La Mia Ancora Di Salvezza

di Deb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incidente ***
Capitolo 2: *** Funerale ***
Capitolo 3: *** Il Principe Azzurro ***
Capitolo 4: *** Provare dei Sentimenti ***
Capitolo 5: *** SMS Proibiti ***
Capitolo 6: *** Non Illudere ***
Capitolo 7: *** Mi Manca Da Impazzire ***
Capitolo 8: *** Incapace Di Capire ***
Capitolo 9: *** La Mia Nuova Vita – [EPILOGO] ***



Capitolo 1
*** L'incidente ***


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La Mia Ancora di Salvezza

di

Deb

 

 

 

In un istante vidi la mia vita scorrere davanti ai miei occhi.

Quello che c’era stato, quello ci sarebbe potuto essere stato.

E capii, capii tutto.

Capii di stare con la persona sbagliata da quasi un anno, ma lo capii troppo tardi.

Chissà, forse sarei riuscita a vivere ugualmente.

Magari, se l’ambulanza fosse arrivata in tempo mi sarei salvata.

Sentii in lontananza delle sirene, stavano arrivando. Erano stati veloci, fin troppo forse. Oppure ero io che, con i miei pensieri, ero riuscita a rimanere sveglia più a lungo di quanto avrei mai pensato.

Tenevo gli occhi a mezzi chiusi, intorno a me era tutto sfocato e non perché non portavo gli occhiali da vista o le lenti a contatto, ma perché sentivo di stare per perdere i sensi.

 

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Aprii lentamente gli occhi, mi guardai attorno.

Il letto nel quale ero distesa aveva un odore strano.

Vicino a me vi si trovavano altri due letti. Uno vuoto, nell’altro vidi un uomo che dormiva. Cosa potrebbe essere mai accaduto a lui?

Improvvisamente sentii uno strano fastidio mescolato a dolore all’altezza dello stomaco, portai la mia mano destra e toccai il punto che mi doleva. Emisi un piccolo gemito di dolore che cercai di straziare in gola per non svegliare il mio “coinquilino”. Probabilmente provai troppa premura per un uomo che nemmeno conoscevo, come potevo pensare a lui quando io stavo soffrendo? Forse sono troppo altruista.

Indossavo una camicia da notte ospedaliera, probabilmente perché non avevano nient’altro da mettermi. Davanti ad essa c’erano dei bottoni, che sbottonai lentamente.

Quando conclusi vidi dei punti cuciti sulla mia pelle e come un flash-back vidi nuovamente ciò che era accaduto.

 

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L’auto sfrecciava sulla strada, sembrava andasse veloce ma non superava il limite di velocità imposto dal comune. In quel periodo avevano installato molti autovelox e grazie ad essi la città aveva guadagnato parecchi soldi in multe.

Mi voltai verso colui che guidava e sorrisi. Presto avremmo festeggiato il nostro primo anniversario, ero felice, ma allo stesso tempo c’era come qualcosa che mancasse dentro di me. Un vuoto.

«Cosa vuoi che ti regali per l’anniversario?» mi domandò facendomi tornare con la testa sulla terra.

«L’amore!» risposi ironica cercando il cellulare dentro la borsa visto che aveva appena suonato.

«Non basta quello che ti dono io?» rispose facendo finta di offendersi «Dai, davvero, dimmi cosa vorresti che ti regalassi!»

«Fammi ciò che vuoi.» ribattei leggendo il SMS che mi era appena arrivato. «Quando finirai di pagare la nuova automobile che hai preso?» chiesi infine.

«Certo che tu pensi sempre e solo ai soldi!» Mi guardò un po’ storto «Fra sei anni.» rispose poi sospirando.

«Ma non era meglio se avessi messo da parte tutti i soldi che hai speso per ‘sta macchina invece di spenderli così inutilmente?» scherzai io facendogli la linguaccia.

Eravamo in autostrada. Avevamo deciso di andare a San Marino per un giorno.

Stavamo per passare sotto un ponte quando udii un rumore sordo.

Non vidi più niente per un momento, poi riuscii a mettere decentemente a fuoco l’abitacolo e il suo esterno. L’auto stava uscendo di strada.

Mi voltai verso la persona che, fino a quel momento, credevo fosse la più importante della mia vita e vidi il suo capo appoggiato al volante che versava sangue.

 

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Ricordai e piansi, senza preoccuparmi del dolore che provavo in quell’istante.

Ricordai il vetro del cruscotto dentro la mia carne ed il dolore acuto che sentii. Quello che stavo provando in quel momento non era neanche paragonabile a ciò che avevo provato.

Mi domandai mentalmente da quante ore, minuti o giorni fossi lì.

Mi sentivo maledettamente sola.

Avevo una flebo attaccata al braccio ed il liquido dentro quel recipiente di plastica entrava dentro le mie vene.

Alzai lo sguardo quando sentii il rumore di una porta aprirsi, la vedi.

«Mamma…» dissi con voce roca. Tossii e ripetei il suo nome.

«Amore!!» esclamò venendo verso di me ad abbracciarmi.

La mamma, la persona alla quale si è più legati. Il senso di tranquillità e di sicurezza che solo lei sapeva dare ad un figlio mi faceva stare bene.

«Come ti senti?» mi domandò accarezzandomi i capelli castani.

«Per quel che è successo, non male.» risposi guardandola negli occhi. Cominciai a giocare con le coperte che mi coprivano il corpo, il cuore non batteva regolarmente, era più veloce. «E… come sta…Roberto?» chiesi con la speranza negli occhi e nel cuore che il ragazzo con la quale avevo diviso la vita per quasi un anno stesse bene.

Mamma non rispose per qualche secondo, probabilmente per riuscire a mettere in fila parole di conforto per me. Quel suo silenzio lo interpretai come un brutto segnale. Che fosse morto?

«Allora?»

«Mi dispiace…» continuò ad accarezzarmi i capelli dolcemente, come se mi le stesse pettinando.

«Vuoi dire che è… m… morto?» Quella parola, la parola che avevo detto alla fine della frase da me pronunciata mi riempì il cuore di lacrime ed aghi che fecero battere il cuore ancora più veloce del dovuto.

«No…» mi risollevò mia madre, feci un sospirò di sollievo iniziale ma i suoi occhi mi dicevano che non avrei dovuto essere tranquilla.

«Ma…?»

«Ma i dottori hanno detto che le possibilità che possa farcela sono quasi pari a zero.» spiegò mamma prendendomi una mia mano fra le sue.

 

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Mi tennero in ospedale per cinque giorni.

La mamma mi teneva costantemente aggiornata sulla salute di Roberto ed io pregavo il Signore affinché non lo portasse via.

Non sono mai stata una ragazza religiosa, però in quel momento credere in Dio era l’unica cosa che potevo fare. Cos’altro?

Sentii bussare la porta, urlai il permesso per entrare e vidi lui.

«Che ci fai qui?»domandai un po’ sbalordita di vederlo davanti a me.

«Tua madre ha avuto la bella idea di avvertirmi che sua figlia, non che una mia amica, non che Francesca, ha avuto un incidente con l’auto del suo ragazzo e che adesso è all’ospedale in osservazione.» spiegò lui sedendosi vicino al mio letto. «Che mi dici?» domandò infine facendomi assistere al suo sorriso migliore, che riuscì a mettermi, almeno un poco, di buon’umore.

«Che, purtroppo, sono qui e che…» il mio viso si oscurò «…Roberto potrebbe non farcela. Per colpa mia, perché io volevo andare a tutti i costi a San Marino.»

«L’hanno preso sai?»

«A chi?»

«A quello che vi ha tirato il masso addosso.»

Lo guardai rimanendo in silenzio. Lasciai correre l’argomento, non avevo voglia di parlare di quello, soprattutto perché avrei ricordato e non avevo voglia di farlo.

«Sono contenta di vederti, Simone.» gli sorrisi.

«Quando uscirai di qui?»

«Domani.»

«Capito, allora ti offrirò da bere!» scherzò lui come suo solito. «Ma non posso spendere più di 20 euro… Intesi eh?!»

Risi, per la prima volta da quando ero lì, risi.

Non so come riuscisse a farlo, ma ci riusciva sempre. Nei momenti in cui entravo dentro ad un buco nero, lui riusciva in un qualche modo a tirarmi fuori e a farmi tornare il sorriso, anche nei momenti peggiori da quanto potevo notare.

«Ora devo andare Francy»

«Ciao!» Simone si avvicinò a me e baciò una mia guancia.

«Ci vediamo domani.»

 

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Mi portarono all’automobile su una sedia a rotelle, quando vidi l’auto ebbi un fremito. Avevo paura a salirci sopra, ma dovevo.

Partimmo, indossai la cintura di sicurezza e cominciai ad ammirare il paesaggio dal finestrino.

«Quando ci saranno i funerali?» domandai senza riuscire a non piangere di disperazione.

La sera prima, ero venuta a conoscenza della morte di Roberto, della morte della persona che mi era stata vicino come nessuno l’aveva mai fatto in quell’anno passato insieme.

Ora non avrei potuto più toccarlo, abbracciarlo o baciarlo e la disperazione stava lentamente prendendo possesso di me.

«Lunedì, alle dieci e mezza.» Dopo aver sentito quella frase rimasi in silenzio fino a che non arrivammo a casa, sane e salve.

La vita continua, la sua no, ma la mia sì. Continuerà a lungo? Ormai non ne sono poi così certa. Quel masso avrebbe potuto prendere in testa a me, invece che a lui.

Roberto era stato in vita anche più del dovuto. Da quello che avevo capito sarebbe stato meglio se fosse morto sul colpo, almeno non avrebbe sofferto. Chissà se durante i quattro giorni di coma Roberto aveva sofferto vedendo o sentendo il sangue pulsargli dentro il cervello come un fiume in piena?

Sentii il cellulare squillare. Mamma me ne aveva comprato uno nuovo per non dover ricordare l’incidente, ma tanto ci sarei dovuta andare avanti giorno per giorno. L’avrei ricordato fino alla morte. Una cosa così non si dimentica.

Lessi il nome chiamante e risposi «Dimmi…» stavo parlando controvoglia.

«Ricordi la bevuta che ti ho promesso?»

«Scusami, non è il caso. Sto troppo male!» ricominciai a piangere per quella perdita che stavo vivendo e che mi sarei dovuta portare avanti per il resto dei miei giorni. Mi sedetti sulla sedia davanti alla mia scrivania di legno di noce e picchiai la sua superficie con la mano.

«Vuoi che ti venga a fare un po’ compagnia? Forse la solitudine ti strazia.»

«Verresti qui, a vedere una povera stupida distrutta, a piangere?»

«Sì. E poi tu non sei una povera stupida!»

Tirai su col naso e sottovoce lo ringraziai per ciò che stava facendo per me. «Se proprio vuoi venire… Vieni pure. Mi farebbe piacere vedere qualcuno, forse…»

«Arrivo subito Francy!» esclamò interrompendo la chiamata.

Gettai il cellulare sul letto e subito dopo sentii la porta suonare, uscii non senza fatica dalla stanza, i punti che mi avevano messo sulla pancia mi facevano ancora male, e incrociai mia madre.

«Un tuo amico ti è venuto a trovare?» mi domandò sorridendo, ma lo vedevo lontano un miglio anche lei era triste. Era afflitta per ciò che era successo a me, ma anche per Roberto. La mamma gli voleva proprio bene.

«Sì, Simone.» risposi io attendendo che mamma gli aprisse la porta.

 

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«Francy…» Simone era arrivato a casa mia da qualche minuto. Lo guardavo con aria assente, mentre lui mi sorrideva cercando di tirarmi su il morale, ma questa volta ci riusciva e probabilmente non ci sarebbe riuscito.

«Non puoi capire come mi senta…» ammisi ricominciando a versar lacrime sulle mie guance.

Il mio amico si slanciò verso di me istintivamente e cinse le mie spalle con le sue braccia, la mia testa si appoggiò involontariamente in una sua spalla.

«Lo so, forse non lo capirò mai... anzi spero di non doverci mai passare, scusami se potrei sembrare egoista, ma non voglio perdere la persona alla quale tengo di più.» spiegò lui stringendomi più forte «Piangi Francy, piangi quanto vuoi, sfogati. La mia spalla, d’ora in avanti, servirà a questo: a farti sfogare. Puoi sempre contare su di me. Se sarai triste ci sarò io, se sarai felice ci sarò io. Ci sarò in ogni occasione della tua vita.» mi rassicurò con voce ferma e dolce.

«Grazie…» Sussurrai singhiozzando.

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Capitolo 2
*** Funerale ***


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Funerale

 

 

Ogni notte facevo incubi. Sognavo lui, sognavo quello che aveva provato. Forse non era la realtà, forse non aveva provato proprio quello che immaginavo che avesse sentito nei miei sogni, però sembrava tutto così reale.

Di notte mi svegliavo sempre di soprassalto, e mi sarebbe piaciuto urlare se non fossero state le ore piccole, poi però le parole che mi disse Simone, il giorno in cui uscii dall’ospedale, mi calmavano e cominciavo nuovamente a respirare regolarmente.

Forse lui sarebbe stata la mia ancora di salvezza per non sprofondare nella depressione. Lui era la persona che riusciva a tenermi a galla in qualche modo.

Simone per me è sempre stato un buon amico, la persona sulla quale poter fare affidamento su ogni cosa.

Lo conobbi da piccola e pensavo che fosse il principe azzurro delle fiabe. Credevo assomigliasse al principe di Biancaneve. I suoi capelli chiari, i suoi occhi azzurri. Me ne innamorai, pensando che lui fosse veramente un principe. Mi legai a lui soprattutto per quello. Crescendo, però, capii che in realtà lui non era altro che un ragazzo e come tutti i ragazzi cominciò a prendere in giro noi ragazze e cominciai ad odiarlo e mi allontanai da lui sempre di più.

Tornammo ad essere amici quando, uscendo con il mio nuovo ragazzo: Roberto, lo vidi tra i suoi amici e ricominciammo ad essere gli amici che eravamo sempre stati ma lui era cambiato. Si era creato una corazza intorno e non faceva entrare nessuno, nemmeno me, che ero stata la sua confidente negli anni passati.

Non mi importava, in effetti, io avevo Roberto e l’amavo più della mia stessa vita. Ora però non c’era più e Simone divenne ciò di più caro avessi.

Tutti mi avevano sempre ritenuta una ragazza forte, ma in realtà ero debole e volevo avere vicino a me una persona che mi accudisse e mi coccolasse, ed ora quella persona era Simone.

Mi maledicevo da sola a pensare queste cose. Mi sembrava di tradire il mio defunto ragazzo.

Ancora lacrime caddero dai miei occhi color dell’erba.

Non volevo più piangere eppure non riuscivo a farne a meno. Il dolore che provavo era immenso e non potevo far altro che sfogarmi piangendo.

