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La Mia Ancora di Salvezza
di
Deb
In un istante vidi la mia vita scorrere
davanti ai miei occhi.
Quello che c’era stato, quello ci sarebbe
potuto essere stato.
E capii, capii tutto.
Capii di stare con la persona sbagliata da
quasi un anno, ma lo capii troppo tardi.
Chissà, forse sarei riuscita a vivere
ugualmente.
Magari, se l’ambulanza fosse arrivata in
tempo mi sarei salvata.
Sentii in lontananza delle sirene, stavano
arrivando. Erano stati veloci, fin troppo forse. Oppure ero io che, con i miei
pensieri, ero riuscita a rimanere sveglia più a lungo di quanto avrei mai
pensato.
Tenevo gli occhi a mezzi chiusi, intorno a
me era tutto sfocato e non perché non portavo gli occhiali da vista o le lenti a
contatto, ma perché sentivo di stare per perdere i sensi.
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Aprii lentamente gli occhi, mi guardai
attorno.
Il letto nel quale ero distesa aveva un
odore strano.
Vicino a me vi si trovavano altri due
letti. Uno vuoto, nell’altro vidi un uomo che dormiva. Cosa potrebbe essere mai
accaduto a lui?
Improvvisamente sentii uno strano fastidio
mescolato a dolore all’altezza dello stomaco, portai la mia mano destra e toccai
il punto che mi doleva. Emisi un piccolo gemito di dolore che cercai di
straziare in gola per non svegliare il mio “coinquilino”. Probabilmente provai
troppa premura per un uomo che nemmeno conoscevo, come potevo pensare a lui
quando io stavo soffrendo? Forse sono troppo altruista.
Indossavo una camicia da notte
ospedaliera, probabilmente perché non avevano nient’altro da mettermi. Davanti
ad essa c’erano dei bottoni, che sbottonai lentamente.
Quando conclusi vidi dei punti cuciti
sulla mia pelle e come un flash-back vidi nuovamente ciò che era accaduto.
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L’auto sfrecciava sulla strada,
sembrava andasse veloce ma non superava il limite di velocità imposto dal
comune. In quel periodo avevano installato molti autovelox e grazie ad essi la
città aveva guadagnato parecchi soldi in multe.
Mi voltai verso colui che guidava e
sorrisi. Presto avremmo festeggiato il nostro primo anniversario, ero felice, ma
allo stesso tempo c’era come qualcosa che mancasse dentro di me. Un vuoto.
«Cosa vuoi che ti regali per
l’anniversario?» mi domandò facendomi tornare con la testa sulla terra.
«L’amore!» risposi ironica cercando il
cellulare dentro la borsa visto che aveva appena suonato.
«Non basta quello che ti dono io?»
rispose facendo finta di offendersi «Dai, davvero, dimmi cosa vorresti che ti
regalassi!»
«Fammi ciò che vuoi.» ribattei leggendo
il SMS che mi era appena arrivato. «Quando finirai di pagare la nuova automobile
che hai preso?» chiesi infine.
«Certo che tu pensi sempre e solo ai
soldi!» Mi guardò un po’ storto «Fra sei anni.» rispose poi sospirando.
«Ma non era meglio se avessi messo da
parte tutti i soldi che hai speso per ‘sta macchina invece di spenderli così
inutilmente?» scherzai io facendogli la linguaccia.
Eravamo in autostrada. Avevamo deciso
di andare a San Marino per un giorno.
Stavamo per passare sotto un ponte
quando udii un rumore sordo.
Non vidi più niente per un momento, poi
riuscii a mettere decentemente a fuoco l’abitacolo e il suo esterno. L’auto
stava uscendo di strada.
Mi voltai verso la persona che, fino a
quel momento, credevo fosse la più importante della mia vita e vidi il suo capo
appoggiato al volante che versava sangue.
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Ricordai
e piansi, senza preoccuparmi del dolore che provavo in quell’istante.
Ricordai
il vetro del cruscotto dentro la mia carne ed il dolore acuto che sentii. Quello
che stavo provando in quel momento non era neanche paragonabile a ciò che avevo
provato.
Mi
domandai mentalmente da quante ore, minuti o giorni fossi lì.
