IV
La mente di Slash non
era molto connessa, in quel momento. Anzi, non era connessa affatto. E, almeno
per una volta, non era colpa della sua adorata bottiglia di Jack Daniel’s e
nemmeno di droghe varie con cui continuava a giocare, no. Era tutto merito di
una ragazzina di cui non sapeva assolutamente nulla se non il nome e l’età… e
la sua bravura fottuta ad utilizzare quelle maledette labbra invitanti solo con
l’intento perverso di portarlo alla pazzia. Non che gli dispiacesse, in ogni
caso.
Poco prima di tuffarsi
su di lei ricordava di aver pensato che non sarebbe stato affatto carino, dolce
o gentile. Voleva solamente possederla e nulla l’avrebbe fermato da quello
scopo, sarebbe andato avanti con una determinazione che non aveva più da tempo
in molti aspetti della sua vita, a cominciare dalla band per poi finire nel suo
futuro matrimonio. Ma non poteva sapere quanto lei stessa fosse molto diversa
da come appariva, quasi l’opposto. Non poteva sapere che sotto quella scorza da
brava ragazza, quasi timida, si nascondesse una pazza squilibrata con il
peperoncino al posto del sangue. Sì, perché in quel momento, dopo averla già
presa una volta e averle dato piacere per un’ora senza lasciarle quasi il tempo
di respirare, lei si stava vendicando in tutti i modi possibili. Il metodo che
stava adottando in quel momento era semplice, la sua lingua gli lambiva tutto
l’addome, curiosa ed esploratrice. Le piaceva particolarmente intrufolarsi nel
suo ombelico e vedere la sua pelle riempirsi di brividi.
«Hai un buon sapore»
gli sussurrò all’orecchio, quando decise che per il momento era abbastanza.
«Sono sudato.»
«Sì – annuì divertita,
carezzandogli una guancia con fare pensieroso – E sei salato. Mi piace.»
Slash vide il suo
sguardo color nocciola incupirsi leggermente, come se un’ombra vi fosse passata
senza preavviso. Joey rimase per un momento imbambolata sui suoi occhi, per poi
scuotere appena percettibilmente il capo e tornare a baciarlo con irruenza.
Tutto sommato non aveva
una bella considerazione di lui, se pensava che fosse così facile fargli
dimenticare l’oggetto del discorso. Beh, ok, non aveva mai fatto niente per
smentire quello che la gente pensava di lui, però non metteva in dubbio il
fatto che anche lei lo stesse sottovalutando. E decisamente non aveva mai
creduto di poterla equiparare, in generale, alla “gente”. Era più sveglia, più
coraggiosa, più… vera.
«Ehi – le disse infatti
il chitarrista, sfiorandole piano la schiena con i polpastrelli mentre si
allontanava dalle sue labbra voraci – Cos’è successo?»
«Niente, io…» gli
rispose, ma s’interruppe a metà, facendo per mordersi il labbro e ricordandosi
subito dopo che forse era meglio non farlo.
Slash si tirò a sedere
di scatto, prendendo il volto della ragazza tra le mani. Merda, lui non era
bravo a fare la persona sensibile, si sentiva terribilmente impacciato, come un
pesce fuor d’acqua. E, come se non fosse bastato quello, la situazione surreale
in cui si trovavano non era affatto credibile: Joey era seduta a cavalcioni su
di lui, che palesemente eccitato, o forse erano eccitati entrambi, ed entrambi
erano senza un vestito addosso. La stabilità che la sua mente avrebbe dovuto
avere non era poi così tanta. Anzi, non c’era nessuna stabilità su cui fare
affidamento.
«Joey, cosa c’è che non
va? – insistette – Non sono un mostro di sensibilità, e per essermene accorto
anche io allora vuol dire che è palese. Cosa c’è?»
La giovane prese un
sospiro profondo, alzando poi lo sguardo verso la finestra. Era rivolta ad est,
e il cielo sembrava già essersi schiarito all’orizzonte, in quelle ore incerte
che precedono l’alba.
«È quasi mattina»
mormorò incerta, abbassando poi lo sguardo su Slash, osservando come la sua
espressione prendesse la forma della comprensione in breve tempo.
Fu tentato ugualmente
di risponderle con una battuta, perché non avevano dormito affatto durante la
notte e, a ben pensarci, avevano fatto qualcosa di molto migliore rispetto ad
un pisolino riposante. Però la consapevolezza di ciò che la sua frase
significava lo colse impreparato, colpendolo con la stessa forza di un calcio
nel ventre. Il mattino rappresentava il domani, e domani lei sarebbe dovuta
tornare alla normalità. Anche lui sarebbe dovuto essere di nuovo se stesso.
Sarebbe tornata ad essere Renee la donna che gemeva nelle sue orecchie e
sarebbero state sempre le labbra di Renee a baciarlo. Beh, ovviamente con tutti
gli extra della sua corista e di chi capitava. Ma non ci sarebbe più stata Joey
lì con lui.