Quella mattina ci sarebbero stati i funerali per Roberto, avrei pianto ancora di più, ma Simone mi aveva promesso che mi sarebbe stato vicino e che mi avrebbe dato nuovamente la sua spalla per poter piangere, per poter usarla come ancora.

Ancora a pensare a lui. Perché?

Perché ormai era diventato il mio punto di riferimento, nuovamente.

Mi alzai dal letto ed uscii da camera mia; dovevo bere un bicchiere d’acqua fresca, mi sentivo la gola secca.

Dopo essermi rinfrescata il palato tornai sotto le coperte, appoggiai la testa sul cuscino che aveva una fodera con il disegno della Sirenetta e cercai di ritrovare il sonno, facendo finta di essere anche io, come Ariel, una sirena che nuotava libera in fondo all’oceano.

 

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Con l’aiuto di mia madre, quella mattina, riuscii a vestirmi. Non riuscivo a fare più nemmeno quello. Non perché mi facesse male la ferita nella quale ancora avevo i punti, che presto sarei dovuta andare a togliere, ma perché le mie forze se ne erano andate del tutto. Ero come vuota.

La mia vita sarebbe mai riuscita a tornare quella di una volta, io sarei mai riuscita a tornare la persona sorridente che ero?

«Sei pronta?» mi domandò mamma cercando di sorridermi.

«Se mi stai chiedendo se sono vestita la risposta è sì, se mi stai chiedendo se sono pronta a vedere il mio ragazzo dentro una bara di legno e buttato dentro una fessura di marmo e cemento la risposta è no!» risposi guardandola male, non avrei mai voluto farlo ma quella domanda mi aveva fatto uscire dai gangheri.

«Scusami…» mi accarezzò una guancia.

«Scusami tu… è che… sono suscettibile.» risposi chiudendomi nelle spalle. Per il funerale avevo indossato una maglia nera con gonna e scarpe dello stesso colore. Ero una donna in nero e forse lo sarei stata per molto tempo, il nero in quel periodo divenne il mio colore.

«Ti capisco…»

«Mi capisci? Come fai? Tu non hai visto la perdita del tuo uomo!» pensai con gli occhi lucidi. Mi abbassai gli occhiali da sole e mi voltai dall’altra parte. Stavo per ricominciare a piangere e non ne avevo la benché minima voglia.

«Simone viene giù con noi?»

«Sì, dovrebbe arrivare a momenti!» mia madre mi si avvicinò e mi baciò una guancia.

«Senti, non è che se ne sta approfittando?»

Negai con la testa. Non lo stava facendo, assolutamente. «Sono io che gli ho chiesto di essere presente. Sono io che mi sto approfittando della sua gentilezza.» Ammisi sentendo il campanello suonare. Andai ad aprire e me lo trovai davanti alla porta, anch’esso vestito di nero ma con la camicia bianca sotto la giacca. Indossava una cravatta ancora nera e pantaloni e scarpe dello stesso colore.

Con uno slancio gli portai le mie braccia intorno alle sue spalle e sussurrai al suo orecchio «Grazie Simo…» stavo per ricominciare a piangere al solo pensiero del posto nel quale ci saremmo diretti da lì a poco, ma non potevo mancare, non potevo non salutare per un’ultima volta Roberto, colui che mi ha dato tanto, e poi non avevo avuto il coraggio di andarlo a trovare nella camera mortuaria, in quel posto lugubre dove avrei potuto vedere il suo cadavere, vedere la sua pelle ormai fredda, la sua bocca secca e il suo colorito violaceo, come quello che si vedeva nei film. In C.S.I.; quanto ci piaceva vedere quel telefilm, nel quale si la scientifica doveva scovare l’assassino indagando nella scena del crimine, cioè dove avevano ritrovato il corpo, e facendo autopsie ai cadaveri. Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca. Non avrei mai più rivisto quel programma televisivo, solo in quel momento mi resi conto che era stupido e che non si deve giocare con la vita delle persone. Anche se è solo un telefilm, poter pensare che Roberto era stato sopra ad un “lettino” come quello mi faceva accapponare la pelle.

Cominciai a sentire un senso di nausea dovuto forse all’ansia ed anche per ciò che aveva appena pensato.

«Francy stai bene?» mi domandò Simone preoccupato.

«Non troppo, ho la nausea!» ammisi coprendomi la bocca con una mano, se avessi vomitato non sarebbe servito a niente, però era sempre meglio prendere delle precauzioni.

«Se non te la senti restiamo a casa…»

«NO!» urlai «Devo… Devo salutarlo un’ultima volta!» spiegai poi singhiozzando per lo sforzo che stavo facendo per non piangere.

 

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Arrivammo in prossimità della chiesa nella quale ci sarebbe stata la funzione, vidi in lontananza i genitori di Roberto ed il mio cuore perse un battito. Potevo, io, lontanamente immaginare che cosa i genitori potessero provare in quel momento?

Mi avvicinai lentamente a loro, mi feci spazio tra la piccola folla che si era radunata lì.

Non sapevo cosa dire. Mi trovavo davanti a loro e non avevo la forza di aprire la bocca e di riuscire a dire condoglianze. L’unica cosa che riuscii a fare era quella di versare altre lacrime. Mi tolsi gli occhiali.

«Francesca…» disse Michela abbracciandomi e cominciando a piangere anche lei assieme a me.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto!!» esclamai stringendola più forte.

Michela pose fine all’abbraccio e mi sorrise posandomi una mano sopra una mia spalla «Non è stata certo colpa tua…» disse voltandosi verso il marito che piangeva senza riuscire a fermarsi.

Anche se probabilmente non provavo il grande dolore che provavano loro io ne provavo una minima parte.

Il funerale stava per cominciare, io raggiunsi la mia famiglia ed entrammo assieme dentro la chiesa. Ci sedemmo in quarta fila e vidi la bara in mezzo alla sala; in quel momento avrei voluto aprirla ed urlare alla persona al suo interno di svegliarsi, di tornare da me.

Non avevo smesso di piangere, ed anche se lo avessi fatto, avrebbe continuato a farlo il mio cuore; colmo di disperazione e tristezza.

Simone mi strinse una mano e cercò con un sorriso di rassicurarmi, ma non ci riuscì, non poteva pretendere di riuscire a fare una cosa del genere quel giorno.

Il prete entrò e cominciò a parlare, ed io a piangere. Chiamò le persone che avrebbero voluto parlare di Roberto su all’altare e mia madre mi guardò.

Sarei dovuta salire?

Mi alzai in piedi e lentamente raggiunsi il prete che si avvicinò a me dicendomi «Condoglianze.» Cosa me ne potevo fare io di quelle?

Mi schiarii la voce e mi avvicinai al microfono, probabilmente avevo una voce distrutta, e forse mentre parlavo avrei pianto e non sarei riuscita ad andare avanti.

«Roberto…» cominciai con suono tremante «… era una persona d’oro. Ho avuto la fortuna di trascorrere con lui un anno della mia vita, però mi chiedo perché se ne sia dovuto andare. Mi chiedo perché Dio, se davvero esiste, abbia dovuto uccidere una persona così bella.» ricominciai a piangere «Mi ha portato via l’amore… ci ha portato via Roberto. E non capisco a cosa possa servire la morte!» urlai infine scendendo e correndo verso il mio posto. Probabilmente avevo lasciato tutto stupefatti per ciò che avevo appena pronunciato, soprattutto il prete che mi guardava un po’ storto.

Coprì il mio viso con le mani e singhiozzai in esse, sentivo lacrime salate scendere dai miei occhi. Forse, ora, anche Michela e Fabio mi stavano odiando per ciò che avevo avuto il coraggio di dire.

La funzione terminò a breve e ci saremmo dovuti dirigere verso il cimitero, ma prima di uscire dalla chiesa mi avvicinai alla bara e l’accarezzai «Roby… amore mio… mi mancherai tantissimo! Come farò ora io a vivere senza di te?» chiusi gli occhi come in cerca di una risposta che però, come si poteva ben immaginare, non arrivò.

«Vivi senza rimpianti, figliola!» sentii pronunciare, mi voltai ed era il prete che mi parlava con le braccia incrociate dietro la schiena.

«Scusi…» dissi sorpassandolo e andando incontro a Simone. Non avevo voglia di sentire le fesserie che mi avrebbe potuto dire sulla fede, su ciò che mi avrebbe potuto dire sul paradiso.

Arrivai davanti al buco che c’era, dove avrebbero infilato Roberto. Mi aggrappai alla giacca del mio amico e piansi sopra la sua spalla come lui mi aveva detto di poter fare.

Simone mi accarezzò i capelli ed io piansi ancora più forte quando vidi il becchino inserire la bara dentro quella cavità e richiuderla con del cemento e sopra ad esso incollarci un foglio di carta con scritto il suo nome, la sua data di nascita e la sua data di morte. Fino a che la lastra di marmo non sarebbe stata pronta. Non l’avrei più rivisto.

Questo era il nostro addio.

Ora avrei dovuto ricominciare a vivere come se mi avesse lasciato per andare insieme ad un’altra. Devo pensare che lui sia vivo, magari in un’altra città, all’estero, però devo pensare che lui sia ancora su questo mondo perché se no la disperazione ucciderà me.

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Capitolo 3
*** Il Principe Azzurro ***


Nuova pagina 1

Il Principe Azzurro

Oramai Simone diventava, giorno per giorno, il punto di riferimento nella mia vita. Probabilmente non sarei più riuscita a muovere un passo senza di lui.

Spesso mi mettevo a fissarlo, probabilmente a lui dava fastidio però quando se ne accorgeva mi sorrideva. Era sempre così gentile con me, spesso mi chiedevo perché ci fossimo allontanati tanto negli anni passati.

«A che pensi?» mi domandò avvicinandosi a me.

«Chissà…» gli sorrisi. Tutti quella mia allegria, solo lui, la vedeva; ma era veramente forzata. Non ero più felice da quando lui se ne era andato e probabilmente una parte di me se ne era andata assieme a lui. Cinque mesi volati senza che io me ne accorgessi, come se io fossi rimasta ferma in un unico posto ed il tempo mi fosse passato attraverso.

Riuscirò mai a ricominciare a vivere senza rimuginare il passato? Dimenticandolo per sempre?

A questo pensiero negai mentalmente, come potevo solo lontanamente pensare di doverlo o poterlo dimenticare? Non potevo, non glielo dovevo. Lui che era il mio tutto, io che sono sopravissuta e lui… beh, lui no.

Non piangevo più, a questo punto le lacrime che avevo versato in tutto il tempo passato, da quel giorno, si era ghiacciate dentro il mio cuore. Io rimanevo impassibile davanti a tutte le cose della vita, ed il mio cuore piangeva per i miei occhi. Lo sentivo. Lo sentivo stringersi dentro il mio petto.

«Perché… perché mi stai così vicino?» domandai a Simone ancora seduto al mio fianco su quella panchina di finto legno.

Ogni giorno mi portava da qualche parte, non troppo lontano ma posti nel quale non era stata con Roberto. Luoghi nei quali non avrei dovuto pensare a lui, alla persona che mi era stata strappata da un Dio che forse neanche esiste, dal fato che quel giorno fu troppo severo con lui e troppo poco con me. Ci fu un periodo nel quale avrei desiderato morire, andarmene via da questo mondo ma Simone era sempre riuscito a tenermi ancorata a questo mondo. Chissà come ci riusciva.

Lo guardai negli occhi attendendo una sua risposta, lui volse lo sguardo altrove, cominciando ad osservare un ciuffo di verde erba con al centro un fiore viola che spuntava indiscreto.

«Perché sei mia amica.» rispose battendo le sue dita sulla panchina.

Io annuii e mi alzai «Torniamo a casa? Si sta facendo tardi.»

Simone guardò il suo orologio da polso «Il treno arriverà tra un’oretta. Se vuoi però possiamo avviarci alla stazione per aspettarlo.» constatò lui stando attento a non incrociare i miei occhi. Gli facevo tanta paura? Oppure aveva paura di approfittarsi di me? Non lo sapevo! Sapevo soltanto che mamma spesso mi ripeteva che prima o poi lui mi avrebbe sfruttato, anche se ancora non capisco come e perché.

Pensai un attimo «Almeno facciamo una passeggiata. Siamo sempre, o quasi, rimasti seduti qui tutto il tempo.» guardai a terra. Con lui mi divertivo, cercava di non farmi pensare a Roberto ed in parte ci riusciva, per questo lo ringraziavo ogni volta che ne avevo l’occasione; ma allo stesso tempo quando lui mi portava da qualche parte, si allontanava da me. Cercava di farmi stare tranquilla, ed io proprio quella cercavo ma se dovevo uscire, dovevo tenere la mente impegnata e spesso non ottenevo questo risultato perché rimanevo sola ad ammirare il panorama circostante e a cercare di sentire l’odore del vento che a volte mi accarezzava la pelle spostandomi i capelli come se fossero onde su un mare.

«Scusami.» pronunciò Simone prendendomi per le spalle «Mi dispiace se a volte sono distante, ma…»

«…Non sai come comportarti!» lo interruppi io completando la frase che stava per dire precedentemente.

Il mio amico annuì ed io gli sorrisi a malapena.

«Se mi stai vicino solo perché ti faccio pena, se spesso non sai come comportarti, allora è meglio se ti allontani. Io non voglio essere un peso per te. Io voglio solo esserti amica.» gli voltai le spalle e presi a camminare.

«Non posso lasciarti da sola. L’ho promesso!» esclamò lui prendendomi per un braccio «L’ho promesso a Roberto.»

«Quando?»

Simone non rispose, si spostò da me e prese delle distanze. Lo guardai per qualche secondo ma poi ricominciai a camminare verso la stazione ferroviaria. Già si poteva vedere in lontananza.

Non vedevo l’ora di poter arrivare a casa, mi sarei potuta buttare sul letto, abbracciare Mr. Ziggie, il mio maialino di peluche, e mi sarei potuta addormentare sotto l’effetto delle gocce di Morfeo; così le chiamavo io. Cerco di non prendere calmanti che sono come droghe, quando si cominciano a prendere non si riesce più a farne a meno, perché calmano veramente, dilatano le pupille e non senti più nulla, non capisci più nulla. Almeno è ciò che ho provato io quando me le diedero all’ospedale per farmi calmare dopo aver saputo di ciò che era successo.

Mi ricordo che, ad un certo momento, dovevo andare al bagno; lo dissi a mia madre ma poi continuai a fissarla come imbambolata, senza ricordarmi che sarei dovuta andare al bagno. Mi dovette accompagnare lei.

