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Autore: Deb    02/07/2007    2 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Mia Ancora di Salvezza

di

Deb

 

 

 

In un istante vidi la mia vita scorrere davanti ai miei occhi.

Quello che c’era stato, quello ci sarebbe potuto essere stato.

E capii, capii tutto.

Capii di stare con la persona sbagliata da quasi un anno, ma lo capii troppo tardi.

Chissà, forse sarei riuscita a vivere ugualmente.

Magari, se l’ambulanza fosse arrivata in tempo mi sarei salvata.

Sentii in lontananza delle sirene, stavano arrivando. Erano stati veloci, fin troppo forse. Oppure ero io che, con i miei pensieri, ero riuscita a rimanere sveglia più a lungo di quanto avrei mai pensato.

Tenevo gli occhi a mezzi chiusi, intorno a me era tutto sfocato e non perché non portavo gli occhiali da vista o le lenti a contatto, ma perché sentivo di stare per perdere i sensi.

 

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Aprii lentamente gli occhi, mi guardai attorno.

Il letto nel quale ero distesa aveva un odore strano.

Vicino a me vi si trovavano altri due letti. Uno vuoto, nell’altro vidi un uomo che dormiva. Cosa potrebbe essere mai accaduto a lui?

Improvvisamente sentii uno strano fastidio mescolato a dolore all’altezza dello stomaco, portai la mia mano destra e toccai il punto che mi doleva. Emisi un piccolo gemito di dolore che cercai di straziare in gola per non svegliare il mio “coinquilino”. Probabilmente provai troppa premura per un uomo che nemmeno conoscevo, come potevo pensare a lui quando io stavo soffrendo? Forse sono troppo altruista.

Indossavo una camicia da notte ospedaliera, probabilmente perché non avevano nient’altro da mettermi. Davanti ad essa c’erano dei bottoni, che sbottonai lentamente.

Quando conclusi vidi dei punti cuciti sulla mia pelle e come un flash-back vidi nuovamente ciò che era accaduto.

 

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L’auto sfrecciava sulla strada, sembrava andasse veloce ma non superava il limite di velocità imposto dal comune. In quel periodo avevano installato molti autovelox e grazie ad essi la città aveva guadagnato parecchi soldi in multe.

Mi voltai verso colui che guidava e sorrisi. Presto avremmo festeggiato il nostro primo anniversario, ero felice, ma allo stesso tempo c’era come qualcosa che mancasse dentro di me. Un vuoto.

«Cosa vuoi che ti regali per l’anniversario?» mi domandò facendomi tornare con la testa sulla terra.

«L’amore!» risposi ironica cercando il cellulare dentro la borsa visto che aveva appena suonato.

«Non basta quello che ti dono io?» rispose facendo finta di offendersi «Dai, davvero, dimmi cosa vorresti che ti regalassi!»

«Fammi ciò che vuoi.» ribattei leggendo il SMS che mi era appena arrivato. «Quando finirai di pagare la nuova automobile che hai preso?» chiesi infine.

«Certo che tu pensi sempre e solo ai soldi!» Mi guardò un po’ storto «Fra sei anni.» rispose poi sospirando.

«Ma non era meglio se avessi messo da parte tutti i soldi che hai speso per ‘sta macchina invece di spenderli così inutilmente?» scherzai io facendogli la linguaccia.

Eravamo in autostrada. Avevamo deciso di andare a San Marino per un giorno.

Stavamo per passare sotto un ponte quando udii un rumore sordo.

Non vidi più niente per un momento, poi riuscii a mettere decentemente a fuoco l’abitacolo e il suo esterno. L’auto stava uscendo di strada.

Mi voltai verso la persona che, fino a quel momento, credevo fosse la più importante della mia vita e vidi il suo capo appoggiato al volante che versava sangue.

 

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Ricordai e piansi, senza preoccuparmi del dolore che provavo in quell’istante.

Ricordai il vetro del cruscotto dentro la mia carne ed il dolore acuto che sentii. Quello che stavo provando in quel momento non era neanche paragonabile a ciò che avevo provato.

Mi domandai mentalmente da quante ore, minuti o giorni fossi lì.