Sarebbe stato lo
stesso?
No, non lo sarebbe
stato. E non era nemmeno una prospettiva così allettante, soprattutto dopo aver
conosciuto quel piccolo vulcano di St. Louis che in quel momento stringeva tra
le braccia e gli faceva provare dei brividi che non ricordava di aver provato
da un bel pezzo.
Eppure non era da lui
pensare al futuro, fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Lui no, lui
viveva il presente perché il “per sempre” lo lasciava a quelle checche
isteriche in calzamaglia azzurra che salvavano le principesse senza un minimo
di sex appeal. Non avrebbe mai voluto essere uno squallido principe azzurro.
Lui era un uomo reale, vero, pieno di casini e in grado di provare dedizione
verso la musica e nient’altro. E in quel momento aveva tra le braccia una
giovane donna piena di vita, che gli sembrava un tesoro prezioso, una fonte
inesauribile di emozioni… che però lui non avrebbe più provato. E allora non
era poi così inesauribile, perché presto sarebbe finito tutto e sarebbero
tornati entrambi alle loro solite vite senza brividi. Quindi avrebbero dovuto
solamente godere l’uno dell’altra lasciando da parte tutte le paranoie, perché
il tempo scorreva e non faceva sconti a nessuno.
«A domani ci penseremo
domani – le disse con sicurezza, chiudendo ancora una volta le mani a coppa
sulle sue guance morbide – Adesso è da vivere, non ci saranno altre
opportunità… e poi non lo sai che le occasioni non si sprecano mai?»
Joey dischiuse
leggermente le labbra, stupita dalla profondità del discorso che quello che
appariva come un musicista alcolizzato, ma che per quelli come lei era sempre
stato molto, molto di più, aveva saputo tirare fuori. E si stupì a pensare
quanto avesse ragione, quanto fosse stata stupida a farsi bloccare da una paranoia
del genere. Dio, si sentì per l’ennesima volta una bambina.
E allora, per farsi
perdonare quell’ondata di tristezza fuori luogo, annuì con calma un paio di
volte e si tuffò di nuovo su di lui, pronta a dimostrargli quanto fosse
determinata a spremere ogni momento per avere il massimo di quello che il
destino le presentava davanti.
«Così ti voglio, piccola»
Slash sorrise sulla sua bocca pronunciando quelle parole, ma quando la vide
mordersi un labbro in un moto di imbarazzo, stando bene attenta al taglio che
lo deturpava, non capì più nulla un’altra volta. Aveva deciso che l’avrebbe
fatta stare sopra, per vederla muoversi e per lasciare che si prendesse da sola
quello che si erano dati durante l’amplesso precedente, ma quella visione fu
troppo anche per lui. Sentì di nuovo la bestia montare in carica dentro al suo
petto e prendere pieno possesso del suo corpo. Prima che potesse anche soltanto
accorgersene, si ritrovò a ribaltare le posizioni per schiacciare il corpo di
Joey tra il suo e il materasso. Di nuovo, perché non ne aveva mai abbastanza.
Lei lo guardò
boccheggiando, stupita da quell’improvviso scatto felino. Un lampo di biasimo
attraversò i suoi occhi da cerbiatta, probabilmente per aver visto sfumare
un’altra volta il suo proposito di ricambiare tutto il piacere che le aveva
dato fino a quel momento. Ma la lussuria spropositata nello sguardo di Slash la
fece desistere, realizzando che, dopotutto, il piacere era capace di
prenderselo da solo e con molta probabilità ci sapeva fare anche meglio di lei.
Anzi, era una certezza data da quel tempo che aveva passato stretta tra le sue
braccia.
E infatti fu proprio
quello che fece. Erano già nudi, non c’era bisogno di qualche insulso preliminare
per togliersi i vestiti, e a essere onesti non c’erano stati fronzoli nemmeno
prima. Ma, quando Slash entrò in lei con un’unica potente spinta, riuscì comunque
a strapparle un urlo strozzato, mentre con le dita si aggrappava alle sue
spalle.
«Ti ho fatto male?» le
chiese allarmato, parlando con le labbra contro la pelle del suo collo, proprio
sui segni violacei che avevano lasciato le dita di Axl poche ore prima.
«No – rispose, spostando
una mano fino a stringere i capelli di Slash alla base del collo – Non ancora.»
«Non pensarci» mormorò
di nuovo, abbassandosi poi a baciarle le labbra con una strana dolcezza.
Joey si sentì una
stupida insulsa bambinetta, per l’ennesima volta in quella notte: gli aveva
promesso che avrebbe smesso di piangersi addosso e invece lo stava facendo
ancora. E dire che non era da lei continuare a rimuginare. Anzi, piuttosto il
contrario. Adorava i colpi di testa, adorava prendere decisioni affrettate seguendo
l’istinto, così come aveva fatto quando poi suo fratello le aveva rotto il
labbro e anche come aveva fatto quando Izzy e Duff l’avevano incoraggiata a
raggiungere Slash. E, di nuovo, quando l’aveva baciata e lei non si era tirata
indietro. In una sola serata aveva compiuto più atti sconsiderati di quanti una
persona riflessiva e ponderata avrebbe mai fatto in tutta la sua vita, eppure
in quel momento stava rimuginando.