Ma le gocce di Morfeo, quelle non potevo fare a meno di prenderle. Di notte non riuscivo a dormire; avevo sempre gli incubi, non chiudevo gli occhi da una vita e se lo facevo mi risvegliavo poco dopo perché l’avevo sognato. Ancora, e tutte le volte era sempre lo stesso incubo che non sopportavo più.

Parlai di questo con mamma che mi condusse dal dottore che mi fece la ricetta per poterle usare. Con quelle gocce sognavo, probabilmente sognavo perché a volte mi svegliavo con le lacrime agli occhi, ma non ricordavo che cosa vedessi dentro la mia mente, ed era un sollievo.

Immersa nel miei pensieri, e Simone, forse, nei suoi, arrivammo alla stazione dei treni dove alla macchina automatica creammo due biglietti per poter tornare a casa che si obliterarono automaticamente.

Il treno era già in stazione, che attendeva l’ora giusta, cioè quella indicata dal tabellone degli orari, per partire.

«Vuoi restare fuori o vuoi entrare?» mi domandò Simone facendomi sobbalzare, non sentivo la sua voce da tempo che mi sembrava di essere venuta da sola. Stavo proprio uscendo di testa.

«Umh… direi di salire. Tanto qui fuori non abbiamo da fare niente e sto cominciando anche ad avere un po’ di freddo.» risposi parlando quasi a raffica, chissà perché ora ero diventata così nervosa nello stargli vicino.

Trovammo una porta aperta ed entrai per prima, avviandomi al primo vagone che stava alla mia sinistra. Notai che c’erano alcuni sedili ad un solo posto e mi sedetti nel primo che vidi. Quasi certamente stavo scappando da colui che mi era stato vicino in tutti questi mesi, ma io ero stata una stupida per pensare che lui lo stesse facendo perché teneva a me, o perché sentiva di doverlo fare.

Anche lui si sentiva in imbarazzo, ed io so il perché. Non era riuscito a nascondermi che cercava di confortarmi perché l’aveva promesso a lui. «Quando gliel’aveva promesso però?» Pensai tamburellando l’indice destro sulla testa. Quando ancora era vivo? Come poteva però Roberto dire a Simone «Prenditi cura tu di Francy se io dovessi morire.» Questa non era una cosa che avrebbe potuto pensare. Lui non avrebbe mai pensato alla morte. Lui viveva e amava farlo.

Guardai con la coda dell’occhio Simone che si era seduto alla mia sinistra in un altro posto singolo. Vi era spazio tra noi, ma se avessimo voluto parlare avremmo potuto farlo senza difficoltà.

Chiusi gli occhi e sospirai.

Il treno partì in perfetto orario, meno di un’ora e saremmo arrivati in città, dove io sarei andata a casa accompagnata da lui, in silenzio.

Quanto vorrei che dicesse qualcosa, che facesse qualcosa per smuovere quelle acque fin troppo calme. Sarei dovuta intervenire io? Avrei dovuto dire io qualcosa per rompere quel ghiaccio che si era venuto a creare quel pomeriggio? Cosa avrei dovuto dire?

Era come se tutte le parole del mondo fossero andate in pezzi ed io avevo perso il dono della parola.

Questo mondo sarebbe stato meglio se nessuno potesse parlare?

Forse avrei dovuto raccontargli della prima volta che l’avevo visto, di cosa avevo pensato nel guardarlo.

Sospirai di nuovo e mi voltai verso di lui che si accorse del mio sguardo e lo contraccambiò.

Perché mi ero voltata? Avevo fatto male, ora avrei dovuto dire almeno una parola. Aprii la bocca per parlare ma la richiusi subito dopo perché davvero non sapevo che dire o che fare.

«Devi dirmi qualcosa?» mi domandò lui per cercare di farmi “parlare”.

Negai con la testa, ma poi presi parola, cercando un po’ di coraggio «Ti ricordi che cosa hai pensato la prima volta che mi hai visto?»

«Avevamo quattro anni se non sbaglio, come potrei ricordarmi?» rispose lui guardandomi un po’ dubbioso.

«Probabilmente è perché non hai pensato niente di speciale…»

«Tu te lo ricordi perché?»

Annuii «Certo.»

«E cos’avresti pensato?»

Feci spallucce «Prometti di non ridere? Ero solo una bambina…»

«Non posso prometterlo ma semmai proverò a non farlo. E’ tanto buffo ciò che hai pensato?»

«Dipende dai punti di vista.» Avevamo instaurato una discussione, finalmente. Quel silenzio mi stava uccidendo. Simone mi serviva. Già, mi era utile, ed ero io che mi ero sempre approfittata di lui e non il contrario. A volte pensavo che anche lui usasse me, ma non era così. Lui cercava solo di aiutare un’amica, mentre io mi servivo di lui per non soffrire, per non immergermi nei miei ricordi.

«Quindi?» mi riportò alla realtà, in questi ultimi mesi mi immergevo sempre nei miei pensieri, se non ci fosse stato lui a riportarmi alla realtà, forse sarei rimasta prigioniera dei miei pensieri, dentro la mia mente.

«Ah… sì, scusami!» gli feci la linguaccia. «Beh… quando ti ho visto, ho pensato che tu fossi il principe azzurro. Per la precisione ho pensato che tu fossi il principe di Biancaneve.» sorrisi nel pensare ai quei tempi passati, nei quali la sofferenze, la vera sofferenza non esisteva. Magari potessi tornare indietro nel tempo, mi piacerebbe poter tornare ad essere una bambina di quattro anni, che aveva bisogno dell’aiuto della mamma per fare qualsiasi cosa.

«E perché?» rise sotto i baffi cercando di non far notare che a breve sarebbe scoppiato a ridere, ma aveva detto che avrebbe cercato di non farlo e stava cercando di mantenere quella promessa stupida che aveva fatto in precedenza.

«Beh… capelli chiari, non biondi, castani chiari, e occhi azzurri. Mi sembravi proprio lui. Ed è per questo che sono voluta diventare tua amica, tu, per me, eri il principe azzurro ed essendolo, nella mia mente infantile, volevo poterti “avere” perché avere un principe è bello e confortante, perché se mi fossi trovata in difficoltà, se avessi mangiato una mela avvelenata tu mi avresti potuto baciare e riportarmi in vita.» spiegai senza nemmeno rendermene conto, quando finii lo guardai, non rideva; era serio. Troppo profondo per i miei gusti. «Che c’è?» gli domandai infine.

«Niente. Hai pensato davvero una cosa carina.» sorrise, i miei occhi si illuminarono, non so perché, o più o meno sì. Con la mente ero tornata bambina ed il merito era solo suo.

«E poi, probabilmente l’ho pensato perché quel giorno era Carnevale, e tua madre ti aveva fatto vestire da principe.» risi io. «A pensarci adesso, eri davvero ridicolo sai? Se vedessi ora un bambino vestito in quel modo a Carnevale penserei che sia gay.» Feci una pausa ed aggrottai un sopracciglio «Non sei gay vero?» chiesi infine facendogli un’altra linguaccia.

«Ma cosa puoi pensare? Io… gay? Ma va’!» rispose imbronciato, l’avevo per caso ferito in qualche modo?

«Stavo scherzando.»

«Lo so!» sorrise «Se vuoi, potrò essere il tuo principe per sempre.»

Il mio cuore perse un battito, non so perché ma tradussi quella frase come se fosse una dichiarazione d’amore, probabilmente però era solo una mia impressione. Non poteva essere così.

«Mi stai chiedendo di sposarti?» domandai ironica, come se non avessi minimamente preso in considerazione quella sua “dichiarazione”.

Rise «No, assolutamente no! Sono troppo giovane, mi dispiace. Però intendevo dire che sarò il tuo principe, che se dovessi mangiare una mela avvelenata non devi preoccuparti di niente, arriverò io, ti bacerò e ti salverò dal sonno eterno.» spiegò lui serio e senza fare pause durante il suo chiarimento.

«Non lo stai già facendo?» chiesi dubbiosa «Non mi stai già salvando dal sonno eterno?»

«Eh?!» non capì ciò che gli stavo dicendo, forse lui lo faceva involontariamente e non aveva ancora compreso che io ero lì, ancora con le mie espressioni facciali, con la mia voglia di parlare solo perché lui mi teneva a galla in questo mondo che fa soffrire.

Ci misi un po’ a rispondere, dovevo trovare le parole giuste per farmi capire da lui senza fargli una dichiarazione d’amore. In effetti poteva essere alquanto equivoca come rivelazione.

«Mi stai vicino senza chiedere nulla in cambio, mi fai parlare, riesci a farmi ridere.» cominciai a raccontare «Probabilmente se non ci fossi stato tu, con me, in questo periodo io sarei entrata in una specie di catalessi mentale. Tu sei l’unica persona che riesce a non farmi pensare a nulla. Quando vado a casa la mia famiglia mi guarda cupa, e non parlano ormai con me più di niente; mentre tu parli e continui a parlarmi come se non fosse mai successo nulla. Quindi… mi stai salvando dal sonno eterno.» conclusi senza distogliere il mio sguardo dai suoi occhi.

Non avrei mai dimenticato Roberto, ma se Simone mi fosse rimasto sempre vicino sarei stata salva.

Mi approfittavo della sua gentilezza, e mi dispiaceva farlo, e se lui non avesse più voluto aiutarmi non glielo avrei fatto pesare e avrei cercato di andare avanti solo pensando a ciò che lui mi avrebbe detto in determinate circostanze.

NdA: Che ve ne pare di questo capitolo?? ^_^

Risposta ai commenti:

Carlotta: Sei l'unica che commenta xD Ne devo dedurre che questa fiction non piaccia? XD Mh... bih! Comunque Grazie :D

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Capitolo 4
*** Provare dei Sentimenti ***


Nuova pagina 1

Provare dei Sentimenti

Il viaggio in treno terminò a breve, durò troppo poco per i miei gusti. Non avevo voglia di tornare di a casa e di dover guardare in faccia quella famiglia che mi stava lentamente allontanando da loro. Poi perché si dovevano comportare così? Era una cosa stupida e una perdita di tempo.

«Se non vuoi tornare a casa, possiamo rimanere un altro po’ fuori.»

«Grazie, ma non credo sia il caso. Andrò a casa e semmai mi butto sotto le coperte.»

«Riesci a dormire?» mi domandò dubbioso Simone, sapeva dei miei “problemi” con il sonno, ma non mi chiedeva più se riuscissi a dormire bene o meno ed io, d’altro canto, non gli dicevo che avevo trovato la soluzione per la mia insonnia.

«Sì, finalmente. Non ti sei mai accorto che non ho più quelle bruttissime occhiaie?»

«Veramente, non ci avevo mai fatto caso alle tue… occhiaie.»

«Beh… comunque riesco a dormire. Le gocce di Morfeo sono miracolose.»

Simone accigliò un sopracciglio «E che sarebbero?»

Alzai le spalle come per dire che non avrebbe dovuto prendersela con me «Il sonnifero.»

Il mio amico rimase un attimo in silenzio «Sicura di far bene a prendere il sonnifero?»

«Spero che quando non ne avrò più bisogno riuscirò a smettere di prenderlo. La ricetta me l’ha fatta il dottore, ero assieme a mia madre. Mi ero stancata di dovermi svegliare.» spiegai guardandola cupa. «Devo solo dimenticare. Per me, Roberto è vivo, sta bene. Mi ha lasciato perché si è trasferito in un’altra città e non aveva voglia di instaurare una relazione a distanza. Devo pensare questo per non cadere in un buco nero.»

«Insomma, vuoi ingannare te stessa.»

Annuii, che altro avrei potuto fare?

«Sei una stupida. L’unica cosa devi fare è andare avanti e basta. Non puoi pensare che lui sia ancora vivo, non puoi ingannare te stessa perché la verità la conosci e non puoi cambiarla. Se fossi riuscita a farlo adesso staresti ridendo, saresti ironica come sempre, avresti trovato un altro ragazzo al quale donare il tuo cuore.» si aprì serrando i pugni lungo i suoi fianchi.

Sgranai gli occhi a quelle parole, era stato duro come non lo era mai stato fino a quel momento. Cosa gli era successo? Perché si era arrabbiato.

«D-Devo andare a-a cas-casa!» balbettai prima di scappare verso la direzione opposta dalla quale venivamo, dovevo andare a casa, chiudermi a chiave in camera e buttarmi pesantemente sul letto per dormire in pace. Per dimenticare.

Quelle parole mi avevano ferito, e non pensavo che lui riuscisse a farlo, però aveva espresso una pura e semplice verità.

Inserii la chiave nella serratura e la girai fino ad aprire il portone che mi portava a casa. Chiamai l’ascensore che arrivò dopo qualche istante, entrai dentro e mi appoggiai con la schiena al muro dove ansimai irregolarmente. Ero scappata dal mio migliore amico, avevo corso talmente veloce che ora non riuscivo quasi a respirare.

L’ascensore arrivò al mio piano e dopo aver aperto la porta di casa vi entrai dentro. Credevo che non ci fosse nessuno a quell’ora ma mi sbagliavo. Mio padre mi stava attendendo seduto sulla sua poltrona di pelle bianca che aveva voltato verso la porta d’entrata apposta per aspettare me.

Mi osservava con lo sguardo truce, aveva le mani unite tra loro e batteva un piede a terra nervosamente. Probabilmente mi avrebbe detto qualcosa che mi avrebbe fatto star male. Quando mi guardava in quel modo era sempre così, anche se, a pensarci bene, non accadeva da tanti mesi ormai.

«Che c’è?» domandai appoggiando la mia borsa a tracolla sull’appendiabiti.

«Presto comincerà la scuola, non pensi che dovresti studiare un po’?»

«Papà, sono in vacanza. Non ho da studiare.»

Mio padre si alzò in piedi e avanzò verso di me «Lo so, ma lo scorso anno ti hanno fatto passare senza debiti solo perché è successo quello che è successo al tuo ragazzo!» esclamò. «Ti avrebbero bocciato.»

«Lo so.» risposi guardandolo un po’ male, cosa che a mio padre dette fastidio.

«Pensi di studiare quest’anno o no?»

«Ci proverò..» risposi andando verso camera mia.

«Non abbiamo finito di parlare!»

«Sì, abbiamo finito.» entrai in camera e mi chiusi a chiave dentro. Mi gettai a peso morto nel letto e presi dalla mia tasca il cellulare. In quello stesso momento mi arrivò uno squillo. Era Sabrina.

Sorrisi, era da tanto che non la sentivo, era la mia migliore amica ma ci eravamo un po’ perse per dei motivi a tutte e due noti.

Pochi minuti dopo ricevetti un SMS che lessi velocemente. «Ehy, come stai? Scusami se non mi sono fatta sentire. Baci»

«Non preoccuparti. Io sto ok. Tu?»

«Tutto bene, ho sentito che ti vedi spesso con Simone.»