Mi sentivo maledettamente sola.

Avevo una flebo attaccata al braccio ed il liquido dentro quel recipiente di plastica entrava dentro le mie vene.

Alzai lo sguardo quando sentii il rumore di una porta aprirsi, la vedi.

«Mamma…» dissi con voce roca. Tossii e ripetei il suo nome.

«Amore!!» esclamò venendo verso di me ad abbracciarmi.

La mamma, la persona alla quale si è più legati. Il senso di tranquillità e di sicurezza che solo lei sapeva dare ad un figlio mi faceva stare bene.

«Come ti senti?» mi domandò accarezzandomi i capelli castani.

«Per quel che è successo, non male.» risposi guardandola negli occhi. Cominciai a giocare con le coperte che mi coprivano il corpo, il cuore non batteva regolarmente, era più veloce. «E… come sta…Roberto?» chiesi con la speranza negli occhi e nel cuore che il ragazzo con la quale avevo diviso la vita per quasi un anno stesse bene.

Mamma non rispose per qualche secondo, probabilmente per riuscire a mettere in fila parole di conforto per me. Quel suo silenzio lo interpretai come un brutto segnale. Che fosse morto?

«Allora?»

«Mi dispiace…» continuò ad accarezzarmi i capelli dolcemente, come se mi le stesse pettinando.

«Vuoi dire che è… m… morto?» Quella parola, la parola che avevo detto alla fine della frase da me pronunciata mi riempì il cuore di lacrime ed aghi che fecero battere il cuore ancora più veloce del dovuto.

«No…» mi risollevò mia madre, feci un sospirò di sollievo iniziale ma i suoi occhi mi dicevano che non avrei dovuto essere tranquilla.

«Ma…?»

«Ma i dottori hanno detto che le possibilità che possa farcela sono quasi pari a zero.» spiegò mamma prendendomi una mia mano fra le sue.

 

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Mi tennero in ospedale per cinque giorni.

La mamma mi teneva costantemente aggiornata sulla salute di Roberto ed io pregavo il Signore affinché non lo portasse via.

Non sono mai stata una ragazza religiosa, però in quel momento credere in Dio era l’unica cosa che potevo fare. Cos’altro?

Sentii bussare la porta, urlai il permesso per entrare e vidi lui.

«Che ci fai qui?»domandai un po’ sbalordita di vederlo davanti a me.

«Tua madre ha avuto la bella idea di avvertirmi che sua figlia, non che una mia amica, non che Francesca, ha avuto un incidente con l’auto del suo ragazzo e che adesso è all’ospedale in osservazione.» spiegò lui sedendosi vicino al mio letto. «Che mi dici?» domandò infine facendomi assistere al suo sorriso migliore, che riuscì a mettermi, almeno un poco, di buon’umore.

«Che, purtroppo, sono qui e che…» il mio viso si oscurò «…Roberto potrebbe non farcela. Per colpa mia, perché io volevo andare a tutti i costi a San Marino.»

«L’hanno preso sai?»

«A chi?»

«A quello che vi ha tirato il masso addosso.»

Lo guardai rimanendo in silenzio. Lasciai correre l’argomento, non avevo voglia di parlare di quello, soprattutto perché avrei ricordato e non avevo voglia di farlo.

«Sono contenta di vederti, Simone.» gli sorrisi.

«Quando uscirai di qui?»

«Domani.»

«Capito, allora ti offrirò da bere!» scherzò lui come suo solito. «Ma non posso spendere più di 20 euro… Intesi eh?!»

Risi, per la prima volta da quando ero lì, risi.

Non so come riuscisse a farlo, ma ci riusciva sempre. Nei momenti in cui entravo dentro ad un buco nero, lui riusciva in un qualche modo a tirarmi fuori e a farmi tornare il sorriso, anche nei momenti peggiori da quanto potevo notare.

«Ora devo andare Francy»

«Ciao!» Simone si avvicinò a me e baciò una mia guancia.

«Ci vediamo domani.»

 

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Mi portarono all’automobile su una sedia a rotelle, quando vidi l’auto ebbi un fremito. Avevo paura a salirci sopra, ma dovevo.

