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< Nec diu nec noctu
licet
Iudices quiescant>
*
9.
Il Giudice capì che era
spacciato nell'istante in cui fecero il loro ingresso l'Accusa e la
Difesa. Alzò la testa, lentamente. Strinse gli occhi. Nella
luce abbacinante delle torce vide due figure che entravano accompagnate
da una torma di gente. Una era alta, severa, e un sottile sfregio gli
attraversava la faccia. Aveva lunghi capelli crespi, corvini, e uno
sguardo da fare paura al Demonio. L'altro era pallido, tremante.
Vestito di qualcosa che sembrava terribilmente fuori luogo: sotto il
mantello, una casacca colorata a grandi strisce, e un paio di brache
coi campanelli. Quando fu entrato nella stanza girò
nervosamente gli occhi intorno. Un istante, poi si incontrarono con
quelli del Giudice. Claude Frollo sentì un pugno artigliarli
lo stomaco. Poi lo sconosciuto dell'accusa prese posto su un
banco alto, a sinistra del Duca. La difesa invece tremante,
andò a raggiungere il Giudice Frollo.
- Cosa ci fate qui, mastro
Gringoire? - sibilò il Giudice alla sua difesa. E quello,
che tremava e ancora non aveva smesso di farlo, si rattrappì
ancor di più sullo scranno che gli avevano assegnato. Era
molto più basso di quello del suo collega, e era intagliato
in più punti con versi e frasi oscene.
- I ... io? -
balbettò l'altro, ritraendosi ancora. Il Giudice
alzò gli occhi al cielo. E per un istante ebbe terribilmente
voglia di ridere - V... Vi giuro che i-io non c'entro nulla. Passavo
ecco ... passavo di qui per caso. Mi hanno preso per questa ... farsa.
Il Giudice fissò
con disprezzo il cumulo di stracci variopinti che si contorceva accanto
a lui. Lo aveva perso di vista un anno prima, quando Pierre Gringoire,
già scadente filosofo, aveva smesso di andare a frequentare
anche le sue lezioni di legge.
- E a... adesso che cosa
facciamo? - gli chiese, passando la lingua sulle labbra. Gli occhi dei
gitani erano tutti su di loro. L'Accusa stava parlottando col Duca. Era
evidentemente un processo non troppo equo.
- Chi è quello
lassù? - chiese Claude Frollo cercando di non perdere la
calma. E indicò lo sfregiato,.
- Que...quello? E...
eccellenza, quello è Clopin, il peggiore di tutti i banditi
che voi possiate mai aver visto.
- Clopin. Uhm, il suo nome
non mi è nuovo.
- E'... stato lui a dare
fuoco a quella carovana di cardinali che tornavano da Aix. Il mese
scorso, ricordate. E quel furto con ... con scasso e ... violenza
carnale, quello alla casa del mugnaio, bene ... fonti certe mi dicono
che ...
Il Giudice lo
fermò con un gesto.
- Quella era colpa del
mugnaio. Ha dato fuoco a metà del mulino per far credere che
i gitani ce l'avessero con lui. Era sospettato di stregoneria, e in
qualche modo sperava che ...
- E la figlia?
- Quella l'aveva violata lui
stesso. Brutta storia.
- Capisco.
- Ma insomma, adesso che
dobbiamo fare?
Gringoire lo
guardò con occhi smarriti. Il Giudice abbozzò un
mezzo sorriso.
- Penso sia meglio che mi
difenda io stesso. Tu puoi stare a guardare, Gringoire - si
sistemò una manica, poi alzò la voce - Signori e
signore della Giuria (sempre di qualche giuria qui si tratti), voglio
fare una dichiarazione. Rifiuto il difensore, mi difendo da solo.
Dai palchi esplose una
fragorosa risata. Si erano fermati anche il Duca e Clopin, che adesso
lo guardavano attentamente.
- E come pensi di fare?
Questo è contrario alle Pandette gitane - fece qualcuno,
berciando dall'alto.
Il Giudice lo
ignorò. Guardava fisso davanti a lui.
- Davvero pensate che io
possa sottostare a una stupida sciocchezza di questo genere.
- Attento a come parli,
animale! - gridò qualcun altro. Ma il Duca aveva alzato una
mano per intimare il silenzio.
- Voglio dire, signor Duca -
fece Claude - che se mostrate tutta questa premura, dovete essere ben
spaventato.
