La
lampada dalla luce forte sulla scrivania, la porta aperta della mia
camera, il profumo dei biscotti della mamma. Il mio quaderno di
giapponese... un me stesso di dieci anni all'ombra del Financial
Times di mio padre, i cui occhi sottili si alzano talvolta
dall'angolo di una pagina, per correggere un ideogramma storpiato:
-
Così è solo una "o", Shin, cos'è
questo sgorbio, hai dimenticato un pezzo per strada? Se vuoi scrivere
"grande", che poi lo vedi tutti i giorni nei cartoni
animati, guarda... - Le sue dita perfette tracciano la versione
armoniosa di quei miei goffi tentativi. E insieme alla sua lingua mi
insegnava la sua verità,
(tu
non hai un fratello)
mi
comunicava la sua gelosia degna di un siciliano - ma davvero, in
Italia non conobbi mai un uomo tanto ossessionato...
(non
hai un fratello perché tua madre non può aver
avuto un
altro uomo)
Però,
nella mia mente di bambino, non credevo certo che Declan non
esistesse; lo assimilavo piuttosto ai personaggi buffi della TV:
buffi e noiosi. A Milano, anni e anni dopo, scoprii un presentatore
di talk-show che me lo ricordava molto.
E in quel momento capii una cosa: che nessuno è ora come lo
ricordi. Le immagini degli altri che conserviamo in testa sono
profondamente diverse dal viso che ci troveremo di fronte quando li
rincontreremo.
Se
li rincontreremo.
Stephen
si avvicinava ai tre anni, con l'energia di uno Scorpioncino
cresciuto tra gente adulta e buona musica. Aveva i capelli
biondissimi come Laura, ma ricci, e gli occhi chiari di Deke.
Iniziò
l'asilo prestissimo, si dimostrò sveglio e socievole con gli
altri bambini, ma il suo vero divertimento era stare con Swann. Il
locale era diventato un'istituzione, a dispetto delle gufate del
sindaco e dei filo-discotecari di C., e ospitava, due volte l'anno,
il festival jazz della contea. Gli eventi principali si svolgevano
all'aperto - lo Swinging dava su Devon Square - ma i solisti si
esibivano nella sala arancione. Due sere alla settimana Lance, il
ragazzo di Swann, dava lezioni di ballo.
Una
domenica, dopo pranzo, Martha era scesa dalla vicina e Laura stava
lavando i piatti con la radio accesa. In soggiorno, sul divano,
Stevie sfogliava un libro illustrato e Deke leggeva il New Worker. Ad
un tratto si alzò, visibilmente affaticato, stropicciando il
giornale che cadde sul pavimento. Stevie staccò gli occhi
dalle figure del libro, voltandosi a guardare suo padre: questi, con
un certo sforzo, gli fece cenno di tacere ed uscì dalla
stanza. Per la prima volta nella sua ancor breve esistenza Stevie
conobbe la paura. Era una vera e propria scelta, quella che si
trovava davanti: restare zitto e buono come gli era stato ordinato,
andare dalla mamma a dirle... a dirle cosa? Che papà
è
andato in bagno? Sbirciò la porta della cucina, poi
saltò
giù e seguì Deke in corridoio. La porta del bagno
gli
sbatté in faccia.
-
Declan? Va tutto bene?
Dì
la verità, signor Kaufmann, non te l'aspettavi? Credevi che
il
destino avesse cambiato idea, lo credevi davvero? Pensavi di averla
passata liscia, eh no, bello, comincia pure a dire addio - paga i
debiti e chiudi le persiane.
Si
guardò allo specchio. Il viso era chiazzato di rosso. Era
stata una crisi passeggera? Un'irritazione di qualche fottuta mucosa
bronchiale? Ricordò che a due anni io avevo cominciato a
soffrire di una forma asmatica: nient'altro che allergia a due o tre
tipi di frutta.
Balle.
Il
tempo era scaduto. Cominciava il conto alla rovescia.
Ora
apro la porta, lascio entrare Laura, la guardo negli occhi e le
dico... che cosa? Quello che le fa più paura in assoluto. Io
non posso! Non voglio vederla piangere, è orribile!
Perché?
In
quei brevi minuti il desiderio di Dio gli riattraversò la
mente. Era stata colpa delle sue idee se...
Era
stato anche grazie ad esse che aveva conosciuto lei. No, non c'era
stato niente di sbagliato, solo che adesso veniva la parte
più
difficile.
Non
si trattava di rimandare la sofferenza, questo era impossibile:
l'unica via era sostituirla con un altro dolore. Certo, poteva
risultare addirittura peggiore, ma non credeva di avere alternative.
Dal
Diario di Laura Bradley Kaufmann, estate 2008:
"Ma
mi ami? Ma sei caduta così in basso?" mi dice sempre
più
spesso. E non è più l'insicurezza, la disistima
di sé
che sento in queste parole... mi pare ODIO... mi sembra che tutto
intorno a me si oscuri e la nostra strada si divida... ma dove
andremo, allora? E' possibile che mi abbia mentito per tutto questo
tempo? Ha finto anche con Stevie? La sua indifferenza mi travolge, mi
spaventa.
