Sarebbe
una narusasunarusasunasuras-... Sì, dai, quella roba lì.
Sarebbe per fare gli auguri alla prode annamariz
(buon compleanno, anna!) e sarebbe in au. Io e le au non andiamo per
nulla d'accordo: ne leggo volentieri ma non so scriverne. Ciò detto,
evitate di leggere se cercate una trama realistica, perché non la
troverete qui. Qui è già tanto trovarci qualcosa che ci somigli
vagamente, ad una trama *sviene*
Tu
lo conosci Sasuke?
-
parte prima -
Era
mezzanotte e quarantadue quando Naruto Uzumaki si era soffocato con
la birra, nel momento esatto in cui il suo cervello aveva deliberato
che quella, potenzialmente, poteva essere una nottata rivoluzionaria.
Non che avesse una qualche prova concreta: era una sensazione a
pelle, forse dovuta all'alcol, anche se aiutava la consueta indole
ottimista, quella d'una persona dotata di sorriso contagioso e la
rara abitudine a prendere sempre il meglio delle cose. Non aveva
certezze, dunque, ma il suo istinto di rado sbagliava.
Naruto
non era abituato alle cotte, alle sbandate da ragazzina, e neanche
stava lì a far caso ad ogni esemplare umano che gli svolazzasse nei
paraggi, ma beh, evidentemente una volta nella vita doveva capitare
pure a lui: e non appena era capitato si era strozzato con la birra.
D'accordo,
andiamo con ordine: una sequenza di avvenimenti avevano condotto
quello che sarà il nostro eroe a soffocarsi con la birra, primo tra
tutti il fatto d'averne presa una ad alta gradazione alcolica, per
festeggiare. Festeggiare il nuovo lavoro – fattorino per la
consegna di ramen a domicilio – con gli amici di sempre: Sakura
Haruno, laureanda in medicina habitué di trenta e lode, sua
migliore amica dalle scuole medie; Kiba Inuzuka, età anagrafica
ventiquattro, età apparente quattordici, dog-sitter a perdita di
tempo, ghigno ferino e ubriacatura allegra; costui era accompagnato
dalla di lui ragazza: Hinata Hyuuga, ventidue anni di timidezza
annegata in un analcolico, per non contraddire il babbo. Infine,
ultimi ma non per amicizia, c'erano Ino Yamanaka, esuberante collega
di Sakura, martinimunita e cavallerescamente, sbuffantemente
scortata da Shikamaru Nara – professione genio
e, per l'occasione, guidatore designato, ai quali si
aggiungeva il fido Chouji Akimichi, vocazione amico ideale –
virtù ormai decaduta di cui si faceva araldo e patrono
dall'infanzia, nonostante le botte sul muso per la crudeltà del
mondo.
Insomma,
Naruto Uzumaki, in precedenza ventiquattrenne biondo, arancione,
omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro ma disoccupato
era divenuto solo quella mattina, a seguito d'una lunga, sfibrante
ricerca durata anni di lavoretti saltuari e sottopagati, Naruto
Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla
ricerca dell'anima gemella, nuovo fattorino a tempo indeterminato
dell'Ichiraku Ramen. Salute!
aveva brindato la congrega, facendo cozzare bicchieri e bottiglie per
celebrare la mutata definizione giunta gloriosa a scalzare la
precedente, ormai vetusta e scomoda. Le patatine fritte di Chouji si
erano fatte una passeggiata di mezzo metro quando qualcuno aveva
urtato il tavolo col gomito, nell'impeto del momento, suggellando
così l'evento con un cocciare solenne.
Dunque
Uzumaki Naruto, il fattorino, era felicemente seduto con gli amici al
pub, circondato da una spumosa aura chiacchierona e affabile,
convinto di apprestarsi a trascorrere una serata tranquilla e
oltremodo piacevole e invece, uh!
- no, non si era strozzato, non ancora: con calma, ci arriviamo. Ci
siamo vicini – più precisamente, ci siamo seduti di fronte. O
meglio, Naruto c'era seduto di fronte. Non di fronte come ad una cena
di famiglia – quando la mamma vi dice di sedervi di fronte alla
zia, quella che vi strappa il mento con la mano unghiuta, no -, di
fronte per il destino, per la sorte, per volontà del fato.
D'accordo: per l'arido volere della prospettiva lineare: difatti,
dietro la bionda, fluente chioma di Ino, tra lei e la mole bonaria di
Chouji, si intravedeva un tavolo. Naruto non provava grande
attrazione per i tavoli in sé – e quindi non è il tavolo il succo
del discorso – ma per l'occupante del tavolo si era ritrovato di
colpo investito da un interesse spasmodico. Più esattamente, per gli
occhi dell'occupante del tavolo, che avevano incrociato i suoi mentre
mandava giù il primo sorso di birra scura direttamente dal vetro
freddo della bottiglia. Fu allora, davanti a due iridi nere sospese
in lucidi occhi dal taglio allungato, che il nostro eroe si strozzò,
tossendo, sputacchiando d'intorno e dando finalmente un senso a
questa indecorosa analessi di mezza pagina. E qui, mentre il fedele
Kiba gli batteva due colpi sulla schiena, Hinata sgranava gli occhi e
Sakura si preparava già alla manovra di Heimlic – benché l'amico
non avesse ingerito ancora neppure una molecola di cibo solido –
Naruto realizzò che, potenzialmente, avrebbe potuto emendare in una
sera sola tutte le voci stonate della sua descrizione: Uzumaki
Naruto, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale forse con una
botta di colpo di fulmine per il Tizio del tavolo vicino, nuovo
fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen.
Suonava allettante.
Fiducioso
del suo istinto, nutriva in sostanza buone speranze di guadagnarsi un
tentativo – è il tentativo che uccide il rimorso, e a Naruto i
rimorsi non erano mai piaciuti -, nonostante stesse rischiando
l'asfissia, avesse la laringe in fiamme e fosse circondato da uno
stuolo d'amici ansiosi che cercavano di soccorrerlo.
«Sto
be-ne!» riuscì
infine ad articolare, spezzandosi sotto l'ennesima pacca di Kiba, il
quale – era chiaro – perseguiva nell'opera solo per divertimento,
non per una reale convinzione che continuare a percuotergli la cassa
toracica potesse realmente giovare all'amico.
A
sentire la sua voce, roca ma indubbiamente convinta, Sakura rilassò
la schiena sulla sedia, seguita a ruota dagli altri.
Naruto
si beccò i vaffa di rito, le pindariche previsioni di cosa i
carissimi amici avrebbero fatto scrivere sul suo epitaffio – “morì
come visse: da coglione”,
copyright di Kiba – e poi si riprese allegri a blaterare a briglia
sciolta, con Hinata persino più partecipe de solito, forse per la
scarica di adrenalina – e se andava in fibrillazione per un amico
scemo a cui va giù storta la birra, c'erano un po' di dubbi che
riuscisse a davvero a laurearsi in infermieristica.
A
clima più disteso, Shikamaru partì con una lamentela su sua madre,
che voleva per forza buttarlo fuori di casa, mentre Ino gli si
sovrapponeva raccontando del nuovo collega attraente adocchiato al
bar dell'università, cercando sostegno in Sakura, che però partì a
parlare male del suddetto – tale Sai, pare l'avesse definita
racchia. Al che, invece di saltare subito come una iena, con un
opportuno «dimmi chi è e gli vengo a spaccare la faccia», come
sarebbe stato prevedibile aspettarsi da lui in quanto paladino,
migliore amico e personcina dal temperamento non esattamente placido,
Naruto annuì, distratto.
Dopo
la sua pessima figura con la birra, gli occhi neri gli stavano dando
buca, persi a scrutare un alcolico scuro, sollevandosi solo di tanto
in tanto per dare un poco di corda al resto del tavolo. Perché sì,
Naruto lo realizzò solo allora, dopo aver scannerizzato il viso
pallido del ragazzo, i capelli neri improponibilmente ordinati pur
nell'assurda capacità di sfidare la forza di gravità nella zona
sulla nuca, le dita della mano rilassate attorno al bicchiere... Sì,
ci siamo persi.
Il
punto è: Naruto, dopo essersi completamente rimbambito a fissare il
tizio in questione, dimentico dei suoi doveri di migliorissimo
amico e con un'espressione acuta da baccalà in salamoia, aveva
realizzato che beh,
contrariamente a quel che gli era parso di primo acchito, il tizio
non sedeva in uno spazio vuoto fungendo da fulcro per i moti
universali. No: il tizio sedeva davanti ad un tavolaccio di legno -
esattamente come quello su cui Naruto teneva i gomiti rigidi -,
assieme ad uno sparuto gruppo di compari chiassosi: nella fattispecie
un ragazzo dagli assurdi capelli azzurri e dal sorriso aguzzo, che
sorbiva birra a garganella e gesticolava vivacemente di volta in
volta rivolto al Tizio e all'unica ragazza, leggiadra fanciulla dal
medio facile, capelli rosso acceso sfoltiti in un taglio asimmetrico
e occhiali spessi che le finivano sulla punta del naso ogni qualvolta
si infervorava per una cazzata partorita dall'amico coi capelli
azzurri; a concludere il quadretto, un ragazzone alto come un armadio
stava placidamente seduto a sorseggiare quello che pareva un innocuo
succo di frutta, intrattenendo qualche breve monosillabo con le
labbra sottili del Tizio. Tale Tizio, tra l'altro, doveva
evidentemente ritenerlo l'unico esemplare umano degno di una qualche
considerazione, perché era il solo cui non avesse ancora rifilato
almeno un'occhiataccia.