«Sì.» Dove voleva andare a parare? Cosa avrebbe voluto chiedermi? Simone, lei lo conosceva? Ci pensai su un attimo e mi ricordai che ero stata io a farglielo conoscere. Un pomeriggio, ero uscita con Roberto e incontrammo per caso Sabry che era in giro da sola, così ci unimmo a lei e la portammo dal nostro gruppo, dove parlò soprattutto con Simone. Che gli piacesse?

«Avevo proprio l’impressione che fosse un ragazzo gentile! ;-)»

«Che è quella faccina?»

«Ma come, non te ne sei ancora accorta? Riesce davvero a reprime i suoi sentimenti! È un grande!»

«Continuo a non capire Sabry.»

«Ma niente, solo mie supposizioni. :-) Ci vediamo a scuola! Se arrivi prima tienimi un posto vicino a te, come tutti gli anni!»

«Ok… Ciao! Baci!»

Guardai verso il muro dove vi erano appese le foto dei miei amici, lui non c’era più, avevo tolto tutte le cose che potevano ricordarmelo.

Osservai una foto nella quale c’eravamo io, Sabry e Simone. Sapevo chi ce l’aveva scattata, era stato lui. In quella fotografia avevamo tutti le braccia intorno ai fianchi dell’altro. Simone stava in mezzo e sorrideva. Quel giorno non aveva messo il gel ed aveva fatto un sacco di storie per non farsi fare una foto, ma alla fine aveva accettato. Senza il gel si notava di più di quanto i suoi capelli fossero chiari. I suoi occhi erano come trasparenti, azzurri. Un azzurro fantastico.

Sabry stava alla sua destra e gli cingeva le spalle, anche lei sorrideva, sembravamo davvero felici in quella foto. Nel momento nel quale Roberto scattò la foto ci fu una folata di vento che fece volare verso destra i suoi capelli corvini. I suoi occhi castani erano molto espressivi, troppe volte le avevo detto che sarebbe dovuta diventare un’attrice, ma ai nostri tempi non importa saper recitare o meno. Bisogna darla via, come diceva lei.

Tra sette giorni sarebbe ricominciata la scuola, non mi andava, per niente. Simone veniva in classe con noi, ma fino a che non avevamo incontrato Sabry, quel giorno, lei non gli aveva mai parlato. Forse le faceva paura prima. D’altro canto, nemmeno io in classe gli parlavo molto. Ora però sarebbe stata una figura costante con la quale avrei passato la maggior parte del tempo.

Il telefono mi squillò facendomi sussultare. Risposi senza nemmeno leggere sul display chi fosse. «Pronto?»

«Pensavo non mi avresti risposto.» Quando ascoltai la sua voce mi tornò in mente cosa era successo poco prima. In effetti per oggi non gli avrei voluto più parlare, ma ormai gli avevo risposto e sarebbe stato da maleducati riattaccargli la cornetta in faccia.

«Ero soprapensiero, se avessi letto il display probabilmente non ti avrei risposto.» risposi freddamente portandomi dietro le spalle i capelli che erano davanti ad esse. «Dimmi.»

«Volevo chiederti scusa. Sono stato brutale e sgarbato.»

«Non importa, hai detto ciò che pensavi no?! Lo accetto.»

«Non sei arrabbiata?»

«Sì che sono arrabbiata. Che razza di domande.»

«Bene!»

«Eh?!»

«Beh, sai… in questo periodo sei sempre stata indifferente a tutto. Sei fredda, come se fossi vuota. Ora invece sei arrabbiata. È una bella cosa!»

Voleva farmi arrabbiare, voleva farmi provare un qualche sentimento che da tanto, da troppo tempo, non provavo. Mi ero arrabbiata, non ci avevo pensato. Mi ero ferita da quelle parole. Avevo provato due diversi sentimenti. Se ero ferita ed arrabbiata avrei potuto provare tutte le emozioni di questo mondo.

«Non ci avevo pensato.»

«Beh.. ti vengo a prendere domani allora. Ti porto in un posto.»

«Dove?»

«Non so… ancora.»

«Bugiardo!» esclamai ridendo. «Tu non me lo vuoi dire!! Sei cattivo!»

«Contenta di ritornare a scuola?»

«E non cambiare argomento, stupido!»

«A domani!» disse chiudendo la comunicazione. Sbuffai, chissà dove mi avrebbe portato domani? Certo che era strano, pur di farmi provare qualcosa mi aveva fatto arrabbiare, mi aveva trattato male pur di farmi provare qualcosa.

Sorrisi lievemente, ripensando a ciò che mi aveva detto Sabry e a quello che invece mi aveva trasmesso Simone.

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Quella mattina avevo optato per vestiti diversi, basta con il nero, dovevo continuare a vivere, e non l’avrei potuto fare se avessi continuato a vestirmi con quel colore smorto. Certo snellisce, ma non potevo continuare sempre a mettere quel colore, e poi il nero era diventato il mio colore; ma ora volevo cambiare.

Quella notte avevo dormito senza prendere il sonnifero, e non avevo sognato niente, anzi non mi ricordavo ciò che avessi visto in sogno.

Indossai una maglietta bianca a maniche corte e sopra una salopette di jeans e scarpe da tennis bianche e blu.

Con una pinzetta portai la mia frangia, ormai lunga, dietro l’orecchia. Avrei dovuto chiare la parrucchiera e prenotare un appuntamento. Se non l’avessi tagliata i miei occhi sarebbero diventati storti.

Mi truccai a malapena, anche se eravamo a settembre era molto caldo e con il sudore il trucco sarebbe colato tutto per cui optai per un lucidalabbra rosa chiaro e un po’ di matita per gli occhi. Niente mascara, ombretto o fondotinta.

Quell’estate non avevo preso quasi per niente il sole e mi venne a pensare all’estate precedente nella quale tutti i giorni andavo al mare con lui, ci tuffavamo in acqua e facevamo delle specie di lotte. Risi nel pensare a tutto quello. Quanto mi divertivo. Oltre a ridere però, nel pensare a lui, non potevo fare a meno di provare un dolore al cuore.

Stamattina, però, mi ero svegliata lucida e avevo capito che lui avrebbe voluto che continuassi a vivere, che continuassi a sorridere, che continuassi a correre per ottenere la vita che mi merito.

Avevo capito che anche se non l’avessi mai dimenticato io sarei potuta essere felice lo stesso.

Fu un sogno, secondo me, che mi indicò la strada. Forse avevo sognato Roby che me lo diceva. Chissà.

Sentii suonare il campanello e feci salire Simone che mi guardò un po’ stupefatto per questo cambiamento repentino nel mio look. Era abituato a vedermi vestita sempre di nero, come se ogni giorno dovessi andare ad un funerale.

«Beh?! Non va bene?» domandai ingenuamente.

«No, è perfetto…» rispose senza pormi ulteriori domande.

«Bene. Allora, dove mi porti? Sono curiosa.»

«Ed io sono… sbalordito!»

«Perché?» domandai stringendomi nelle spalle, non credevo potessi fare una tale impressione, forse pensava che non mi sarei mai ripresa, ed infatti, ancora, Roberto è una presenza costante nella mia mente, ma non posso continuare a piangermi addosso per come sono andati i fatti.

Dovevo andare avanti, e per cominciare dovevo cercare di cambiare il mio look, magari avrebbe cambiato anche il mio umore.

Oggi, il mio umore era sereno, se così si può dire, non ero triste o vuota come i giorni passati ero normale. Normale, che sentimento è? Non lo so; però dovevo sentire qualcosa di diverso dalla tristezza perché quel sentimento non mi avrebbe portato lontano, anzi non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte, ed era stato anche lui a farmi prendere la decisione di dover cercare di reagire. Era anche merito di Simone se avevo preso quella decisione, il giorno precedente, facendomi arrabbiare, aveva dato il via a quel cambiamento che avrei dovuto portare avanti nel tempo. Magari non avrebbe cambiato il mio umore in pochi giorni, probabilmente avrei dovuto combattere per trovare davvero la serenità che credo di meritare. Ci sarei riuscita, comunque, avrei fatto di tutto pur di tornare serena come un tempo, anche meno, ma volevo poter essere almeno la metà di come ero un tempo, di come ero prima dell’incidente.

«Perché… beh… perché è da tanto che non ti vedo così!» si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulla guancia sinistra.

«Ne deduco che tu sia contento di questo mio cambiamento!» certo era tutto un po’ forzato ma cercavo ero fermamente convinta di ciò che stavo facendo.

«Mh…» mugugnò sorridendo «Non mi dispiace.»

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Capitolo 5
*** SMS Proibiti ***


Nuova pagina 1

SMS Proibiti

Uscimmo di casa e prendemmo l’ascensore, cosa assai inconsueta visto che quando dovevamo scendere scendevamo sempre le scale; ed un’altra cosa strana era che Simone mi stava tenendo tra una sua mano la mia. Mi agitava.

«Dove mi porti?» domandai ancora una volta sperando che questa sia la volta buona per ricevere una risposta.

«Lo saprai quando arriveremo.» mi guardò e mi sorrise. Le porte dell’ascensore si aprirono ed entrammo in quell’abitacolo rosso con uno specchio in fondo ad esso.

Cercai di liberarmi dalla stretta della sua mano, senza riuscirci. Avevo deciso di cambiare, è vero, però quel tocco mi riportava alla mente quando Roberto mi stringeva la mano per non farmi allontanare. Improvvisamente la tristezza si rimpossessò di me, ma non dovevo pensarci.

«Perché mi tieni la mano?» domandai risoluta.

«Non ti va?»

«Non è questo. È che Roberto me la teneva sempre… e…» non riuscii a terminare la frase che mi lasciò velocemente la mano.

«Scusami, non ci avevo pensato.» si giustificò abbassando lo sguardo verso le sue scarpe da ginnastica ormai rovinate dal tempo e dall’usura.

«Niente! Non preoccuparti!!» esclamai cercando di fargli capire che non è che mi desse fastidio quel tocco è che poi avrei rimuginato, senza volerlo davvero, indietro nel tempo.

Arrivammo al piano terra e la prima ad uscire da quel buco rosso, come lo chiamavo da piccola, fui proprio io. Tra me e Simone spesso si veniva a creare imbarazzo, non capivo perché e questo mi dava ancora più fastidio.

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Non avevamo preso mezzi di trasporto e stavo cominciando a stancarmi di camminare, era da almeno un’ora che lo stavamo facendo. Parlavamo del più e del meno, e l’imbarazzo di prima, almeno da parte mia, non era scomparso.

Quel giorno Simone indossava degli occhiali da sole che gli nascondevano gli occhi; era un peccato, erano così belli, però avendo gli occhi chiari erano anche più delicati. Aveva addosso una maglia a maniche corte bianca, quasi come la mia se non ci fossero scritte alcune frasi per me illeggibili e una marca in basso a sinistra ed aveva dei pantaloni a quadri viola, come la scritta sulla maglia, corti, che gli arrivavano poco più sotto del ginocchio.

«Quanto manca?» domandai annoiata.

«Poco.» fu l’unica risposta che ricevetti, non mi voleva dire niente, non mi voleva dare nemmeno un aiutino.

«Sono curiosa di vedere dove mi porti! Mi dia, signor Simo, un aiutino!» scherzai, o almeno ci provai.

«Signorina Francy, non sia petulante, la prego! Un aiuto non glielo do! Tra poco arriveremo e lo vedrà con i suoi occhi.» disse inchinandosi leggermente.

«Io… petulante?»

Simone annuì muovendo la testa e mi sorrise «Lo sei da quando ti conosco!»

«Ma guarda te… sei proprio uno stronzo!» esclamai voltandomi e tornando verso casa se lui non mi avesse preso per un braccio e tirato a sé. «Lasciami!»

«Zitta. Siamo quasi arrivati ed io stavo scherzando! Non essere così permalosa.» mi cinse le spalle, ma non era un abbraccio, era un qualcosa di diverso. Un qualcosa di profondo, o forse no.

«Va bene…» sussurrai cercando di allontanarmi da lui.

Svoltammo a sinistra e vidi un parco in lontananza. «E’ quello il posto?» domandai guardandolo.

«Sì.» Simone mi prese per mano, forse non aveva capito ciò che gli avevo detto nell’ascensore?

Stavo per parlargli quando mi sentii strattonare, aveva cominciato a correre, ed io non potevo fare altro che la stessa cosa.

Corremmo verso l’entrata del parco, e quando fummo giunto al suo ingresso Simone si fermò di botto facendomi andare contro di lui perché non riuscii a fermarmi in tempo. «Ahio…» dissi massaggiandomi il naso, con la mano libera, che aveva colpito la schiena della persona che mi stava incatenando forzatamente a lui.

Avanzò qualche passo, io lo seguii guardandomi intorno «Perché mi hai portato qui?» domandai tirandogli il braccio per riuscire ad avere la sua attenzione che, da quando era entrato lì dentro, non avevo più.

Non ricevetti, comunque, risposta.

«BOOO!!» sentii delle mani appoggiate ai miei fianchi e un urlo che mi trapanò le orecchie.

Urlai di paura stringendo la mano di Simone come non avevo mai fatto, pensai che potevo avergli fatto male visto che mugugnò qualcosa di incomprensibile.

Mi voltai lentamente, e trovai davanti al mio viso la faccia sorridente di Sabrina. L’abbracciai con un solo braccio visto che l’altro era ancora incastrato tra la mano del mio amico.

«Ciao Francy. Ti ho messo paura eh?!» scherzò lei tirandomi le guance come faceva spesso.

Io annuii e sentii la mia mano destra libera di respirare.

«Ciao Simo!» salutò anche lui andandolo ad abbracciare. «Certo che, per stare con lei, non mi hai più cercato eh?!» fece la faccia imbronciata. «Ma dai, ti perdono lo stesso.» e gli appoggiò violentemente una mano sulla spalla.

«Ciao!» salutò, sembrava un po’ nervoso. Perché? Che fosse innamorato di lei? Non sarebbero stati una brutta coppia, in effetti.

«Che bella sorpresa Sabry! Sono contenta di vederti!» dissi attirando l’attenzione su di me, cosa che forse non avrei dovuto fare. Simone mi aveva portato lì per farmi incontrare la mia migliore amica, oppure perché voleva vederla lui?

«Anche io! Sono veramente felice di vederti! Tutto merito di questo scemo, comunque! Io sinceramente mi sentivo un po’ in imbarazzo di chiederti di uscire, ma mi sono sentita con lui e mi ha convinto, poi abbiamo deciso di farti una sorpresa!» mi fece l’occhiolino e mi abbracciò. «Quanto mi sei mancata!!» esclamò vicino al mio orecchio con la sua solita voce acuta che riusciva a perforare le orecchie.