[...]
Non
prova un minimo di vergogna a parlare di me ad alta voce con i
clienti dello Swinging. Ieri sera scherzava con Swann a proposito di
uno stock di bottiglie di rum "che poteva pagare semmai in
natura, aveva giusto qualcosa da rottamare". Qualcuno direbbe,
l'hai detto tu, scherzava soltanto: ma in quel momento nessuno,
nemmeno Swann, ha percepito la cattiveria con cui l'ha detto, a parte
me.
[...]
Mi
si potrebbe tacciare di paranoia... se non fosse che Drew si
è
accorto benissimo di quello che sta accadendo! Dunque saremmo in due
ad essere impazziti? No, è che Deke è cambiato,
mi
odia, lo so! Cerca di litigare ad ogni occasione, ma non è
nemmeno questa la cosa più terribile, è che si
sta
allontanando anche da Stevie: anche con lui è diventato
freddo, e per quanto nostro figlio cerchi il suo affetto, lui la
butta a ridere o lo prende in giro.
[...]
Declan,
perché non mi parli? Chi può spiegarmi che cosa
succede
al mio uomo? Come può essere cambiato tutto da un giorno
all'altro? Ci si può alzare un mattino e decidere "non ti
amo più"? Può essere, a questo punto
può
anche darsi. Ma che non voglia più bene a Stevie?
[...]
Mi
chiedo se quest'uomo sia lo stesso di cui mi sono innamorata quella
sera in sezione, l'uomo che ho scelto fra mille e che ancora
sceglierei ogni giorno, senza esitare. Cosa lo turba? Qualche mese fa
non avrei avuto alcuna soggezione a domandarglielo - ma ora - ora! E'
davvero un estraneo... ultimamente, poi, ha preso l'abitudine di
dormire al locale. Mi ha ripudiata, temo. Il suo cuore ha abbandonato
questa famiglia che sembrava renderlo felice, ma che a questo punto
non gli basta più. Gli hai chiesto tu di sposarti, mi ripeto
spesso.
Declan
continuava la sua farsa. Quando era costretto a restare a casa, la
notte, credeva di impazzire. Sentiva il desiderio di accarezzarle le
labbra, di posarvi un bacio leggero e poi svegliarla... e dirle
tutto. Ma quando a volte lei apriva gli occhi, e sarebbe stato
così
semplice rompere il muro, si faceva forza e si voltava dall'altra
parte, mostrandosi irritato all'ennesimo grado, brontolando che non
riusciva a dormire in quel letto - nascondendo le lacrime che
altrimenti le avrebbero parlato d'amore.
Ormai
la gestione del club era tutta sulle spalle di Swann. Il giovane era
disorientato dal comportamento di Declan, che era sempre stato un
datore di lavoro quanto mai gentile e scherzoso, e che ora si
dimostrava un socio scorbutico e per nulla collaborativo.
Rinunciò
al teatro, alle conferenze, alle vacanze... per fortuna di musica
poteva averne quanta ne voleva.
Gli
dispiaceva per Laura, che lo pregava (oh quante volte!) di dirle
quello che sapeva: se c'era un'altra donna, o qualcuno che
"preoccupasse" Deke - si riferiva evidentemente a qualche
forma di racket o ad un usuraio o cose così - ma Swann non
solo non riusciva a immaginare che cosa fosse successo a Declan, ma
non ci dormiva la notte, proprio come lei! Con la notevole differenza
che... Swann non era innamorato di lui.
"Gli
dà fastidio se lo chiamo per nome. Credevo, e credo ancora,
di
non poter vivere senza di lui; ma adesso mi è proprio
impossibile restare... soprattutto perché capisco che non mi
sopporta più. E anche per Stevie. Sta respirando troppo
veleno.
[...]
“Mi
sono vista di nuovo con Drew, gli ho chiesto di passare al locale per
cercare di capire cosa frulla in testa a Deke. Ma che mi aspettavo?
Gli ho solo procurato un dispiacere. Lui l'ha accusato di aver fatto
un pessimo lavoro (ma se tre anni fa l'aveva ringraziato con le
lacrime agli occhi!), ha tirato in ballo vecchie divergenze, il tutto
con un sorriso crudele - penso che fosse lo stesso che ho imparato a
conoscere così bene in queste settimane - e stordendolo a
colpi di Martini. Drew ha concluso il suo reportage con una parola
che prima o poi avrei sentito: lascialo. E so che Richie mi direbbe e
farebbe di peggio, perciò non voglio che venga a sapere
nulla.
Sarebbe capace di... oh, ma che cosa significa? Declan vuole farsi
odiare da tutti? Eppure con i fornitori e con quelli dell'orchestra
non si comporta così. Ce l'ha solo con chi gli vuole bene."
John
non credette mai alla messinscena di Deke. Chiese, indagò,
stuzzicò, senza risultato: e la conclusione che
poté
trarne fu che non era una questione di sentimenti. Se Declan aveva
smesso di amare qualcuno, questi era se stesso, ed era un problema
che nessuno poteva risolvere al posto suo. Perché
altrimenti,
lui gliel'avrebbe detto, ne sono sicuro. Sarebbe passato da casa sua,
lo sguardo circospetto quasi si aspettasse che la moglie sbucasse
fuori da qualche porta - e si sarebbe versato da bere:
-
Ma non hai dodici ripiani colmi di questa robaccia, al locale?