«Na-ru-to»
sillabarono cinque dita e un palmo, sventolati più volte davanti al
suo naso.
«Eh-eh?»
emise il nostro eroe, cercando di mettere a fuoco dopo il brusco
cambio di orizzonte.
La
mano di Sakura si ritirò per far posto a sei paia d'occhi tutti
puntati su di lui. Naruto osservò gli amici un poco stralunato,
prima di cominciare a ridere e grattarsi la testa.
«Oh,
oi» borbottò imbarazzato. «Scusate! Mi sono distratto. Si diceva?»
«Si
diceva di te, che ti stai mangiando con gli occhi il tizio qui
dietro» lo rese edotto Ino, senza astenersi dall'esibire la sua
famosa faccia da femmina –
espressione coniata da Shikamaru, intraducibile in altre parole:
bisognava vederla per capire, e comunque sarebbe stato di gran lunga
preferibile trovarsi a distanza di sicurezza.
«Il
Tizio» sospirò Sakura, lanciando anche lei un'occhiatina trasognata
al suddetto e confermando ancora una volta di condividere gli stessi
gusti del migliore amico, in quanto agli uomini. Anche Ino, comunque,
non era rimasta immune dal fascino del Tizio, solo che per guardarlo
le toccava girare con tutta la sedia e, al terzo tentativo, quello si
voltò bruscamente per individuare la fonte del fastidioso struscio,
le sopracciglia aggrottate e l'aria d'essere tranquillamente disposto
a gonfiare di botte anche un irlandese nerboruto alto il doppio della
sua statura.
Il
risultato fu un sussultò collettivo che spostò il tavolo di due
centimetri nello stomaco di Kiba, lasciò il gomito di Shikamaru
orfano d'appoggio e costrinse Chouji a sollevare la ciotola delle
patatine per evitare che queste si rovesciassero su Hinata; lei
trattenne il fiato, grata. Naruto e Sakura si annegarono con le teste
dietro l'alcol, nascosti dalla schiena di Chouji, perfetta paratia.
Hinata
ridacchiò arrossendo e Kiba scosse forte la testa, per latrare
divertito assieme a lei e poi domandarsi a voce alta cosa mai ci
fosse di attraente nel Tizio: fu zittito dalla mascella schioccante
di Ino e dalle occhiate incredule di Naruto e Sakura – Shikamaru
gli batté una confortante pacca sulla spalla e scosse la testa in un
modo che Chouji tradusse con un «non possiamo capire», sospirato in
divertita, finta afflizione. Poi, mentre Ino già partiva con una
filippica su quanto la questione fosse fondata sul senso estetico,
piuttosto che sull'orientamento sessuale, e Kiba la ignorava per
domandare ad Hinata di spiegargli, da donna, cosa mai ci fosse di
attraente in un Tizio simile – che tra l'altro a lui sembrava un
po' gay -, Tizio, proprio lui, si alzò in piedi.
Ci
fu un momento di immobilità che ammutolì anche la concitata replica
categorica di Ino - impegnata a berciare contro Kiba un esaltato «no,
no! Se è gay mollo tutto e mi faccio suora!» -, durante il quale
lei per poco non cadde dalla sedia, Hinata distolse lo sguardo con
tanta fretta da intingere i lunghissimi capelli nel bicchiere di
Chouji e Naruto divenne un blocco di ghiaccio arancione,
cristallizzato accanto ad una Sakura altrettanto immobile. Shikamaru,
dal
canto suo, sollevò placido gli occhi al cielo e approfittò della
calma per sorseggiare il suo analcolico, beato: dopotutto uscire con
quella manica di debosciati aveva un contorto modo di piacergli;
forse perché pareva di ritornare alla ricreazione delle superiori –
la ricreazione era sempre stato il momento che preferiva, non a caso.
Lui,
comunque, fu l'unico a rilassarsi. Godette dell'istante di stasi e
accolse la successiva tempesta con pazienza, lasciandosi sfuggire un
unico, solenne sbuffo, prontamente ignorato.
«È
andato al bagno!» avvisò Ino, come se il fatto che Tizio avesse
appena spinto la porta saloon sotto il discreto ma perfettamente
visibile cartello che indicava i servizi non fosse già di per sé
abbastanza eloquente.
In
ogni caso, l'affermazione sussurrata cadde nel mezzo, come appesa ad
un amo.
«Ah!
Invidiatemi, perché io posso!» saltò infine su Naruto, alzandosi e
scatenando ringhi oltraggiati di Sakura e Ino. Le salutò esibendo un
ghigno a trentadue denti e si ingegnò a scavalcare goffo il
panchetto, in fretta.
«Naruto,
ti odio a morte!» gli comunicò Sakura, quando ormai lui si era già
fatto strada tra i tavoli; alle sue spalle, prima che spingesse con
le mani sui battenti, udì distintamente Ino masticare imbronciata
«tanto non è gay!», prevedibile premessa allo sbuffo soave di
Shikamaru.
Nel
bagno piastrellato di un anonimo giallino, Naruto indugiò davanti al
lavabo per qualche momento, a specchiarsi distratto. Con
la vecchia tuta arancione portafortuna – la stessa che indossava
quando si era presentato a chiedere lavoro -, gli occhi azzurri
annebbiati di un lucido un poco alticcio e la fratta bionda
disordinata e smossa, come pettinata dal cuscino – ed
effettivamente l'idea corrispondeva alla realtà dei fatti –, non
si trovava nelle condizioni più adatte ad attaccar bottone con uno
che magari l'avrebbe preso a pizze anche se fosse stato al massimo
del suo potenziale estetico; ma la filosofia di Naruto era se
non ti piaccio come sono, sei tu che non piaci a me,
dunque la preoccupazione al riguardo era pressoché minima.
Deciso
e brillo – decisamente brillo,
più che altro -, accolse il rumore dello scarico con trepidazione,
per poi ricordare che effettivamente non aveva la più vaga idea di
cosa dire. In passato aveva già fatto la prima mossa con qualche
tipo attraente, gettandosi a corpo libero con risultati alterni, ma
non in un bagno, ecco. Per esempio: a pelle, la domanda “ti
accendo l'asciugamano elettrico?”
non sembrava avere le stesse accattivanti potenzialità di “ti
offro qualcosa da bere?”
Non
ebbe il tempo di rimuginarci adeguatamente su: Tizio era appena
emerso dal suo cubicolo, diretto al lavandino. Quello davanti al
quale stava il nostro dubbioso eroe, stupidamente impalato.
Sotto
la luce chiara del bagno, a Naruto parve che Tizio fosse ancora
meglio che dalla sua risicata angolazione dietro le scapole di
Chouji. Ed era gay, cavolo. Lo era assolutamente. Forse.
Okay,
bastava tentare un approccio amichevole: al massimo, a malincuore,
avrebbe proposto a Tizio di interagire con le sue frizzanti amiche,
sebbene in tal modo avrebbe forse rischiato di instaurare una faida
eterna tra Ino e Sakura.
«Ti
togli?» cominciò però Tizio, prendendo chiaramente a pugni la
parola amichevole e tutti gli annessi lemmi primitivi e derivati col
suo tono monocorde e cupo, non troppo vagamente acido.
«Ah,
sì» emise Naruto, provvedendo a scansarsi contro il muro. «Con
permesso, eh» aggiunse, giusto per puntualizzare: ma puoi anche
essere la Venere di Botticelli. Se sei stronzo sei stronzo, e si
cerca di fartelo presente.
Lo
Stronzo gli rispose con un'occhiataccia strafottente – da stronzo,
appunto – e lavò le mani con comodo, incupendosi un poco quando
scoprì l'assenza del sapone. Naruto se ne rimase lì a guardarlo
passare le mani sotto il getto e, non appena lui lo spense, domandò
candido: «ti accendo l'asciugamano elettrico?» col tono che
chiunque avrebbe adottato per “ti offro qualcosa da bere?” o
anche “ti va di venire a casa mia?”, che poi il novanta percento
dei casi è il sottinteso della seconda domanda.
Tizio
Stronzo parve recepire l'antifona e rimase un momento a guardarlo,
ancora un poco piegato verso il lavabo, le maniche tirate sugli
avambracci.
«No,
faccio a modo mio» rispose telegrafico e tronfio, distraendo Naruto
con un sorriso storto chiaramente malvagio.
E difatti subito dopo le sue mani fradice andarono a strofinarsi
direttamente sull'amata tuta di Naruto, che sgranò gli occhi e
trattenne il fiato, la pancia a contatto con l'acqua gelata.
«Che
cazz- Ma sei scemo?!» riuscì a berciargli dietro, quando Tizio
Stronzo era già in corridoio, davanti alla porta saloon.
«Se
stai zitto va bene, ma se urli mi toccherà lamentarmi per il
servizio, alla cassa» replicò pronto, con quella dannata
espressione altezzosa. Naruto ebbe l'improvviso impeto di fargliela
scivolare via con una capocciata – o un bacio: la parte brilla del
suo cervello stava ancora decidendo se da zitto e fermo, forse da
svenuto?, il Tizio fosse comunque accettabile. Quello in ogni caso
non gliene diede il tempo: mentre lui concludeva l'ultima sillaba di
«stronzo!», unica risposta che gli era parsa opportuna, Tizio era
già filato via, di ritorno nel chiacchiericcio del locale.
