Qualche piccola, doverosa premessa: quando ho pubblicato Sì, lo voglio!
non avrei mai pensato di ottenere
così tanti consensi… mentre la scrivevo, avevo un’idea sfocata di come la
vicenda sarebbe potuta proseguire, ma.
E’ solo grazie al vostro caloroso incoraggiamento, se ho avuto la spinta a
continuare la storia. Ed è per questo che la dedico a voi.
Tuttavia, è stato più difficile di quel che credevo: divertente ma complicato. La Cuddy si è dimostrata
particolarmente reticente, e House – come nella sua cocciuta natura - non è
stato assolutamente collaborativo, anzi! Ha fatto tutto di testa sua… Non so se
questa fic sarà altrettanto IC, come la precedente. Io, dal canto mio, mi
ritengo discretamente soddisfatta… ma, poi, giudicare spetta a voi.
Un’ultima cosa: questa non è una song-fic, benché
sia nata ascoltando ‘Stagioni’ dei Nomadi, una delle poche canzoni che riesce
sempre a far vibrare le corde della mia interiorità in un modo assurdamente
struggente e profondo. Ritengo ‘Stagioni’, e la toccante interpretazione di
Augusto, il filo rosso che sottende tutti i capitoli di questa storia. Se
potete, ascoltatela. Non cercate di capirla, sentitela col cuore.
Stagioni
–Make a baby-
By elyxyz
Capitolo I – La
cena : contratto d’accoppiamento.
Ecco che il tempo cambia già,
comincia qui un nuovo ciclo ormai,
e sento che la mia stagione è qui,
fa freddo ma c'è il fuoco accanto a te.
(Nomadi, Stagioni)
Erano le 20.03, quando il campanello suonò a casa della
dottoressa Cuddy.
Un trillo solo. Né lungo né troppo corto.
Lei pregò irrazionalmente che fosse la signora Spencer, la
sua smemorata vicina ottantenne che finiva sempre il latte e veniva
puntualmente a chiederlo a lei.
Ma sapeva che non avrebbe potuto mentirsi ancora a lungo,
quando il citofono riprese a trillare, stavolta con fastidiosa insistenza.
Lisa Cuddy fece un ampio, lento respiro, per incanalare aria
e coraggio, e poi si diresse a passo marziale verso l’entrata e l’aprì.
Gregory House sostava lì davanti, fischiettando allegramente
un motivetto di dubbio gusto, e la fissò spudoratamente da capo a piedi,
soffermandosi a lungo sui seni fasciati: indossava ancora quel tailleur
castigato da educanda, che le aveva scorto di sfuggita in mensa, qualche ora
addietro.
“Abbiamo un concetto lievemente
diverso di ‘baby-doll color carta da zucchero’.” Esordì entrando, senza
aspettare di essere invitato.
“C’è stata un’emergenza, oggi pomeriggio, e sono appena
rincasa.” Si giustificò d’istinto, pentendosene poi; quindi lo ammonì a sua
volta “Anche il tuo cercapersone dovrebbe aver suonato parecchio!”
House simulò un’esemplare caduta dalle nuvole.
“Ah, era quello?”
Lisa avrebbe sinceramente voluto torcergli il collo, ma lui
la prevenne, disorientandola: “Toh, un pensierino.” E le appioppò sbrigativo
una bottiglia e un anonimo pacchetto bianco.
Lei fissò alternativamente il pregiato vino rosso e il
sacchetto, che teneva tra le mani, con genuino stupore.
Soffiò un “Grazie” di circostanza, a cui lui replicò “Mph… Dovere.”
La dottoressa posò la bottiglia sul tavolino del salotto,
senza impedirsi di provare curiosità verso il dono. Svolse quindi la carta, estraendone
il contenuto.
“Ma sono…!” esordì, allibita.
“Due confezioni per cinque tentativi: 10 test di gravidanza.” Concluse lui, con fare pratico.
La Cuddy
sollevò uno sguardo inquisitorio sul collega: “Non mi dire che li hai rubati
dal magazzino dell’ospedale!” tuonò, scandalizzata.
House stiracchiò le labbra in un ghigno poco raccomandabile.
“Ma per chi mi hai preso?!” si difese, impostando un tono medio-ironico simil-oltraggiato.