-
Sì, ma sul lavoro non alzo mai il gomito.
E
gli avrebbe raccontato di come si fosse pentito d'aver sposato una
bambina viziata, spendacciona e sporca.
Ma
non era successo nulla di simile - non sarebbe mai potuto accadere.
Fatto sta che lei se n'era andata, era stata costretta a sloggiare
con Stevie, non prima di essersi sfogata come è prassi in
ogni
separazione
TU
MI PAGHI GLI ALIMENTI FINO A CHE NOSTRO FIGLIO NON FINISCE
L'UNIVERSITÀ!
-
Figurati, se è secchione come sua madre gli daranno tre
borse
di studio già alle elementari!
(amore
piccolo amore mio se sapessi che non ci sarò nemmeno al suo
prossimo compleanno)
John
non gli credette mai, dicevo, ma lo stesso aveva finto così
bene. Gli ebrei, e anche gli irlandesi, come i napoletani e i greci,
hanno il tocco dell'artista, hanno spiccate doti istrioniche, un
talento speciale per il trasformismo, ed eventualmente eccellono
nella carriera diplomatica. E se un irlandese può essere
spesso timido, ed esprimerà il suo genio interiore
diversamente, con la musica ad esempio, chi ha anche una sola goccia
di sangue d'Israele non può fare a meno di essere brillante
in
ogni situazione.
Così
Declan aveva allestito l'ultimo atto della sua tragedia familiare,
come palcoscenico le mura di casa, come protagonisti inconsapevoli le
persone da lui più amate, regista di un Truman Show crudele
-
e non pensate che questa grande Menzogna, questo nascondere le
sofferenze, pronunciando parole dure contro la sua stessa carne, che
fremeva dal desiderio d'accarezzare e proteggere,
non
pensate che tutto questo abbia accelerato la sua fine?
What
was that you were looking for
that
took your life that night?
They
said they found my high school ring
clutched
in your fingers tight.
(M.
Dinning)
Il
sipario si era già abbassato. Gli attori erano
già
ognuno nel suo camerino a togliersi il trucco - o ad applicarsi
quello di tutti i giorni.
Che
faceva Laura?
Stava
a casa della madre mentre lei era fuori a cena con il suo Gabe e
aveva messo a letto Stevie. Non si faceva più domande.
L'indomani aveva appuntamento con un avvocato.
E
Deke?
Beh,
a Deke non piaceva affatto quello che vedeva allo specchio.
Altro
che compiacersi per l'ottima esibizione! Provava solo un gran
ribrezzo. Lasciò il teatro dall'uscita di servizio, e
uscì
allo scoperto. Al freddo. Alla pioggia. Alla verità che
è
amore.
Suonò
al campanello di sotto. Laura pensò che la madre fosse
rientrata in anticipo perché aveva litigato con Gabe, ed era
preparata al massimo ad una camomilla in famiglia. Non aveva motivi
per sperare in lui.
Ma
sentì che i passi sulle scale non erano femminili, e tanto
meno quel respiro affannato. Non sperava, e tuttavia era vero. Era
venuto a cercarla. Era vicino a lei. Li separava solo una porta
sottile.
(e
quando ti disse che era tutta un'abitudine)
Ma
è qui per me.
(che
il matrimonio è un'istituzione assurda che è una
dannata sovrastruttura)
Devo
ascoltarlo.
(che
sei stata tu a chiederlo che ti doveva un favore piccola illusa)
-
Laura. Amore. - Le bastarono queste due parole a dimenticare tutte le
altre.
-
Sono venuto a riprendermi l'anello della scuola.
-
Spostiamoci dalle rotaie allora.
E
sì, lei tolse il chiavistello, girò la maniglia e
un
treno li travolse. Perché era di nuovo tutto come quella
mattina alla stazione. Era ancora meglio, ché non c'era
neanche John a rompere le scatole.
-
Laura. Cara, cara perdonami...
Lo
guardò alla luce del pianerottolo ed ebbe un brivido. - Ma
ti
sei inzuppato! Vieni dentro, per carità! Pazzo, sei pazzo ad
uscire così. - Prese un asciugamano, gli strofinò
i
capelli, poi gli sbottonò la camicia.
-
Senza di te era uno schifo. - Lei gli toccò la fronte. - Se
ti
viene la febbre cosa faccio? Eh? - Gli sfregava il petto, la schiena,
le braccia che ora non riuscivano a stare ferme e la stringevano. -
Oh Deke! Tu devi dirmelo perché volevi farmi impazzire!
In
camera da letto trovò un maglione di Gabe. Verde, ma era
meglio di niente. Declan non smetteva un attimo di baciarle le
labbra, il collo, i seni. Si tuffava tra i fiori di un prato in
primavera. Non faceva più freddo, perché lei era
calda,
era bella, e i tuoni erano fuochi artificiali, se non guardavi e non
avevi paura.
