamo veramente fratelli.”
Sibilò orribilmente, deciso a infliggere sofferenza nel cuore di Thor.
Il re si era poggiato alla finestra che dava sui cortili interni, lo
sguardo perso nel chiarore del crepuscolo, l’armatura d’oro
scintillante.
“Sei mio fratello, Loki. Sangue del
mio sangue, nonostante tutto … e anche se non siamo nati dallo
stesso padre e dalla stessa madre – Non avrei potuto fare
diversamente.” Ammise poi, interrompendosi. “Non avrei potuto negare
giustizia ai corpi straziati sotto le macerie dei grattaceli
newyorkesi, agli agenti che avevano perso la vita per mano tua. L’unica
cosa che oso sperare ancora è riaverti accanto a me, dimenticare il
passato e ricominciare con una nuova vita. Non permetterò a nessuno di
ferirti, di farti del male. Ti proteggerò come il dono più prezioso
degli dèi.”
Loki aveva chiuso gli occhi, le dita sospese sul capo dell’alfiere
nero, pronto a sferrare lo scacco contro il re bianco.
“Non sono un dono,” disse. “Non sono neanche il fratello che hai
conosciuto e amato. Troppe cose sono successe e troppe notti si sono
alternate nella solitudine della prigione asgardiana. Non sono che
un’ombra, Thor, un’ombra danneggiata dal tempo e della solitudine. Non
ho più niente da offrirti.”
Thor batté un pugno contro la parete e si rassegnò ad accettare le
parole del fratello.
“Non mi arrenderò così facilmente.” Fece, accomodandosi nuovamente,
scrutando concentrato la sua posizione in campo: Loki era sul punto di
eliminare il re. “Non lo farò.” Aggiunse, ostacolando le mosse del
fratello.
Il dio dell’Inganno aggrottò la fronte, impensierito.
Continuò a sferrare attacchi contro le difese dell’avversario.
La mano di Thor, grande e forte, ruvida, aveva stretto la sua in una
morsa.
“Non mi arrenderò, Loki.”
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