Aveva
rinunciato in fretta a cercare di asciugare alla buona la felpa sotto
lo stupido asciugamano elettrico e infine, stizzito, Naruto si era
lasciato la porta del bagno ad ondeggiare nervosa alle spalle, per
poi rimettersi a sedere imbronciato. Fu accolto da un silenzio tronco
di chiacchiere interrotte, finché Sakura non si azzardò a spiargli
in viso, cauta.
«Beh?»
chiese, apprensiva.
«È
gay» sentenziò Naruto, diretto. Kiba fischiò «l'avevo detto!» e
Ino emise un gemito prostrato. «Ed è uno stronzo» chiosò Naruto,
per dare un perché alla mancanza di entusiasmo per quella sicurezza.
Sakura
gli sospirò accanto, battendogli una mano sulla schiena senza
aggiungere altro e intimando a Ino di smetterla di mugugnare affranta
e piuttosto ricordarle gli orari delle lezioni del lunedì seguente,
in un chiaro tentativo di cambiare alla svelta argomento. In breve,
infatti, si ricominciò a blaterare di questioni random e Kiba ebbe
anche il tempo di mettersi a costruire omini con patatine e
stuzzicadenti per far ridere le ragazze, infastidire Shikamaru e
aiutare Chouji con la dieta – a sua insaputa.
Naruto,
però, non riuscì a rallegrarsi del tutto. Era un'impuntatura
stupida, un capriccio non da lui. Insomma , sapeva d'essere un
cocciuto, ma nel perseguire obiettivi concreti, non nell'attaccarsi
ossessivo-morbosamente al faccino gradevole d'un Tizio Stronzo
qualunque. Tizio Stronzo era solo Tizio Stronzo, si disse:
qualificazione per nulla bastevole a giustificare un interesse più
approfondito di dieci minuti; non con una cricca d'amici e una birra
davanti a reclamare la sua completa attenzione.
«Naruto,
guarda!» lo riscosse la voce graffiante di Kiba, brusca. Lui si
voltò a sinistra, staccando di malavoglia le pupille da una nuca
irta di capelli neri e, davanti all'amico con due cannucce ficcate
nel naso, si strozzò di nuovo con la birra.
Ripresosi
– Sakura stavolta si era alzata e gli aveva urlato contro che, se
non la piantava di strozzarsi, con quelle stupide cannucce gli
avrebbe praticato una tracheotomia -, Naruto aveva infine deciso
risolutamente di ignorare quello spillino acuto agli angoli degli
occhi, che finiva sempre per riportare il suo sguardo verso il tavolo
in fondo e così ricominciò a godersi la serata, partecipando
attivamente alla sgangherata proposta di andare al cinema nel fine
settimana seguente, a vedere non si sa quale film dalla trama poco
interessante che però faceva brillare gli occhi ad Ino, Sakura e
persino ad Hinata. Il suo tentativo di convincerle a comprare
piuttosto i biglietti per l'ultimo film d'azione – americanata con
contorno di ninja – fu bocciata senza appello dai ringhi di Ino.
Due
giri di alcol dopo, al momento di pagare, Naruto si sentiva ormai
felicemente brillo e quasi mancò di infilare correttamente in tasca
il suo Gamakichi – il portamonete a forma di rospo – alla cassa;
quantomeno però lui non ridacchiava a voce così acuta come invece
stava facendo Ino da quasi mezz'ora, appesa al braccio di uno
sbuffante Shikamaru – non troppo contrariato, in verità.
«Diograzie
domani è domenica» soffiò Sakura, non appena misero piede fuori
dal locale, nell'aria ancora fredda di aprile. «Se avessimo avuto
lezione Ino si sarebbe addormentata di nuovo sugli appunti» aggiunse
ridacchiando all'indirizzo dell'amica, mentre quella ondeggiava tre
passi più avanti per invitare un imbarazzato Chouji a ballare un
lento sotto il lampione.
Naruto,
che invece aveva appena realizzato come non sentisse freddo perché
la macchia d'acqua lasciatagli dal Tizio Stronzo si era ormai
asciugata da un bel pezzo, l'ascoltò con poca attenzione,
arricciando il naso all'odore ora un po' sgradevole di birra e legno
umido proveniente dall'Irish pub.
«Gente,
credo sia il caso di portare Ino a casa» concluse Shikamaru,
annuendo convinto accanto a Naruto, mentre Kiba rideva a crepapelle
per la danza improvvisata dalla bionda fanciulla – che sapeva
essere bella e divertente anche mezza ciucca, come chiaramente
testimoniava l'espressione di Shikamaru, impegnato a guardarsela
trasognato.
Naruto
gli batté d'istinto una pacca sulla schiena senza misurare per
niente la forza, tanto che il genio andò diretto tra le braccia
dell'Ino danzante: lei l'accolse per coinvolgerlo in un ardito
waltzer.
«Sì,
meglio andare» commentò Hinata compita, avvertendo poi Kiba che,
anche se gli scappava – come lui aveva già comunicato al vicinato
con voce troppo alta – sarebbe stato più opportuno aspettare di
arrivare a casa.
Con
un ultimo congedo durato altri venti minuti – frammezzati dal volo
di una scarpetta nella fontana della piazzola – Naruto, che abitava
a meno di cento metri in una strada a senso unico e divieto per i non
residenti, rimase a guardare gli amici che si sistemavano in auto
inscatolati in maniera da infrangere un paio di norme della strada:
Ino a piedi nudi stretta tra Sakura e Kiba, con Hinata appollaiata
sulle sue ginocchia; Chouji nel sedile anteriore, in compagnia delle
scarpe di Ino - una delle quali bagnata come il suo braccio destro
fino al gomito - e alla guida il sobrio Nara, proprietario della
povera vettura. Naruto aveva già levato una mano sorridendo contro
il vetro, quando Sakura quel vetro cominciò a colpirlo a pugni.
«Girati,
girati!» sillabò, le labbra quasi coperte dal suo stesso
fiato condensato, tanto che per un momento Naruto captò un «gelati!
Gelati!» che aveva ben poco senso, così salutò con la mano
ricambiato dal braccio di Shikamaru fuori dal finestrino e attese che
la vecchia carrozzeria fosse sparita dietro l'angolo, prima di
voltarsi davvero.
Dietro di lui non v'era traccia di gelati: solo un ghiacciolo con i
suoi occhi bui e la sua faccia da schiaffi che parlava coi tre
compari, appena fuori dal pub. Naruto rimase un attimo come un pesce
lesso, bagnato di grazia discendente dal lampione sulla sua testa;
stette in silenzio per un lungo momento, perso, e si riebbe solo
quando, dopo aver spento un mozzicone contro la suola, il ragazzo dai
capelli azzurri si voltò proprio verso di lui, lanciandogli
un'occhiata di indecifrabile divertimento; poi la fanciulla dovette
decidere che si era fatto tardi, perché gli arpionò un bracciò e
prese a tirarselo dietro con falcate da corridora, subito tallonata
dal ragazzone nerboruto. Invece, con sommo smarrimento di Naruto,
Tizio Stronzo, rimasto solo, accennò qualche passo nella sua
direzione, mani nelle tasche e l'atteggiamento di chi si crede il
padrone dei metri di strada su cui cammina.
Fanculo,
pensò il cervello di Naruto, preciso come una stilettata: fanculo,
il suo istinto non sbagliava mai.
«Finito
il turno?» domandò Tizio Stronzo, quando fu finalmente a portata di
orecchio, in un tono non studiatamente casuale, ma casualmente
studiato. Qualunque cosa volesse dire nella sua testa ciucca.
«Il
turno di che?» si riprese Naruto, decidendo d'uscire dal cono di
luce quantomeno per smetterla di sembrare un tutt'uno con la
lampadina ed il suo arancione diffuso.
Lui,
Tizio Stronzo, si mise a guardare con estremo interesse – e quindi
all'unico scopo di mostrare assoluto spregio nei suoi confronti,
almeno a sensazione di Naruto – il lampione in fondo alla strada e
l'insegna di una macelleria chiusa.
«Il
turno di addetto agli asciugamani elettrici» propose, dando l'idea
di stare realmente ponderando la questione, tanto che Naruto ci mise
due secondi in più del dovuto per capire che, semplicemente, lo
stava prendendo per i fondelli.
«Ma
sei uno stronzo laureato!» sbottò, davanti alla sua faccia di
cazzo; faccia di cazzo da stronzo laureato, e stupido lui, che si
faceva abbindolare sempre da questi soggetti impossibili: non a caso,
la sua ultima storia semiseria l'aveva avuta con un monolito privo
d'ironia, snob e rompicoglioni – il cugino di Hinata, tra l'altro.
Ci cascava sempre, con quegli esemplari lì.
«Non
ancora» ribatté l'esemplare, criptico come stesse seguendo un
ragionamento tutto suo. O più probabilmente cercava solo di
mostrarsi in posizione di vantaggio puntando sul metodo io ne so
di più. Non si sa di chi o che cosa, ma produceva comunque un
qualche effetto sull'interlocutore, tranne su quelli più svegli. E
Naruto si sentiva sveglio.