“Potrei mostrarti lo scontrino del supermercato, se tu me lo chiedessi...”
ribatté, fiero.
“E se io te lo chiedessi?” non demorse, insinuante.
“Ti direi che saresti maleducata, che i regali sono regali e che a caval donato non si
guarda in bocca!” dichiarò, polemico.
Lei fece una smorfia non del tutto convinta, ma si rese
conto da sé che forse aveva oltrepassato il limite. E che quella serata stava
partendo col piede sbagliato.
Posò anche le due scatole e gli rivolse una domanda a
bruciapelo.
“Come facevi a sapere che stasera sarebbe andata bene?”
Greg si strinse nelle spalle, come se fosse un’ovvietà.
“Perché altrimenti avresti rifiutato.”
“Ma io ho…”
“Mia cara,”
l’interruppe “tu hai tentennato, non
rinunciato. Il che è diverso…”
“Io, tutta questa dicotomia dialettica, non ce la vedo…”
borbottò, poco convinta.
“Allora sarà stato il mio istinto di maschio in caccia a darmi
l’imbeccata!” e la guardò, allusivo.
“Mi stai squadrando come se fossi un feromone ambulante…” constatò,
a disagio.
“Perché… non lo sei?”
“Sì, ma…”
“Vedi che ho ragione?! Io ho sssempre ragione!” proclamò,
con presunzione.
“Cosa ordino per cena, Mister Modestino?” tagliò corto lei,
sfilandosi la giaccia del completo.
Per una volta fu lui a non seguire il suo ragionamento, o
forse era troppo intento ad analizzare la generosa scollatura della camicetta,
l’unico vezzo di lei che gli era rimasto - fino a quel momento - precluso.
“Eh?!” sbottò, togliendosi a sua volta il giaccone in pelle
da centauro. Indossava una camicia celeste che richiamava in modo dannatamente
sexy l’azzurro delle sue iridi.
Fu il turno della donna di mangiarselo con gli occhi, ma lei
si giustificava con gli ormoni… e la carica erotica di Gregory House sarebbe
stata evidente anche ad un cieco!
…quel triangolino di pelle, poi, che spuntava dallo scollo
sbottonato…
Lisa sbatté le palpebre come se avesse preso una scossa:
House non stava portando una di quelle discutibili magliette da adolescente
heavy metal, che lei tanto biasimava… Oh, Dio! Ma allora faceva sul serio!
“Puoi ripetere?” chiese lui, riportandola coi piedi per
terra.
“Ah, oh!” cercò di riordinare le idee. “Non ho fatto in
tempo a fare la spesa. Ordino cinese, indiano, o una pizza?”
“Pizza, con quel meraviglioso vino?! Ho speso un occhio
della testa per quella bottiglia!” esclamò, contrariato “…o pensi che abbia
convertito le sacche di plasma?” disse malignamente, per farla sentire in colpa.
“Ti porto al ristorante.” Propose, come ultima spiaggia.
“Mmm… no. Andrebbe troppo per le lunghe.” Rifiutò.
“Allora mi arrangio con quello che ho in casa.”
Greg fece una faccia comicamente sconvolta: “Perché tu sai
cucinare?!”
“Non vivo di cibi preconfezionati e schifezze, come te!” si
difese, varcando la soglia della cucina. “E poi sono di origine italiana, e tutte
le italiane sono maestre d’arte culinaria…”
House parve sorpreso da quest’ultima affermazione.
“Ti conosco da tanti anni, ma non lo sapevo.” Ammise.
“I miei nonni materni sono emigrati in America, ma ho ancora
un sacco di cugini in Italia. Ogni tanto vado a trovarli…” aprì la dispensa. “Pesto
alla genovese, sugo alla puttanesca, o aglio-olio-e-peperoncino?”
“Il peperoncino è afrodisiaco!” annotò Greg, ammiccando.
“E l’aglio è un deterrente per la mia vita sociale.” Lo
freddò lei, afferrando un barattolo di ragù dall’aspetto casalingo. “Spaghetti,
tagliatelle o maccheroni?”
“Ti lascio carta bianca, avvelenami come meglio preferisci.”
Rispose lui, guardandosi intorno.
Era già stato a casa di Lisa altre volte, ma sempre per
questioni di lavoro e quindi tutto gli dava un’impressione nuova. “A proposito
di carta bianca… dov’è?”