- E da cosa? - fece il Duca,
sporgendosi un poco - Forse dalla vostra Difesa, messer Claude?
- No, proprio, appunto. Se mi
avete dato quest'asino come avvocato è proprio
perché avete paura di me. Non so se conoscete le
sue doti, io le conosco, come suo professore. E direi che
sarebbe assai meglio se mi faceste difendere da un cane, da un
cincillà, da un orangotango. Voglio molto bene a Gringoire,
ma la Legge non è proprio il suo campo.
Il povero filosofo
abbassò la testa piuttosto mortificato. Tutti ridevano, e
adesso rideva anche il Duca.
- Devo ammettere che avete un
bello spirito, Mastro Frollo. Chiunque altro, in queste condizioni, se
la sarebbe già fatta sotto. Ma voi siete il Giudice Frollo,
e noi gitani, gente d'acciaio, non possiamo certo essere perseguiti da
un avversario meno degno di voi. Avete del fegato, davvero. Mai pensato
di avere sangue gitano?
Di nuovo intorno esplose una
risata, ma ora Claude si sentiva più sicuro.
- Probabilmente, se fossi
figlio bastardo, qualche domanda me la farei. Ma mia madre, che era una
santa donna ...
(Qui partì un
fischio dalla platea)
- ... penso che si sarebbe
fatta sgozzare piuttosto che aprire le gambe davanti a un essere come
voi, messer Duca.
Il Duca rise, anche stavolta.
E si batté una mano sulla gamba.
- Il suo nome era Claudine,
per caso?
Tutti risero.
- Nossignore.
- No? Allora forse
Bernadette? O forse Julia? Me ne ricordo una che aveva un bel paio di
tette ...
- Mia madre si chiamava Luz,
caro Duca. E penso che se l'aveste incontrata adesso non avreste ancora
quella lingua per raccontarlo.
Il Duca fischiò
piano, fischiarono tutti. E poi dalla platea si levò un coro
di applausi.
- Davvero voi sapete come
catturare l'attenzione. Se davvero era così anche vostra
madre, che il Diavolo di porti il papà.
Claude Frollo fece un breve
inchino.
- Un uomo nobile, ma non
formidabile come mia madre.
- Che cosa chiedete, dunque?
- Che mi sia concesso di
difendermi da solo.
- Ve l'ho già
detto che è contro le regole.
- E allora almeno qualche
giorno per preparare come si deve quest'asino a sostenere la mia
difesa. O dovrò andare a dire in giro che il Duca d'Egitto
non è più pieno d'onore come si dice.
A questo punto il Duca si
voltò verso l'alta figura nera che era sempre stata al suo
fianco. Il gitano dagli occhi di carbone li sogguardava quietamente,
con lo sguardo di un cane che non ha alcuna fretta di saltare la rete e
sbranare.
- Che cosa ne dici, Clopin?
Il tizio alto, dalla lunga
capigliatura corvina, guardò a lungo dentro gli occhi di
Claude. E Claude ricambiò il suo sguardo.
- Di certo non mi farò
intimorire da uno zingaro - pensò. Ma c'era
qualcosa di strano, nei suoi occhi. Qualcosa di ben più
torbido e oscuro di quel che aveva visto in quelli del Duca. Quello che
sarebbe stato la sua Accusa lo guardò a lungo, come se
volesse leggere ogni segreto della sua anima. Poi, alla fine,
parlò.
- Io penso che non si a
giusto, mio Duca, lasciare a un prigioniero la scelta di come
dev'essere condotto il suo processo. Forse che lui la lascia mai a noi?
- dalla folla partì un mormorio basso - Forse che lui lascia
mai a noi il diritto di giudicare se possiamo avere una dilazione del
tempo, una proroga al processo. Ci lascia forse chiamare a fianco a noi
un avvocato? - e qui il mormorio si fece più alto. Con occhi
che avevano qualcosa di ipnotico, Clopin lasciò che il suo
sguardo vagasse lentamente in cerchio, su tutti loro - Ci lascia forse
mai sperare in una vera
giustizia?
I gitani ora stavano in
silenzio. Claude Frollo poteva sentire il rumore dei loro pensieri.
Spostò uno sguardo su Gringoire, e vide il tremore della sua
gola, dove il pomo d'Adamo sussultava sotto la pelle mal rasata. E
pensò che non sarebbe uscito vivo da lì.
