-Mia
signora… mi dispiace, ma vostro figlio sta
morendo…
Mormorò il
demone, porgendosi in un inchino davanti alla regina dei demoni.
Un lamento che fece
piegare anche il cuore più duro si sparse per il bosco nero,
e gli animali, sentendo quel pianto doloroso, piegarono il capo.
-Com’è
potuto accadere…
Ringhiò,
distruggendo con una zampata un’ albero accanto al suo corpo.
Il demone minore
scostò lo sguardo, fissando da un’altra parte, e
schiacciò le orecchie pelose sul capo.
-Non -
-Taci! Portami da lui.
Il suo corpo
tremò, ma annuì ubbidiente e si recò
nelle profondità del bosco.
La notte li
circondò, e la Regina si piegò appena quando la
caverna si presentò davanti a lei, grande, fredda e buia.
Entrando, le luci lievi
delle candele illuminavano le pareti umidi, e un corpo.
Il giovane, figlio di
uno dei demoni più forti, giaceva esamine su una lastra di
pietra, coperto da una pelliccia di visone per farlo riscaldare.
La madre si
avvicinò al figlio e allungò una mano verso di
lui e quando sfiorò la guancia, le palpebre del ragazzo
tremarono e occhi liquidi la puntarono.
-…
dov’è… Mad…
La madre
cercò di non stringere i pungi, cercando di celare la rabbia
che gli scuoteva il corpo e la mente.
-E’ morto.
Sibilò,
sputando veleno su quel nome che aveva maledetto il figlio.
Il ragazzo biondo
tremò, scosso dal dolore e poi tossì del sangue.
Le lacrime rosse
calarono dagli occhi, procurandogli altro dolore per quel sentimento
che non era permesso nella loro razza, punendolo per
quell’amore che non avrebbe mai dovuto nascere.
La madre fu subito
accanto a lui, allarmata così come il dottore.
Ma il dolore era troppo
forte per quel corpo.
-Mia signora…
la morte lo sta reclamando.
-NO! Non lo
permetterò.
Gridò,
furiosa.
Era stata egoista in
quel frangente.
Terrorizzata dal fatto
che l’anima del figlio si potesse congiungere con quella di
quel’umano.
Accostò una
mano sulla fronte madida di sudore e calda per la febbre del ragazzo e
lo fissò.
-Dormi.
Sussurrò, poi
sul biondo calò l’oscurità di una
non-morte.
Il suo corpo si
tramutò, diventando in un fascio di luce una spada.
Intorno ad essa, otto
perle blu brillarono.
-Disfati di queste.
Ordinò,
ferrea, mentre con cura prendeva tra le mani l’arma.
Il servo la
fissò, e cercò di parlare, ma non lo fece e
annuì, inchinandosi.
***
Sasuke sbuffò, e poi seguì i compagni dopo una
missione.
-Che diamine di missione era?! Prendere il maialino
dell’infermiera… che cavolo.
Brontolò il castano, arricciando le labbra in disappunto.
Kakashi ridacchiò davanti ai suoi tre allievi e si
voltò appena, in mano, aperto, un libricino.
-Su via… l’importante è che abbiate
concluso la missione con successo.
Spiegò benevole, arricciando gli occhi in un espressione
divertita.
Kiba sbuffò.
Il maialino camminava tranquillo, sculettando dietro a Sasuke che con
una corda lo teneva stretto a sé per non farlo fuggire
ancora.
-Se non fosse stato per te… avremmo finito prima.
Sbraitò Karin, aggiustandosi gli occhiali come era solita
fare, guardando male Kiba che sussultò e si voltò
furente verso di lei.
-Che vorresti dire… pomodoro.
La prese in giro.
La ragazza gonfiò le guancie, mandandogli uno sguardo di
fuoco che fece tremare il ragazzo.
Semplicemente, Sasuke allungò il passo, mettendosi accanto
al maestro, mentre dietro di lui i due suoi compagni di team litigavano
come forsennati.
-Che pazienza con quei due…
Mormorò divertito l’uomo, fissando i ragazzi sopra
alla spalla, giusto qualche secondo.
Sasuke si scrollò le spalle, come a togliersi un peso e
mugugnò qualcosa e Kakashi si trovò a scuotere la
testa divertito e sconsolato.
Anche se la maggior parte del tempo i ragazzi litigavano, specialmente
quei due, non avrebbe mai cambiato la sua squadra.
Quei giovani erano destinati a grandi cose, e lui ne era sicuro.
Gli avrebbe insegnato con pazienza e caparbietà
l’importanza del lavoro di squadra e il rispetto per il
proprio buki.
L’unica cosa che ancora lo lasciava perplesso, era la spada
di Sasuke, che il giovane aveva smesso di portare con sé.