Mi
sentivo maledettamente sola.
Avevo
una flebo attaccata al braccio ed il liquido dentro quel recipiente di plastica
entrava dentro le mie vene.
Alzai lo
sguardo quando sentii il rumore di una porta aprirsi, la vedi.
«Mamma…»
dissi con voce roca. Tossii e ripetei il suo nome.
«Amore!!» esclamò venendo verso di me ad abbracciarmi.
La
mamma, la persona alla quale si è più legati. Il senso di tranquillità e di
sicurezza che solo lei sapeva dare ad un figlio mi faceva stare bene.
«Come ti
senti?» mi domandò accarezzandomi i capelli castani.
«Per
quel che è successo, non male.» risposi guardandola negli occhi. Cominciai a
giocare con le coperte che mi coprivano il corpo, il cuore non batteva
regolarmente, era più veloce. «E… come sta…Roberto?» chiesi con la speranza
negli occhi e nel cuore che il ragazzo con la quale avevo diviso la vita per
quasi un anno stesse bene.
Mamma
non rispose per qualche secondo, probabilmente per riuscire a mettere in fila
parole di conforto per me. Quel suo silenzio lo interpretai come un brutto
segnale. Che fosse morto?
«Allora?»
«Mi
dispiace…» continuò ad accarezzarmi i capelli dolcemente, come se mi le stesse
pettinando.
«Vuoi
dire che è… m… morto?» Quella parola, la parola che avevo detto alla fine della
frase da me pronunciata mi riempì il cuore di lacrime ed aghi che fecero battere
il cuore ancora più veloce del dovuto.
«No…» mi
risollevò mia madre, feci un sospirò di sollievo iniziale ma i suoi occhi mi
dicevano che non avrei dovuto essere tranquilla.
«Ma…?»
«Ma i
dottori hanno detto che le possibilità che possa farcela sono quasi pari a
zero.» spiegò mamma prendendomi una mia mano fra le sue.
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Mi
tennero in ospedale per cinque giorni.
La mamma
mi teneva costantemente aggiornata sulla salute di Roberto ed io pregavo il
Signore affinché non lo portasse via.
Non sono
mai stata una ragazza religiosa, però in quel momento credere in Dio era l’unica
cosa che potevo fare. Cos’altro?
Sentii
bussare la porta, urlai il permesso per entrare e vidi lui.
«Che ci
fai qui?»domandai un po’ sbalordita di vederlo davanti a me.
«Tua
madre ha avuto la bella idea di avvertirmi che sua figlia, non che una mia
amica, non che Francesca, ha avuto un incidente con l’auto del suo ragazzo e che
adesso è all’ospedale in osservazione.» spiegò lui sedendosi vicino al mio
letto. «Che mi dici?» domandò infine facendomi assistere al suo sorriso
migliore, che riuscì a mettermi, almeno un poco, di buon’umore.
«Che,
purtroppo, sono qui e che…» il mio viso si oscurò «…Roberto potrebbe non
farcela. Per colpa mia, perché io volevo andare a tutti i costi a San Marino.»
«L’hanno
preso sai?»
«A chi?»
«A
quello che vi ha tirato il masso addosso.»
Lo
guardai rimanendo in silenzio. Lasciai correre l’argomento, non avevo voglia di
parlare di quello, soprattutto perché avrei ricordato e non avevo voglia di
farlo.
«Sono
contenta di vederti, Simone.» gli sorrisi.
«Quando
uscirai di qui?»
«Domani.»
«Capito,
allora ti offrirò da bere!» scherzò lui come suo solito. «Ma non posso spendere
più di 20 euro… Intesi eh?!»
Risi,
per la prima volta da quando ero lì, risi.
Non so
come riuscisse a farlo, ma ci riusciva sempre. Nei momenti in cui entravo dentro
ad un buco nero, lui riusciva in un qualche modo a tirarmi fuori e a farmi
tornare il sorriso, anche nei momenti peggiori da quanto potevo notare.
«Ora
devo andare Francy»
«Ciao!»
Simone si avvicinò a me e baciò una mia guancia.
«Ci
vediamo domani.»
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Mi
portarono all’automobile su una sedia a rotelle, quando vidi l’auto ebbi un
fremito. Avevo paura a salirci sopra, ma dovevo.
