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Funerale
Ogni
notte facevo incubi. Sognavo lui, sognavo quello che aveva provato. Forse non
era la realtà, forse non aveva provato proprio quello che immaginavo che avesse
sentito nei miei sogni, però sembrava tutto così reale.
Di
notte mi svegliavo sempre di soprassalto, e mi sarebbe piaciuto urlare se non
fossero state le ore piccole, poi però le parole che mi disse Simone, il giorno
in cui uscii dall’ospedale, mi calmavano e cominciavo nuovamente a respirare
regolarmente.
Forse
lui sarebbe stata la mia ancora di salvezza per non sprofondare nella
depressione. Lui era la persona che riusciva a tenermi a galla in qualche modo.
Simone
per me è sempre stato un buon amico, la persona sulla quale poter fare
affidamento su ogni cosa.
Lo
conobbi da piccola e pensavo che fosse il principe azzurro delle fiabe. Credevo
assomigliasse al principe di Biancaneve. I suoi capelli chiari, i suoi occhi
azzurri. Me ne innamorai, pensando che lui fosse veramente un principe. Mi legai
a lui soprattutto per quello. Crescendo, però, capii che in realtà lui non era
altro che un ragazzo e come tutti i ragazzi cominciò a prendere in giro noi
ragazze e cominciai ad odiarlo e mi allontanai da lui sempre di più.
Tornammo
ad essere amici quando, uscendo con il mio nuovo ragazzo: Roberto, lo vidi tra i
suoi amici e ricominciammo ad essere gli amici che eravamo sempre stati ma lui
era cambiato. Si era creato una corazza intorno e non faceva entrare nessuno,
nemmeno me, che ero stata la sua confidente negli anni passati.
Non
mi importava, in effetti, io avevo Roberto e l’amavo più della mia stessa
vita. Ora però non c’era più e Simone divenne ciò di più caro avessi.
Tutti
mi avevano sempre ritenuta una ragazza forte, ma in realtà ero debole e volevo
avere vicino a me una persona che mi accudisse e mi coccolasse, ed ora quella
persona era Simone.
Mi
maledicevo da sola a pensare queste cose. Mi sembrava di tradire il mio defunto
ragazzo.
Ancora
lacrime caddero dai miei occhi color dell’erba.
Non
volevo più piangere eppure non riuscivo a farne a meno. Il dolore che provavo
era immenso e non potevo far altro che sfogarmi piangendo.
Quella
mattina ci sarebbero stati i funerali per Roberto, avrei pianto ancora di più,
ma Simone mi aveva promesso che mi sarebbe stato vicino e che mi avrebbe dato
nuovamente la sua spalla per poter piangere, per poter usarla come ancora.
Ancora
a pensare a lui. Perché?
Perché
ormai era diventato il mio punto di riferimento, nuovamente.
Mi
alzai dal letto ed uscii da camera mia; dovevo bere un bicchiere d’acqua
fresca, mi sentivo la gola secca.
Dopo
essermi rinfrescata il palato tornai sotto le coperte, appoggiai la testa sul
cuscino che aveva una fodera con il disegno della Sirenetta e cercai di
ritrovare il sonno, facendo finta di essere anche io, come Ariel, una sirena che
nuotava libera in fondo all’oceano.
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Con
l’aiuto di mia madre, quella mattina, riuscii a vestirmi. Non riuscivo a fare
più nemmeno quello. Non perché mi facesse male la ferita nella quale ancora
avevo i punti, che presto sarei dovuta andare a togliere, ma perché le mie
forze se ne erano andate del tutto. Ero come vuota.
La
mia vita sarebbe mai riuscita a tornare quella di una volta, io sarei mai
riuscita a tornare la persona sorridente che ero?
«Sei
pronta?» mi domandò mamma cercando di sorridermi.
«Se
mi stai chiedendo se sono vestita la risposta è sì, se mi stai chiedendo se
sono pronta a vedere il mio ragazzo dentro una bara di legno e buttato dentro
una fessura di marmo e cemento la risposta è no!» risposi guardandola male,
non avrei mai voluto farlo ma quella domanda mi aveva fatto uscire dai gangheri.