-
Mettitelo.
-
Ma non sento freddo. Sento te...
-
Voglio tornare a casa, amore, andiamo?
(mi
vuoi ancora davvero?)
-
A casa? Adesso? - il suo sorriso esplose. - Oh Laura! Tu sei la mia
gioia. Puoi davvero scusarmi di tutto? Io non posso spiegarti, forse
non potrò mai.
-
Andiamo.
-
Andiamo.
Mentre
uscivano, la luce dell'ascensore si accese e Laura capì che
la
madre stava salendo. - Prendiamo le scale - disse - l'ultima cosa che
desidero è che ti veda qui stasera.
Aveva
smesso di piovere. Tranne che sotto i cornicioni.
-
Hai ragione a vergognarti di me. Di sicuro lei non mi
perdonerà
mai.
Laura
cascò dalle nuvole. - Declan... non capisci? Non mi importa
niente cosa pensa di te... ma non sopporto come ti guarda. Non lo
sopporto, okay? - Lui annuì. Era felice. Non si era
aspettato
che lei lo amasse ancora, ma che dopo tutta la Grande Menzogna fosse
rimasta intatta anche tutta la stima che aveva di lui, era
incredibile.
Era
così forte la gioia di averla vicino. Tutti i suoi propositi
si erano dissolti con l'ultimo sprazzo di sole di quella lunga
giornata. Era stato tutta la mattina al telefono con il manager del
musicista che avrebbe suonato l'indomani allo Swinging, si era
dimenticato di pranzare salvo poi mandare giù un panino a
metà
pomeriggio. Come al solito non si sentiva affatto bene.
E
non era affatto più tranquillo. Non ci sarebbe stata mai la
certezza che, solo perché lui si era così
bruscamente
allontanato, lei non avrebbe sofferto dopo. Stava solo costruendo
intorno ad entrambi una prigione che non faceva trapelare le
verità
difficili ma nemmeno quelle che dobbiamo conoscere per andare avanti.
La
verità è che lui stava morendo.
La
verità è che lui amava Laura e Stevie.
E
nella notte, per fortuna, fece crollare le mura di quella prigione,
fece cadere le assi del palcoscenico su cui aveva recitato per mesi,
e consumò le ultime energie - questa volta non è
una
metafora né un'iperbole - provando a vivere, in poche ore,
tutto ciò che si era perso per colpa di un orgoglio assurdo.
E
stringendo la sua donna tra le braccia, baciandola in ogni centimetro
del corpo, gli scoppiava nella mente il pezzo di Cole che aveva
cantato
(sussurrato)
al
microfono durante il pranzo di nozze:
Yes
sir that's my baby
no
sir don't mean maybe
yes
sir that's my baby now.
That's
my baby again.
Aiutami,
Laura, non voglio andarmene adesso. Voglio accompagnare Stevie il suo
primo giorno di scuola, voglio festeggiare i nostri dieci anni di
matrimonio, voglio fare l'amore con te come stanotte, tutte le notti.
Voglio vederti addosso quel vestito che hai comprato ai saldi
dell'anno scorso, e voglio conoscere tuo padre anche se dici che
è
uno stronzo. Lo so che è chiedere troppo, il sogno non
poteva
durare così tanto... ma non voglio morire ugualmente. Tutto
questo dicevano i suoi occhi, e non capiva perché questi
desideri non potessero essere esauditi. Abbiamo chiesto troppo,
sì,
forse è così, ma ora non posso accettare di
perdere
tutto.
Non
posso accettare di perdere Deke.
Doveva
chiedere aiuto, lo sapeva, ma non riusciva a staccare gli occhi dai
suoi. Era sicura che, se si fosse allontanata, se avesse lasciato
quella stanza, lui sarebbe morto. Ma non sarebbe sopravvissuto solo
perché lei era lì a dirgli che l'amava, non
è
l'amore a fare miracoli, sono i respiratori e gli stimolatori
cardiaci e le flebo. Qualche volta.
Fu
uno sforzo tremendo, ma riuscì ad alzarsi e uscire dalla
stanza.
'istinto
bussò alla porta di mia madre, poi l'aprì senza
aspettare risposta. Lei lesse la disperazione e l'angoscia sul suo
viso, ma non sembrò allarmarsi: parve a Laura più
forte
in lei la sorpresa di vederla di nuovo a casa. Senza alcuna fretta,
indossò la vestaglia. Sembrava tanto più
vecchia... e
sembrava anche qualcos'altro, ma Laura non capiva, voleva solo che si
sbrigasse, che andasse da Deke mentre lei chiamava un'ambulanza, e se
avesse compreso, se... se si fosse fermata a guardarla meglio sotto
la luce, non l'avrebbe mai lasciata sola con suo figlio.
Mentre
si precipitava sul telefono, inciampò in un pezzo delle
costruzioni di Stevie. Era a piedi nudi, e il dolore fu lancinante.