«Okay,
come ti pare» si decise infatti, scoraggiato. Non aveva voglia di
stare lì a farsi tirare scemo da un perfetto sconosciuto,
sinceramente. Anche se il suo intuito ancora scampanellava, tirando
nel senso opposto – dopotutto si era fermato, lo Stronzo, a parlare
proprio con lui – il buonsenso di cui comunque era provvisto in
maniera moderata, gli aveva ricordato che starsene in una strada
semideserta in compagnia di un individuo alticcio, a guardare
l'insegna di una macelleria in piedi sotto un lampione, non rientrava
tra i suoi interessi. Così insaccò le mani nelle tasche della tuta
pronto a voltarsi e mollarlo lì, davanti alla sua stupida macelleria
a fissare la sua stupida insegna con i suoi stupidi occhi
meravigliosamente neri; forse fu proprio a causa di quell'ultima,
sconsolata constatazione che l'istinto ebbe nuovamente la meglio,
spingendolo almeno a voltarsi di mezzo grado per annunciare: «me ne
torno a casa», in un tono spavaldo che invece per qualche ragione
gli uscì mogio.
Il
Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un
secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le
spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma
sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena
d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un
tombino.
«Ehi,
senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per
aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che
problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora
impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e
l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica
facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio.
Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore,
mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille»
snocciolò, logico e seccato.
Naruto
esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto,
stordito.
Eppure,
a scapito delle apparenze, il suo cervello non aveva rallentato
affatto, tutt'altro: era partito ronzando come una motoretta,
raccogliendosi avido il sangue e provocandogli in tal modo un
colorito poco sano, alla Hinata nei momenti di timidezza acuta –
molti momenti.
Il
nostro biondo eroe aveva infatti realizzato ben due cose: primo,
faceva schifo a pedinare, spiare o anche solo osservare la gente
senza farsi scoprire – un imbranato totale, insomma. Non avrebbe
mai potuto fare il ninja, e non solo per colpa della tuta arancione
-; secondo, Tizio Stronzo, quello stronzo stronzo, quello che aveva
spiato di sottecchi per due ore come fosse una ciotola fumante di
ramen – preferiva il ramen, al gelato -, quello che aveva
goffamente pedinato in bagno, non voleva denunciarlo per stalking,
bensì stava dimostrando d'essere interessato. Certo, nel modo
sbagliato, con una goffaggine ruvida da grizzly claudicante, che
cozzava terribilmente con la prima impressione che Naruto ne aveva
avuto – quella di una persona perfettamente consapevole di sé -,
ma ciò non toglieva che fosse interessato, e interessato a lui.
Ora,
Uzumaki Naruto - ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale
con una botta di colpo di fulmine incomprensibilmente ricambiata dal
Tizio Stronzo del tavolo accanto, nuovo fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku Ramen –, si sarà capito, era
un sognatore. Uno di quagli esemplari umani che si gettano a
capofitto seguendo l'istinto, il cuore o come lo si vuole chiamare –
sì, anche il pene, in determinati casi, ma sempre con l'ausilio
degli altri due. Il sogno nel cassetto di Uzumaki Naruto era scalare
l'Everest, per esempio: era un visionario; anche un po' tocco a detta
di alcuni, semplicemente un idiota a detta di molti altri, ma Naruto
aveva sempre dato poco credito agli altri. Altri - misteriosa
entità dotata di cento occhi e mille bocche - avrebbe senza dubbio
disapprovato la sua mossa seguente, per esempio. Ridacchiare, prima
d'ogni altra cosa, come uno scemo con le braccia incrociate dietro la
nuca, in piedi ad ancora a dieci metri dal Tizio, che gli aveva
scoccato un'occhiata a metà tra l'omicida, il truce e forse un vago
disagio sospeso d'attesa, incertezza di un rifiuto dopo aver mostrato
tanto il fianco – grizzly in zona di caccia.
«Dove
abiti?» aveva chiesto subito dopo Naruto, brillante di nuova verve
nonostante il sano imbarazzo della
situazione.
L'altro
l'aveva guardato, altezzoso.
«Non
è la domanda corretta».
Saccente
del cazzo. Naruto si era avvicinato a gran passi per poi fermarglisi
davanti, i piedi ben piantati in terra.
«E
qual è la domanda corretta, sentiamo?»
Tizio,
braccia conserte e aura di inscalfibile superiorità perfettamente
riabilitata, non si era scomposto.
«Se
ci arrivi da solo, la mia risposta potrebbe essere un sì» suggerì,
magnanimo, prima di chiarire: «un aiutino: non è “ti accendo
l'asciugamano elettrico?”», con scherno palese.
Il
sorriso di Naruto non si incrinò; anzi, crebbe in larghezza e
intensità luminosa.
«Io
sto a cento metri» cominciò il suo istinto per lui, basso e
congestionato. «Ti va di venire a casa mia?»
E
Tizio Stronzo lo tenne sospeso, sadico e, appunto, stronzo. Poi
regalò alla notte il suo mezzo ghigno storto, con una soddisfazione
da maestro elementare davanti ad un pargolo volenteroso ma tardo.
«Questa»
sancì pomposo,
«è la
domanda giusta».
Mezzo
secondo dopo, al diavolo la ragionevolezza, Naruto se lo stava
tirando dietro fino in fondo alla strada, ruggendo a volo sul
lastricato.
Sas'ke.
Tizio Stronzo non era Tizio Stronzo, ma Sasuke.
Naruto
l'aveva chiesto quando già si erano baciati una volta, rischiando di
inciampare in un idrante, e Sasuke gli aveva borbottato la risposta
tra i capelli, composto quanto può essere composto qualcuno che,
brillo, si sta esibendo in una frettolosa pomiciata dinamica alle due
di notte in una strada pubblica in compagnia di un tale d'arancio
vestito.
«Naruto
Uzumaki» aveva invece decretato Sasuke stesso, quando la performance
era proseguita fino al portone del suddetto: il nome svettava
inconfondibile sul citofono, proprio accanto alla sua nuca. Era
l'unica targhetta arancione acceso, penultimo piano. Sette rampe di
scale.
«Niente
ascensore» si era scusato Naruto in fretta, dopo essersi chiuso il
portone alle spalle con poco garbo per l'ora tarda, le mani impegnate
a guadagnarsi centimetri di pelle di Sasuke come se le dita,
ubriache, stessero facendo tra loro un qualche genere di gara. Lui,
contrariato già al primo gradino, gli aveva arpionato i capelli per
sibilargli «lo sapevo che eri una piaga sociale», senza però
smettere di salirle, quelle scale, o anche smettere di baciarlo,
riuscendo in tal modo nell'impresa di conficcarsi il corrimano nel
fianco per quasi tre metri di salita.
Gli
intermezzi pomicianti raddoppiarono inevitabilmente il tempo medio
del percorso, sicché a metà della quinta rampa la luce li abbandonò
di colpo e li costrinse a procedere a tentoni sui gradini.
Naruto
si beccò una gomitata e svariati insulti, utilizzati da Sasuke come
espressione del suo disappunto per i piedi pestati: purtroppo era un
po' instabile sulle ginocchia e tra l'altro il sangue stava
cominciando a defluire felicemente dal luogo adibito alla
coordinazione alle zone erogene, condizioni che conferivano innegabile
complessità anche ad un'operazione semplice come
raggiungere l'interruttore della luce. Non a caso, prima di riuscire
davvero a premere l'indice sul fioco puntolino luminoso sospeso nel
buio, il nostro eroe si occupò di far cadere Sasuke – almeno così
sostenne lui, incolpandolo assieme ai suoi avi d'essere un totale
mentecatto – e di seguirlo l'istante dopo, inciampandogli sulla
schiena. Il risultato fu almeno quello di zittire i rimbrotti di
Sasuke stesso, ma di certo non quello di facilitare l'ascesa.
In
breve: raggiunsero il pianerottolo giusto in condizioni non
esattamente ottimali – due reduci di un pentathlon, praticamente -,
tanto che Naruto, a giudicare dallo sguardo torvo dell'altro, temette
per un momento che gli sarebbe andata in bianco con contorno di
cazzotto. Non che le scale fossero colpa sua, così come non lo era
il timer della luce a tempo, ma Sasuke pareva esattamente il genere
di persona che, di fronte all'imprevisto, smonta il calendario con
metodica furia e scarica i nervi su un raggio d'azione di cento metri
a partire dal punto in cui si trova.
Per
questo, anche una volta assicuratosi d'essere più o meno sano e
salvo davanti al portone, Naruto si fece un attimo prendere dalla
foga.
«Chiavi!»
berciò e nella furia di svuotare le tasche per poco non si fece
sgusciare via dalle dita sia quelle – in compagnia dell'opinabile
portachiavi a forma di girino dagli occhi fluorescenti – che il
portafogli.
«Non
dirlo con la stessa urgenza con cui diresti “preservativo”»
brontolò Sasuke, nonostante tutto ancora appiccicato a lui; Naruto
per poco non lo stese con una gomitata, mentre armeggiava ostinato
sulla vecchia serratura. Sgranò gli occhi insieme al clack
sonoro del metallo.
«Oddio,
mica lo so dove li ho messi!»
Sasuke
soffiò via una ciocca con spregio e superiorità, sfoderandone come
se qualcuno gli avesse chiesto in prestito una penna. O anche una
spada laser.
«Li
tieni in tasca? Sei un sessuomane?»
«Preferisco
definirmi previdente».
E
forse fu perché lo disse adottando il tono di qualcuno che fosse
davvero convinto di sembrare molto più previdente che sessuomane,
saldo nella stima di sé; o forse perché semplicemente aveva gli
occhi neri lucidi sotto le sopracciglia dritte su quella faccia da
testate e schiaffoni, che Naruto decise di non avere voglia di
ribattere – oltretutto quello lì, ne era certo, gli avrebbe
rigirato la frittata pontificando a pene di segugio solo per
dimostrare d'avere ragione, come se qualcuno provasse il minimo
interesse al riguardo.
