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Il
Principe Azzurro
Oramai
Simone diventava, giorno per giorno, il punto di riferimento nella mia vita.
Probabilmente non sarei più riuscita a muovere un passo senza di lui.
Spesso
mi mettevo a fissarlo, probabilmente a lui dava fastidio però quando se ne
accorgeva mi sorrideva. Era sempre così gentile con me, spesso mi chiedevo
perché ci fossimo allontanati tanto negli anni passati.
«A
che pensi?» mi domandò avvicinandosi a me.
«Chissà…»
gli sorrisi. Tutti quella mia allegria, solo lui, la vedeva; ma era veramente
forzata. Non ero più felice da quando lui se ne era andato e probabilmente una
parte di me se ne era andata assieme a lui. Cinque mesi volati senza che io me
ne accorgessi, come se io fossi rimasta ferma in un unico posto ed il tempo mi
fosse passato attraverso.
Riuscirò
mai a ricominciare a vivere senza rimuginare il passato? Dimenticandolo per
sempre?
A
questo pensiero negai mentalmente, come potevo solo lontanamente pensare di
doverlo o poterlo dimenticare? Non potevo, non glielo dovevo. Lui che era il mio
tutto, io che sono sopravissuta e lui… beh, lui no.
Non
piangevo più, a questo punto le lacrime che avevo versato in tutto il tempo
passato, da quel giorno, si era ghiacciate dentro il mio cuore. Io rimanevo
impassibile davanti a tutte le cose della vita, ed il mio cuore piangeva per i
miei occhi. Lo sentivo. Lo sentivo stringersi dentro il mio petto.
«Perché…
perché mi stai così vicino?» domandai a Simone ancora seduto al mio fianco su
quella panchina di finto legno.
Ogni
giorno mi portava da qualche parte, non troppo lontano ma posti nel quale non
era stata con Roberto. Luoghi nei quali non avrei dovuto pensare a lui, alla
persona che mi era stata strappata da un Dio che forse neanche esiste, dal fato
che quel giorno fu troppo severo con lui e troppo poco con me. Ci fu un periodo
nel quale avrei desiderato morire, andarmene via da questo mondo ma Simone era
sempre riuscito a tenermi ancorata a questo mondo. Chissà come ci riusciva.
Lo
guardai negli occhi attendendo una sua risposta, lui volse lo sguardo altrove,
cominciando ad osservare un ciuffo di verde erba con al centro un fiore viola
che spuntava indiscreto.
«Perché
sei mia amica.» rispose battendo le sue dita sulla panchina.
Io
annuii e mi alzai «Torniamo a casa? Si sta facendo tardi.»
Simone
guardò il suo orologio da polso «Il treno arriverà tra un’oretta. Se vuoi
però possiamo avviarci alla stazione per aspettarlo.» constatò lui stando
attento a non incrociare i miei occhi. Gli facevo tanta paura? Oppure aveva
paura di approfittarsi di me? Non lo sapevo! Sapevo soltanto che mamma spesso mi
ripeteva che prima o poi lui mi avrebbe sfruttato, anche se ancora non capisco
come e perché.
Pensai
un attimo «Almeno facciamo una passeggiata. Siamo sempre, o quasi, rimasti
seduti qui tutto il tempo.» guardai a terra. Con lui mi divertivo, cercava di
non farmi pensare a Roberto ed in parte ci riusciva, per questo lo ringraziavo
ogni volta che ne avevo l’occasione; ma allo stesso tempo quando lui mi
portava da qualche parte, si allontanava da me. Cercava di farmi stare
tranquilla, ed io proprio quella cercavo ma se dovevo uscire, dovevo tenere la
mente impegnata e spesso non ottenevo questo risultato perché rimanevo sola ad
ammirare il panorama circostante e a cercare di sentire l’odore del vento che
a volte mi accarezzava la pelle spostandomi i capelli come se fossero onde su un
mare.