Perse l'equilibrio e tentò di aggrapparsi a qualcosa, a
qualsiasi cosa... e in un terribile errore si trovò a terra,
con in mano la cornetta. Doveva essere una scena buffa, ma fu
orribile. La portò all'orecchio, mentre si rialzava e
valutava
il misfatto. Il resto del telefono, tenuto in sospeso dal filo a
spirale alla cornetta, era finito nel ripiano di sotto, insieme alle
pagine gialle e alle cartine delle autostrade. Non sentiva nulla. Il
cavo si era staccato dalla spina; penzolava dietro il mobiletto come
una coda o una stella filante.
Corse
in soggiorno, mentre il piede continuava a pulsarle di dolore, e si
guardò attorno cercando la borsetta: era sul divano, mezzo
nascosta dall'impermeabile ancora umido.
Cominciò
a frugarvi dentro, mentre l'ansia prendeva il sopravvento, mentre le
lacrime le offuscavano la vista e sentiva le mani gelide perdere
sensibilità. Con uno scatto di nervi rovesciò la
borsa
tenendola per il fondo, e tutto il contenuto si sparpagliò
tra
i cuscini: chiavi, fazzoletti (Dio sapeva se ne aveva consumati, in
quei giorni), caramelle, il portafogli e, finalmente, il cellulare.
Tenerlo in mano le sembrò come afferrare la maniglia di un
portone per uscire da una casa in fiamme (sic). Sarebbe andato tutto
bene.
Ma
mentre aspettava di mettersi in comunicazione con i soccorsi,
sentì
- no, più che altro non sentì - di nuovo, come
nella
cornetta del telefono, un silenzio impressionante. Di nuovo
cominciò
ad agitarsi. - Martha! - chiamò, ma lei non rispose.
Andò
in camera, e vide.
Swann
andò ad aprire il locale, mise su la musica,
sistemò i
salatini, e aspettò.
Aspettò.
Solo
quando si accorse che, sebbene ci fossero 5 CD differenti nello
stereo, aveva già sentito elencare dalla Vaughan le sue cose
preferite una mezza dozzina di volte, diede un'occhiata all'orologio
e gli venne un discreto dubbio. Anzi, due.
Il
primo era che Laura fosse tornata a casa ed era meglio non chiamare
per non disturbare i piccioncini, chiudere tutto e...
Il
secondo era che lui, Swann, non si fosse ricordato che era giorno di
chiusura.
Ma
no, era sabato, quella sera si sarebbe esibito un pianista francese.
Il quale sarebbe arrivato in treno da Londra, poi bisognava
accompagnarlo all'albergo, aspettare che si sistemasse, poi fargli
prendere confidenza con quel pianoforte, e un milione di altre cose.
Perciò si accinse a telefonare ai signori K.
-
Che cazzo significa disattivato? - si chiese quando la voce
registrata gli comunicò che niente, se voleva parlare con i
padroni doveva andare a trovarli a casa. Provò con il
cellulare di Laura, anche se non era affatto sicuro che fosse in
città o che le importasse più niente della serata
musicale, se è per questo. Squillava, ma non rispondeva
nessuno. E anche se la preoccupazione non era un sentimento che
avrebbe mai potuto sfiorare la testolina rasta di Ewan Bates, non
trattenne però la sua curiosità.
Della
pioggia della sera prima restava solo qualche macchia scura
sull'asfalto, quando parcheggiò la sua Renault impolverata
davanti al 14 di Whitham Road. Mentre scendeva dall'auto
notò
una figura accoccolata sulla soglia dell'androne, che riconobbe
quando fu più vicino. Non trattenne un brivido. Aveva la
testa
appoggiata al portoncino socchiuso, le gambe premute contro il corpo
e sembrava guardarsi le mani, gli occhi fissi e trasparenti.
-
Signora Mohin?
Allungò
una mano.
-
E' stato meglio anche per lei.
-
C-cosa? - balbettò Swann.
-
Ancora? Per quanto doveva stare così male? Ancora, e ancora?
Io volevo chiudere gli occhi e sapere che i miei figli non avevano
bisogno di niente. Io volevo morire prima di loro... perché
è
così che va in tutto il mondo, vero? Non c'è
scritto da
nessuna parte che obbliga una madre a vedere quello che stavo
vedendo. Suo padre è stato due mesi in ospedale prima di
andarsene. Ma è stato un incidente... mi manca, mi manca
ancora Ernst, ma non è stata colpa di nessuno... e invece
ora
sono anni. Anni, e andava sempre peggio...
Swann
ascoltava, rapito dalla follia di quelle parole, ma forse
più
dalla loro ragionevolezza. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi sembra
lucida, pensò, e un istante dopo: è solo
perché
lei è oltre la pazzia. Sentì il rumore di uno
sportello, dei passi e un frusciare di plastica, e si voltò:
una donna, che probabilmente abitava nella palazzina, stava
rientrando con la spesa e un borsone blu.
-
Martha! Mio Dio, che cosa succede? - fece quella, accorrendo.
Swann
ne approfittò per scivolare nell'androne. Fu allora che
sentì
quelle grida terribili. Era una voce che da tempo non ha più
nulla a cui attingere per continuare a riempire l'aria di dolore, che
normalmente non esce dalla gola di un essere umano, a meno che questi
non abbia visto l'inferno. Da quanto sta piangendo così? si
chiese, senza alcun dubbio su chi stesse piangendo.
