3. Kidnapping
Conan provò una fitta dolorosa al cuore,
l’espressione tesa del suo volto si trasformò di colpo in qualcosa di peggiore,
sentì che l’intero ambiente circostante gli crollava addosso e lui era lì,
completamente inerme a quel dolore spaventoso che l’aveva travolto nel giro di
pochi secondi. Quella che aveva risposto non era la voce che sentiva quasi ogni
giorno da quando era piccolo, era fredda, distaccata e indifferente...
"...Signor Mouri? Mi scusi, ma ci risulta che sua
figlia non è venuta a lezione stamattina. Non ne era al corrente? Pronto? È
ancora lì?" le ginocchia gli cedettero, cercò di parlare ma la voce gli morì in
gola. Così Ran non era mai arrivata a scuola... poteva essere chissà dove, e
l’unico indizio che aveva era quel codice ancora incomprensibile. Attaccò il
telefono senza rispondere ai richiami della segretaria e fissò la lettera che
teneva in pugno, ormai così stropicciata e intrisa di sudore da sembrare carta
straccia; distese il foglio per terra, passandoci sopra la mano per togliere le
venature che deformavano il disegno, e la griglia riapparve, costellata dei suoi
1 e 2 che parevano beffarsi di lui, così misteriosi e insensati. Niente. Non
sapeva proprio come decifrarlo, in classe aveva già tentato invano tutto quello
che gli era venuto in mente, in più era agitato e ragionare in quello stato non
era facile, non con le immagini spaventose che vedeva pensando al peggio; e più
i minuti passavano più si innervosiva, auto danneggiandosi. Sapeva che prima o
poi ci sarebbe arrivato, in fondo se il colpevole
Quel bastardo rivoltante gliela farò pagare
tocca la mia Ran con un dito e rimpiangerai tutto sì io non permetterò che
distrugga la sua vita lo giuro a costo di distruggere la sua
gli aveva mandato quel messaggio Conan doveva per
forza essere in grado di decifrarlo, o non avrebbe avuto senso il suo
comportamento. In effetti, è come se il colpevole volesse essere trovato da lui.
Aprì gli occhi, guardandosi intorno nella fitta
oscurità che incombeva su di lei cercò di muovere un braccio ma si accorse di
essere totalmente bloccata. Silenzio. Buio. Riusciva a sentire il suo stesso
respiro, mentre in alto, da un punto indefinito, proveniva una luce fioca, quasi
trasparente. Sola. Sì, era certa di esserlo, almeno ora. Non avrebbe sopportato
di averlo ancora vicino, sentire l’odore forte del tabacco, le sue mani che le
stringevano il braccio, il suo alito caldo e disgustoso sul collo, mentre le
sussurrava di non gridare, perché non voleva ucciderla, era indispensabile per
il suo piano. Aveva avuto paura di essere torturata, sottoposta ad atroci
umiliazioni e picchiata... paura di diventare un altro nome anonimo sui
giornali, un’altra ragazza compatita per un secondo da tutti e poi dimenticata.
Sì, aveva provato terrore autentico, si era sentita perduta e aveva lasciato che
la legasse senza opporre resistenza, sentendo il freddo metallo della canna
della pistola sulla tempia, la gelida morsa che gli stringeva il cuore. Poi lui
aveva versato un liquido su un fazzoletto e di nuovo si era avvicinato a lei
tanto da fargli sentire l’odore acre del fiato, aveva riso senza alcuna allegria
e le aveva detto di non preoccuparsi perché il suo fidanzato l’avrebbe salvata,
e infine gli aveva premuto il fazzoletto sulla bocca.
Shinichi...
Una lacrima silenziosa le rigò la guancia.
Shinichi non verrà. Lui non c’è mai quando ho
bisogno non è mai con me quando sono in pericolo e nemmeno quando sono triste...in
pratica per me lui non esiste più... da molto tempo...ormai...
Chiuse gli occhi: ma perché si era svegliata?
Perché non le aveva dato un sedativo più forte? Sarebbe stato meglio rimanere
nell’incoscienza che restare sola in quel buio in balìa dei pensieri che temeva
da tanto, e che ora si facevano più vividi nella sua mente, distruggendo nel suo
cuore l’immagine del suo amico d’infanzia, di quella persona che era così
importante per lei... che lo era... o forse che lo era stata...
Conan fece scorrere lo sguardo sul foglio,
concentrandosi, il suo cervello lavorava a ritmo spedito valutando ogni
possibilità, ogni via di uscita... Ai aveva detto di averlo già visto, e in
effetti anche a lui sembrava familiare. Solo che lo percepiva come una cosa
lontanissima, dimenticata... strinse i denti e inarcò le sopracciglia,
sforzandosi così intensamente di ricordare che le vene sulle tempie divennero
visibili. Allora, aveva subito accostato alle parole della ragazza l’immagine
dell’Organizzazione, l’aveva fatto istintivamente, con lo stesso procedimento
mentale che spesso fanno fare gli psicologi ai pazienti; però può darsi che non
fosse in quel contesto che Ai avesse visto quella griglia numerata, la cui forma
sembrava dannatamente conosciuta anche a lui, ma in un altro.. perché oltre ad
essere stata un membro dell’Organizzazione, Ai era stata soprattutto ed era
tuttora
una scienziata
Conan sorrise trionfante, guardò il foglio, sempre
meno incomprensibile, sempre più straordinariamente scontato... adesso riusciva
a leggere il messaggio, sapeva dove si trovava Ran e non aveva intenzione di
perdere altro tempo. Scattò in piedi e riprese a correre, ignorando le dolorose
proteste delle sue gambe. Il posto non era lontano, in un quarto d’ora avrebbe
dovuto esserci, mantenendo quella velocità; mentre avanzava rapidamente, sentì
suonare il cellulare e vide sullo schermo che Ai lo stava chiamando: di sicuro
anche lei aveva ormai capito di che cosa si trattava, in fondo doveva averla
vista un mucchio di volte quella tabella, lavorando in laboratorio. In effetti
anche nel suo libro di chimica di secondo superiore ce n’era una, che sciocco a
non capirlo subito! In fondo però erano diversi mesi che non sfogliava un tomo
del genere...