«Scusami.»
pronunciò Simone prendendomi per le spalle «Mi dispiace se a volte sono
distante, ma…»
«…Non
sai come comportarti!» lo interruppi io completando la frase che stava per dire
precedentemente.
Il
mio amico annuì ed io gli sorrisi a malapena.
«Se
mi stai vicino solo perché ti faccio pena, se spesso non sai come comportarti,
allora è meglio se ti allontani. Io non voglio essere un peso per te. Io voglio
solo esserti amica.» gli voltai le spalle e presi a camminare.
«Non
posso lasciarti da sola. L’ho promesso!» esclamò lui prendendomi per un
braccio «L’ho promesso a Roberto.»
«Quando?»
Simone
non rispose, si spostò da me e prese delle distanze. Lo guardai per qualche
secondo ma poi ricominciai a camminare verso la stazione ferroviaria. Già si
poteva vedere in lontananza.
Non
vedevo l’ora di poter arrivare a casa, mi sarei potuta buttare sul letto,
abbracciare Mr. Ziggie, il mio maialino di peluche, e mi sarei potuta
addormentare sotto l’effetto delle gocce di Morfeo; così le chiamavo io.
Cerco di non prendere calmanti che sono come droghe, quando si cominciano a
prendere non si riesce più a farne a meno, perché calmano veramente, dilatano
le pupille e non senti più nulla, non capisci più nulla. Almeno è ciò che ho
provato io quando me le diedero all’ospedale per farmi calmare dopo aver
saputo di ciò che era successo.
Mi
ricordo che, ad un certo momento, dovevo andare al bagno; lo dissi a mia madre
ma poi continuai a fissarla come imbambolata, senza ricordarmi che sarei dovuta
andare al bagno. Mi dovette accompagnare lei.
Ma
le gocce di Morfeo, quelle non potevo fare a meno di prenderle. Di notte non
riuscivo a dormire; avevo sempre gli incubi, non chiudevo gli occhi da una vita
e se lo facevo mi risvegliavo poco dopo perché l’avevo sognato. Ancora, e
tutte le volte era sempre lo stesso incubo che non sopportavo più.
Parlai
di questo con mamma che mi condusse dal dottore che mi fece la ricetta per
poterle usare. Con quelle gocce sognavo, probabilmente sognavo perché a volte
mi svegliavo con le lacrime agli occhi, ma non ricordavo che cosa vedessi dentro
la mia mente, ed era un sollievo.
Immersa
nel miei pensieri, e Simone, forse, nei suoi, arrivammo alla stazione dei treni
dove alla macchina automatica creammo due biglietti per poter tornare a casa che
si obliterarono automaticamente.
Il
treno era già in stazione, che attendeva l’ora giusta, cioè quella indicata
dal tabellone degli orari, per partire.
«Vuoi
restare fuori o vuoi entrare?» mi domandò Simone facendomi sobbalzare, non
sentivo la sua voce da tempo che mi sembrava di essere venuta da sola. Stavo
proprio uscendo di testa.
«Umh…
direi di salire. Tanto qui fuori non abbiamo da fare niente e sto cominciando
anche ad avere un po’ di freddo.» risposi parlando quasi a raffica, chissà
perché ora ero diventata così nervosa nello stargli vicino.
Trovammo
una porta aperta ed entrai per prima, avviandomi al primo vagone che stava alla
mia sinistra. Notai che c’erano alcuni sedili ad un solo posto e mi sedetti
nel primo che vidi. Quasi certamente stavo scappando da colui che mi era stato
vicino in tutti questi mesi, ma io ero stata una stupida per pensare che lui lo
stesse facendo perché teneva a me, o perché sentiva di doverlo fare.
Anche
lui si sentiva in imbarazzo, ed io so il perché. Non era riuscito a nascondermi
che cercava di confortarmi perché l’aveva promesso a lui. «Quando
gliel’aveva promesso però?» Pensai tamburellando l’indice destro sulla
testa. Quando ancora era vivo? Come poteva però Roberto dire a Simone «Prenditi
cura tu di Francy se io dovessi morire.» Questa non era una cosa che
avrebbe potuto pensare. Lui non avrebbe mai pensato alla morte. Lui viveva e
amava farlo.