Scelse
quindi di tornare a respirargli in bocca e accolse elettrico le sue
mani addosso – quelle mani da stronzo faccia di merda che lui s'era
asciugato sulla stessa felpa che adesso stava cercando di tirare via.
Naruto lo aiutò non appena fu riuscito a chiudersi la porta alle
spalle, troppo preso dalle dita fredde e dalla bocca calda di Sasuke
per curarsi d'aver probabilmente svegliato la vecchia Chiyo,
l'adorabile nonnina moralista dell'appartamento adiacente, che andava
a dormire alle otto di sera unicamente per il sadico gusto di
destarsi a mezzanotte e lamentarsi dei rumori nel vicinato fino
all'alba. E comunque neanche il rugoso pensiero della vecchia Chiyo
in vestaglia e ciabatte di feltro riuscì a spegnere le braci accese
nel suo stomaco.
«Stanza...
da letto» finì a mugugnare, masticando capelli neri e seminando
capi di vestiario come molliche di pane. «Non hai pure il
lubrificante, in tasca, vero?»
«Sono
solo previdente, mica sessuomane» ne approfittò per confutare
Sasuke, altrettanto svestito a chiazze, per poi spalmarlo contro un
settimino e tirarsi dietro una lampada. Che tra l'altro cadde in
terra scatenando le ire del cagnetto idrofobo al piano di sotto.
Raggiunta
la camera da letto – situata lì vicino, solo che se ci arrivi
rimbalzando a zig zag come una mosca ubriaca il percorso triplica -,
non c'era più molto da svestire: stupido e felice come un bambino,
Naruto si godette la vista del suo Tizio Stronzo ora congruamente
nudo – naturalmente per via della giustizia karmica.
Sasuke
pareva persino meno stronzo, da nudo, specialmente distratto com'era
ad esplorarlo a sua volta con contenuto interesse quasi scientifico,
passata la foga alcolica della scalata al condominio. Quando si
ritrovarono ad indugiare un attimo, testa a testa, Sasuke finì per
alzare gli occhi al cielo nella riuscita versione d'uno Shikamaru
meno bonario e dieci volte più snob.
«Visto
che tu hai messo la casa, suppongo di poter offrire...» accennò,
vago, maestosamente stravaccato contro il materasso cedevole, troppo
in basso perché i polpacci non penzolassero fuori. A Naruto
brillarono gli occhi.
Mai
fatto tanto sesso tutto insieme. Seriamente: la situazione era a metà
tra la peggiore romanticheria da ho incontrato la mia anima
gemella, la metà della mia mela, il pezzo mancante del
puzzle, la chiave della mia serratura e la serratura della
mia chiave, e per una buona, sostanziosa metà, un testa a testa
allo scontro finale di tutti i film d'azione, quello col protagonista
che fronteggia il suo arcinemico in piedi su una scogliera, col vento
tra i capelli e l'aria densa di ideali contrastanti che frizionano
l'un sull'altro producendo elettricità bastevole a fornire
illuminazione annua per un piccolo centro abitato. Oppure era che
Sasuke aveva la testa dura come il marmo, Naruto non era da meno e
più che concentrarsi nell'amplesso facevano rissa trattandosi come
nemici mortali, piuttosto che come amanti. Di amorevole c'era solo la
vicendevole ostinazione a rimanere addossati a tutti i costi con la
maggiore porzione possibile d'epidermide a contatto.
Per
il secondo round era comparso un giaciglio supplementare sul
pavimento - creato quando Naruto aveva cercato di strangolare Sasuke
perché la smettesse di prendere in giro la sua sveglia a forma di
rospo, ottenendo solo di finire ribaltato giù in compagnia di
cuscini e lenzuolo -; al terzo, cui era seguita una pausa durante la
quale il fiato era stato finalmente disperso nell'aria, piuttosto che
in una bocca, Sasuke aveva avuto la malaugurata idea di alzarsi in
piedi per ritornare sul materasso. In felice conseguenza di ciò,
Naruto aveva deciso di dimostrare la sua opposizione afferrandogli un
piede, e se l'era fatto cadere addosso. Vittime: l'abat-jour
disarcionata con un braccio e il muro nel punto in cui Sasuke aveva
dato una craniata così forte da far tremare i doppivetri della
finestra.
Al
che, Naruto era stato in dubbio se portarlo in ospedale –
d'accordo, Sasuke, non il muro: il muro nonostante tutto stava bene
-, ma l'affettuoso amante aveva ripagato la sua preoccupazione
picchiandolo col tubetto del Lasonil e atterrandolo sul
pavimento del bagno.
Consumato
l'ennesimo coito, forti della loro gioventù – avrebbe detto il
buon vecchio insegnante di educazione fisica di Naruto, Gai sensei -
avevano cercato di proseguire nell'epopea, incuranti delle
interruzioni dovute, di volta in volta, al cane isterico dei vicini e
alla voce della vecchia Chiyo, che ogni tot si esibiva in gracchianti
segnali orari. Alla fine, quando anche Naruto aveva sbadatamente
assestato una capocciata tellurica contro la testiera del letto e
Sasuke aveva preso col piede la sveglia sul comodino – che aveva
dunque ritenuto opportuno gracidare a squarciagola “sono le
tre-e-trentasette-minuti”, mentre si sfracellava in terra - si
era presentata la nonnina in persona, dito al campanello: Naruto le
aveva aperto in pantaloni, senza mutande – disperse – e con
indosso la maglietta di Sasuke alla rovescia. L'anziana, sveglissima
e incazzata, i capelli grigi a penzolarle flosci attorno al viso,
l'aveva squadrato come si guarderebbe la foto segnaletica di un
pluriomicida.
«Mi
dispiace moltissimo, Chiyo san» aveva deglutito Naruto – ed era
sincero, davvero. Solo che, diavolo, se la vecchia avesse avuto
ventiquattro anni ed un Sasuke nudo a disposizione, anche lei avrebbe
faticato a contenere gli entusiasmi.
«Sono
le quattro, razza di teppista! Le quattro! Si può sapere che
accidenti-» ma non aveva avuto il tempo di profondersi nella sua –
obiettivamente sensata, giusto un poco logorroica – paternale
nonnista sulla corruzione della gioventù odierna, sulla guerra,
sulla sua artrite e sul valore del silenzio. E non perché non ne
avesse una pronta – ne aveva sempre una pronta, probabilmente
teneva i fogli del discorso nella tasca della vestaglia -, ma
perché, in quel momento, i suoi occhi si erano spostati
dall'espressione contrita di Naruto oltre la sua spalla, all'interno
della casa: lì dove era appena spuntato Sasuke, spettinato e fiero
della sua nudità drappeggiata dietro al lenzuolo avvoltolato a mo'
di toga. Giratosi per seguire gli occhi della donna, Naruto aveva
percorso con le pupille le pieghe morbide della stoffa solo affinché
il suo cervello, del tutto autonomamente, decidesse che la prima cosa
da fare, una volta chiusa la porta, sarebbe stato appallottolare
lenzuolo e Sasuke e ributtarli entrambi sul letto – ma anche lì in
soggiorno, sul divano arancione – per ricominciare tutto da capo.
«Io»
aveva cominciato, la gola secca, senza riuscire a staccare del tutto
gli occhi per riportarli sul viso della simpatica vecchina –
altrettanto folgorata. «Le prometto che farò, faremo...» e il
doveroso, sensato più piano si era perso dietro il battente
della porta.
L'istante
dopo Naruto, giusto per contraddirsi subito, aveva urlato allegro
«Sas'keeeh», planandogli contro a peso morto e costringendo
entrambi a ruzzolare al contrario sul divano, gambe all'aria.
Sia
l'usuratonkachi di protesta sia la bussata furibonda della
vecchia Chiyo erano poi finite felicemente risucchiate in un angolino
del cervello di Naruto, innocue e distanti.
Tornarono
più tardi, assieme all'effettiva stanchezza e ad una vaga cefalea
alcolica, solo dopo la decisione tacita di trascinarsi sul letto ed
usarlo per dormire, stavolta.
Ma,
sinceramente, anche consapevole di doversi dare una calmata ed
evitare così la denuncia per schiamazzi notturni, Naruto era ancora
un po' troppo elettrizzato, stanchissimo ma incapace di abbandonarsi
davvero al sonno; anche per questo fu contento d'aver dimenticato le
imposte aperte, così da potersi godere l'alba che iniziava a
violeggiare
a sprazzi
tra i profili netti dei palazzi ancora ombrosi. Dovevano essere quasi
le cinque: i colombi cominciarono a tubare come ossessi, in un modo
che gli provocò sincere risate.
«Cazzo
ridi?» biascicò Sasuke, pigramente abbandonato contro il suo fianco
sghignazzante, indifferente all'aurora e all'avere un piede fuori dal
materasso.