Mi sentivo un po’ in imbarazzo, probabilmente perché ormai nella mia mente ormai si era formata l’idea che quei due stavano per instaurare una storia romantica, cosa che non mi creava alcun fastidio se non fosse per la paura di perdere l’unica persona che riusciva a non farmi pensare a Roberto. Ero proprio un’egoista.

Pensai un momento agli SMS che io e Sabrina ci eravamo scambiate il giorno prima, battei il mio pugno sulla mia mano e domandai senza pensare «Sabry, ma ieri per SMS cosa volevi dire?»

La mia amica mi guardò dubbiosa, non aveva capito a che SMS mi riferivo.

«Sì, dai, quando hai detto che Simo riesce a reprimere i suoi sentimenti!» continuai ingenuamente facendo imbarazzare sia Simone che Sabrina che mi guardò un po’ storto.

«Ma niente, stavo scherzando!» mi rispose sorridendo, guardando subito dopo l’amico che volse lo sguardo verso di me.

«Va bene…» dissi senza aver davvero capito ciò che mi era appena stato dichiarato. In lontananza sentii suonare il mio cellulare che presi dentro la borsa. Era mia madre, risposi ma mi stava chiamando con l’addebito sulla chiamata. Com’era possibile avere una madre che non si ricaricava mai il cellulare? Toccava sempre a me pagare. Misi giù, in quanto nemmeno io avevo i soldi, cioè ne avevo ma davvero pochi, mi voltai verso i miei amici «Chi di voi ha i soldi nel cellulare? Dovrei chiamare mamma!»

Sabrina prese dalla tasca il suo telefono e me lo passò «Chiama pure con il mio!»

«Grazie!» lo afferrai e mi allontanai per poter avere un po’ di privacy.

Composi il numero, che sapevo a memoria, e dopo alcuni squilli finalmente rispose. «Sono Francy, dimmi mamma!»

«A che ora torni a casa?» mi domandò seria.

«Non so, a che ora vuoi che torni?»

«Alle sette? Oggi, se ti ricordi, è il compleanno di tuo padre. Sei andata a comprargli un regalo?»

Rimasi in silenzio per alcuni secondo «No. Ci vado ora.»

«Bene! Dai, ora ti lascio. Divertiti!»

Chiusi la chiamata e maledii me stessa per essermi dimenticata del compleanno della persona che aveva contribuito a mettermi al mondo, ho sempre saputo quando lui teneva al giorno del suo compleanno eppure me lo dimenticavo ogni anno. Oggi avrei rimediato, sarei andata a comprargli un bellissimo regalo. Ma cosa dovrei prendergli? Un maglione? Un profumo? Una stecca di sigarette? Qual è il regalo perfetto per un genitore? Ogni anno ero nella stessa, medesima, situazione.

Mi voltai e cominciai a tornare dai miei amici, quando notai che stavano parlando, così decisi di rimanere ancora un po’ nascosta nell’ombra, magari avrebbero deciso di mettersi assieme. Mi sedetti su di una panchina all’ombra, non sapevo cosa fare. Sabrina non si sarebbe arrabbiata se le avessi letto gli SMS, tanto lo facevamo sempre, lei leggeva i miei ed io leggevo i suoi. No, non si sarebbe arrabbiata.

Entrai nella cartella degli SMS inviati, aveva la mania di salvarli tutti. Dopo aver parlato con me lo aveva fatto anche con Simone, probabilmente per mettersi d’accordo per oggi. Andai al primo messaggio che gli mandò e lo aprii.

«Ho parlato con Francy. Ma a te va davvero bene starle vicino in questo modo? Non soffri?» alla sola lettura di quel primo messaggio mi si strinse il cuore. Cosa voleva dire Sabrina con quello che gli aveva scritto?

Cambiai cartella e lessi il primo messaggio che aveva ricevuto da lui, dalla persona con la quale in questo momento stava parlando a diversi metri da me. Avevo voglia di origliare il loro dialogo ma non potevo farlo, già mi sentivo la coscienza sporca solo per leggere quei loro pochi SMS.

Cercando di non pensare alla mia coscienza cominciai a leggere «Mi va bene.»

Ma perché doveva essere così laconico? Non poteva spiegare meglio le cose?

Continuai a non farmi i fatti miei, volevo andare a fondo a questa faccenda ma dopo, anche se l’avessi fatto e ci avessi capito qualcosa cosa avrebbe risolto? Cosa avrei potuto fare? Sarei stata zitta e mi sarei tenuta per me tutto ciò che avrei scoperto per me.

«Ti ammiro, io non riuscirei mai stare vicino ad una persona che so di amare ma con la quale non ho alcuna possibilità.»

Il cuore cominciò a battermi più velocemente, quello che avevo letto non mi piaceva. Ciccai sul tasto rosso, bloccai la tastiera e tornai da loro, forse quella era solo una supposizione di Sabrina, probabilmente si sbagliava. «Di che parlate?» domandai facendo sentire la mia presenza.

«Niente di che.» rispose Simone mentre stavo restituendo il telefono a Sabry.

«Grazie!» la ringraziai guardando di sott’occhio il mio amico. «Umh… sentite. Oggi è il compleanno di mio padre, e come al solito me n’ero dimenticata. Devo essere a casa per le sette, però ho una questione urgente da risolvere.» spiegai tutto d’un fiato. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo, quando mai? In quel periodo era sempre così.

«Quale?»

«Il regalo! Che gli faccio?» mi voltai verso Simone e come se lo implorassi gli dissi «Tu che sei un ragazzo, dimmi, per favore, che cavolo gli devo regalare!»

«E che ne so?» rispose lui un po’ seccato.

«Come non lo sai? Ma sei un uomo! Dovresti saperlo. Ecco lo sapevo sei gay, ci avevo visto giusto allora!» esclamai cercando di essere il più naturale possibile, invece ero proprio diversa, si vedeva che era tutto molto forzato, molto finto.

Sabrina rise di gusto e lo guardò «Ehy, perché non le fai vedere quanto sei gay?» gli ammiccò ed il mio cuore arrivò in gola, le avrebbe dato retta? Speravo che non le avesse dato ascolto.

«Peccato che, io, non sia gay!» controbatté evidenziando il pronome personale di prima persona.

«Dimostraglielo!» Ormai era come se fossi fuori, se un muro si fosse alzato ed io fossi dall’altra parte di questo, non dove vi erano i miei amici. Una parete trasparente dalla quale potevo vedere e sentire tutto ciò che loro dicevano o facevano ma, da dove erano loro, non potevano vedere me.

«No!» esclamò Simone facendomi sospirare, cercai di prendere la parola ma Sabry non me ne diede il tempo.

«Sei proprio fifone, e pensare che questa sarebbe la tua occasione.»

Il ragazzo si voltò e cominciò ad avanzare verso l’uscita del parco «Forse ho sbagliato, forse era meglio se non l’avessi portata ad incontrarti.» ammise lui mettendosi le mani in tasca «Francy, vieni? Andiamo in cerca del regalo per tuo padre.»

«O-Ok…» risposi un po’ perplessa «Tu vieni con noi Sabry?» domandai infine prendendole una mano.

Lei negò «Ormai non mi sento più parte del gruppo.» spiegò poi facendosi cupa.

«Perché? Tu sei parte integrante del gruppo!» esclamai io prendendola per le spalle, preoccupata.

«Chiedilo a Simone.»

La lasciai andare per la sua strada, la salutai e lei contraccambiò con un gesto della mano, voltata di spalle. Raggiunsi Simone, guardavo a terra e non avevo voglia di parlare, eppure volevo sapere.

«Perché Sabry non si sente parte del gruppo?» gli chiesi fermandomi. Lui si voltò e mi guardò dall’alto al basso, come succedeva alle medie.

«Ed io che ne so? Lo sa lei e basta.» rispose sottovoce.

«Lei mi ha detto di chiederlo a te, però!»

«Ed io ti sto dicendo che non lo so!»

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Capitolo 6
*** Non Illudere ***


Non Illudere

Quel pomeriggio fu interessante, non capivo molte cose ma ero contenta di aver potuto rivedere, dopo tanto tempo, Sabrina.

Stavo tornando a casa, Simone camminava affianco a me, in silenzio. Chissà a cosa stava pensando, avrei tanto voluto saperlo. Non pensavo spesso a quello che avrebbe potuto pensare, lui, di me o di altre persone, quel giorno però era diverso.

Grazie all’aiuto di Simo, ad ogni modo, ero riuscita a scegliere un regalo per mio padre. Chissà, forse gli sarebbe piaciuto. Avevamo deciso di comprargli un rasoio elettrico per farsi la barba.

Arrivammo davanti al portone di casa mia, erano quasi le sette, in tempo perfetto.

«Allora… ci vediamo domani?» domandai aspettando ad entrare.

«No, domani non posso vederti.» Quando sentii pronunciare quelle parole provai un senso strano, come se fossi in cima ad un precipizio e stessi per cadere al suo interno.

«Perché?» Avevo cominciato a tenere troppo a lui, era da immaginarselo che prima o poi si sarebbe stancato di me e mi avrebbe allontanato da lui. Non potevo pretendere di riuscire a tenerlo vicino a me per il resto della vita. Se, ad esempio, avesse trovato una ragazza io non avrei più avuto il diritto di uscire sempre con lui, di sfogarmi con lui, di abbracciarlo, e questo mi rendeva tremendamente triste.

«Domani devo recuperare il debito di matematica.» rispose accarezzandomi la testa come se fossi il suo cagnolino. A quelle parole, però, i miei occhi si illuminarono. Ero felice e lo ero perché non si era stancato di me, ma perché avrebbe dovuto recuperare un debito.

Sospirai «Pensavi che ti volessi lasciare eh?!» mi prese in giro lui scompigliandomi tutti i capelli. Ero più bassa di lui e durante quest’estate era anche cresciuto di qualche centimetro. Io gli arrivavo alle spalle.

«Mica stiamo insieme, scemo!» esclamai dandogli un pugno sopra i suoi piccoli pettorali.

Quest’anno sarebbe stato l’ultimo anno scolastico, avremmo compiuto diciotto anni.

«Beh, basta chiedere…» era serio, tremendamente ponderato e ciò non mi piaceva, probabilmente ci stava solo facendo apposta.

«Sì, certo come no?!» guardai l’ora «Oddio è tardissimo! Devo salutarti, ciao! In bocca al lupo per l’esame!!» mi sporsi e gli stampai un bacio sulle labbra, quando mi accorsi di ciò che avevo fatto lasciai cadere il pacco per mio padre e mi portai le mani alla bocca e lacrime salate cominciarono a cadere dai miei occhi senza riuscire a fermarle.

Simone prese al volo il pacchetto e mi guardò «Francy?» domandò come se non fosse successo niente.

«Scusami… ho pensato fossi Roberto.» singhiozzai, continuando a piangere. Lui era ancora per me tutto il mio mondo e quando per sbaglio, pensando fosse lui, diedi quel bacio a Simone non riuscii a trattenere le lacrime che si erano congelate nel mio cuore. Probabilmente il cuore mi aveva fatto pensare che Simo fosse Roby perché così si sarebbe potuto liberare di tutte quelle lacrime represse.

Ora avrei potuto dimenticarlo? Ora che avevo posato le labbra su un altro ragazzo che non fosse lui sarei potuta andare avanti?

Strappai il pacco regalo dalle mani di Simone, mi scusai nuovamente e corsi verso l’ascensore.

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La festa, cioè la cena, per mio padre era finalmente finita; mi congedai in camera mia dove controllai se avessi ricevuto qualche SMS: nessuno.

Velocemente scrissi sulla tastiera un messaggio per Sabry nel quale gli raccontai ciò che era successo e ciò che avevo sentito.

Alcuni minuti dopo mi arrivò una sua risposta «Ma non è che per caso ti piace Simone ma non lo vuoi ammettere?»

«Ma cosa ti salta in mente! Veramente credevo che lui si mettesse con te!» le ammisi.

«Ahahahah… ma allora non hai proprio capito niente! Lui ti ama! Probabilmente ha fatto finta di niente, ma quel bacio, che tu gli hai dato per sbaglio, gli ha scombussolato la vita!»

Quando lessi quella sua affermazione mi si fermò il cuore, era vero? Lui mi amava? No, non era possibile. Non era vero. Non poteva essere vero. Non doveva essere vero! Lui era il mio migliore amico, non potevo perderlo come tale. Non volevo.

«Non è che per caso a te piace Simone, e visto che sta sempre con me sei gelosa e pensi che mi venga dietro?» le risposi facendo finta di niente. Facendo finta di avere la sicurezza che lui non mi amasse.

«Sì, lui mi piace, ma ho la certezza che ami te. Da sempre.» sentire questa sua ammissione mi fece sorridere, era stata sincera con me, a lei, lui, piaceva; e se era stata onesta in quel frangente perché non lo dovrebbe essere stata dicendomi che Simone mi amasse?

«Ti sei fatta avanti con lui?»

«No, e non credo lo farò mai :-)»

«Secondo me, invece, dovresti. Scopriresti, magari, che quello che pensi tu è sbagliato e che ti sbavi dietro come un cagnolino. Sai oggi l’ho visto agitato quando ti ha visto. Secondo me voleva vederti!»

Non arrivò una sua risposta per molti minuti, quando ormai avevo perso le speranze e stavo per coricarmi mi vibrò. «Forse anche tu potresti avere ragione, ma non mi interessa più. Ti prego, non insistere.» guardai tristemente quel piccolo display nel quale leggevo quelle lettere virtuali create ed arrivate a me. Ero triste perché sapevo che a Sabrina amava Simone e perché io ero sollevata per il fatto che lei non glielo avrebbe mai detto e che quindi avrei potuto avere per me quel ragazzo.

Senza rendermene conto stavo, lentamente, ricominciando a vivere. Provavo sentimenti differenti l’uno dall’altro non ero più indifferente per tutto, anzi, provavo perfino gelosia. Non avrei creduto di riuscire a riprovare quella sensazione che fa provare astio verso la persona che potrebbe compromettere il rapporto con un’altra determinata essere umano.

Spensi il telefono lasciando perdere quei messaggi, mi ero stancata di sentirla parlare, se avesse voluto avrebbe potuto conquistarlo ma era troppo stupida per non azzardare.

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Quella mattina mi svegliai con calma. Era tardi. Avevo dormito più di mezza giornata, e senza l’uso di alcun farmaco.

Presto sarebbe ricominciata la scuola, era l’undici settembre e rimanevano sei giorni di vacanza.

Quelle ferie non me le ero godute per niente, solo ora avevo ricominciato ad essere, per una minima parte, ciò che ero un tempo.