“Dov’è, cosa?”
ripeté la donna, posando la pentola sul fuoco.
“Il contratto
d’accoppiamento! Ti ho lasciato ben 24 ore di generosità, perché tu potessi
contattare il tuo avvocato, – non credo tu
sia stata tanto sciocca da rivolgerti ai legali dell’ospedale – per la stipula
di un’intesa pre-bebé… sai, tutte quelle clausole secondo cui io non accamperò
pretese né ora né in futuro, che non dovrò riconoscerlo, che non mi chiederai
gli alimenti, e deciderai da sola il nome, che scuola fargli frequentare, e
tutte queste menate…”
Lei arrossì, imbarazzata.
Doveva riconoscere che ci aveva pensato, eccome.
Per tutelarsi, perché non si sa mai…
Ma alla fine ci aveva rinunciato. Le sembrava un colpo
troppo meschino: ‘prima di andare a letto, firma qui.’
Forse stava sbagliando; ma, in cuor suo, sapeva che poteva
fidarsi di Greg.
“Non c’è alcun accordo. Niente avvocato.”
Il diagnosta ne parve piacevolmente sorpreso.
****
“Mmm! Sai che non è mica male?!” riconobbe, aggiungendosi
un’altra abbondante dose di cacio sui maccheroni.
Lei sorrise, compiaciuta. “Tradizione di famiglia…”
“E quindi… com’è...? Ti chiami ‘Lisa’ perché era il nome di
tua nonna? E’ tipico di voi mangiaspaghetti…”
“Veramente, lo devo alla Monnalisa, la celebre opera di
Leonardo. Mia madre ne era affascinata.”
“Ho sempre avuto il sospetto che aveste qualcosa in comune,
voi due…” borbottò, sibillino.
“Chi? Io e Leonardo?” domandò lei, sollevando un
sopracciglio dubbiosa.
“No, tu e il ragazzino che lo ha ispirato! Lo sai che
diverse correnti di pensiero ritengono che, quel sorriso enigmatico, fosse in
realtà quello di un maschio?, un suo amante, pare.”
Lei strabuzzò gli occhi, sottosopra. “Le ultime ricerche
dicono che gli abiti raffigurati nel dipinto fossero quelli adoperati dalle
puerpere del tempo!”
“Uh, beh… nel tuo caso, non cambia molto… Lo sai, vero, che
anche un’adeguata terapia ormonale sostitutiva non basta? Io non faccio i
miracoli… anche se una volta ho fatto a gara con Dio…”
“Ma non mi dire!”
“E ovviamente ho vinto io!” disse, orgoglioso. “E quindi
avanzo ancora un favore da lui.”
“E lo useresti per me?” Chiese, bonariamente stupita.
“Potrei chiedergli di togliermi una costola o due… ma credo
sia discretamente doloroso e poi tu mi sembri un caso abbastanza disperato.” Ne convenne, adeguandosi al suo tono
scherzoso.
“Dovrei esserne onorata?!” replicò la donna, stando al
gioco. “Ti va un caffè?” propose, iniziando a sparecchiare. “Accomodati in
salotto, ma non sul cuscino giallo; io arrivo tra un minuto.”
Greg si sistemò distrattamente sul divano “E perché non il
cuscino canarino?” chiese, alzando la voce per farsi sentire nella stanza
accanto.
“Perché…”
“Ahi!”
“Ecco, perché!” concluse lei, affacciandosi sulla soglia.
“Quel mostro mi ha assalito!” esordì il medico, additando con
malcelato astio un bellissimo persiano perlato.
La Cuddy
nascose un sorriso. “Ti presento Saphyr, il maschio dominante della casa. Hai
violato il suo territorio, e non gli piacciono gli estranei.”
“E a chi piacciono?!” Lo giustificò, senza però sospendere
l’ostilità.
Lisa scomparve di nuovo, per apparire poco dopo, con un
vassoio e due tazze fumanti.
Gregory e il gatto la attendevano sul divano, uno accanto
all’altro, in uno striminzito armistizio.
“Ma è pazzesco!” esclamò, a dir poco stupita.
“Abbiamo fatto due chiacchiere, io e lui.”
“…e…?”