Fortuna volle che a
contatto con la sua pelle ci fosse quella bollente della rockstar, o chissà
dove i pensieri l’avrebbero portata. Fu il suo calore a mantenerla lì ancorata
al presente, alle ondate di piacere che sentiva liberarsi dal suo ventre.
«Slash» ansimò senza
voce, sentendo le sue spinte farsi sempre più rapide e profonde.
Non era poi così
esperta, aveva avuto due o tre ragazzi, ma non aveva mai provato un piacere
così. Sembrava che il suo modo di amare, di prendere e di dare, fosse
potente come la sua musica, che si imponesse sul corpo e nell’anima con la
stessa decisione, lasciando poi lo stesso tormento alla fine di tutto.
Lo pensò anche mentre
raggiungeva l’orgasmo e, alcuni minuti più avanti, quando lo raggiunse anche
lui. Non erano venuti insieme, solo le coppiette sdolcinate si vantavano di
raggiungere il culmine del piacere nello stesso istante. Non accadeva mai, ed
era giusto così. Era giusto che Slash la guardasse gemere travolta dalle
sensazioni ed era giusto che, una volta ripresasi, potesse guardare lui
stringere le labbra e inarcare le sopracciglia per poi svuotarsi in lei,
fisicamente e, lo sperava, anche metaforicamente.
Certi spettacoli non
andavano persi, soprattutto se non ci sarebbe più stata occasione per vederli
ancora.
Un altro di quegli
spettacoli irripetibili era vedere Slash dormire, rilassato e sprofondato nel
cuscino, le labbra dischiuse e i capelli sparsi sulle lenzuola e sugli zigomi.
Era bellissimo.
Joey ci pensava da
parecchio, ed era giunta alla conclusione che se fosse rimasta un solo minuto
di più sarebbe finita a piangere per almeno un anno. Avrebbe passato dodici
mesi della sua vita, cinquantadue settimane, trecentosessantacinque giorni, a
piangere perché non aveva saputo dire basta, perché aveva voluto di più e quel
di più aveva comportato dei rischi, che immancabilmente si erano verificati. Si
sarebbe innamorata. Non si poteva non amarlo, e lo pensava con ogni fibra
del suo essere mentre gli sfiorava una guancia, scostando un riccio ribelle che
gli copriva gli occhi.
Non aveva mai
apprezzato la nera profondità del suo sguardo, aveva sempre visto palpebre
socchiuse per il troppo alcol o per il troppo chissà cosa. E invece no,
anche i suoi occhi parlavano, così come le sue mani.
Al diavolo, doveva
andarsene di lì.
Si alzò con un sospiro
frustrato, raccattando la maglietta su cui aveva fatto scrivere quella frase sfacciata.
Wanna be your paradise city. Chissà se l’aveva notata… beh, in ogni caso
non avrebbe potuto chiederglielo, perché se ne sarebbe andata prima che si
fosse svegliato.
E poi, era così illusa
da voler essere la sua Paradise City? Era davvero una bambina, se
pensava ancora a quelle cazzate.
«Joey.»
Cazzo! Perché non
poteva funzionare? Perché non poteva fuggire da quegli occhi neri come la pece
e basta? No, lui doveva svegliarsi e violentare la sua forza di volontà. Dio,
stava già male a pensare che non l’avrebbe mai più rivisto. Bambinetta,
aveva ragione Axl.
«Ti ho già detto di non
andartene» le disse ancora, la voce impastata dal sonno ma al contempo decisa.
Quasi morbida, così discordante dal suo aspetto selvaggio.
Joey strinse le labbra.
Avrebbe voluto mordersele ma aveva già sperimentato poche ore prima proprio grazie
a Slash che non sarebbe stato affatto salutare. Il taglio si sarebbe messo di
nuovo a sanguinare e lui l’avrebbe baciata ancora per fermare la piccola
emorragia. E poi addio alla sua fuga ingloriosa.
«Abbiamo una settimana
di pausa fino alla prossima data, rimarremo qui a Chicago – continuò lui,
apparentemente incurante della sua schiena rigida e del suo silenzio – E la mia
camera è abbastanza grande per due persone.»
Strinse la maniglia
fino a farsi sbiancare le nocche, ma poi mandò tutto al diavolo. Si sarebbe
innamorata, lo sapeva. Sentiva già nel sangue quei suoi grandi occhi neri che
sapevano prendere e sapevano dare.
E avrebbe sofferto. Ma
le importava? Doveva vivere il presente, al domani ci
avrebbe pensato… beh, domani.