Si è consumata ieri
mattina verso le nove in un tranquillo appartamento di Witham Road la
tragedia familiare che ha come protagonisti Martha Mohin, pensionata
ultrasettantenne, e il figlio Declan Kaufmann, 51 anni, gestore del
club 'Swinging Years'. Secondo una prima ricostruzione, basata sulle
testimonianze raccolte finora, l'uomo era in preda ad una crisi
respiratoria acuta, di cui soffriva in seguito alle ferite riportate
nell'attentato alla sede locale del NCP in cui era stato coinvolto
nell'ottobre del 2003. La madre avrebbe deciso di porre fine alle sue
sofferenze soffocandolo con un cuscino. E' ancora in corso la perizia
psichiatrica che dovrà stabilire se la donna sia imputabile
di omicidio. La moglie della vittima, Laura Bradley, è
tuttora ricoverata in stato di choc all'ospedale di C. "Non nego che la
signora Mohin fosse da tempo in ansia per la salute di suo figlio"
racconta Ewan Bates, dipendente dello 'Swinging Years' "ma immaginare
un gesto simile non era possibile. Eutanasia? Se è
così, non è stata richiesta. Se c'era una persona
che amasse la vita, quello era il signor K." Declan Kaufmann lascia
anche il figlio Stephen di tre anni e il fratello Seamus, oltre ad
amici e conoscenti di cui si fa portavoce il signor John Farrell e che
lo ricordano "con l'affetto riservato agli uomini onesti, generosi, che
non rinnegano i propri ideali nemmeno davanti alla violenza e
all'intolleranza".
Erano
al POC. Gli squarci nelle vetrine semioscurate lasciavano passare una
luce che non era di questo mondo. I sigilli della polizia scoloriti
giacevano sulla soglia.
Declan
indossava una maglietta e un paio di jeans chiari, il che gli dava
un'aria giovanile che non gli aveva mai visto. E' così che
si vestono gli angeli? pensava. Allora, quanti ne avrò
incontrati finora per strada? Il suo volto aveva perso l'ombra
sofferente e minacciosa degli ultimi mesi. Però non era
nemmeno la vecchia espressione da eterno single socialmente impegnato.
C'era amore, di una tinta meno abbagliante, finalmente e troppo tardi.
Tra
i calcinacci anneriti trovarono ciò che cercavano. Lei
distolse lo sguardo. Era quella macchina da scrivere, ormai una massa
informe di metallo, ma ancora con tutta la capacità di
uccidere nascosta in ogni fessura. Di uccidere lentamente, lasciandoti
il tempo di sposarti, avere un figlio, aprire un jazz club, sognare,
illuderti di avere ancora tempo per guardare il mondo, amarlo e
lasciarsi amare. Guardando verso la porta, la luce era insopportabile,
e aveva paura che lui scomparisse, perciò tornò a
voltarsi. Declan le prese la mano: abbiamo dimenticato, le disse con
una voce serena. Abbiamo portato rancore ad uno spostamento d'aria...
ma non sono le macchine da scrivere a fare del male, né le
bombe, né le pistole: sono gli uomini. Sono stati tre
ragazzini con le scarpe firmate e in testa idee macabre riciclate dai
libri di storia e adattate ai loro cervelli viziati e rimpiccioliti da
pasticche velenose. Perché se incolpiamo un pezzo di
metallo, ok, ero stato io ad appoggiarla là sopra a prendere
polvere, quando Auburn aveva portato il computer. Ero stato io anche a
rimandare quando Pete Jessup si era offerto di puntellare gli scaffali.
Quanto ai vetri anti-sfondamento, è un discorso che si
può estendere a tutti noi. Bastavano poche sterline, il
fratello di Richie non si sarebbe certo fatto pagare la manodopera. Ma
come non è stata colpa nostra, non lo è stata
né delle cose, né del destino. Per nostra fortuna
e sfortuna la nostra indole ci porta ad avere fiducia nella natura
umana... Certo, è sbagliato cercare un capro espiatorio per
ogni nostro errore, ma dare a noi stessi la colpa per le azioni
deliberate degli altri è puro masochismo.
Dovremmo
ricostruire qui? chiese. Non lo domandare a me, rispose Declan, e le
sue mani le accarezzavano il viso come fresche farfalle. Potete andare
avanti così o addirittura mollare tutto. Per me non cambia
niente, la politica di questo mondo non mi riguarda più.
Non... provò a replicare, ma lui la portò nella
luce accecante, fissandola con un'espressione arrabbiata che non
conosceva. Non? Dirmi così? Non farmi ricordare? Non
smuovere il dolore, taci la verità, non parlare, non fare,
nascondimi dalle responsabilità, sono fragile, sono piccola,
non voglio sentire! Basta, Laura! Basta scappare! Cosa ti aspetti dalle
persone, che siano perfetti, che siano immortali? Avrei dovuto
ucciderti perché tu non corressi il rischio di perdermi? Sei
così infantile da farmi pentire di avere sprecato i miei
ultimi anni con te!