Mi stiracchiai alzandomi faticosamente dal letto e camminai, senza alzare i piedi, fino al bagno dove guardandomi allo specchio mi venne da pensare solo a quanto fossi brutta quella mattina. Avevo delle occhiaie da paura, gli occhi il doppio più piccoli di come li ho in realtà, i capelli tutti scompigliati che si alzavano anche per aria. «Ma stanotte sul letto ho fatto la lotta con il cuscino?» domandai a me stessa ironicamente prima aprire il rubinetto dell’acqua della vasca per riempirla.

Nel tempo in cui l’acqua non avesse riempito completamente, o quasi, la vasca io mi sarei lavata di denti.

Mi immersi in quel liquido trasparente, e mi insaponai freneticamente, come se non mi lavassi da una vita intera. Portai lo shampoo sopra i capelli e cominciai a massaggiare il cuoio capelluto, quant’era rilassante quel tocco delle dita sulla pelle della testa.

Presto sarei dovuta anche andare dalla parrucchiera, era da troppo che non mi curavo i capelli e stavano cominciando a spuntarmi le doppie punte che io ho sempre odiato.

Tolsi il tappo e l’acqua cominciò a scivolare lungo il tubo che porta alle fogne, uscii dalla vasca e mi infilai il mio bellissimo accappatoio rosa. Mi asciugai, e mi vestii, già era ora di pranzo e sarei dovuta mettermi a sedere a tavola insieme alla mia famiglia, tanto amata.

Mi pettinai i capelli ancora bagnati e li legai con una pinza al resto della capigliatura così da poter tenere il collo scoperto. Quel giorno mi sembrava troppo caldo per poter portare i capelli lunghi. Sorrisi a quel pensiero. Per tutta l’estate, che era stata più calda di quel giorno, non me ne sarebbe importato se fosse stato caldo per portare i capelli sciolti, anzi, non avrei assolutamente avvertito il cado dell’atmosfera.

Tornai in camera mia dove aprii l’armadio per cercare un qualche vestito da mettere, dopo pranzo sarei uscita, sarei andata a trovare lui, per chiedergli come gli fosse andato l’esame. Per vederlo e per poter star bene, come stavo in questi giorni. Ringraziai il cielo per poter avere vicino a me un ragazzo come Simone.

Decisi di indossare un paio di jeans a vita bassa, non bassissima come quelli che si mettono in questo periodo, però di certo non arrivavano a coprire l’ombelico. Legai anche una cintura nera con tutti strass, era molto carina, però spesso perdevo quegli accessori “lucenti” in giro, ai jeans che erano un po’ troppo larghi. In quei mesi mangiavo di meno ed avevo perso diversi chili. Mi guardai allo specchio e vidi che la pancetta che avevo se ne era andata, per caso ero diventata anoressica? Lasciai correre questo pensiero e infilai una maglia senza maniche bianca con davanti scritto: “Le buone ragazze vanno in paradiso, quelle cattive dappertutto”. Io faccio parte delle cattive o delle buone? Chissà…

«E’ pronto!» sentii urlare la mamma che invogliava me e mio padre a raggiungerla a tavola, dove avremmo mangiato tutti assieme e, forse, avremmo discusso come quasi sempre accadeva, e molto spesso la discussione ricadeva sulla scuola, sul perché io non studiassi abbastanza, sul perché ero così menefreghista. Mio padre poi avrebbe aggiunto che dovevo impegnarmi nello studio perché se no non avrei trovato nessun lavoro appagante che mi desse più di ottocento euro e quindi se non mi fossi diplomata avrei sofferto la fame perché di questi tempi con solo un milione, cinquecentoquarantanovemila e sedici lire non avrei potuto andare lontano perché sarebbero finiti nel giro di pochi giorni visto che ormai costa tutto il doppio di quanto non costasse quando ancora era in vigore il vecchio conio.

Mi sedetti a tavola, al mio solito posto, il piatto era già stato versato, amorevolmente, da mia madre che mi accarezzò una guancia e sorrise «Cosa farai oggi?» mi domandò sedendosi anch’essa per poter cominciare ad alimentarsi.

«Eh… uscirò.» risposi portandomi alla bocca la forchettata di insalata di riso. Quand’era caldo così quel piatto era il mio preferito, non mi sarei mai fermata nel mangiarlo.

«Non pensi che dovresti studiare visto che ricomincia la scuola?» si intromise mio padre con la sua solita voglia di rompere.

«Beh, visto che ancora sono in vacanza non vedo perché dovrei.» risposi io seccata, senza guardarlo negli occhi «E comunque basta con questo discorso. Non ho voglia di litigare oggi.»

Mio papà mi guardò ed io con la coda dell’occhio feci lo stesso e mi sembrò che mi stesse osservando con occhio cupo, ma forse era solo una mia stupida impressione. Sapevo che mio padre mi volesse bene, era normale, ma spesso era così irritante che mi veniva voglia di sbatterlo al muro. Penso che questo capiti a tutti i figli con i propri genitori.

Finito il pranzo, che dopo quella piccola discussione si proseguì in silenzio andai in camera mia, dove decisi che era venuto il momento di accendere il cellulare e di vedere se qualcuno mi avesse cercato. Quando ebbe concluso di caricare tutti i software installati dentro quel piccolo apparecchio il telefono vibrò.

«Francy, perché invece tu non credi a ciò che ti sto dicendo? Perché non provi a parlare con Simone su quello che lui prova per te? Non ti senti egoista nell’usarlo così a tuo piacimento per non rimanere da sola?» non potevo credere a ciò che mi aveva scritto, era vero, probabilmente ero soltanto un’egoista che pensava solo a sé.

«Hai ragione. Ma non sta a te giudicare ciò che faccio, provo o non faccio!» mi stava salendo una rabbia, come potevo sputare sentenze così sulla sua migliore amica? Pensavo che in un rapporto di confidenza non si dovesse giudicare; ma forse lei lo faceva perché era amica anche di Simone, perché lo amava e quindi non voleva vederlo soffrire.

«Anche questo è vero, però io ti sto dicendo tutto questo perché ti voglio bene. Cerca di non illuderlo se davvero non ti piace e non ti ci vuoi mettere insieme. Allontanati da lui.» Quelle parole, per me, erano come pugnalate al petto. Mi ferivano.

«Io gli voglio molto bene.» le risposi. Non mi piaceva parlare di questioni “serie” per SMS, sarebbe stato meglio parlare a quattr’occhi, ma era partita. Sabrina era andata, per l’ultima settimana di vacanza dai nonni fuori città e non l’avrei potuta raggiungere. Non capivo perché, comunque, dovesse parlare adesso di queste cose. Non capivo perché non potesse aspettare. Forse Simone le aveva detto qualcosa, forse lui le parla delle sue preoccupazioni, dei suoi problemi; cosa che con me non fa e mi sentivo triste per questo perché stavo cominciando a comprendere come io in realtà non conoscessi più l’amico che avevo fin da quando ero una bambina.

«Gli vuoi bene, certo, non sto dicendo che lo odi, o che sei indifferente a lui. Si vede che ci tieni, ma allo stesso tempo si vede che non vuoi instaurare con lui una relazione, cosa che lui invece vorrebbe ma che, per non approfittarsi, non dice.»

«E quindi cosa dovrei fare? Allontanarmi da lui senza una valida spiegazione? Dicendogli mi dispiace ma mi hai stancato? Non ti sembra che questo sia ancora più crudele nei suoi confronti?» le risposi con un impeto di rabbia che mi stava crogiolando da dentro.

«No, devi parlargli. Gli devi chiedere che cosa sente per te.»

«E secondo te me lo direbbe? Se davvero non vuole approfittarsi della situazione nella quale mi trovo, mi direbbe davvero ciò che prova? Che poi, secondo me, ciò che pensi tu non è ciò che sente lui.»

Sabrina era molto veloce a scrivere SMS, viveva per quelli, adorava poter mandarli, soprattutto quando c’erano le promozioni estive o invernali per non pagarli, ed infatti spesso non li pagava e stava tutto il giorno con il cellulare in mano. Spesso, quando li aveva gratis, per dire qualcosa mandava messaggi anche se la persona con la quale doveva parlare era a due passi da lei; però in quel momento o stava scrivendo un poema con quella piccola tastiera che teneva tra le dita, oppure non avrebbe risposto.

Senza attendere altro misi dentro la mia borsa Hervé Chapelier a mano il cellulare, salutai i miei ed uscii di casa per andare dalla persona che era il motivo della discussione che avevo intrapreso precedentemente con la mia migliore amica.

Andando verso casa sua notai che ero agitata, le parole che Sabrina mi aveva detto mi avevano scombussolato perché pensavo che forse aveva ragione, nessun ragazzo sta vicino a qualcuna se non vuole qualcosa in cambio, questo è nella natura umana.

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Capitolo 7
*** Mi Manca Da Impazzire ***


Nuova pagina 1

Mi Manca Da Impazzire

Camminavo per quelle vie a passo veloce, non perché avevo paura di arrivare tardi, alla fine, non avevo nemmeno alcun appuntamento, ma perché ero agitata, come non lo ero mai stata in una situazione come quella.

Presto sarei arrivata davanti a casa a sua, avrei suonato il suo campanello e mi avrebbe fatto entrare in casa sua e forse in camera sua dove mi sarei seduta nel suo letto e gli avrei chiesto come gli fosse andato l’esame, e dopo?

Le parole di Sabrina mi ronzavano dentro la testa, come se fosse lì a ripetermi sempre quelle cose e mi dava dannatamente fastidio.

Mi fermai un attimo, in lontananza si poteva vedere una signora che portava a spasso il suo cane, anche io da piccola avrei tanto voluto averne uno, solo per poterlo portare in giro e giocare con lui. Mi erano sempre piaciuti di più di gatti, ma loro sono più indipendenti e quindi avevo deciso che avrei preso un cagnolino, un volpino. Una razza che mio padre odia, è disgustato dal suono della sua voce e un giorno mi disse che quando ne vedeva uno, quando abbaiava, aveva la voglia di calciarlo via, lontano, come se fosse un pallone da calcio. Quella sua rivelazione mi fece ridere, e mi fece pensare: il volpino non l’avrei potuto prendere, non avrei voluto vedere quella dolce palla di pelo volare fuori dalla finestra per colpa di un calcio ben assestato di mio padre.

Guardai il cielo e ripensai a Roberto, a quando parlavamo del nostro futuro, insieme. Lui avrebbe voluto prendere un Bull Dog, il suo cane preferito, eppure io avevo un tremenda paura dei cani di grossa taglia quindi decisi, io, che avremmo preso due gatti, e sembrava che a lui non dispiacesse.

Roby un giorno, non so se l’avesse detto per l’alcool che aveva ingerito, mi disse che quando, finita scuola, avrei trovato un buon lavoro, mi avrebbe sposato in una chiesa, dove avremmo potuto scambiarci le promesse di amore eterno, fino a che morte non ci separi, e la morte ci aveva separato troppo presto. Addirittura prima di avere il tempo di scambiarci quei giuramenti.

Ripresi a camminare ed incrociai la donna che vidi poco prima. Il suo cane le camminava a fianco, senza essere legato da un qualche guinzaglio, sorrisi quando notai che era un volpino.

Ero, finalmente, o forse non dovrei dire così, davanti casa di Simone. Mi avvicinai al portone e suonai il campanello attendendo che qualcuno mi aprisse o che chiedesse chi fosse.

«Chi è?» mi sentii dire.

«Sono Francesca..» Sentì aprire il portone e lo spinsi per poter entrare, chiamai l’ascensore che mi avrebbe portato davanti alla sua porta d’ingresso.

«Permesso…» enunciai entrando in casa.

«Ciao Francy!!» il saluto caloroso di Giulia mi faceva sorridere, era sempre stata così solare e spensierata, spesso mi chiedevo se lei avesse mai sofferto di crisi esistenziali quando era una ragazzina come noi. Probabilmente sì, come tutti.

«Ciao!» salutai anche testualmente. «Umh… Simone?»

«Ah… già, sei qui per lui! Beh, ancora non è a casa, però se vuoi puoi aspettarlo, torna tra poco!» mi spiegò lei. «Caffè?»

«No, grazie… mi agita!» Giulia faceva la psicologa e per questo ero un po’ in agitazione quando parlavo con lei, avevo paura che se le avessi parlato un po’ troppo avrebbe capito qualcosa che nemmeno io so.

«Presto ricomincia scuola, sei contenta?»

«Per niente!»

Giulia rise. «Sì, hai ragione, nemmeno io ho tanta voglia di tornare al lavoro dopo queste tre settimane di ferie.»

«Il tuo lavoro è noioso?» domandai senza accorgermene, nemmeno io sapevo perché le avevo posto quella domanda, a me che me ne poteva importare se il suo lavoro fosse o meno monotono? Eppure continuavo a sentire quel senso di agitazione nello stare a parlare con una psicologa, preferivo che parlasse del suo lavoro, non che lavorasse su di me.

Giulia si sedette al mio fianco «Beh… non è noioso. Però è stancate. Sai, sentire parlare persone dei loro problemi non è poi questo gran che.» mi rispose sincera, o almeno così mi sembrava. «Spesso però…» cominciò ridendo sotto i baffi «… mi diverte fare la psicologa con Simone, a lui da super fastidio!»

«Comprendo il suo fastidio!» risi «Infatti, devo essere sincera, quando parlo con te ho spesso la “paura” che tu possa farmi la psicologa e capire qualcosa che nemmeno io so!» le ammisi sorridendole.

«Tesoro, io non lavoro gratis!» mi fece l’occhiolino «Non faccio la psicologa con nessuno se non è richiesto dal “cliente”» In quel momento suonò il campanello, Giulia andò ad aprire «E’ arrivato Simo! Beh… io adesso vado a fare la spesa! Ci vediamo dopo! Ciao!» La donna prese la borsa e le chiavi, lasciò la porta di casa aperta per far entrare il figlio ed uscì. Per pochi secondi rimasi in quella casa da sola che mi provocò un senso di solitudine.

L’entrata si aprì «Ciao!» salutai alzandomi in piedi. Simone si fermò sull’uscio e mi guardò per qualche istante senza proferire parola. «Ci sei?» domandai ironicamente.

«Che ci fai qui?»

«Eh… ti sono venuta a trovare e volevo sapere come ti è andato l’esame!» risposi sincera avvicinandomi a lui. Normalmente quando mi vede mi stampa un bacio sulla guancia, ma forse, per ciò che era successo il giorno precedente si sentiva in imbarazzo.

«Ma tu, prima di andare a casa di altre persone non avverti mai?» mi ribatté seccato.

«Se ti disturbo… vado a casa!» esclamai prendendo tra le mani la mia borsa, Simone era ancora lì dov’era prima, quindi comunque sia non sarei potuta andare lontano se non passandogli attraverso.

«Ormai sei qui…» fece due passi e chiuse la porta dietro di sé. Si buttò a peso morto sul divano ed appoggiò le scarpe sul tavolino di vetro davanti a sé.