Partimmo, indossai la cintura di sicurezza e cominciai ad ammirare il paesaggio
dal finestrino.
«Quando
ci saranno i funerali?» domandai senza riuscire a non piangere di disperazione.
La sera
prima, ero venuta a conoscenza della morte di Roberto, della morte della persona
che mi era stata vicino come nessuno l’aveva mai fatto in quell’anno passato
insieme.
Ora non
avrei potuto più toccarlo, abbracciarlo o baciarlo e la disperazione stava
lentamente prendendo possesso di me.
«Lunedì,
alle dieci e mezza.» Dopo aver sentito quella frase rimasi in silenzio fino a
che non arrivammo a casa, sane e salve.
La vita
continua, la sua no, ma la mia sì. Continuerà a lungo? Ormai non ne sono poi
così certa. Quel masso avrebbe potuto prendere in testa a me, invece che a lui.
Roberto
era stato in vita anche più del dovuto. Da quello che avevo capito sarebbe stato
meglio se fosse morto sul colpo, almeno non avrebbe sofferto. Chissà se durante
i quattro giorni di coma Roberto aveva sofferto vedendo o sentendo il sangue
pulsargli dentro il cervello come un fiume in piena?
Sentii
il cellulare squillare. Mamma me ne aveva comprato uno nuovo per non dover
ricordare l’incidente, ma tanto ci sarei dovuta andare avanti giorno per giorno.
L’avrei ricordato fino alla morte. Una cosa così non si dimentica.
Lessi il
nome chiamante e risposi «Dimmi…» stavo parlando controvoglia.
«Ricordi
la bevuta che ti ho promesso?»
«Scusami, non è il caso. Sto troppo male!» ricominciai a piangere per quella
perdita che stavo vivendo e che mi sarei dovuta portare avanti per il resto dei
miei giorni. Mi sedetti sulla sedia davanti alla mia scrivania di legno di noce
e picchiai la sua superficie con la mano.
«Vuoi
che ti venga a fare un po’ compagnia? Forse la solitudine ti strazia.»
«Verresti qui, a vedere una povera stupida distrutta, a piangere?»
«Sì. E
poi tu non sei una povera stupida!»
Tirai su
col naso e sottovoce lo ringraziai per ciò che stava facendo per me. «Se proprio
vuoi venire… Vieni pure. Mi farebbe piacere vedere qualcuno, forse…»
«Arrivo
subito Francy!» esclamò interrompendo la chiamata.
Gettai
il cellulare sul letto e subito dopo sentii la porta suonare, uscii non senza
fatica dalla stanza, i punti che mi avevano messo sulla pancia mi facevano
ancora male, e incrociai mia madre.
«Un tuo
amico ti è venuto a trovare?» mi domandò sorridendo, ma lo vedevo lontano un
miglio anche lei era triste. Era afflitta per ciò che era successo a me, ma
anche per Roberto. La mamma gli voleva proprio bene.
«Sì,
Simone.» risposi io attendendo che mamma gli aprisse la porta.
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«Francy…»
Simone era arrivato a casa mia da qualche minuto. Lo guardavo con aria assente,
mentre lui mi sorrideva cercando di tirarmi su il morale, ma questa volta ci
riusciva e probabilmente non ci sarebbe riuscito.
«Non
puoi capire come mi senta…» ammisi ricominciando a versar lacrime sulle mie
guance.
Il mio
amico si slanciò verso di me istintivamente e cinse le mie spalle con le sue
braccia, la mia testa si appoggiò involontariamente in una sua spalla.
«Lo so,
forse non lo capirò mai... anzi spero di non doverci mai passare, scusami se
potrei sembrare egoista, ma non voglio perdere la persona alla quale tengo di
più.» spiegò lui stringendomi più forte «Piangi Francy, piangi quanto vuoi,
sfogati. La mia spalla, d’ora in avanti, servirà a questo: a farti sfogare. Puoi
sempre contare su di me. Se sarai triste ci sarò io, se sarai felice ci sarò io.
Ci sarò in ogni occasione della tua vita.» mi rassicurò con voce ferma e dolce.
«Grazie…» Sussurrai singhiozzando.
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