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Autore: Deb    09/07/2007    1 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Funerale

 

 

Ogni notte facevo incubi. Sognavo lui, sognavo quello che aveva provato. Forse non era la realtà, forse non aveva provato proprio quello che immaginavo che avesse sentito nei miei sogni, però sembrava tutto così reale.

Di notte mi svegliavo sempre di soprassalto, e mi sarebbe piaciuto urlare se non fossero state le ore piccole, poi però le parole che mi disse Simone, il giorno in cui uscii dall’ospedale, mi calmavano e cominciavo nuovamente a respirare regolarmente.

Forse lui sarebbe stata la mia ancora di salvezza per non sprofondare nella depressione. Lui era la persona che riusciva a tenermi a galla in qualche modo.

Simone per me è sempre stato un buon amico, la persona sulla quale poter fare affidamento su ogni cosa.

Lo conobbi da piccola e pensavo che fosse il principe azzurro delle fiabe. Credevo assomigliasse al principe di Biancaneve. I suoi capelli chiari, i suoi occhi azzurri. Me ne innamorai, pensando che lui fosse veramente un principe. Mi legai a lui soprattutto per quello. Crescendo, però, capii che in realtà lui non era altro che un ragazzo e come tutti i ragazzi cominciò a prendere in giro noi ragazze e cominciai ad odiarlo e mi allontanai da lui sempre di più.

Tornammo ad essere amici quando, uscendo con il mio nuovo ragazzo: Roberto, lo vidi tra i suoi amici e ricominciammo ad essere gli amici che eravamo sempre stati ma lui era cambiato. Si era creato una corazza intorno e non faceva entrare nessuno, nemmeno me, che ero stata la sua confidente negli anni passati.

Non mi importava, in effetti, io avevo Roberto e l’amavo più della mia stessa vita. Ora però non c’era più e Simone divenne ciò di più caro avessi.

Tutti mi avevano sempre ritenuta una ragazza forte, ma in realtà ero debole e volevo avere vicino a me una persona che mi accudisse e mi coccolasse, ed ora quella persona era Simone.

Mi maledicevo da sola a pensare queste cose. Mi sembrava di tradire il mio defunto ragazzo.

Ancora lacrime caddero dai miei occhi color dell’erba.

Non volevo più piangere eppure non riuscivo a farne a meno. Il dolore che provavo era immenso e non potevo far altro che sfogarmi piangendo.

Quella mattina ci sarebbero stati i funerali per Roberto, avrei pianto ancora di più, ma Simone mi aveva promesso che mi sarebbe stato vicino e che mi avrebbe dato nuovamente la sua spalla per poter piangere, per poter usarla come ancora.

Ancora a pensare a lui. Perché?

Perché ormai era diventato il mio punto di riferimento, nuovamente.

Mi alzai dal letto ed uscii da camera mia; dovevo bere un bicchiere d’acqua fresca, mi sentivo la gola secca.

Dopo essermi rinfrescata il palato tornai sotto le coperte, appoggiai la testa sul cuscino che aveva una fodera con il disegno della Sirenetta e cercai di ritrovare il sonno, facendo finta di essere anche io, come Ariel, una sirena che nuotava libera in fondo all’oceano.

 

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Con l’aiuto di mia madre, quella mattina, riuscii a vestirmi. Non riuscivo a fare più nemmeno quello. Non perché mi facesse male la ferita nella quale ancora avevo i punti, che presto sarei dovuta andare a togliere, ma perché le mie forze se ne erano andate del tutto. Ero come vuota.

La mia vita sarebbe mai riuscita a tornare quella di una volta, io sarei mai riuscita a tornare la persona sorridente che ero?

«Sei pronta?» mi domandò mamma cercando di sorridermi.

«Se mi stai chiedendo se sono vestita la risposta è sì, se mi stai chiedendo se sono pronta a vedere il mio ragazzo dentro una bara di legno e buttato dentro una fessura di marmo e cemento la risposta è no!» risposi guardandola male, non avrei mai voluto farlo ma quella domanda mi aveva fatto uscire dai gangheri.