«Scusami…»
mi accarezzò una guancia.
«Scusami
tu… è che… sono suscettibile.» risposi chiudendomi nelle spalle. Per il
funerale avevo indossato una maglia nera con gonna e scarpe dello stesso colore.
Ero una donna in nero e forse lo sarei stata per molto tempo, il nero in quel
periodo divenne il mio colore.
«Ti
capisco…»
«Mi
capisci? Come fai? Tu non hai visto la perdita del tuo uomo!» pensai con
gli occhi lucidi. Mi abbassai gli occhiali da sole e mi voltai dall’altra
parte. Stavo per ricominciare a piangere e non ne avevo la benché minima
voglia.
«Simone
viene giù con noi?»
«Sì,
dovrebbe arrivare a momenti!» mia madre mi si avvicinò e mi baciò una
guancia.
«Senti,
non è che se ne sta approfittando?»
Negai
con la testa. Non lo stava facendo, assolutamente. «Sono io che gli ho chiesto
di essere presente. Sono io che mi sto approfittando della sua gentilezza.»
Ammisi sentendo il campanello suonare. Andai ad aprire e me lo trovai davanti
alla porta, anch’esso vestito di nero ma con la camicia bianca sotto la
giacca. Indossava una cravatta ancora nera e pantaloni e scarpe dello stesso
colore.
Con
uno slancio gli portai le mie braccia intorno alle sue spalle e sussurrai al suo
orecchio «Grazie Simo…» stavo per ricominciare a piangere al solo pensiero
del posto nel quale ci saremmo diretti da lì a poco, ma non potevo mancare, non
potevo non salutare per un’ultima volta Roberto, colui che mi ha dato tanto, e
poi non avevo avuto il coraggio di andarlo a trovare nella camera mortuaria, in
quel posto lugubre dove avrei potuto vedere il suo cadavere, vedere la sua pelle
ormai fredda, la sua bocca secca e il suo colorito violaceo, come quello che si
vedeva nei film. In C.S.I.; quanto ci piaceva vedere quel telefilm, nel quale si
la scientifica doveva scovare l’assassino indagando nella scena del crimine,
cioè dove avevano ritrovato il corpo, e facendo autopsie ai cadaveri. Solo a
pensarci mi viene la pelle d’oca. Non avrei mai più rivisto quel programma
televisivo, solo in quel momento mi resi conto che era stupido e che non si deve
giocare con la vita delle persone. Anche se è solo un telefilm, poter pensare
che Roberto era stato sopra ad un “lettino” come quello mi faceva
accapponare la pelle.
Cominciai
a sentire un senso di nausea dovuto forse all’ansia ed anche per ciò che
aveva appena pensato.
«Francy
stai bene?» mi domandò Simone preoccupato.
«Non
troppo, ho la nausea!» ammisi coprendomi la bocca con una mano, se avessi
vomitato non sarebbe servito a niente, però era sempre meglio prendere delle
precauzioni.
«Se
non te la senti restiamo a casa…»
«NO!»
urlai «Devo… Devo salutarlo un’ultima volta!» spiegai poi singhiozzando
per lo sforzo che stavo facendo per non piangere.
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Arrivammo
in prossimità della chiesa nella quale ci sarebbe stata la funzione, vidi in
lontananza i genitori di Roberto ed il mio cuore perse un battito. Potevo, io,
lontanamente immaginare che cosa i genitori potessero provare in quel momento?
Mi
avvicinai lentamente a loro, mi feci spazio tra la piccola folla che si era
radunata lì.
Non
sapevo cosa dire. Mi trovavo davanti a loro e non avevo la forza di aprire la
bocca e di riuscire a dire condoglianze. L’unica cosa che riuscii a fare era
quella di versare altre lacrime. Mi tolsi gli occhiali.
«Francesca…»
disse Michela abbracciandomi e cominciando a piangere anche lei assieme a me.
«Mi
dispiace, mi dispiace tanto!!» esclamai stringendola più forte.