«I
piccioni, li trovo buffi» spiegò Naruto senza impegno, sospirando
in uno sbadiglio ampio; per qualche ragione al suo braccio scattò,
illogica, l'irrefrenabile voglia di accarezzare distrattamente la
schiena di Sasuke, provvidenzialmente a portata di zampa - si era
trascinato uno sconosciuto a casa seguendo tutt'altro che il
cervello, sarebbe stato poco democratico da parte sua opporsi al
volere imperioso di un arto qualsiasi. Lui, lo sconosciuto, apprezzò
calando le palpebre sugli occhi e sbadigliando a sua volta, senza
però rinunciare a borbottargli un ruvido «idiota», in un
biascichio assonnato. Poi si mise a russare come una motoretta e alle
orecchie – perse, si era completamente perso – di Naruto, quel
ronzio nasale parve un concerto di melodiose fusa. Scoppiò a ridere
da solo, perché se cominciava a concepire pensieri del genere
significava proprio essersi rimbecillito del tutto, e Sasuke espresse
il suo disappunto – forse il suo accordo con l'ultima
considerazione, in verità - tirandogli una dolorosa manata
sonnambula, prima di ribaltarsi un paio di volte in cerca di una
posizione comoda. Poi anche Naruto si arrese al sonno.
Al
diavolo la gloria dell'alba: avrebbe dovuto chiuderle, quelle stupide
imposte.
«Ngh»
concordò una voce soffocata, dal materasso.
Naruto
non si mosse, gli occhi ancora cocciutamente chiusi nonostante fosse
chiaro, anche da dietro le palpebre, che il sole fosse sorto da un
pezzo e direttamente sulla sua faccia. Trasse un sospiro affaticato e
il diaframma gli si incagliò su un peso morbido, annidato tiepido
sullo stomaco. Decise di aprire gli occhi.
Sul
soffitto, il lampadario spento gli risultò un poco annebbiato, perso
tra i fasci luminosi di pulviscolo svolazzante, finché non decise di
sollevare un braccio per stropicciarsi la faccia; ci riuscì solo al
secondo tentativo, quando finalmente indovinò dei due quello non
sepolto vivo da Sasuke, che stava tranquillamente dormendo sul
sinistro.
«Quindi
non sei scappato» commentò Naruto contento a voce alta, mentre si
sforzava di ricostruire i particolari di un sogno nebuloso in cui aveva
dovuto
inseguire un barile correndo a perdifiato in una foresta, neanche
stesse giocando a Donkey Kong; la cosa buffa è che, nell'illogica
logica del mondo onirico, per qualche ragione era arcisicuro che
dentro il barile ci fosse Sasuke, strisciato via nottetempo dalla
finestra di camera sua.
«Non
te la squagli mica se vado al bagno, vero?» proseguì secondo lo
stesso ordine di pensieri – curandosi pudicamente di emendare la
parte sul barile -, mentre cercava un poco a malincuore di liberarsi
il torace dal peso di un braccio senza svegliarne il proprietario;
Sasuke doveva averglielo schiaffato sopra nel sonno, non si sa se in
cerca di calore umano o solo per un impeto di territorialità sul
materasso. Dopotutto era un singolo: non è che ci fosse molto
spazio.
Naruto
risolse ammettendo con pacatezza che, quale che fosse la verità, era
contento: non dormiva con qualcuno da diverso tempo e in ogni caso
svegliarsi appiccicato ad un Sasuke non era niente male. L'avrebbe
dovuto dire a Sakura, a proposito.
Si
lasciò scivolare giù rotolando con un cigolio di molle e
carambolando direttamente faccia a terra.
«Ahia»
respirò, la guancia contro il pavimento freddo – freddissimo se
confrontato al corpo caldo che aveva appena lasciato a russare mezzo
metro più su. Prima di trovare la forza di alzarsi, cominciò a
tastare in giro, ventre a terra come una foca spiaggiata. Beccò un
lembo del lenzuolo, una delle sue scarpe, le mutande di Sasuke e la
sveglia, così decise che era necessario lasciar perdere i detriti e
raccogliere piuttosto la sua forza di volontà: la concentro nelle
braccia, per riuscire almeno a mettersi gattoni. Da lì, con un
sonoro sbadiglio e scompigliandosi capelli degni di un'esposizione
alla GNAM, trascinò i piedi fino al bagno, per svuotare la vescica.
Cominciò anche a brontolargli vigorosamente lo stomaco, ma ritenne
fosse più opportuno darsi un contegno, prima di andare a svaligiare
il frigorifero.
Tornò
quindi nella stanza, a passo felpato per non svegliare il Sasuke
dormiente – senza di lui, piuttosto che spaparanzarsi come sarebbe
stato logico, quello si era accartocciato sghembo come un origami
malfatto, impegnato ad arricciare il naso ad ogni respiro per via di
capelli ammutinati che gli penzolavano sul viso. Si diresse
direttamente al cassetto delle mutande e ci affondò la mano dentro
alla disperata ricerca di qualcosa di sobrio; purtroppo il paio più
sobrio che
avesse vantava spirali arancioni su fondo verde ed era già stato
disperso da qualche parte nella stanza, così si rassegnò a
indossarne di gialle a fantasia di ranocchie. Era domenica e,
ottimisticamente parlando, avrebbe forse avuto l'occasione di
togliersele in fretta, sempre che Sasuke non avesse altro da fare.
Naruto
ne studiò il profilo mentre pescava dei calzoncini da basket che non
ricordava di avere – sovrapporre arancione acceso a giallo e
ranocchie avrebbe causato epilessia anche ad una persona
perfettamente sana, ma lui non se ne curò – e, complice la buona
disposizione d'animo nei confronti del nuovo giorno, si ritrovò a
constatare nuovamente, con maggiore intensità della sera prima,
quanto Sasuke fosse irrimediabilmente attraente, persino ammucchiato
sul materasso a quel modo, non troppo dissimile dal cumulo di
lenzuola stropicciate che giaceva invece per metà sul pavimento, in
compagnia di un cuscino.
Chissà
se l'attraente sarebbe rimasto per colazione: magari aveva
davvero cavoli suoi da fare la domenica, magari una famiglia, di
quelle che fanno i pranzi collettivi tutti i fine settimana. Naruto
aggrottò le sopracciglia, corrucciato.
«Uffa»
sbuffò ad alta voce, ad esprimere disappunto per quell'ipotetica
famiglia numerosa che lo avrebbe privato del suo Tizio Stronzo
pescato al pub. Poteva essere un po' egoista, no? Poteva tenersi un
Sasuke per un giorno, visto che ormai l'aveva messo nel carrello: poi
l'avrebbe riportato al suo pranzo di famiglia, senza dubbio.
Riconsegnato intatto alle cure d'una madre dai bei capelli lunghi e
neri e dal viso dolce, ad un padre di quelli che leggono sempre il
giornale davanti al tavolo – rigorosamente la pagina economica:
Naruto non aveva mai capito bene cosa ci fosse scritto, ma sembrava
una roba da padri – e al suo, boh? magari un fratello – o più
d'uno: fratelli posati e diligenti dai capelli neri che sorbivano tè
con calma e discorrevano pacatamente col padre-giornale sulle ultime
oscillazioni della Borsa – ma la borsa di chi, poi? Sakura metteva
un sacco di cose, in borsa. Oh, e un nonno! Tutte le famiglie
numerose hanno un nonno: magari uno un po' rimbambito che inizia ogni
frase con “ai miei tempi...!” finendo per blaterare inascoltato
di avvenimenti anacronistici mescolati a vecchie pellicole di guerra.
Non
aveva pensato ad alta voce, ne era certo, ma in compenso aveva
sbuffato e tamburellato con le dita sulla scrivania, facendo casino –
cosa che gli veniva in verità assai bene - ed
era stato così preso da quelle elucubrazioni che, anche se non gli
aveva staccato un minuto gli occhi di dosso, sussultò quando si
accorse che Sasuke si stava muovendo – e non per sonnambulismo.
«Buondì»
esordì il nostro sessualmente appagato eroe, grattandosi il naso prima
di incrociare le braccia
dietro la nuca e sorridere a vanvera. Sasuke parve tentare di
inquadrarlo con gli occhi annebbiati e, piuttosto che rispondere al
saluto, si prese tempo per sbadigliare, la faccia nascosta sotto il
braccio.
L'ospite
arancione non se ne crucciò, decidendo piuttosto di sollevare la
sveglia e riporla sul comodino: il rospo faceva le tre e trentasette.
«Anche
se sarebbe meglio buon pomeriggio, vista l'ora. Fame?» domandò poi,
lasciandosi ricadere sul letto. Sasuke rimbalzò un po' sul materasso
all'impatto, ma non si mosse per diversi altri secondi. Naruto finì
quasi per impensierirsi: tra i capelli scompigliati, sulla nuca, era
quasi visibile il grosso bernoccolo della capocciata carpiata. Magari
era svenuto.
«Sei
vivo... ?» domandò, con qualche grammo d'apprensione aggrovigliata
nello stomaco; indeciso, si tirò seduto per guardare Sasuke
dall'alto. «Stronzo? Sei in coma?»
«Quanto-»
ribatté quello, la voce soffocata dal materasso, senza muoversi d'un
millimetro. Naruto ebbe giusto il tempo di sgranare gli occhi tra
sollievo e sorpresa, prima di ritrovarsi schiena sul materasso, la
testa a penzolare fuori assieme a tutto il collo; «parli,
usuratonkachi» sillabarono le labbra di Sasuke ad un palmo dal naso,
prima che il loro proprietario gli assestasse una capocciata lieve,
ma abbastanza dolorosa per qualcuno col collo sospeso ad un metro da
terra.
«Non
si sveglia così, la gente» continuò a brontolare lo psicolabile –
ecco, stronzo e pure psicolabile. E non si poteva neppure dire che si
fosse alzato col piede sbagliato dato che, per gli dei, non aveva
ancora messo a terra neanche l'alluce.