“E ha capito che io sono il capobranco, il maschio alfa…”
“Ti ha distrutto una mano.” Obiettò.
Lui fece spallucce. “E’ una sciocchezza, una piccola
divergenza d’opinione su chi dovesse tenere il telecomando…”
Lei scoppiò in una spontanea, cristallina risata. La cena si
stava svolgendo meglio di quel che credeva. Si accomodò tra il gatto e il
collega, e gli offrì la tazzina che lui accettò di buon grado.
“Veniamo alle cose serie.” Fu il suo preambolo, sorbendo la
nera bevanda.
E Lisa si pentì del pensiero formulato pochi istanti prima.
“Dimmi.” Esalò, di malavoglia. Sapeva che era una parte che
non poteva saltare.
“Non credo di essere il primo a cui chiedi un aiuto.”
“Non in questi termini… comunque no, non sei il primo.”
Ammise, mentre apriva il doloroso scrigno dei ricordi. “Ci ho provato con gli ultimi
due compagni che ho avuto; poi, cinque inseminazioni: tre fallimenti, due
aborti spontanei.”
“E perché non mi hai chiesto un consulto? Potrei trovare
l’origine del tuo problema!” la rimproverò, come se avesse fatto un errore da
dilettante.
“Perché non sei un esperto di poliabortività!” reagì lei,
scaldandosi. “E tutti gli esami sono sempre dannatamente perfetti, non c’è una
ragione fisiologica…” sussurrò, come se si addossasse il peso del fallimento.
“E un’adozione sarebbe fuori discussione…?”
Lisa lo fissò con tanto d’occhi, non s’aspettava certo una
domanda così, da lui.
Scosse la testa, in segno di diniego. “Voglio provare
ancora, prima di rassegnarmi.”
“E tu, donna, partorirai con dolore…” le intimò, con fare
solenne, come se fosse stato un giudizio divino. “E’ quello che tutte sognano,
no?!” la provocò, irritante.
“E’ quello che desidero io!” ribatté lei, mortalmente seria.
Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri
pensieri. Poi Greg esordì con un’altra affermazione curiosa: “Stasera cosa
programmiamo? Un maschio o una femmina? Perché lo sai, vero, che gli
spermatozoi Y sono più veloci, ma meno resistenti; e quelli X hanno più
probabilità di rimanere vitali dopo l’ovulazione… vuoi un maschietto o una femminuccia?!”
ridomandò, come se illustrasse gli optional di una nuova auto sportiva.
“Voglio un bambino, non mi importa cosa sarà!” ribadì,
asciutta. “Berrei anche il latte di gallina, per averlo, e tu la fai così
facile!”
“Il latte di gallina?” ripeté lui, impressionato.
“E’ solo un modo di dire!”
“Nh… l’avevo intuito.” Controbatté, schizzinoso.
“Guarda che non ti ho chiesto di accompagnarmi al Ballo
Studentesco, perché sarò la
Reginetta della Festa di Maggio! Prendi seriamente questa
faccenda!”
“Ma io sono serio! A tal punto che, se vuoi un maschio, devi
lasciarmi dieci minuti d’intimità con il tuo bagno, prima, per il cambio dell’olio!”
Lisa non reagì, preferendo concentrarsi su Saphyr, piuttosto
che su quella sterile discussione.
“E tu, invece,” riprese Gregory “sai a cosa vai incontro?
Sai a cosa rinuncerai, per i prossimi… uhm, 25 anni?!”
“Sì, che lo so! E sono pronta a fare sacrifici! Anche se non
ho realizzato tutti i miei sogni nel cassetto…”
“Quali sogni?”
“Visitare Parigi, attraversare il Sahara, vedere il tramonto
sulla spiaggia di Yokohama…”
“Io l’ho visto, e non è un granché.” Obiettò lui.
“Tu non hai il senso del romanticismo.” Lo contestò.
Lui fece un ghigno d’accettazione malriposta.
“Sono punti di vista. E poi?”
“Le bianche scogliere di Dover, i castelli in Scozia…”
“Ohi! Miss Fogg! Ci manca solo il giro del mondo in 80
giorni! Qualcosa di più normale?”
“Beh, mi sarebbe piaciuto, ma non mi sono mai lanciata con
un paracadute e non ho mai guidato una moto.”