«Scusami…» mi accarezzò una guancia.

«Scusami tu… è che… sono suscettibile.» risposi chiudendomi nelle spalle. Per il funerale avevo indossato una maglia nera con gonna e scarpe dello stesso colore. Ero una donna in nero e forse lo sarei stata per molto tempo, il nero in quel periodo divenne il mio colore.

«Ti capisco…»

«Mi capisci? Come fai? Tu non hai visto la perdita del tuo uomo!» pensai con gli occhi lucidi. Mi abbassai gli occhiali da sole e mi voltai dall’altra parte. Stavo per ricominciare a piangere e non ne avevo la benché minima voglia.

«Simone viene giù con noi?»

«Sì, dovrebbe arrivare a momenti!» mia madre mi si avvicinò e mi baciò una guancia.

«Senti, non è che se ne sta approfittando?»

Negai con la testa. Non lo stava facendo, assolutamente. «Sono io che gli ho chiesto di essere presente. Sono io che mi sto approfittando della sua gentilezza.» Ammisi sentendo il campanello suonare. Andai ad aprire e me lo trovai davanti alla porta, anch’esso vestito di nero ma con la camicia bianca sotto la giacca. Indossava una cravatta ancora nera e pantaloni e scarpe dello stesso colore.

Con uno slancio gli portai le mie braccia intorno alle sue spalle e sussurrai al suo orecchio «Grazie Simo…» stavo per ricominciare a piangere al solo pensiero del posto nel quale ci saremmo diretti da lì a poco, ma non potevo mancare, non potevo non salutare per un’ultima volta Roberto, colui che mi ha dato tanto, e poi non avevo avuto il coraggio di andarlo a trovare nella camera mortuaria, in quel posto lugubre dove avrei potuto vedere il suo cadavere, vedere la sua pelle ormai fredda, la sua bocca secca e il suo colorito violaceo, come quello che si vedeva nei film. In C.S.I.; quanto ci piaceva vedere quel telefilm, nel quale si la scientifica doveva scovare l’assassino indagando nella scena del crimine, cioè dove avevano ritrovato il corpo, e facendo autopsie ai cadaveri. Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca. Non avrei mai più rivisto quel programma televisivo, solo in quel momento mi resi conto che era stupido e che non si deve giocare con la vita delle persone. Anche se è solo un telefilm, poter pensare che Roberto era stato sopra ad un “lettino” come quello mi faceva accapponare la pelle.

Cominciai a sentire un senso di nausea dovuto forse all’ansia ed anche per ciò che aveva appena pensato.

«Francy stai bene?» mi domandò Simone preoccupato.

«Non troppo, ho la nausea!» ammisi coprendomi la bocca con una mano, se avessi vomitato non sarebbe servito a niente, però era sempre meglio prendere delle precauzioni.

«Se non te la senti restiamo a casa…»

«NO!» urlai «Devo… Devo salutarlo un’ultima volta!» spiegai poi singhiozzando per lo sforzo che stavo facendo per non piangere.

 

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Arrivammo in prossimità della chiesa nella quale ci sarebbe stata la funzione, vidi in lontananza i genitori di Roberto ed il mio cuore perse un battito. Potevo, io, lontanamente immaginare che cosa i genitori potessero provare in quel momento?

Mi avvicinai lentamente a loro, mi feci spazio tra la piccola folla che si era radunata lì.

Non sapevo cosa dire. Mi trovavo davanti a loro e non avevo la forza di aprire la bocca e di riuscire a dire condoglianze. L’unica cosa che riuscii a fare era quella di versare altre lacrime. Mi tolsi gli occhiali.

«Francesca…» disse Michela abbracciandomi e cominciando a piangere anche lei assieme a me.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto!!» esclamai stringendola più forte.