- Forse che ci ha mai
lasciato una scelta su come essere? Lui ci perseguita, ci insegue, ci
stana. Fa come un cane con la lepre. Lui non chiede affatto quel che
vogliamo essere, non si domanda che cosa deve fare con tutti noi. Lui
semplicemente ci acchiappa, ci stringe forte dentro al suo pungo e poi
... non ne rimane più nulla.
Qualcuno tra la folla
annuì. Ma gli altri erano muti. Vicino a lui Claude Frollo
poté scorgere con la coda dell'occhio una vecchietta che
piangeva. Pensò che forse aveva ucciso il figlio, o il
marito, di quel cumulo di stracci. E per la prima volta
sentì qualcosa chiuderglisi in gola.
Il Duca meditava, con la
fronte appoggiata alla mano. Non si sarebbe potuto dire se era un
farsa, forse soltanto una messinscena crudele fatta ad uso e consumo di
un prigioniero già con il laccio annodato alla gola. Forse
si stavano, pensò Claude Frollo, tranquillo, semplicemente
prendendo un po' di piacere. Esattamente come se ne prendeva lui quando
la sera scendeva le scale delle segrete. E andava calmo a controllare
che tutti fossero ancora vivi per le torture dell'indomani.
- Allora, che cosa dite,
dobbiamo impiccarlo? - chiese il Duca, alzando la fronte dopo una pausa
che parve di un secolo. La faccia di Clopin era di marmo, quella di
Pierre Gringoire di cera. Tutti guardavano verso Claude Frollo.
- C'è un altro
modo per morire? - chiese lui.
E fu in quell'esatto istante
che qualcosa si mosse, dietro di lui. Non lo aveva né visto
né sentito. Ma fu un alito come di paradiso, come se un
angelo avesse per caso sbattuto le ali su questa terra.
- Duca, faccio richiesta alla
corte che il Giudice sia mio prigioniero. Lo custodirò io
finché la Corte non avrà preso una decisione.
Clopin guardò
verso il Giudice con odio. Alle sue spalle c'era qualcuno, qualcuno la
cui voce era risuonata come acqua fresca nel deserto.
- E perché
vorresti occupartene tu, Esmeralda? In fin dei conti ti ha tenuto
prigioniera. Non ti farebbe piacere vederlo morto, penzolante a una
forca?
Esmeralda rise pianissimo. E
anche se la sua risata era come mille campanelli d'argento, Claude
percepì come una nota di scherno. Era diretta a
lui? Nel suo cuore duro e tormentato dall'odio del peccato,
sentì nascere qualcosa, una radice che forse era di
vergogna. Adesso lei lo vedeva legato. Adesso era incatenato a lei e
alla sua gente da una lunga caduta che lo avrebbe condotto alla forca.
Forse adesso, finalmente, lei lo aveva in suo potere. Si divertiva a
volergli provocare la morte? Si divertiva a vederlo così,
agonizzante e difeso da un idiota? Alle sue spalle il trionfo della
voce di lei continuava a spargere meraviglia, e Claude non riusciva
più ad ascoltare altro che il suono fatato di lei. Non
distingueva più le parole, e come una dolce debolezza lo
invase. Perché non lo facevano morire senza lasciargli il
tempo di smettere di ascoltarla?
- Che cosa chiedi, dunque,
Esmeralda?
- Che gli sia concesso quello
che desidera. Giorni per preparare sua difesa che ... lo
condurrà alla morte.
- E perché mai?
- Perché noi, a
differenza sua, siamo civili.
Noi non vogliamo che i condannati muoiano senza giusto processo.
Lo disse con una voce
dolcissima, ma qualcosa doveva essere andato storto, perché
dalla folla si alzarono grida, e urla e risa misteriose. Il Dica rise,
anche lui, e Claude Frollo vide negli occhi di Clopin un lampo che
poteva essere rabbia. Come a un gatto cui un bambino crudele sottragga
il topo solo per avere il piacere di vederlo morire lui stesso,
Esmeralda aprì le belle labbra e disse:
- Duca, fallo soltanto per
me. Quest'uomo merita di soffrire ancora un poco prima che arrivi una
giusta morte. Siete d'accordo con me, amici miei?
Dagli spalti partì
un coro di applausi. Esmeralda fece un inchino compito.
Poi si accostò di
dietro a Claude.
- Ora sei mio -
sibilò mentre lo portavano via.
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