“All’ultima possiamo rimediare.” Concesse, magnanimo.
“E come, quando?!” s’agitò, colta alla sprovvista.
“Adesso, ovvio!” fu la risposta del medico, che si sollevò
dal divano puntellandosi col bastone. “Vatti a mettere qualcosa di comodo, come
pensi di inforcare la moto con quell’armatura di gonna?”
Stranamente lei non obiettò, come s’era aspettato Greg.
Sparì in camera da letto, per ritornare poco dopo, con un
paio di pantaloni comodi, un golfino e un paio di scarpe adeguate ai piedi.
Allungò una mano sulla mensola d’entrata, e afferrò un
fermaglio con cui si raccolse i riccioli in una morbida coda. “Sono pronta.”
Lui indossò nuovamente il suo giubbotto, e lei una giacca
sportiva.
Spensero la luce della casa senza convenevoli, e si
diressero nel vialetto a lato della casa.
House le lanciò il suo casco che lei prese al volo, quindi
salì sull’Honda senza aspettarla.
“Ma non dovrei guidarla io?!” chiese la Cuddy, come se non le
tornassero i conti.
“Vuoi che ci arrestino per guida pericolosa?!” fu la
contestazione, colorata dall’ovvietà “Ti porto in periferia, dove farai meno
danni…”
“E perché il casco a me?!”
“Faccio fatica anche solo a concepirla, un’idea così, figurarsi a realizzarla! Ma sarebbe alquanto
difficile farti chiamare ‘mamma’, se sei in coma per una commozione cerebrale
da incidente stradale.”
“Menagramo!”
Lui sorrise.
“Si dice ‘previdente’. Salta su.” E diede gas. Lei fece
quanto richiesto. “E aggrappati forte, non ho intenzione di molestarti mentre
sto guidando!”
****
“Wow, fantastico!” esclamò la dottoressa, sfilandosi il
casco davanti a casa propria.
“Potrei vomitare l’anima…” piagnucolò invece il dottor House,
inscenando un finto malessere.
Lei lo squadrò con sufficienza.
“Non ho guidato male!”
“Le mie budella hanno visto di peggio solo sulle montagne
russe…” si lamentò, querulo.
“Esagerato! Vuoi una compressa di metoclopramide?”
“No. Lascia
perdere.” Si frugò in tasca
e ingoiò due pasticche di Vicodin. Le prime della serata. “Voglio che lo
stomaco scenda dalla gola, e poi ripuntiamo
l’attenzione sul nostro obiettivo primario.”
Ma qualcosa s’era
inevitabilmente frantumato, con quel gesto. O forse erano state le sue parole.
Lei comunque non
commentò. Si limitò ad annuire e a fargli strada verso l’interno della sua
abitazione.
Continua…
Disclaimers: I personaggi e la
canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Note: Il
metoclopramide è un principio attivo, che serve comunemente a combattere il
senso di nausea e vomito.
La fic consta di 3 capitoli e l’epilogo… che sono già
finiti, e in fase di limatura. Quindi non dovrete attendere molto! ^__=
Chi mi conosce sa
quanto leggendaria sia la mia pignoleria. Mi sono documentata a dovere, mentre
scrivevo i vari capitoli; tuttavia, mi sono divertita, qui e in seguito, a
mescolare credenze popolari e consigli medici reali… gli addetti del settore sono
pregati di accogliere bonariamente questa mia ‘licenza letteraria’.
Ritengo che il desiderio di maternità - e tutto ciò che
ruota attorno al mondo della procreazione - sia un tema che va trattato con
delicatezza, ma anche con realismo, senza scivolare nell’indecenza.
Il giorno in cui una mia amica perse il suo bimbo in un
aborto spontaneo, il ginecologo di turno le disse: “Non tutte le ciambelle
escono col buco.”
Lascio a voi immaginare la sua faccia.
Probabilmente sarà una precauzione eccessiva, ma mi auguro sinceramente che la
mia storia, qui o più avanti, non sia motivo di sdegno.
Non è mia intenzione calpestare la dignità di nessuno.
Come sempre, sono graditi commenti, consigli e
critiche. Chiunque desideri, può contattarmi al mio
divano blue navy: elyxyz@alice.it
Grazie (_ _)
elyxyz