-La tua arma?
Domandò.
Sasuke alzò il viso verso l’uomo e lo
fissò, per poi riportare la sua attenzione davanti a
sé.
-In camera.
-Dovresti portarla sempre con te…
-Ora ho questa.
Rispose stizzito, guardando sbiecamente l’uomo.
-Non è un buki.
La spada che Sasuke aveva ancorata alla schiena gli era stata mandata
dal padre, sotto consiglio di Itachi. Così avrebbe potuto
allenarsi, per quando avrebbe risvegliato l’anima della spada.
Aveva provato a guardare nelle biblioteche qualche risposta sulla
spada, qualche storia che la riguardasse, ma era come se non fosse mai
esistita.
Gli altri buki, ogni tanto lo guardavano, parlottando con i propri
padroni e ogni volta l’odio e la rabbia cominciavano a
crescere in lui.
Loro sapevano qualcosa, ma nessuno era così coraggioso da
parlargli.
Itachi poi sembrava sempre deviare il discorso ed era una cosa che non
sopportava.
Sbuffò.
-Non importa.
***
Si è perso in un profondo sonno invernale e non riesce a
trovare l’uscita da solo.
Il kimono bianco gli avvolge il corpo, le mani vengono nascoste dalle
lunghe maniche, dove il sottokimono rosso si intravede svolazzando
nell’aria, mischiandosi col sangue.
L’obi color rosso è avvolto in due giri, e il
resto del tessuto svolazza in quella bolla di oscurità.
È come se il suo corpo emanasse luce propria, illuminandolo.
Le catene gli lambiscono le membra, tenendolo imprigionato e non si
riescono a spezzare.
Le palpebre, che per anni erano rimaste immobili tremano appena.
I pugni si stringono.
Aiutami.
***
Svegliami.
Sasuke si strofina stancamente gli occhi mentre con passo pesante si
dirige verso il dormitorio.
È stanco, ma non per via della missione.
Una strana stanchezza gli avvolge il corpo e si ritrova ad appoggiarsi
al muro, ansimando pesantemente.
Quel lamento disperato gli alleggia ancora in testa, sempre
più triste, sempre più terrorizzato.
Qualcuno lo sta chiamando, il suo corpo lo sa, ma la sua mente ancora
non lo accetta.
È per quello che non riesco a richiamarlo, pensa, stringendo
le palpebre.
Entra in camera e quando accende la luce, sgrana gli occhi.
-Che ci fai qui?
Avanza minaccioso, con gli occhi furenti verso il ragazzo.
Questo si gira, fissandolo con aria di superiorità.
Al suolo accanto a lui, la spada.
Il ragazzo non lo degna di una risposta e lo sorpassa con una spallata
che lo fa barcollare.
-Che cazzo fai nella mia stanza??
Urla furioso, afferrando il buki di suo fratello per un braccio.
Questo ringhia, strattonando, e si volta verso Sasuke con aria
minacciosa.
-Ti manda Itachi?
Domanda.
Un ghigno sadico nasce sulle labbra del giovane e Sasuke assottiglia lo
sguardo.
-Non sei degno di quel potere…
Sputa, per poi andarsene.
Sasuke non riesce a ribattere, perché non saprebbe cosa
dire. La porta sbatte mentre lui stringe i pugni, fissando, con lo
sharingan che gli brucia nelle iridi, la superficie legnosa.
Furente si volta verso la spada, la raccoglie e con forza cerca di
sfilarla, urla, la fa volare per la stanza.
Ma niente.
Rimane sigillata.
-Svegliati.
Mormora.
Lo sguardo rosso fisso sull’arma ai suoi piedi.
Odio.
-Svegliati.
La voce è più alta, quasi disperata.
-SVEGLIATI.
Urla con tutta la voce, cadendo sulle ginocchia afferrando la spada,
cercando di sfoderarla.
Ma alle braccia gli manca la forza, la convinzione di poter vincere
quella battaglia dove lui non sa ancora le regole.
-… ti prego…
Sussurra all’oscurità, strizzando gli occhi.
Quando una lacrime gli rotola sulla guancia, scivolando sotto il mento
e infrangendosi sulla fodera, la lama scatta appena, come una crepa e
Sasuke spalanca gli occhi.
Ci riprova, ma la spada non esce.
Eppure, l’aveva sentita scattare, ne è sicuro.
Si porta l’arma ancora più vicino, strofinandosi
gli occhi con la manica della maglia per togliere la platina delle
lacrime non versate.
E poi lo vede.
La lama appena accennata. Il manico staccato di un’unghia dal
fodero.
Cosa aveva pensato quando la voleva estrarre?
|