Guardai
con la coda dell’occhio Simone che si era seduto alla mia sinistra in un altro
posto singolo. Vi era spazio tra noi, ma se avessimo voluto parlare avremmo
potuto farlo senza difficoltà.
Chiusi
gli occhi e sospirai.
Il
treno partì in perfetto orario, meno di un’ora e saremmo arrivati in città,
dove io sarei andata a casa accompagnata da lui, in silenzio.
Quanto
vorrei che dicesse qualcosa, che facesse qualcosa per smuovere quelle acque fin
troppo calme. Sarei dovuta intervenire io? Avrei dovuto dire io qualcosa per
rompere quel ghiaccio che si era venuto a creare quel pomeriggio? Cosa avrei
dovuto dire?
Era
come se tutte le parole del mondo fossero andate in pezzi ed io avevo perso il
dono della parola.
Questo
mondo sarebbe stato meglio se nessuno potesse parlare?
Forse
avrei dovuto raccontargli della prima volta che l’avevo visto, di cosa avevo
pensato nel guardarlo.
Sospirai
di nuovo e mi voltai verso di lui che si accorse del mio sguardo e lo
contraccambiò.
Perché
mi ero voltata? Avevo fatto male, ora avrei dovuto dire almeno una parola. Aprii
la bocca per parlare ma la richiusi subito dopo perché davvero non sapevo che
dire o che fare.
«Devi
dirmi qualcosa?» mi domandò lui per cercare di farmi “parlare”.
Negai
con la testa, ma poi presi parola, cercando un po’ di coraggio «Ti ricordi
che cosa hai pensato la prima volta che mi hai visto?»
«Avevamo
quattro anni se non sbaglio, come potrei ricordarmi?» rispose lui guardandomi
un po’ dubbioso.
«Probabilmente
è perché non hai pensato niente di speciale…»
«Tu
te lo ricordi perché?»
Annuii
«Certo.»
«E
cos’avresti pensato?»
Feci
spallucce «Prometti di non ridere? Ero solo una bambina…»
«Non
posso prometterlo ma semmai proverò a non farlo. E’ tanto buffo ciò che hai
pensato?»
«Dipende
dai punti di vista.» Avevamo instaurato una discussione, finalmente. Quel
silenzio mi stava uccidendo. Simone mi serviva. Già, mi era utile, ed ero io
che mi ero sempre approfittata di lui e non il contrario. A volte pensavo che
anche lui usasse me, ma non era così. Lui cercava solo di aiutare un’amica,
mentre io mi servivo di lui per non soffrire, per non immergermi nei miei
ricordi.
«Quindi?»
mi riportò alla realtà, in questi ultimi mesi mi immergevo sempre nei miei
pensieri, se non ci fosse stato lui a riportarmi alla realtà, forse sarei
rimasta prigioniera dei miei pensieri, dentro la mia mente.
«Ah…
sì, scusami!» gli feci la linguaccia. «Beh… quando ti ho visto, ho pensato
che tu fossi il principe azzurro. Per la precisione ho pensato che tu fossi il
principe di Biancaneve.» sorrisi nel pensare ai quei tempi passati, nei quali
la sofferenze, la vera sofferenza non esisteva. Magari potessi tornare indietro
nel tempo, mi piacerebbe poter tornare ad essere una bambina di quattro anni,
che aveva bisogno dell’aiuto della mamma per fare qualsiasi cosa.
«E
perché?» rise sotto i baffi cercando di non far notare che a breve sarebbe
scoppiato a ridere, ma aveva detto che avrebbe cercato di non farlo e stava
cercando di mantenere quella promessa stupida che aveva fatto in precedenza.