«Guarda che sporchi e graffi il tavolo così!» affermai cercando, anche, di rompere il ghiaccio.

«E’ tuo?»

«N-no!» mi stava parlando come non aveva mai fatto, era freddo, seccato; forse non mi voleva più vedere, ma allora perché non me lo diceva chiaro e tondo?

«Allora sta zitta!» esclamò facendomi sobbalzare, non perché mi aveva messo paura ma perché mi stava facendo infuriare.

«Ma che cavolo hai? Si può sapere? Sei sempre così gentile con me, mentre oggi sei veramente uno stronzo!» urlai senza rendermene conto «Se ti ho stufato, se vuoi che non ci vediamo più, per me va bene. Basta che me lo dici!»

Simone mi guardò sbalordito, non mi aveva mai sentito, se non sbaglio, alzare la voce in tal modo. Credeva forse che io non avessi la forza di ribattere? Che stavo zitta, qualunque cosa le persone mi dicessero? Pensava davvero questo? Io non sto zitta, se c’è qualcosa che non mi va bene la dico subito.

«Non ho niente!» mi rispose senza guardarmi negli occhi «Assolutamente niente. È che tu, forse, hai cominciato a dipendere troppo da me, ed io comunque non potrò starti vicino per sempre.»

Mi rimisi a sedere, sul divano questa volta affianco a lui e gli presi una mano tra la mia «Lo so.» dissi guardando l’arto che stringevo «Però… io sto bene, con te, intendo.» ammisi appoggiando la mia testa sullo schienale del sofà. Simone si allontanò da me.

«Non dirmi queste cose. Non me ne faccio niente di tutte queste belle parole io, e sì, mi sono stufato di doverti avere sempre attorno. Ho una mia vita.»

Sorrisi guardandolo «Bene, sono contento che tu sia stato così sincero con me.» replicai alzandomi e tenendo in mano la mia borsa con tutte e due le mie mani «Ciao.» mi avvicinai a lui e gli stampai un bacio sulla guancia, quello che prima lui non aveva dato a me.

Aprii la porta, ed uscii da quella casa, senza sbatterla, scesi le scale con calma e quando mi allontanai abbastanza da quell’edificio non riuscii a trattenere le lacrime.

Non sapevo perché era successo tutto questo, non sapevo perché l’avevo perso in questi dieci minuti. Non avrei dovuto andare a casa sua per vederlo.

Cosa avrei dovuto fare adesso? Avevo perso la persona che mi faceva stare bene, che riusciva a farmi ridere, ma che, dovevo ammetterlo, se voleva riusciva anche a farmi soffrire.

Pensai un momento a tutto il tempo che, quella estate, avevo trascorso con lui, io pensavo solo a me e non anche agli altri, non consideravo ciò che lui potesse provare o sentire quando stava al mio fianco. Non lo facevo, e non l’avrei fatto, forse.

Tirai fuori il cellulare e notai che avevo ricevuto un SMS.

«Mi dispiace, scusami è che l’esame mi ha un po’ innervosito. Mi puoi perdonare?» alla fine, era un ragazzo così dolce, come potevo avercela con lui? Di fatti non ce l’avevo, ma ciò che aveva detto erano verità e non potevo fare niente

«Non ce l’ho con te. Non preoccuparti.»

Mi sedetti su una panchina, dovevo riflettere su ciò che gli avrei potuto dire per non farlo arrabbiare ma allo stesso tempo per allontanarmi un poco da lui.

«Allora… vuoi venire un po’ su a casa?»

«No.»

«Vedi che sei arrabbiata?»

«No, non lo sono!»

«Dai, vieni un attimo qui, almeno chiariamo seriamente! Lo sai che odio gli SMS!»

Sì, era meglio chiarire e poi non potevo certo pretendere di allontanarmi da lui tramite un messaggio virtuale. Mi alzai di scatto e corsi verso casa sua, era meglio parlare prima dell’arrivo di sua madre.

Suonai e salii nuovamente a casa sua, entrai lo guardai.

«Chiariamo.» dissi risoluta.

«Quello che ho detto non lo pensavo, non mi hai stufato Francy!» era in piedi, davanti a me, lo guardavo e mi dispiaceva per ciò che gli avrei detto da qui a breve.

Gli sorrisi «Lo so che non lo pensavi.»

«Quindi… tutto ok?» mi domandò un po’ in imbarazzo.

«No.» feci una pausa «Ho pensato a ciò che mi hai detto ed è vero, sono dipendente da te e ciò non va bene.» ammisi. «Forse è meglio se ci allontaniamo. Non credi?»

Simone sbatté un piede a terra, senza troppa forza. «No, non va bene, perché io ho bisogno di te.» disse senza guardarmi in volto. Non capivo cosa volesse dire, non capivo che significasse quel “ho bisogno di te”, però ero contenta di sentirmelo dire da una persona alla quale volevo bene.

«Perché? Io sono ancora ancorata al passato, non vedo un futuro, non vedo niente. Ti sto sfruttando e basta. Lo capisci questo?»

«Lo so!» esclamò «Ma anche se tu non mi ami io voglio rimanere vicino alla persona che amo, non m’importa se mi sfrutta o meno, se sta con me o meno. Io mi sento quando ti guardo e se non dovessi più vederti non lo sarei più. Sono io che mi sono approfittato di te.»

Ascoltare quella sua dichiarazione mi fece palpitare il cuore, ma io non me la sentivo di stare con nessuno. Solo ora capii cosa voleva farmi capire mia madre quando mi diceva che lui stava approfittando della situazione, mia madre l’aveva capito ma non mi disse niente esplicitamente perché sapeva che se no sarei rimasta sola.

Abbassai lo sguardo e serrai i pugni «Io ti voglio bene, ma non ti amo!» gli risposi sincera «Sono ancora innamorata di Roby. Mi dispiace. Io… io davvero, non pensavo che io ti piacessi. Non volevo illuderti. Scusa.»

«Non è stata colpa tua, ma mia. Sono io che ho cominciato a starti sempre vicino, è normale che tu ti sia avvicinata a me.» mi rispose avvicinandosi a me, appoggiò una sua mano sulla mia spalla e mi tirò a sé abbracciandomi. «Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo subito, ma non mi sembrava il momento, e neanche questo, accidenti, è il momento!»

Lo scansai da me, sentivo le lacrime salirmi agli occhi, non avrei mai voluto allontanarmi da lui, ma non potevo continuare a prenderlo in giro. «Mi dispiace, Simo, ma non posso… usarti ancora.» detto questo mi voltai e uscii da quella casa dove avevo appena chiuso un’amicizia che riusciva a tenermi a galla.

Dove sarei finita adesso?

Lui era diventato il mio tutto, il mio piccolo tesoro. Non lo amavo, però, e non potevo star vicino ad una persona che consideravo solo amica sapendo che lui vorrebbe qualcosa di più.

Magari un giorno, quando mi sarò dimenticata di Roberto potrebbe nascere qualcosa, ma era ancora troppo presto. Sentivo la sua presenza, e se avessi intrapreso una nuova relazione mi sentirei come se lo stessi tradendo.

Forse ciò che stavo facendo, però, era sbagliato. Chissà… Forse mi innamorerò di Simone quando lui mi dimenticherà, perché so che non mi aspetterà ed io, non aspetterò lui.

Se dovessimo allontanarci per sempre, non cambierebbe nulla, non rimpiangerei i giorni che ho trascorso con lui, ma ora non posso tornare sui miei passi solo perché già, mi manca da impazzire.

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Capitolo 8
*** Incapace Di Capire ***


Nuova pagina 1

Incapace Di Capire

Ormai erano da un po’ di giorni che non avevo notizie né di Sabrina né di Simone; mi sentivo terribilmente sola ma non era colpa loro. Era colpa mia.

A volte inviavo SMS a Sabrina, sperando che mi rispondesse ma attendevo invano.

Probabilmente lei e Simone avevano parlato di ciò che era successo e dovendo scegliere da che parte stare, anche se in questa storia non mi sembra ci debba essere per forza delle parti in cui schierarsi, decise di disporsi dalla parte del ragazzo che amava.

Non avevo voglia di andare a scuola, sì perché era ora di tornare in quell’inferno, e non avevo voglia di vederli, e non avevo voglia di vederli insieme.

Dopo essermi preparata indossando le prima cose che trovavo nell’armadio uscii di casa ed andai alla fermata dell’autobus, la stessa nella quale c’era lui.

Era lì, e lo guardai di sottocchio, non mi ero mai accorta della sua presenza, in passato, se ci fosse stato o meno non avrebbe cambiato niente; tanto non ci saremmo comunque parlati.

Mi piacerebbe tornare a quel tempo. Stavo decisamente meglio.

«Ciao.» mi sentii dire da lui che mi fece sobbalzare, non credevo mi potesse ancora parlare, pensavo che mi avrebbe sottoposto alla tortura del silenzio, ma probabilmente lui è un ragazzo troppo maturo per poter fare questi giochetti da bambini.

«Ciao!» gli sorrisi.

«Non forzarti. Non ce n’è bisogno.» mi disse voltando lo sguardo davanti a sé. Quegli occhi che tanto mi piacevano non mi guardavano più e per la prima volta sentivo qualcosa di strano. Volevo le sue attenzioni. Volevo avere il suo sguardo verso di me, eppure non potevo; Roberto non me l’avrebbe perdonato.

Se Sabrina fosse stata lì vicino a me e le avessi rivelato ciò che sentivo probabilmente mi avrebbe risposto «Sei una stupida, non puoi continuare a vivere con il fantasma del tuo ex, se continui così rimarrai zitella a vita!» ed aveva ragione, ma non riuscivo ad andare avanti, non senza Simone che mi aiutava a farlo.

Lasciai correre le parole che mi aveva pronunciato Simone, dovevo passare avanti, dimenticare tutto. Mi sarei concentrata solo ed unicamente sulla scuola, questo era l’ultimo anno scolastico della mia vita, e non avrei dovuto avere distrazione, dovevo uscire da lì con un buon voto.

«Sei contento che ricominci la scuola?» domandai al mio amico, o forse vecchio amico, ancora non sapevo come definirlo.

«Per niente, queste vacanze non me le sono godute affatto!» rispose seccato lanciando contro di me una lama affilata. Ormai era freddo e distante, era stata colpa mia, ma non potevo non seguire quello che mi comandava il cuore di fare. Non potevo stare con lui pensando ad un’altra persona, anche se morta.

L’autobus stava arrivando, si fermò davanti a me e aprì le porte, entrai e mi guardai attorno in cerca di un posto libero. Mi sedetti vicino al finestrino e Simone vicino a me, essendo gli unici due posti liberi ci eravamo trovati di nuovo l’uno affianco all’altra.

Guardai il paesaggio circostante, non dissi niente per tutto il viaggio, non sapevo che fare o che dire, e forse era giusto così.

Simone guardava davanti a sé, con sguardo truce. Avevo paura di quello sguardo, non volevo vederlo così. Io volevo solo che lui fosse felice, che sorridesse, che avesse quegli occhi dolci che sempre osservavo sul suo viso. Cosa avrei dovuto fare per farglieli tornare?

«Ehy…» gli sussurrai sperando di ricevere una risposta.

«Mh?!» mugugnò lui distrattamente.

«Cosa ti è successo? Hai gli occhi diversi da come li avevi un tempo.» gli spiegai cercando di poter avvicinarmi nuovamente a lui, probabilmente non potevo farlo, non mi sarei mai più unita a quel ragazzo, ma tentar non nuove, no?!

Simone mi guardò negli occhi «Avevi ragione, io voglio qualcosa che tu non puoi darmi, o che non vuoi darmi, questo ancora non lo so, ma sappi che io non ti aspetterò in eterno. Anzi, ho già quasi smesso di aspettarti.» continuò a guardarmi, quegli occhi, ero come paralizzata. Non gli risposi ma continuai a fissarlo. «Quando mi guardi sento che provi qualcosa. Tu hai bisogno di me.»

Arrossii senza accorgermene, forse perché ci aveva beccato in pieno o forse perché quello che mi stava dicendo lo poteva sentire chiunque, e mi voltai.

«Prima… eri gentile, adesso mi stai sbattendo in faccia i tuoi sentimenti e vuoi subito una risposta che io… non posso darti.» gli risposi appoggiandomi al vetro.

«Significa che ancora non capisci ciò che provi, se non provassi niente per me, mi avresti già risposto con un secco: no. Invece vuoi avermi vicino, vorresti che fossi tuo ma non lo vuoi ammettere.»

Mi voltai di scatto verso di lui «Sai cosa vorrei? Vorrei la tua amicizia, vorrei questo! E vorrei che Roberto tornasse qui con me!» esclamai dandogli un pugno sul petto, naturalmente senza alcuna forza, solo per fargli capire che non doveva parlarmi in quel modo perché io avevo vissuto un’esperienza terribile che ancora oggi rivivo sotto forma di incubi, che penso. Vivevo la vita pensando costantemente al passato, quando lui mi stava vicino riuscivo a distogliere i miei pensieri da quell’incidente ma quando rimanevo sola le mie attenzioni rimanevano fisse su Roberto, sulla sua morte, sul suo funerale, sui pianti che avevo fatto ogni qualvolta fossi andata alla sua tomba. Non c’era più, la sua vita era stata portata via da una forza maggiore ed io avevo un senso di colpa che mi attanagliava l’anima, non potevo andare avanti senza non pensare a lui.

L’autobus si fermò, eravamo arrivati a scuola, tutti stavano scendendo ma Simone non accennava a farlo. Ormai quel mezzo di trasporto era vuoto, eravamo rimasti solo io, lui e l’autista.

«Ragazzi, scendete che devo tornare in deposito. Non ho tempo da perdere.» disse cercando di farci andare via.

Simone si alzò e scese, io lo seguii a ruota; quando fummo fuori mi prese la mano e la strinse a sé «Amo il tuo modo di essere, amo il tuo viso, i tuoi occhi, i tuoi capelli, il tuo naso, le tue mani, il tuo corpo, la tua bocca che vorrei baciare, ma devi darmi una risposta, non adesso ma presto. Durante la prima settimana scolastica e se non lo farai, mi dispiace ma potrai dimenticarti di me, fare finta che anche io sia morto come Roberto.» disse dolcemente ma allo stesso tempo con una cattiveria che mi fece accapponare la pelle.

Annuii con il viso e mi lasciò la mano andando verso Sabrina che ci stava venendo in contro. Abbracciò Simone, sconvolgendomi, lo abbracciava con una tale voglia di lui che nemmeno io l’avevo mai fatto né con lui né con Roberto. Era proprio innamorata e forse avrei dovuto che stessero insieme senza mettermi più in mezzo. Capivo perché Sabry non mi parlasse più, ero stata davvero egoista, sapeva tutto e per amore mi spingeva tra le sue braccia, pur di vederlo felice; mentre io lo tenevo legato a me tramite stupide parole.