La griglia era la tavola periodica degli elementi,
e i numeri 1 e 2 in ogni quadrato stavano ad indicare una lettera del simbolo
dell’elemento corrispondente a quel posto. Ad esempio, nel secondo quadrato a
sinistra, da sopra, dove ci sarebbe dovuto essere il simbolo del litio Li, c’era
il numero 1; Conan avrebbe dovuto cioè prendere in considerazione la prima
lettera del simbolo, la "L"; nel quadrato subito sotto c’era invece il numero 2,
così dal simbolo del sodio Na il piccolo detective ottenne la lettera "a". Alla
fine, il messaggio così ottenuto era il seguente: "La tua ragazza è con me.
Vieni solo al vecchio stabile della centrale elettrica."
Conan diede un’occhiata allo schermo del cellulare
e poi rifiutò la chiamata: era inutile sprecare il fiato per parlare con Ai,
dato che aveva già risolto il codice. Ora doveva pensare solo a raggiungere lo
stabile, prima che fosse troppo tardi
Arrivo Ran non preoccuparti ci sono io non
permetterò a nessuno di farti del male arrivo subito perché ti sono e ti sarò
sempre vicino nonostante tutto aspettami non temere
Continuò a correre nonostante il dolore ai muscoli
e al fianco fosse ormai lancinante, anche se sapeva cosa sarebbe accaduto
continuando a sforzarsi in quel modo, poiché era un male che aveva provato tante
volte allenandosi duramente in vista dei campionati di calcio: di lì a poco
avrebbe avuto un crampo e pensare di doversi fermare lo spaventava più del
dolore in sé. In più il giorno prima aveva preso quella maledetta storta e la
caviglia cominciava di nuovo a fare male. Ripensò alla sera precedente, quando
Ran l’aveva preso in braccio per non farlo affaticare, ricordò i sentimenti che
aveva provato, quanto era stato bene, e gli sembrò di risentire la sua mano che
gli accarezzava i capelli con dolcezza, facendolo addormentare... strinse i
denti e aumentò la velocità, il dolore si fece insopportabile ma resistette,
finché comparve all’orizzonte la sagoma di un edificio diroccato, che si faceva
sempre più grande man mano che si avvicinava. Conan si fermò a pochi metri di
distanza dallo stabile, il volto in fiamme per lo sforzo, le mani poggiate sulle
ginocchia semi piegate: sentiva il sangue che pulsava nella testa, ansimava e
tossiva, respirando con difficoltà, esausto, le sue gambe mandavano fitte
dolorose ad ogni minimo movimento.
Non posso fermarmi qui non è il momento di
lasciarsi andare devo muovermi e devo farlo per lei
Strascicando i piedi si avviò verso l’edificio,
deciso a non arrendersi e a fare di tutto per riportare Ran a casa sana e salva.
Ormai in disuso da anni, lo stabile si presentava
vecchio e fatiscente, e la porta quasi crollò addosso a Conan quando l’aprì per
entrare. Legata alla maniglia vide una vecchia catena arrugginita e spezzata,
tuttavia notò pochissima polvere, segno che qualcuno era entrato lì da poco.
Avanzò cautamente, inoltrandosi nel buio, era certo che fosse una trappola, ma
non poteva sapere quanti erano i nemici che avrebbe dovuto affrontare, né cosa
avevano in mente e, soprattutto, dove esattamente fosse nascosta Ran. Non volle
accendere la luce del suo orologio per non diventare un bersaglio troppo facile
da individuare e così non riuscì a focalizzare niente, incespicò frequentemente
nei calcinacci e nei pezzi di vetro e legno sparsi sul pavimento aspettando che
i suoi occhi si abituassero all’oscurità. Intanto rifletté sul fatto che era
andato lì senza avere uno straccio di piano, distratto dai suoi sentimenti, e
che adesso si trovava allo sbaraglio e con pochissime possibilità di cavarsela
in caso di un agguato. Per di più c’erano ancora molti interrogativi a cui non
aveva dato risposta, per esempio cosa ci fosse scritto sulla lettera di Ran; era
quasi sicuro che chiunque l’avesse rapita non l’aveva catturata per strada,
rischiando di essere visto, bensì l’aveva spinta ad andare in un posto isolato.
Questa ipotesi spiegava il ruolo della missiva e anche lo strano comportamento
della ragazza; quello che proprio non capiva però era cosa ci fosse scritto per
farla obbedire in quel modo. Chi mai poteva essere colui che aveva tanto potere
su di lei? Di chi si fidava a tal punto da andare di nascosto in un posto
deserto perché glielo aveva chiesto? Sussultò: in un istante tutto divenne
chiaro e fu in quel momento che la rabbia cominciò a crescere dentro di lui:
chiunque fosse stato, l’avrebbe pagata cara!
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