«Ahia,
bastardo!» reagì Naruto, rischiando di capitombolare giù di testa.
Si agitò arrotolandosi su se stesso, goffo e impacciato, solo per
trovare - una volta ripristinata una più comoda posizione coi gomiti
puntellati sul materasso - Sasuke che, seduto a gambe incrociate con
la fierezza di un capo indiano, lo squadrava con un'espressione
terribilmente simile a sprezzante compassione per la sua
inettitudine.
«Lo
sai cosa?» gli ringhiò Naruto, dopo essersi portato in ginocchio con un
ruggito e avergli puntato un dito in mezzo agli occhi. «Io me ne frego
del tuo pranzo di famiglia!»
Sasuke
ebbe giusto un momento per aggrottare le sopracciglia,
ragionevolmente perplesso, che si ritrovò buttato giù dal letto, in
un arrovellamento mortale. Fortunatamente per lui, il lubrificante
era a portata di mano.
«Adesso
ho fame» sentenziò infine Sasuke, e il suo stomaco brontolò.
Naruto lo sentì chiaro e forte tremolare nella testa che ci teneva
poggiata su, ad impedire diverse funzioni vitali.
«Ti
levi» domandò. Ordinò, in verità, data l'assenza di
qualunque tono interrogativo.
«Sto
comodo» rimbeccò Naruto, assestandogli un colpo di nuca come a
volerlo sprimacciare; fece appena in tempo a sbadigliare con
soddisfazione, ridacchiando, che dall'alto si vide piombare in faccia
la mano dell'altro. Incrociò gli occhi per seguirne le dita che
affondavano nei suoi capelli.
«To-gli-ti»
sillabò lo psicolabile, e ad ogni sillaba strattonò forte le ciocche
bionde per
sollevargli tutta la testa.
«Ahia-ahia-stronzo»
accusò Naruto, imbronciandosi. «Guarda che fai male, sei una
merda!».
«Ho
fame» ripeté quello, noncurante, la voce più chiara ora che aveva
lo stomaco libero.
Naruto
ringhiò al cielo, per poi trarsi in piedi indolenzito.
«Ho
capito, ho capito!» si stiracchiò, prima di offrire una mano
all'individuo più insopportabile del pianeta, ancora dignitosamente
steso in terra.
Lui
la studiò per un lungo momento, titubante,
e Naruto dovette fare forza su di sé per non utilizzare il
vantaggio: fosse stato una persona cattiva, e un judoka, come minimo
l'avrebbe ribaltato.
Invece
la fame e il suo essere un luminoso amante di tutto il creato –
anche dei Tizi Stronzi e Psicolabili Pescati in un Pub la Sera
Prima – lo spinsero a sorridere come un ebete e tirarsi dietro
dita, mano e tutto l'intero corpo assonnato di Sasuke, che lo seguì
incredibilmente docile, opponendosi giusto il tempo di cercare le sue
mutande perché mai, mai e poi mai avrebbe accettato di mettersene un
paio di Naruto – quando lui fece per proporlo, lo gelò sul posto
con un'occhiata da pazzo omicida.
Da
lì, raggiunta la cucina, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo,
arancione, omosessuale sessualmente appagato e un po' in imbarazzo
dall'avere Tizio Stronzo a gironzolare in mutande nel suo
appartamento, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku
Ramen per la prima volta in vita si rammaricò d'essere un
individuo disorganizzato a livelli patologici, abituato a vivere alla
giornata come un randagio e privo di creanza, per usare le
parole dolci di Sakura.
«Che
palle, ero sicuro d'aver fatto la spesa...» brontolò, la testa e un
braccio ficcati per intero in uno stipetto. Tastò indeciso con la
mano, la fronte corrugata. Schivò il caffè, si fece quasi cadere in
testa un pacco di cereali e tirò fuori un barattolo di cetriolini
sottolio studiandoselo un momento con espressione allucinata.
«Devo
morire di fame?» mugugnò la voce di Sasuke, da dietro. Naruto
sollevò lo sguardo dalla data di scadenza dei cetriolini –
cetriolini del secolo scorso – e aggrottò le sopracciglia davanti
alla figura dell'altro, seduto al tavolo col mento sulle braccia
conserte, a guardarlo da sotto in su con espressione contrariata.
«Non
è che ti stai proprio rendendo utilissimo, eh» sbottò. Gettò i
cetriolini da una parte e arraffò una sedia, per
esplorare la credenza da una posizione sopraelevata.
«Non
è possibile che non ci sia niente, deve esserci almeno del ramen!»
riprese a confabulare tra sé, il suo cervello e la sua mano in
modalità esplorativa, impegnato ad ignorare lo sbuffo scocciato del
suo ospite. E, siccome l'aveva invocato – lui sapeva sempre
quando era in difficoltà – il ramen si palesò in tutto il suo
splendore: due confezioni ammaccate spinte sul fondo e risalenti a
qualcosa come il decennio passato. Naruto le afferrò con uno
strilletto di gioia, voltandosi poi per sventolarle trionfante. Nel
processo rischiò anche di capitombolare giù dalla sedia, ma infine
scese indenne con un balzello, atterrando agile come uno zoppo e
radioso come una giovane sposa.
«Ti
piace il ramen? Va bene alla soia?» sorrise, mentre già aveva spinto
cavallerescamente la confezione meno ammaccata fin sotto il naso di
Sasuke, che ne seguì guardingo il movimento, neanche avesse timore
di finire avvelenato da una gattara.
«Non
mi fa vomitare» optò per rispondere, fermandosi a guardare Naruto
che, forte di una esperienza quasi ventennale, riempiva d'acqua il
bollitore misurando ad occhio la quantità necessaria.
«Il
ramen è il cibo più buono del mondo! Io lavoro in un chiosco, da
ieri. Cioè, da lunedì, ieri mi hanno assunto» proseguì a
blaterare contento anche mentre apriva il barattolo. «Sono il
ragazzo delle consegne» aggiunse, orgoglioso. Come prova, arraffò
un paio dei volantini che aveva ammonticchiato lì vicino al frigo,
la sera prima, e gliene lanciò con palese gioia, neanche
riguardassero chissà quale meritevole attività filantropica.
Sasuke
sollevò un sopracciglio, studiandoli distrattamente all'apparenza
all'unico scopo di decidere d'essere infastidito anche solo dalla
scritta chiassosa che gridava Ichiraku Ramen – la più grande
varietà ai prezzi più piccoli in una gradazione di giallo
decisamente troppo giallo – e snobbarli subito dopo, già
tutto proiettato verso l'ardua impresa di aprire la confezione di
ramen; cercò di mascherare con poca abilità il fatto che
praticamente la distrusse, mentre Naruto era riuscito a
sollevare l'alluminio e aprire i condimenti come fosse un gioco da
ragazzi – e probabilmente lo era.
«Pensavo
azionassi asciugamano elettrici» si rivalse Sasuke, mentre si
rigirava una bustina tra le mani come contenesse qualche curioso
preparato mortale ottenuto in laboratorio.
«Tu
invece sei nato stronzo o hai frequentato apposite scuole?» lo
canzonò Naruto, senza offendersi. «E comunque è solo un lavoro, il
mio sogno in realtà è scalare l'Everest».
Sasuke,
ancora in lotta con la sua bustina, sollevò gli occhi e lo guardò
come fosse un animale bizzarro.
«Tu
vorresti cosa?»
Naruto
non si scompose minimamente.
«Sì,
sai, scalare l'Everest. Faccio le arrampicate, ho cominciato
arrampicandomi sugli alberi all'asilo» spiegò, le mani sui fianchi
e il petto in fuori. «E quando uno si arrampica vorrebbe arrivare
sempre il più in alto possibile e il più in alto possibile su
questa Terra è proprio l'Everest, no? Per questo mi alleno tutti i
giorni!»
«Considerato
che non riesci neanche a stare in piedi su una sedia, a momenti, fai
bene» ribatté Sasuke, sprezzante.
Naruto
scrollò le spalle: lui avrebbe scalato l'Everest, punto. C'era poco
da girarci attorno.
«Guarda
che puoi usare le forbici» si rivalse, gongolando davanti alle dita
di Sasuke, inette di fronte al possente alluminio.
«Ci
riesco benissimo».
«Sicuro,
sicuro. Si vede» commentò Naruto, scoppiando poi a ridere quando
effettivamente la bustina fu divelta e Sasuke starnutì davanti alla
nuvoletta di polvere piccante che gli era esplosa sotto il naso.
«Deficiente»
mugugnò sdegnato, ma Naruto si era già voltato a recuperare il
bollitore.
«Adesso
bisogna aspettare tre minuti» spiegò solenne, una volta riempiti i
bicchieri.
«Guarda
che lo so».
«Io
li odio, i tre minuti. Divento impaziente» proseguì quello,
incurante, senza togliere gli occhi di dosso al suo ramen, neanche
temesse una fuga. Il suo stomaco brontolò a sottolineare il tutto.
«Mh»
si degnò di rispondere Sasuke, osservando a sua volta il ramen, ma
con decisamente meno trasporto nonostante l'appetito. Naruto lo spiò
di sottecchi per almeno centottanta lunghissimi secondi, sentendosi
un poco a disagio in compagnia di qualcuno che sapeva stare così
zitto tanto a lungo. Decise di allungare un piede e assestargli un
mezzo calcio sullo stinco.