Michela pose fine all’abbraccio e mi sorrise posandomi una mano sopra una mia spalla «Non è stata certo colpa tua…» disse voltandosi verso il marito che piangeva senza riuscire a fermarsi.

Anche se probabilmente non provavo il grande dolore che provavano loro io ne provavo una minima parte.

Il funerale stava per cominciare, io raggiunsi la mia famiglia ed entrammo assieme dentro la chiesa. Ci sedemmo in quarta fila e vidi la bara in mezzo alla sala; in quel momento avrei voluto aprirla ed urlare alla persona al suo interno di svegliarsi, di tornare da me.

Non avevo smesso di piangere, ed anche se lo avessi fatto, avrebbe continuato a farlo il mio cuore; colmo di disperazione e tristezza.

Simone mi strinse una mano e cercò con un sorriso di rassicurarmi, ma non ci riuscì, non poteva pretendere di riuscire a fare una cosa del genere quel giorno.

Il prete entrò e cominciò a parlare, ed io a piangere. Chiamò le persone che avrebbero voluto parlare di Roberto su all’altare e mia madre mi guardò.

Sarei dovuta salire?

Mi alzai in piedi e lentamente raggiunsi il prete che si avvicinò a me dicendomi «Condoglianze.» Cosa me ne potevo fare io di quelle?

Mi schiarii la voce e mi avvicinai al microfono, probabilmente avevo una voce distrutta, e forse mentre parlavo avrei pianto e non sarei riuscita ad andare avanti.

«Roberto…» cominciai con suono tremante «… era una persona d’oro. Ho avuto la fortuna di trascorrere con lui un anno della mia vita, però mi chiedo perché se ne sia dovuto andare. Mi chiedo perché Dio, se davvero esiste, abbia dovuto uccidere una persona così bella.» ricominciai a piangere «Mi ha portato via l’amore… ci ha portato via Roberto. E non capisco a cosa possa servire la morte!» urlai infine scendendo e correndo verso il mio posto. Probabilmente avevo lasciato tutto stupefatti per ciò che avevo appena pronunciato, soprattutto il prete che mi guardava un po’ storto.

Coprì il mio viso con le mani e singhiozzai in esse, sentivo lacrime salate scendere dai miei occhi. Forse, ora, anche Michela e Fabio mi stavano odiando per ciò che avevo avuto il coraggio di dire.

La funzione terminò a breve e ci saremmo dovuti dirigere verso il cimitero, ma prima di uscire dalla chiesa mi avvicinai alla bara e l’accarezzai «Roby… amore mio… mi mancherai tantissimo! Come farò ora io a vivere senza di te?» chiusi gli occhi come in cerca di una risposta che però, come si poteva ben immaginare, non arrivò.

«Vivi senza rimpianti, figliola!» sentii pronunciare, mi voltai ed era il prete che mi parlava con le braccia incrociate dietro la schiena.

«Scusi…» dissi sorpassandolo e andando incontro a Simone. Non avevo voglia di sentire le fesserie che mi avrebbe potuto dire sulla fede, su ciò che mi avrebbe potuto dire sul paradiso.

Arrivai davanti al buco che c’era, dove avrebbero infilato Roberto. Mi aggrappai alla giacca del mio amico e piansi sopra la sua spalla come lui mi aveva detto di poter fare.

Simone mi accarezzò i capelli ed io piansi ancora più forte quando vidi il becchino inserire la bara dentro quella cavità e richiuderla con del cemento e sopra ad esso incollarci un foglio di carta con scritto il suo nome, la sua data di nascita e la sua data di morte. Fino a che la lastra di marmo non sarebbe stata pronta. Non l’avrei più rivisto.

Questo era il nostro addio.

Ora avrei dovuto ricominciare a vivere come se mi avesse lasciato per andare insieme ad un’altra. Devo pensare che lui sia vivo, magari in un’altra città, all’estero, però devo pensare che lui sia ancora su questo mondo perché se no la disperazione ucciderà me.

   
 
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