Partimmo, indossai la cintura di sicurezza e cominciai ad ammirare il paesaggio dal finestrino.

«Quando ci saranno i funerali?» domandai senza riuscire a non piangere di disperazione.

La sera prima, ero venuta a conoscenza della morte di Roberto, della morte della persona che mi era stata vicino come nessuno l’aveva mai fatto in quell’anno passato insieme.

Ora non avrei potuto più toccarlo, abbracciarlo o baciarlo e la disperazione stava lentamente prendendo possesso di me.

«Lunedì, alle dieci e mezza.» Dopo aver sentito quella frase rimasi in silenzio fino a che non arrivammo a casa, sane e salve.

La vita continua, la sua no, ma la mia sì. Continuerà a lungo? Ormai non ne sono poi così certa. Quel masso avrebbe potuto prendere in testa a me, invece che a lui.

Roberto era stato in vita anche più del dovuto. Da quello che avevo capito sarebbe stato meglio se fosse morto sul colpo, almeno non avrebbe sofferto. Chissà se durante i quattro giorni di coma Roberto aveva sofferto vedendo o sentendo il sangue pulsargli dentro il cervello come un fiume in piena?

Sentii il cellulare squillare. Mamma me ne aveva comprato uno nuovo per non dover ricordare l’incidente, ma tanto ci sarei dovuta andare avanti giorno per giorno. L’avrei ricordato fino alla morte. Una cosa così non si dimentica.

Lessi il nome chiamante e risposi «Dimmi…» stavo parlando controvoglia.

«Ricordi la bevuta che ti ho promesso?»

«Scusami, non è il caso. Sto troppo male!» ricominciai a piangere per quella perdita che stavo vivendo e che mi sarei dovuta portare avanti per il resto dei miei giorni. Mi sedetti sulla sedia davanti alla mia scrivania di legno di noce e picchiai la sua superficie con la mano.

«Vuoi che ti venga a fare un po’ compagnia? Forse la solitudine ti strazia.»

«Verresti qui, a vedere una povera stupida distrutta, a piangere?»

«Sì. E poi tu non sei una povera stupida!»

Tirai su col naso e sottovoce lo ringraziai per ciò che stava facendo per me. «Se proprio vuoi venire… Vieni pure. Mi farebbe piacere vedere qualcuno, forse…»

«Arrivo subito Francy!» esclamò interrompendo la chiamata.

Gettai il cellulare sul letto e subito dopo sentii la porta suonare, uscii non senza fatica dalla stanza, i punti che mi avevano messo sulla pancia mi facevano ancora male, e incrociai mia madre.

«Un tuo amico ti è venuto a trovare?» mi domandò sorridendo, ma lo vedevo lontano un miglio anche lei era triste. Era afflitta per ciò che era successo a me, ma anche per Roberto. La mamma gli voleva proprio bene.

«Sì, Simone.» risposi io attendendo che mamma gli aprisse la porta.

 

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«Francy…» Simone era arrivato a casa mia da qualche minuto. Lo guardavo con aria assente, mentre lui mi sorrideva cercando di tirarmi su il morale, ma questa volta ci riusciva e probabilmente non ci sarebbe riuscito.

«Non puoi capire come mi senta…» ammisi ricominciando a versar lacrime sulle mie guance.

Il mio amico si slanciò verso di me istintivamente e cinse le mie spalle con le sue braccia, la mia testa si appoggiò involontariamente in una sua spalla.

«Lo so, forse non lo capirò mai... anzi spero di non doverci mai passare, scusami se potrei sembrare egoista, ma non voglio perdere la persona alla quale tengo di più.» spiegò lui stringendomi più forte «Piangi Francy, piangi quanto vuoi, sfogati. La mia spalla, d’ora in avanti, servirà a questo: a farti sfogare. Puoi sempre contare su di me. Se sarai triste ci sarò io, se sarai felice ci sarò io. Ci sarò in ogni occasione della tua vita.» mi rassicurò con voce ferma e dolce.

«Grazie…» Sussurrai singhiozzando.

   
 
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