«Beh…
capelli chiari, non biondi, castani chiari, e occhi azzurri. Mi sembravi proprio
lui. Ed è per questo che sono voluta diventare tua amica, tu, per me, eri il
principe azzurro ed essendolo, nella mia mente infantile, volevo poterti
“avere” perché avere un principe è bello e confortante, perché se mi
fossi trovata in difficoltà, se avessi mangiato una mela avvelenata tu mi
avresti potuto baciare e riportarmi in vita.» spiegai senza nemmeno rendermene
conto, quando finii lo guardai, non rideva; era serio. Troppo profondo per i
miei gusti. «Che c’è?» gli domandai infine.
«Niente.
Hai pensato davvero una cosa carina.» sorrise, i miei occhi si illuminarono,
non so perché, o più o meno sì. Con la mente ero tornata bambina ed il merito
era solo suo.
«E
poi, probabilmente l’ho pensato perché quel giorno era Carnevale, e tua madre
ti aveva fatto vestire da principe.» risi io. «A pensarci adesso, eri davvero
ridicolo sai? Se vedessi ora un bambino vestito in quel modo a Carnevale
penserei che sia gay.» Feci una pausa ed aggrottai un sopracciglio «Non sei
gay vero?» chiesi infine facendogli un’altra linguaccia.
«Ma
cosa puoi pensare? Io… gay? Ma va’!» rispose imbronciato, l’avevo per
caso ferito in qualche modo?
«Stavo
scherzando.»
«Lo
so!» sorrise «Se vuoi, potrò essere il tuo principe per sempre.»
Il
mio cuore perse un battito, non so perché ma tradussi quella frase come se
fosse una dichiarazione d’amore, probabilmente però era solo una mia
impressione. Non poteva essere così.
«Mi
stai chiedendo di sposarti?» domandai ironica, come se non avessi minimamente
preso in considerazione quella sua “dichiarazione”.
Rise
«No, assolutamente no! Sono troppo giovane, mi dispiace. Però intendevo dire
che sarò il tuo principe, che se dovessi mangiare una mela avvelenata non devi
preoccuparti di niente, arriverò io, ti bacerò e ti salverò dal sonno eterno.»
spiegò lui serio e senza fare pause durante il suo chiarimento.
«Non
lo stai già facendo?» chiesi dubbiosa «Non mi stai già salvando dal sonno
eterno?»
«Eh?!»
non capì ciò che gli stavo dicendo, forse lui lo faceva involontariamente e
non aveva ancora compreso che io ero lì, ancora con le mie espressioni
facciali, con la mia voglia di parlare solo perché lui mi teneva a galla in
questo mondo che fa soffrire.
Ci
misi un po’ a rispondere, dovevo trovare le parole giuste per farmi capire da
lui senza fargli una dichiarazione d’amore. In effetti poteva essere alquanto
equivoca come rivelazione.
«Mi
stai vicino senza chiedere nulla in cambio, mi fai parlare, riesci a farmi
ridere.» cominciai a raccontare «Probabilmente se non ci fossi stato tu, con
me, in questo periodo io sarei entrata in una specie di catalessi mentale. Tu
sei l’unica persona che riesce a non farmi pensare a nulla. Quando vado a casa
la mia famiglia mi guarda cupa, e non parlano ormai con me più di niente;
mentre tu parli e continui a parlarmi come se non fosse mai successo nulla.
Quindi… mi stai salvando dal sonno eterno.» conclusi senza distogliere il mio
sguardo dai suoi occhi.
Non
avrei mai dimenticato Roberto, ma se Simone mi fosse rimasto sempre vicino sarei
stata salva.
Mi
approfittavo della sua gentilezza, e mi dispiaceva farlo, e se lui non avesse più
voluto aiutarmi non glielo avrei fatto pesare e avrei cercato di andare avanti
solo pensando a ciò che lui mi avrebbe detto in determinate circostanze.
NdA:
Che ve ne pare di questo capitolo?? ^_^
Risposta
ai commenti:
Carlotta:
Sei l'unica che commenta xD Ne devo dedurre che questa fiction non piaccia? XD
Mh... bih! Comunque Grazie :D
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