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Autore: Deb    16/07/2007    1 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Principe Azzurro

Oramai Simone diventava, giorno per giorno, il punto di riferimento nella mia vita. Probabilmente non sarei più riuscita a muovere un passo senza di lui.

Spesso mi mettevo a fissarlo, probabilmente a lui dava fastidio però quando se ne accorgeva mi sorrideva. Era sempre così gentile con me, spesso mi chiedevo perché ci fossimo allontanati tanto negli anni passati.

«A che pensi?» mi domandò avvicinandosi a me.

«Chissà…» gli sorrisi. Tutti quella mia allegria, solo lui, la vedeva; ma era veramente forzata. Non ero più felice da quando lui se ne era andato e probabilmente una parte di me se ne era andata assieme a lui. Cinque mesi volati senza che io me ne accorgessi, come se io fossi rimasta ferma in un unico posto ed il tempo mi fosse passato attraverso.

Riuscirò mai a ricominciare a vivere senza rimuginare il passato? Dimenticandolo per sempre?

A questo pensiero negai mentalmente, come potevo solo lontanamente pensare di doverlo o poterlo dimenticare? Non potevo, non glielo dovevo. Lui che era il mio tutto, io che sono sopravissuta e lui… beh, lui no.

Non piangevo più, a questo punto le lacrime che avevo versato in tutto il tempo passato, da quel giorno, si era ghiacciate dentro il mio cuore. Io rimanevo impassibile davanti a tutte le cose della vita, ed il mio cuore piangeva per i miei occhi. Lo sentivo. Lo sentivo stringersi dentro il mio petto.

«Perché… perché mi stai così vicino?» domandai a Simone ancora seduto al mio fianco su quella panchina di finto legno.

Ogni giorno mi portava da qualche parte, non troppo lontano ma posti nel quale non era stata con Roberto. Luoghi nei quali non avrei dovuto pensare a lui, alla persona che mi era stata strappata da un Dio che forse neanche esiste, dal fato che quel giorno fu troppo severo con lui e troppo poco con me. Ci fu un periodo nel quale avrei desiderato morire, andarmene via da questo mondo ma Simone era sempre riuscito a tenermi ancorata a questo mondo. Chissà come ci riusciva.

Lo guardai negli occhi attendendo una sua risposta, lui volse lo sguardo altrove, cominciando ad osservare un ciuffo di verde erba con al centro un fiore viola che spuntava indiscreto.

«Perché sei mia amica.» rispose battendo le sue dita sulla panchina.

Io annuii e mi alzai «Torniamo a casa? Si sta facendo tardi.»

Simone guardò il suo orologio da polso «Il treno arriverà tra un’oretta. Se vuoi però possiamo avviarci alla stazione per aspettarlo.» constatò lui stando attento a non incrociare i miei occhi. Gli facevo tanta paura? Oppure aveva paura di approfittarsi di me? Non lo sapevo! Sapevo soltanto che mamma spesso mi ripeteva che prima o poi lui mi avrebbe sfruttato, anche se ancora non capisco come e perché.

Pensai un attimo «Almeno facciamo una passeggiata. Siamo sempre, o quasi, rimasti seduti qui tutto il tempo.» guardai a terra. Con lui mi divertivo, cercava di non farmi pensare a Roberto ed in parte ci riusciva, per questo lo ringraziavo ogni volta che ne avevo l’occasione; ma allo stesso tempo quando lui mi portava da qualche parte, si allontanava da me. Cercava di farmi stare tranquilla, ed io proprio quella cercavo ma se dovevo uscire, dovevo tenere la mente impegnata e spesso non ottenevo questo risultato perché rimanevo sola ad ammirare il panorama circostante e a cercare di sentire l’odore del vento che a volte mi accarezzava la pelle spostandomi i capelli come se fossero onde su un mare.

«Scusami.» pronunciò Simone prendendomi per le spalle «Mi dispiace se a volte sono distante, ma…»

«…Non sai come comportarti!» lo interruppi io completando la frase che stava per dire precedentemente.

Il mio amico annuì ed io gli sorrisi a malapena.

«Se mi stai vicino solo perché ti faccio pena, se spesso non sai come comportarti, allora è meglio se ti allontani. Io non voglio essere un peso per te. Io voglio solo esserti amica.» gli voltai le spalle e presi a camminare.

«Non posso lasciarti da sola. L’ho promesso!» esclamò lui prendendomi per un braccio «L’ho promesso a Roberto.»

«Quando?»

Simone non rispose, si spostò da me e prese delle distanze. Lo guardai per qualche secondo ma poi ricominciai a camminare verso la stazione ferroviaria. Già si poteva vedere in lontananza.

Non vedevo l’ora di poter arrivare a casa, mi sarei potuta buttare sul letto, abbracciare Mr. Ziggie, il mio maialino di peluche, e mi sarei potuta addormentare sotto l’effetto delle gocce di Morfeo; così le chiamavo io. Cerco di non prendere calmanti che sono come droghe, quando si cominciano a prendere non si riesce più a farne a meno, perché calmano veramente, dilatano le pupille e non senti più nulla, non capisci più nulla. Almeno è ciò che ho provato io quando me le diedero all’ospedale per farmi calmare dopo aver saputo di ciò che era successo.