Gli
occhi le facevano male, le sue parole le facevano male, e pensava: se
questo è l'addio che ho rimpianto -
Ti
sbagli, amore, l'addio che volevi è questo,
sussurrò abbracciandola, la voce di nuovo tranquilla.
Declan...
mio amato Declan... che cos'è la morte di fronte al
disprezzo, al disamore? Luce, verità, non vi temo, non
più!
Ma
almeno, che io ti segua!
Un
suo cenno, e stupidamente si volta. Fuori è tutto
così vuoto, così bianco -
John
Farrell. Il Proletario Consapevole.
Laura
Bradley Kaufmann. No, Laura Kaufmann e basta, la Piccola
Compagna, Colei Che Ama.
Questi
due personaggi camminano l'uno a fianco dell'altra, sul lungo
palcoscenico di Shoreview Lane, da Yardbird Square alle case popolari
vicino alla statale. Poche foglie a terra. Il vento leggero. John porta
i soliti mocassini, i calzini bicolori, i pantaloni rimboccati, lo
spolverino bordeaux tenuto aperto. Laura veste ancora il suo dolore
immenso.
Entrambi
conoscono l'impotenza di vedersi strappato ciò che nella
vita avevano di più speciale - di più necessario.
Dietro
ad una curva della strada ci incontriamo.
And
driving down the road I get the feeling
that
I should have been home yesterday.
(J.
Denver)
I
miei zii, a Dublino, si sono indignati, e così la
comunità ebraica di Blackpool, ma la cerimonia è
stata assolutamente laica. Niente croci e niente stelle di Davide,
nessun prete e nessun rabbino. Bandiere, quelle sì: ma di
questi tempi sono il simbolo di una religione come tante. D'altronde il
circolo di C. è chiuso da molto tempo, e anche se il caro
estinto si è fatto a suo tempo un culo così per
il Partito, per loro nessuno è insostituibile.
No.
Eh,
no.
I
compagni di Londra saranno anche disorganizzati, cinici, e ad ogni
congresso dicono la stessa minestra, e il New Worker conclude ogni
notizia con le stesse formulette, lo so. Ma tutto questo era la nostra
forza, quando ci preoccupava vedere il mondo stringersi in una morsa
attorno a noi: ora ci annoia perché con gli occhi pieni di
lacrime quello stesso mondo ci appare troppo grande... ed ha mille
strade che non ci interessa più prendere, e mille boschi
fatati che non vogliamo più attraversare.
Ma
la verità è che il tizio della commissione
ambiente, quello che Auburn non voleva mai sentir parlare, aveva una
profonda stima di Deke. E Ned Rowley. E Travis, Johnson, Crewe, erano
decine, o meglio una persona sola, a cantare l'Internazionale mentre
gli occhi si arrossano, le labbra tremano, mentre Laura tenta di
sfuggire alla mia stretta e imitare Ashley Wilkes in Rossella,
e Stevie scoppia a piangere in braccio alla moglie di Richie. "Non so
perché piango, zio, è una bella canzone...".
Un'altra
verità è che molti di loro non hanno ben compreso
la relazione tra l'attentato al circolo e il gesto di mia madre. Vorrei
vergognarmi dicendo che non è stata lei a uccidere Deke, che
sono stati quelli dell'NF cinque anni fa, che questi cinque anni sono
stati un regalo del destino... e anche un po' mio. Però non
mi vergogno per niente, perché lei è mia madre!
Forse è pazza, forse è confusa, ma non
sarò io a giudicarla, né oggi né mai.
Dov'ero io, mentre giorno dopo giorno vedeva la sofferenza rinnovarsi?
La
mamma è stata condannata a quindici anni di manicomio
criminale. Non tanto per il gesto in sé, no, per quello
c'erano fior di avvocati e di medici legali pronti a spergiurare che si
era trattato di un raptus, che l'imputata non era in grado di intendere
eccetera... che non era perseguibile. Sennonché l'imputata,
la signora Martha Mohin Kaufmann (non aveva mai sposato mio padre), ad
ogni interrogatorio rispondeva con tale fermezza, con tale
lucidità, che l'accusa riuscì a convincere il
giudice che la debolezza mentale aveva solo facilitato una decisione
che la forza del suo cuore aveva già preso.
A
trentaquattro anni, posso dire con onestà di averla
perdonata. E' per ciò che di conseguenza ha vissuto Laura,
che non posso dimenticare: è perché a volte la
sento così distante da temere che voglia raggiungerlo ora,
domani - lo stesso troppo presto...
Mi
ricordano che dovrei sentirmi il numero due. Non è del tutto
così. In fondo, ora, su questa Terra c'è solo un
uomo che lei possa amare, e quell'uomo sono io, ne sono sicuro. Laura
me lo dice tante e tante volte. Se non fossi certo che sia la
verità, non riuscirei a sopportarlo.
Laura
ama.
Laura
sa cucinare, sa costruire un sito web, parla perfettamente l'italiano,
conosce la differenza tra uno shojo manga
(quelli che legge lei) e uno shonen ai
(quelli che legge Swann), ma più di tutto - si direbbe la
sua vera professione - Laura sa amare.