Michela
pose fine all’abbraccio e mi sorrise posandomi una mano sopra una mia spalla
«Non è stata certo colpa tua…» disse voltandosi verso il marito che
piangeva senza riuscire a fermarsi.
Anche
se probabilmente non provavo il grande dolore che provavano loro io ne provavo
una minima parte.
Il
funerale stava per cominciare, io raggiunsi la mia famiglia ed entrammo assieme
dentro la chiesa. Ci sedemmo in quarta fila e vidi la bara in mezzo alla sala;
in quel momento avrei voluto aprirla ed urlare alla persona al suo interno di
svegliarsi, di tornare da me.
Non
avevo smesso di piangere, ed anche se lo avessi fatto, avrebbe continuato a
farlo il mio cuore; colmo di disperazione e tristezza.
Simone
mi strinse una mano e cercò con un sorriso di rassicurarmi, ma non ci riuscì,
non poteva pretendere di riuscire a fare una cosa del genere quel giorno.
Il
prete entrò e cominciò a parlare, ed io a piangere. Chiamò le persone che
avrebbero voluto parlare di Roberto su all’altare e mia madre mi guardò.
Sarei
dovuta salire?
Mi
alzai in piedi e lentamente raggiunsi il prete che si avvicinò a me dicendomi
«Condoglianze.» Cosa me ne potevo fare io di quelle?
Mi
schiarii la voce e mi avvicinai al microfono, probabilmente avevo una voce
distrutta, e forse mentre parlavo avrei pianto e non sarei riuscita ad andare
avanti.
«Roberto…»
cominciai con suono tremante «… era una persona d’oro. Ho avuto la fortuna
di trascorrere con lui un anno della mia vita, però mi chiedo perché se ne sia
dovuto andare. Mi chiedo perché Dio, se davvero esiste, abbia dovuto uccidere
una persona così bella.» ricominciai a piangere «Mi ha portato via
l’amore… ci ha portato via Roberto. E non capisco a cosa possa servire la
morte!» urlai infine scendendo e correndo verso il mio posto. Probabilmente
avevo lasciato tutto stupefatti per ciò che avevo appena pronunciato,
soprattutto il prete che mi guardava un po’ storto.
Coprì
il mio viso con le mani e singhiozzai in esse, sentivo lacrime salate scendere
dai miei occhi. Forse, ora, anche Michela e Fabio mi stavano odiando per ciò
che avevo avuto il coraggio di dire.
La
funzione terminò a breve e ci saremmo dovuti dirigere verso il cimitero, ma
prima di uscire dalla chiesa mi avvicinai alla bara e l’accarezzai «Roby…
amore mio… mi mancherai tantissimo! Come farò ora io a vivere senza di te?»
chiusi gli occhi come in cerca di una risposta che però, come si poteva ben
immaginare, non arrivò.
«Vivi
senza rimpianti, figliola!» sentii pronunciare, mi voltai ed era il prete che
mi parlava con le braccia incrociate dietro la schiena.
«Scusi…»
dissi sorpassandolo e andando incontro a Simone. Non avevo voglia di sentire le
fesserie che mi avrebbe potuto dire sulla fede, su ciò che mi avrebbe potuto
dire sul paradiso.
Arrivai
davanti al buco che c’era, dove avrebbero infilato Roberto. Mi aggrappai alla
giacca del mio amico e piansi sopra la sua spalla come lui mi aveva detto di
poter fare.
Simone
mi accarezzò i capelli ed io piansi ancora più forte quando vidi il becchino
inserire la bara dentro quella cavità e richiuderla con del cemento e sopra ad
esso incollarci un foglio di carta con scritto il suo nome, la sua data di
nascita e la sua data di morte. Fino a che la lastra di marmo non sarebbe stata
pronta. Non l’avrei più rivisto.
Questo
era il nostro addio.
Ora
avrei dovuto ricominciare a vivere come se mi avesse lasciato per andare insieme
ad un’altra. Devo pensare che lui sia vivo, magari in un’altra città,
all’estero, però devo pensare che lui sia ancora su questo mondo perché se
no la disperazione ucciderà me.
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