«Tu
invece che fai?» domandò, ridacchiando mentre si beccava la pedata
di reazione.
«Cosa».
«Che
fai, sì. Tipo nella vita. Buon appetito!» berciò, impugnando le
bacchette manco tenesse in mano delle spade laser. «Lavori?» si
ostinò a chiedere, mentre già tirava su un boccone mastodontico e
bollente con trasporto quasi amoroso.
Sasuke
se lo squadrò per qualche momento con palese disapprovazione, prima
di immergere a sua volta le bacchette nel brodo.
«Studio».
«Oh,
forte!» si soffocò Naruto – che forse avrebbe dovuto imparare a
comportarsi più civilmente a tavola per evitare di rischiare la vita
ogni qualvolta assumeva sostanze liquide o solide -; Sasuke lo
osservò passivamente mentre tossiva e rideva tutto insieme. «E che
studi?»
«Libri»
fu la laconica risposta, assieme al risucchio di una generosa dose di
tagliolini – che, fanculo, il signor “non mi fanno vomitare”
stava fagocitando come un affamato.
«Millegrazie.
Intendo, sai... Ho due amiche che fanno medicina, una che fa scienze
infermieristiche» elencò Naruto, dopo avergli assestato un'altra
pedata – sempre prontamente ricambiata - «Chouji fa filosofia...»
Sasuke
non si degnò di chiedere cosa diavolo fosse un Chouji, ma alzò gli
occhi al cielo.
«Ingegneria
biomedica» enunciò, sintetico.
«E
cioè?» masticò Naruto, così interessato da dimenticare d'avere un
tagliolino a penzolargli dalle labbra.
Sasuke
lo osservò quasi scoraggiato.
«Creo
zombie alieni mutanti. Per il governo» rispose, impassibile.
E,
dato che nelle ore precedenti non aveva mostrato neanche il più vago
barlume di senso dell'umorismo – non che avessero esattamente
dialogato molto – Naruto si ritrovò a sgranare per un momento gli
occhi, il tagliolino
a sbatacchiargli sul mento.
Realizzò subito d'aver appena fatto una
cazzata, solo che poi Sasuke stava ridendo. Ridendo davvero dopo ore
di amimia - a parte mezzi ghigni di scherno e qualche sussulto di
sopracciglia. Okay, non stava davvero ridendo, non come un qualsiasi
conoscente di Naruto avrebbe riso; era una cosa più discreta, una
risata da disadattato, le
spalle a sussultare un poco e la faccia nascosta dai capelli, dietro
al bicchierone di ramen utilizzato opportunamente come paratia; e
anche se il disadattato in questione stava sicuramente ridendo per
lui – o forse proprio per quella ragione – Naruto non riuscì ad
arrabbiarsi. O meglio, non quanto avrebbe dovuto: per l'unica volta
da che aveva memoria, ignorò gli ultimi rimasugli di brodo –
quello più buono sul fondo, salatissimo e pieno di condimento
sfuggito alle bacchette – e, prima che Sasuke facesse in tempo a
finire di soffiargli contro «sei davvero imbecille», sprezzante ed
ilare,
lo zittì con un bacio.
Quante
volte al giorno si può fare sesso? Un sacco, aveva scoperto Naruto.
Un sacco proprio un sacco, senza fretta e con pause ludiche, volte a
riprendere fiato e a rifocillarsi con rimasugli di cibo – pomodori
annidati nei meandri del frigo, una scatoletta di tonno, coca cola
cagiona-rutti fortemente disapprovata da Sasuke e sì, anche i
cetriolini sott'olio.
Quando
il sole era ormai calato da un pezzo, Sasuke aveva avuto il tempo di
dire che doveva andarsene almeno una decina di volte – l'indomani
doveva svegliarsi presto per vedere un certo Orochimaru o chi sa Dio
– e altrettante Naruto l'aveva felicemente ignorato, incontrando
tra l'altro notevole collaborazione da parte dell'interessato, che
sembrava più che altro interessato a restare.
Da
lì, però, Naruto aveva cominciato ad avere l'irrazionale sensazione
che, se fossero usciti di casa, si sarebbe spezzato qualcuno di quei
fili di ragno che teneva sospesa in un bozzolo quella situazione
tanto surreale quanto meravigliosamente irripetibile e, seguendo
questa logica, aveva convinto Sasuke ad appoggiargli l'ordine di
pizze da asporto – non che ci fosse voluto molto, dato che l'aveva
proposto mentre lo stavano facendo.
Erano
così finiti a stazionare sul divano, con la pizza e Slither
sul canale tre – tanto per restare in tema di zombie alieni mutanti
–; peccato che a metà si fossero addormentati spalla a spalla come
due cinquenni, proprio mentre l'automobile dei protagonisti finiva
circondata da una torma di morti viventi, per di più cannibali,
esattamente come Sasuke – in tono perfettamente neutro e mandando
giù signorilmente un brano di pizza grosso come la sua faccia -
aveva pronosticato sarebbe accaduto fin da quando i quattro erano
saliti in macchina. Naruto si era addormentato contento proprio come
un marmocchio dopo una gita al mare, rilassato e completamente a suo
agio.
La
mattina l'aveva sorpreso così: accasciato contro lo schienale,
storto e dolorante, la schiena incollata al divano che, caduta la
copertura arancione, si mostrava in tutto il suo splendore di rosa
stantio scelto a gusto della precedente proprietaria
dell'appartamento – un'anziana, bisbetica vecchietta di nome Koharu
che se n'era andata perché in continua lite con la dirimpettaia, più
bisbetica e ostinata di lei.
Tutto
regolare, non era la prima volta che gli capitava di addormentarsi
fuori dal suo letto, eppure ancora prima di aprire gli occhi il
nostro assonnato, spettinato e un poco incontinente – aveva bevuto
davvero tantissima coca cola, la vescica gli stava scoppiando – eroico
eroe seppe che c'era qualcosa che non andava. E non si
trattava della mozzarella che aveva sotto i piedi, anche se avrebbe
aiutato cominciare a liberarsi di quella.
«Gh,
che schifo...» biascicò, quando trovò la forza di sollevare le
palpebre e inquadrò il suo piede sinistro serenamente steso dentro
un cartone, tra gli avanzi di pizza coi pomodori.
«Che
pizza vuoi?» gli aveva sbraitato coprendo inutilmente la cornetta
del telefono col palmo. Sasuke, già stravaccato a fare zapping, si
era stretto nelle spalle.
«Basta
ci siano i pomodori».
Ad
occhi sgranati, Naruto inquadrò la televisione ancora accesa,
realizzando in maniera vaga il fatto che fosse sintonizzata sui
Teletubbies.
Con
una sensazione di sgomento vacuo, un po' stordito, aggrottò le
sopracciglia davanti a Tinky Winky e si tastò il petto, per poi
proseguire con le mani a palpare il divano, ritrovandosi tra le dita
solo il lembo della copertura di uno sconvolgente arancione fluo,
fredda. Si guardò attorno, completamente stralunato: aveva bisogno
seriamente d andare al bagno, ma c'era qualcosa che non tornava;
alzandosi, fiacchissimo, uno dei volantini di Ichiraku cadde giù dal
divano, svolazzò placido e finì a terra; Naruto per poco non ci
scivolò su, così lo spinse svogliato sotto il mobile, distratto a
cercare di inquadrare tutta la stanza insieme alla situazione.
Finché, nel silenzio, non si voltò di nuovo verso la televisione,
sconcertato dalla drammatica rivelazione appena risvegliatasi nel suo
cervello assopito: sorvolando sui pupazzi parlanti in tv, c'era
freddo, c'erano due cartoni di pizza vuoti, lui era in mutande,
l'alito gli puzzava di scarpa da ginnastica e il sole era sorto da un
pezzo dietro le tende, sul cadente balconcino dell'appartamento.
E Sasuke. Sasuke se n'era andato.
Nda
Prosegue
nel capitolo due perché la logorrea è una brutta bestia.
Il
titolo è la storpiatura di Tu la conosci Claudia?, di Aldo,
Giovanni e Giacomo: al solito, per i titoli c'ho bisogno del supporto
tecnico.
Non
scrivevo al passato remoto da anni, tipo. La consecutio temporum
credo sia morta in diversi punti: se qualcuno notasse verbi che
stonano e potesse farmelo presente gliene sarei infinitamente grata
(questo vale per qualsiasi altro orrore, ovviamente). E IC sta
chiaramente per Ignobile Cazzata, qui dentro.
L'ambientazione
è assai indefinita, sì, e faccio presente che la storia è
volutamente demenziale: mi diverto così. Nella seconda parte riesce
persino a peggiorare, tra l'altro.
Oh, “violeggiare” è un verbo che non esiste, ma secondo me
dovrebbe! *schiva gli accademici della Crusca*
Ultima
cosa: il rating è arancione più perché la gente è sboccata che
altro. Il picco massimo d'erotismo l'abbiamo toccato parlando di
ciabatte di feltro e cani dei vicini, spiacente.
(Che
note lunghe <_<' chiedo scusa)
Anna!
Ho letto la storia
di slice XD cosa che rende ancora più indecoroso provare a farti
gli auguri con una stupidaggine simile (era indecoroso già da sé,
sia chiaro). Ma insomma, basta il pensiero, no? No? *sviene*
Buon
compleanno, millemila di questi giorni! Se vivessimo vicine t'avrei
portato un gigantesca torta gelato, col caldo che fa XD
Come
sempre, non
mi appartiene niente a parte la stupidità.
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