Alla
vecchia sezione il sindacato ha aperto uno sportello per le
dichiarazioni dei redditi e le consulenze fiscali. Quando Ned Rowley
è andato in pensione, si è reso disponibile per
il progetto e la cosa è andata in porto. Il partito
è in ottimi rapporti con il sindacato, perciò non
ha posto obiezioni, anzi pare che abbia contribuito alla
ristrutturazione, dal momento che se mai accetteranno di entrare in
Parlamento, avranno bisogno di una base operativa fuori Londra. Tutto
sommato, Pete si sbagliava riguardo ai danni dell'edificio. O forse era
proprio solo una scusa di John per buttare alle ortiche utopie e tutto.
Lo
Swinging Years invece è rimasto chiuso solo per sei mesi,
dopodichè Swann e Lance hanno rilevato il locale. Non
è cambiato niente, a parte una stampa di Paul Klee che ha
sostituito la silhouette della Wiegel che
spaventava davvero un po' troppo i clienti. Stevie passerebbe tutto il
santo giorno là dentro, e non escludo che abbia fatto fuga
da scuola varie volte per ingozzarsi di salatini e tracannare succo di
fragola mentre il complesso fa le prove per la serata. E non
è che Swann me lo verrebbe mai a dire. Non conto molto in
famiglia.
Perché
sapete, ci siamo sposati, Laura e io. Abbiamo avuto una bambina, che ho
chiamato Aimée: non è solo un nome, è
una promessa e una certezza. Nessuno dovrà dire che
è stata amata di meno solo perché ha avuto la
fortuna di avere un padre. Sì, pare che sia questa la moda,
pare che sia questa la prassi: chi ha una famiglia normale
diventerà sicuramente una persona brillante ed equilibrata,
non ha bisogno di cure particolari, basta innaffiarlo e lasciare che il
sole faccia il resto,
(insegnargli
qualche ideogramma per decodificare il mondo dove vivrà)
basta
fargli credere di avere le chiavi del mondo e le spalle forti
(continuerai
a essere il mio piccolo grande uomo ti sacrificherai ancora?)
ecco,
io non farò mai questo sbaglio. Non darò mai a
mia figlia una responsabilità maggiore di quella che in quel
momento può affrontare. Non prenderò nulla per
scontato.
Ha
gli occhi dal taglio orientale, ma i capelli castano chiaro; so di non
essere imparziale, ma per me è bellissima. Abbiamo fatto
credere che fosse nata prematura, e so che è una bastardata;
penso che John non ci sia cascato affatto. Sembra sempre che lui sappia
tutto, a volte prima che una cosa accada. Anche se non ha nulla a che
fare con la famiglia di Laura, lo considero il mio vero suocero. Mi fa
soggezione, non c'è scampo. E va bene, compagno Farrell,
Aimée è stata concepita la notte prima del
processo. E allora, John? Ancora sento che mi disapprovi. Eppure,
stanne sicuro, che quella notte non l'ho violentata. Non puoi da una
parte sventolare la nostra bandiera e combattere a parole le
superstizioni e la morale religiosa - e poi venire da me ad accusarmi
di essere incestuoso, di aver approfittato di una persona vulnerabile.
Avresti voluto farmi arrestare, non è vero? E' un po' troppo
tardi. Io non faccio credere che vada tutto bene. O che sia tutto
facile. Solo non voglio sentir dire a nessuno, né a John,
né alla signora Bradley, che mia moglie non ha una sua
volontà.
Piuttosto,
ditelo di me.
Ho
trovato lavoro come educatore presso una struttura privata. Buffo, no?
Giorno dopo giorno, il mio compito principale è educare me
stesso.
Io
non sono niente.
Sto
disinfettando i tessuti attorno ad un organo asportato.
E,
troppo spesso, sbaglio.
Laura
mi ha impedito di adottare legalmente Stephen. Ci tenevo, è
naturale, ma quando gliel'ho proposto ho rischiato di mettere
seriamente in discussione il nostro rapporto. Credevo che, pensavo che,
ma con lei non devo credere, non devo pensare, me ne ero dimenticato.
Persino lui, Stevie, che aveva otto anni, per un po' ha evitato di
parlarmi... poi un giorno è sceso in garage mentre gli
gonfiavo le ruote della bici e mi ha detto in lacrime: - Ti voglio
bene, Shin, ma lo capisci che io un padre ce l'ho?
Scusami,
piccolo, perdonami, Laura,
non
devo pensare,
non
devo credere,
e in
ogni mio pensiero, in ogni mia azione,
non
posso prescindere da Declan.
Lui
è vivo più che mai. E anche questa è finita! Grazie a chi ha letto questo mini-romanzo, e a chi lo farà. Ma soprattutto grazie alle persone che, senza saperlo, mi hanno ispirato la storia:
Mario (Deke), Tiziana (Auburn), Sandro (Drew), Carlotta (Dot), Graziella (Chloe). Shin non esiste ed è un peccato... perciò è inutile chiedervi di presentarvelo!
always yours, SakiJune |