«Ciao Sabry.» dissi avvicinandomi a loro.

Sabrina mi guardò «Ah… ciao, non ti avevo visto.» mi rispose fredda e seccata, non voleva parlarmi, anche se forse lei sarebbe dovuta rimanere accanto a me se ci fossi stata io al suo posto le sarei stata vicina sempre e comunque.

Andammo in classe, tutti e tre insieme. Sabrina si sedette vicino a Simone che non disse nulla, io invece mi misi dall’altro lato dell’aula, da sola, pur di non doverli vedere insieme. Non mi avrebbe dato fastidio se loro fossero stati una coppia, però mi dava fastidio il fatto che non avevamo più un’amicizia come quella di prima. Non aveva senso il comportamento di Sabrina, mi stava ignorando ingiustamente. Perché doveva fare così? Se non mi volevo mettere con Simone per i motivi che lei sa cosa dovevo farci?

Le avrei parlato a ricreazione, semmai fosse rimasta per un secondo da sola.

«Ciao Francy!» mi salutò Melissa che si era seduta davanti a me. «Come stai?» Lei mi riportò sulla terra, perché? Ero immersa tanto bene nei miei pensieri.

«Tutto bene, tu?» Le risposi sorridendole.

«Benissimo. Peccato, però, che la scuola sia ricominciata! Comunque… come mai non stai di banco con Sabrina? Eravate inseparabili voi due!!» rise mentre mi parlava, le piaceva forse vedermi isolata dalla mia migliore amica?

«Sai com’è, divergenze.»

«Capisco… e poi si è messa vicino a Simone, ma non ci stavi uscendo tu?» Melissa aveva quella bocca che sembrava finta, quelle labbra troppo carnose per il resto del viso e parlava in maniera odiosa, sembrava esistesse solo lei. Aveva quei capelli lunghi, troppo lunghi, sembrava la madonna scesa dal cielo e quegli occhi piccoli che potevi notare il colore di essi solo se guardavi davvero da vicino ed attentamente.

«No, io non sono mai uscita assieme a Simone. Siamo sempre stato solo amici.» ammisi io tutto d’un fiato, non avevo voglia di dover spiegare anche a loro la nostra storia. Era nostra e basta.

Avrei avuto una settimana di tempo per poter decidere se abbandonare per sempre l’amicizia con Simone o meno, ma se non avessi rinunciato a quella significherebbe instaurare una relazione ed io era pronta per farlo? E l’avrei fatto anche se non provavo niente per lui se non una grande amicizia e rispetto?

Avrei tanto voluto poter parlare con qualcuno di questa storia e chiedere consigli ma non potevo perché la persona con la quale mi sarei sfogata ora non mi parla più.

Non mi accorsi nemmeno che Melissa, dopo aver chiesto ciò che voleva sapere, si era alzata e se ne era andata.

«Ehy…» mi sentii dire, mi voltai verso la voce e sorrisi nel vedere Sabrina che mi guardava storto. «Lo sai che sei proprio una scema?»

«E’ probabile.» risposi ridendo.

«Simone mi ha detto dell’ultimatum che ti ha dato.»

Anuii, avrei voluto abbracciarla ma non potevo, anche se si era minimamente avvicinata a me la sentivo ancora alquanto lontana.

«Senti, lo so che a te manca Roberto, è normale. Poi non vi siete neanche lasciati come si deve. Però devi solo pensare che lui non ti vuole vedere triste, lui vuole che continui la tua vita. Anche lui l’avrebbe fatto! Non si può vivere con il fantasma dell’ex ragazzo sulle spalle!» Sorrisi a quell’ultima affermazione, proprio ciò che avevo pensato che mi potesse dire. «Tu cosa provi per Simone?» mi domandò infine incrociando le braccia al petto.

«Una grande amicizia, gli voglio molto bene.» risposi io guardandola negli occhi.

«Ma sei scema? Tu non hai tutte le rotelle al posto giusto Francy!» esclamò lei lasciandomi un po’ interdetta. «Quando, ad esempio, sta con me, oppure quando non ti guarda negli occhi cosa provi?»

Chiusi gli occhi e cercai di ricordare quello che provavo, anzi, di capire meglio ciò che provavo.

«Sento… solitudine. E… vorrei che… che mi guardasse, che guardasse solo me.» ribattei sempre tenendo gli occhi serrati, quando li riaprii vidi Sabrina che mi guardava cupa.

«Non capisci ancora che lo ami?»

«Questo è amore? Non capisco più nulla. Non capisco quello che sento dentro, riesco a capire solo quando sono triste e depressa.»

«Ed io che ci sto a fare? Se non fossi sicura che lo amassi non ti manderei da lui, non te lo direi io, anche a me lui piace! Potrei fare la stronza e tenermelo tutto per me, ma sono troppo buona, e cerco sempre di aiutare la mia migliore amica, e poi, purtroppo lui ama te, quindi non andrei molto lontano io.» spiegò lei guardandomi dall’alto al basso come faceva sempre. Lei era intelligente, sapeva sempre ciò che gli altri provavano e ciò che lei provava.

«Ma sei sicura che provo davvero amore per lui?»

Sabrina a questa domanda mi guardò male «Ma allora sei proprio un’imbecille cronica tu!» urlò facendo girare tutta la classe verso di noi. «Stavamo scherzando! Tornate a chiacchierare tra voi!» esclamò poi per distogliere la loro attenzione, si girò nuovamente verso di me «Senti, tu vuoi Simone tutto per te, quindi le opzioni sono due! O sei davvero una ragazza egoista e possessiva che vuole i suoi amici solo per sé, ma la scarterei visto che non sei così con nessun tuo amico oppure lo ami, ed io accenderei questa.» mi spiegò sbattendo le sue lunghe ciglia colorate dal mascara.

«E che dovrei fare?»

«Te sei davvero stupida, sembra che lui sia il primo ragazzo che ti piaccia!»

«E’ che… sono insicura, non voglio avere un altro rapporta che finisca male, non voglio più soffrire per qualcuno.»

«L’amore è sofferenza.» disse sorridendomi «Ad ogni modo devi andare da lui, sederi al suo fianco, prendere la sua mano tra la tua e rivelargli i tuoi sentimenti, che lui già conosce ma è bello sentirseli dire.»

«Lui l’ha capito?»

«Le amicizie non sono così morbose come la vostra. È normale che l’abbia capito! Ora va da lui.» mi prese per un braccio e mi tirò a se facendomi alzare. «Qui mi siedo io, tu vai di banco con lui.» mi sorrise, lo contraccambiai e corsi verso il mio amico o futuro uomo.

«Lo so che mi hai dato una settimana ma… ci ho pensato.» dissi sedendomi vicino a lui.

«Anche io…» mi rispose guardandomi cupo.

Io presi in mano una matita e cominciai a giocherellare con quella prima di parlare di ciò che sento per lui.

In quel momento mi venne in mente Roberto, ma non era più una presenza che mi bloccava anzi, era come se mi dicesse di andare avanti e di dirgli ciò che provavo realmente.

NdA: Scusate per l'assenza, ma purtroppo ho avuto dei problemi con Microsoft Word e non mi apriva più nessun tipo di file .doc

Fortunatamente ora, sono riuscita a sistemare tutto e spero che non mi dia più problemi.

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Capitolo 9
*** La Mia Nuova Vita – [EPILOGO] ***


Nuova pagina 1

La Mia Nuova Vita – [EPILOGO]

Il mio cuore batteva a mille, avrei, forse, instaurato una nuova relazione con una persona diversa da Roberto e questo mi metteva un po’ di timore, ma dovevo farlo.

«Sai, io sono stupida, e non capisco come io ti possa piacere. In questo periodo poi sono ancora più stupida di come davvero sono e…» cominciai a parlare a raffica, ero nervosa, tremendamente e maledettamente agitata, anche se sapevo ciò che lui provava per me avevo ugualmente paura che lui mi potesse rifiutare. Non capivo il perché e mi metteva ancora più in confusione.

«Francy, non devi dire niente. Lo so, alla fine avrei dovuto immaginarlo, tu non vuoi stare con me ed è normale è che io sono ossessionato da te. Voglio te e non ci posso fare niente.» mi interruppe lasciandomi interdetta.

«Cosa? No, no, lasciami parlare.» gli dissi tappandogli la bocca per un momento «Perché pensi questo?» chiesi infine guardandolo dubbiosa.

«Perché te sarai sempre legata a Roberto ed io non posso rompere il legame che hai ed avrai con lui.» spiegò lui cupo.

«E’ vero.» Annuii a ciò che aveva detto «Ma è anche vero che io sono gelosa di te, tu mi sei sempre stato vicino, nel bene e nel male, con i miei difetti, con la mia depressione. Tu che mi hai fatto soffrire quando notavo che i tuoi sguardi non erano per me, ed io che ero gelosa al solo pensiero che quei tuoi dolci sguardi fossero rivolti a qualcun’altra.» ammisi guardandolo negli occhi, non ero mai stata più sincera, le parole uscivano dalla mia bocca come un fiume che non riuscivo a fermare perché seguiva il suo corso. Non pensavo a ciò che dicevo, parlava il cuore per me.

Simone mi stava guardando in modo strano, come se stesse sognando. «Ci sei?» gli domandai scuotendolo.

«Umh… sì.» guardò fuori alla finestra «Non credevo che riuscissi a capire ciò che provi per me. Sono sbalordito.»

«Stai dicendo che sono stupida?»

«Non l’hai detto tu stesso? Cito testualmente: Io sono stupida ed in questo periodo sono ancora più stupida di come lo sono davvero.» scherzò lui come se fossimo tornati gli amici di un tempo, probabilmente noi ci stavamo già frequentando anche prima di dichiararci.

«Sì, ma io me lo posso dire tu non ti devi neanche permettere!»

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Quel giorno la scuola durò meno di come durerà da oggi fino alla fine dell’anno scolastico, però mi ero divertita, avevo chiarito sia con Sabrina, che ormai non ce l’aveva più con me, sia con Simone che era diventato ufficialmente il mio ragazzo.

Ancora però non avevamo potuto scambiarci nemmeno un effusione, ma sinceramente speravo arrivasse il più lontano possibile. Ero nervosa. Avrei dato il mio primo vero bacio dopo quello che era successo la scorsa primavera. Oppure ero nervosa perché, forse, avrei dato il mio primo bacio alla mia anima gemella, al mio vero amore.

Lo guardai e sorrisi, forse il mondo d’ora in avanti avrebbe potuto sorridermi e sarei potuta tornare ad essere felice come lo ero un tempo.

«Eh Simo, devi ringraziare la sottoscritta, se non ci fossi stata io ti saresti soltanto sognato di stare con questa stupida!» esclamò Sabrina portandosi le mani sopra la testa.

Io le feci la linguaccia e mentre Simone si era messo a ridere come uno scemo a quell’affermazione.

«Ve la volete far finita di ridere alle mie spalle? E tu Simo perché mi devi prendere così in giro? Almeno prima eri dolce e gentile!»

«Che ci vuoi fare? Sono pur sempre un ragazzo. Sono stato gentile solo per conquistarti.» mi bloccai a quell’affermazione, era per caso serio? Davvero era stato così gentile con me solo per mettersi con me?

«Davvero?» gli domandai seria.

«Ma ti pare?! Non avrei mai potuto fare una cosa così.» replicò lui seccato, forse aveva pensato che io non mi fidassi di lui ma per me era difficile farlo. Mi fidavo di lui, sapevo che era un ragazzo d’oro ma allo stesso tempo avevo paura di qualche sue prese in giro come faceva ai tempi delle medie, eppure, quando lo guardavo negli occhi tutte le mie paure scomparivano.

Gli sorrisi sedendomi nella panchina della fermata dell’autobus.

«Va bene ragazzi, io vi saluto. Mi raccomando, non fate troppo i porcellini!» Sabrina mi fece la linguaccia per poi dileguarsi in una via.

«Scema…» sussurrai.

Simone si mise seduto vicino a me e rimase in silenzio, parlava di più quando eravamo in compagnia che ora che era da solo con me. Forse anche lui era nervoso come me.

Io avevo il cuore in gola, non sapevo cosa fare, era così strana come situazione.

«Bello questo silenzio.» dissi sarcastica sperando che potesse dire qualcosa.

«Mi conosci… Non parlo poi molto.»

«Umh… quante ragazze hai avuto prima di me?» domandai strattonandolo dalla maglia.

«Un centinaio.»

«Dai, sono seria!»

Simone rise «Ok, ok… ne ho avuto… mh…» ci pensò un po’ su «Cinque.»

«Non sono poche eh?!» gli sorrisi «E… quando ti sei accorto che ti piacevo?»

«Ma che razza di domande fai?»

«E’ una domanda normalissima!» gli sorrisi «Dai rispondimi!!»

«Ma non lo so, non mi ricordo! Mi sei cominciata a piacere e basta.» rispose lui scocciato ed anche un po’ imbarazzato.

«E come? Sognandomi in tutta la mia bellezza?» scherzai io, lui si fece lievemente rosso «Lo sai che sei proprio carino quanto ti imbarazzi?»

«E sta zitta scema!!» urlò lui guardandomi sottocchio. «Forse era meglio se non mi piacessi! Come farò a sopportarti?»

Mi imbronciai «Ma se mi hai sopportato per più di cinque mesi!»

«Sì, ma almeno eri silenziosa!»

Gli diedi un piccolo pugno sul braccio «Sei cattivo, cattivo, cattivo, cattivo!»

«Stai zitta, per favore!»

«Ahahah, non riuscirai mai a farmi stare zitta!!» urlai cominciando a prenderlo in giro urlando ancora di più. Ero davvero felice in quel momento e niente mi avrebbe potuto strappare quella felicità, non fino a che Simone fosse rimasto vicino a me e mi avesse accettato per la stupida che ero. Continuavo ad urlare che non sarebbe mai riuscito a farmi stare in silenzio quando sentì le sue braccia cingermi le spalle e farmi slanciare verso di lui.

«Vedrai, riuscirò a farti stare zitta!» mi sussurrò a due centimetri dal mio viso. Io mi azzittì subito arrossendo per quella vicinanza, non avevo mai guardato i suoi occhi così da vicino e mi venne il batticuore per quante sfumature riuscivo a vedere in quella pupilla così chiara.

La sua bocca si posò sulla mia, lui chiuse gli occhi e quando capii ciò che stava accadendo feci lo stesso, schiudendo le labbra per farvi entrare la sua lingua e per sentirmela massaggiare per riuscire ad assaporare meglio ogni sensazione che il suo corpo mi potesse dare.

Sì, lui era proprio la mia ancora di salvezza e per sempre sarebbe stato così.

FINE

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