Mi ricordo che, ad un certo momento, dovevo andare al bagno; lo dissi a mia madre ma poi continuai a fissarla come imbambolata, senza ricordarmi che sarei dovuta andare al bagno. Mi dovette accompagnare lei.

Ma le gocce di Morfeo, quelle non potevo fare a meno di prenderle. Di notte non riuscivo a dormire; avevo sempre gli incubi, non chiudevo gli occhi da una vita e se lo facevo mi risvegliavo poco dopo perché l’avevo sognato. Ancora, e tutte le volte era sempre lo stesso incubo che non sopportavo più.

Parlai di questo con mamma che mi condusse dal dottore che mi fece la ricetta per poterle usare. Con quelle gocce sognavo, probabilmente sognavo perché a volte mi svegliavo con le lacrime agli occhi, ma non ricordavo che cosa vedessi dentro la mia mente, ed era un sollievo.

Immersa nel miei pensieri, e Simone, forse, nei suoi, arrivammo alla stazione dei treni dove alla macchina automatica creammo due biglietti per poter tornare a casa che si obliterarono automaticamente.

Il treno era già in stazione, che attendeva l’ora giusta, cioè quella indicata dal tabellone degli orari, per partire.

«Vuoi restare fuori o vuoi entrare?» mi domandò Simone facendomi sobbalzare, non sentivo la sua voce da tempo che mi sembrava di essere venuta da sola. Stavo proprio uscendo di testa.

«Umh… direi di salire. Tanto qui fuori non abbiamo da fare niente e sto cominciando anche ad avere un po’ di freddo.» risposi parlando quasi a raffica, chissà perché ora ero diventata così nervosa nello stargli vicino.

Trovammo una porta aperta ed entrai per prima, avviandomi al primo vagone che stava alla mia sinistra. Notai che c’erano alcuni sedili ad un solo posto e mi sedetti nel primo che vidi. Quasi certamente stavo scappando da colui che mi era stato vicino in tutti questi mesi, ma io ero stata una stupida per pensare che lui lo stesse facendo perché teneva a me, o perché sentiva di doverlo fare.

Anche lui si sentiva in imbarazzo, ed io so il perché. Non era riuscito a nascondermi che cercava di confortarmi perché l’aveva promesso a lui. «Quando gliel’aveva promesso però?» Pensai tamburellando l’indice destro sulla testa. Quando ancora era vivo? Come poteva però Roberto dire a Simone «Prenditi cura tu di Francy se io dovessi morire.» Questa non era una cosa che avrebbe potuto pensare. Lui non avrebbe mai pensato alla morte. Lui viveva e amava farlo.

Guardai con la coda dell’occhio Simone che si era seduto alla mia sinistra in un altro posto singolo. Vi era spazio tra noi, ma se avessimo voluto parlare avremmo potuto farlo senza difficoltà.

Chiusi gli occhi e sospirai.

Il treno partì in perfetto orario, meno di un’ora e saremmo arrivati in città, dove io sarei andata a casa accompagnata da lui, in silenzio.

Quanto vorrei che dicesse qualcosa, che facesse qualcosa per smuovere quelle acque fin troppo calme. Sarei dovuta intervenire io? Avrei dovuto dire io qualcosa per rompere quel ghiaccio che si era venuto a creare quel pomeriggio? Cosa avrei dovuto dire?

Era come se tutte le parole del mondo fossero andate in pezzi ed io avevo perso il dono della parola.

Questo mondo sarebbe stato meglio se nessuno potesse parlare?

Forse avrei dovuto raccontargli della prima volta che l’avevo visto, di cosa avevo pensato nel guardarlo.

Sospirai di nuovo e mi voltai verso di lui che si accorse del mio sguardo e lo contraccambiò.

Perché mi ero voltata? Avevo fatto male, ora avrei dovuto dire almeno una parola. Aprii la bocca per parlare ma la richiusi subito dopo perché davvero non sapevo che dire o che fare.

«Devi dirmi qualcosa?» mi domandò lui per cercare di farmi “parlare”.

Negai con la testa, ma poi presi parola, cercando un po’ di coraggio «Ti ricordi che cosa hai pensato la prima volta che mi hai visto?»

«Avevamo quattro anni se non sbaglio, come potrei ricordarmi?» rispose lui guardandomi un po’ dubbioso.

«Probabilmente è perché non hai pensato niente di speciale…»

«Tu te lo ricordi perché?»

Annuii «Certo.»

«E cos’avresti pensato?»

Feci spallucce «Prometti di non ridere? Ero solo una bambina…»

«Non posso prometterlo ma semmai proverò a non farlo. E’ tanto buffo ciò che hai pensato?»

«Dipende dai punti di vista.» Avevamo instaurato una discussione, finalmente. Quel silenzio mi stava uccidendo. Simone mi serviva. Già, mi era utile, ed ero io che mi ero sempre approfittata di lui e non il contrario. A volte pensavo che anche lui usasse me, ma non era così. Lui cercava solo di aiutare un’amica, mentre io mi servivo di lui per non soffrire, per non immergermi nei miei ricordi.

«Quindi?» mi riportò alla realtà, in questi ultimi mesi mi immergevo sempre nei miei pensieri, se non ci fosse stato lui a riportarmi alla realtà, forse sarei rimasta prigioniera dei miei pensieri, dentro la mia mente.

«Ah… sì, scusami!» gli feci la linguaccia. «Beh… quando ti ho visto, ho pensato che tu fossi il principe azzurro. Per la precisione ho pensato che tu fossi il principe di Biancaneve.» sorrisi nel pensare ai quei tempi passati, nei quali la sofferenze, la vera sofferenza non esisteva. Magari potessi tornare indietro nel tempo, mi piacerebbe poter tornare ad essere una bambina di quattro anni, che aveva bisogno dell’aiuto della mamma per fare qualsiasi cosa.

«E perché?» rise sotto i baffi cercando di non far notare che a breve sarebbe scoppiato a ridere, ma aveva detto che avrebbe cercato di non farlo e stava cercando di mantenere quella promessa stupida che aveva fatto in precedenza.

«Beh… capelli chiari, non biondi, castani chiari, e occhi azzurri. Mi sembravi proprio lui. Ed è per questo che sono voluta diventare tua amica, tu, per me, eri il principe azzurro ed essendolo, nella mia mente infantile, volevo poterti “avere” perché avere un principe è bello e confortante, perché se mi fossi trovata in difficoltà, se avessi mangiato una mela avvelenata tu mi avresti potuto baciare e riportarmi in vita.» spiegai senza nemmeno rendermene conto, quando finii lo guardai, non rideva; era serio. Troppo profondo per i miei gusti. «Che c’è?» gli domandai infine.

«Niente. Hai pensato davvero una cosa carina.» sorrise, i miei occhi si illuminarono, non so perché, o più o meno sì. Con la mente ero tornata bambina ed il merito era solo suo.

«E poi, probabilmente l’ho pensato perché quel giorno era Carnevale, e tua madre ti aveva fatto vestire da principe.» risi io. «A pensarci adesso, eri davvero ridicolo sai? Se vedessi ora un bambino vestito in quel modo a Carnevale penserei che sia gay.» Feci una pausa ed aggrottai un sopracciglio «Non sei gay vero?» chiesi infine facendogli un’altra linguaccia.

«Ma cosa puoi pensare? Io… gay? Ma va’!» rispose imbronciato, l’avevo per caso ferito in qualche modo?

«Stavo scherzando.»

«Lo so!» sorrise «Se vuoi, potrò essere il tuo principe per sempre.»

Il mio cuore perse un battito, non so perché ma tradussi quella frase come se fosse una dichiarazione d’amore, probabilmente però era solo una mia impressione. Non poteva essere così.

«Mi stai chiedendo di sposarti?» domandai ironica, come se non avessi minimamente preso in considerazione quella sua “dichiarazione”.

Rise «No, assolutamente no! Sono troppo giovane, mi dispiace. Però intendevo dire che sarò il tuo principe, che se dovessi mangiare una mela avvelenata non devi preoccuparti di niente, arriverò io, ti bacerò e ti salverò dal sonno eterno.» spiegò lui serio e senza fare pause durante il suo chiarimento.

«Non lo stai già facendo?» chiesi dubbiosa «Non mi stai già salvando dal sonno eterno?»

«Eh?!» non capì ciò che gli stavo dicendo, forse lui lo faceva involontariamente e non aveva ancora compreso che io ero lì, ancora con le mie espressioni facciali, con la mia voglia di parlare solo perché lui mi teneva a galla in questo mondo che fa soffrire.

Ci misi un po’ a rispondere, dovevo trovare le parole giuste per farmi capire da lui senza fargli una dichiarazione d’amore. In effetti poteva essere alquanto equivoca come rivelazione.

«Mi stai vicino senza chiedere nulla in cambio, mi fai parlare, riesci a farmi ridere.» cominciai a raccontare «Probabilmente se non ci fossi stato tu, con me, in questo periodo io sarei entrata in una specie di catalessi mentale. Tu sei l’unica persona che riesce a non farmi pensare a nulla. Quando vado a casa la mia famiglia mi guarda cupa, e non parlano ormai con me più di niente; mentre tu parli e continui a parlarmi come se non fosse mai successo nulla. Quindi… mi stai salvando dal sonno eterno.» conclusi senza distogliere il mio sguardo dai suoi occhi.

Non avrei mai dimenticato Roberto, ma se Simone mi fosse rimasto sempre vicino sarei stata salva.

Mi approfittavo della sua gentilezza, e mi dispiaceva farlo, e se lui non avesse più voluto aiutarmi non glielo avrei fatto pesare e avrei cercato di andare avanti solo pensando a ciò che lui mi avrebbe detto in determinate circostanze.

NdA: Che ve ne pare di questo capitolo?? ^_^

Risposta ai commenti:

Carlotta: Sei l'unica che commenta xD Ne devo dedurre che questa fiction non piaccia? XD Mh... bih! Comunque Grazie :D

   
 
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