Non
può piovere per sempre
Capitolo
56
Il
messaggio
La
sentinella era seduta ai piedi di un grande faggio. Sgranocchiava un
osso ancora da spolpare e cercava di tenersi il più vicino
possibile al fuoco che aveva acceso per riscaldarsi, mentre la nebbia
gelida portata nella foresta dalla notte lo faceva tremare di freddo.
La barba lunga e i capelli sporchi e arruffati gli conferivano
un'aria ancora più miserevole. Avrebbe potuto fare pena, se
avesse
scelto diverse frequentazioni.
Nascosto
dietro il cespuglio, Felpato rimaneva immobile, in attesa,
continuando a tenere d'occhio la sentinella di turno e controllando
di tanto in tanto la macchia scura di alberi in direzione
dell'accampamento. Aveva aspettato almeno venti minuti quando
finalmente scorse il segnale: un Patronus a forma di lupo argenteo
apparve in lontananza alle spalle della sentinella, che non si
accorse della sua presenza, e dopo aver ammiccato in direzione del
cane, svanì nel nulla.
Felpato
uscì dal nascondiglio, sforzandosi di apparire naturale. Non
appena
iniziò a camminare, l'uomo di guardia balzò in
piedi con uno scatto
repentino e, nonostante il buio, lo individuò subito.
«
Chi...? » gracchiò, la voce rauca a causa del
troppo freddo. « Mi
dispiace, niente cibo per te ».
Felpato
scodinzolò, assicurandosi di non sembrare affamato: doveva
solo
ottenere la sua fiducia per potersi avvicinare.
«
Oh bè, immagino che starai morendo di freddo. C'è
un motivo se la
chiamano vita da cani » bofonchiò l'uomo.
« Siamo più simili di
quanto pensi, sai? Dopotutto siamo parenti alla lontana, e anche a me
tocca stare qui a congelare. Vieni, c'è spazio a sufficienza
».
Felpato
non se lo fece ripetere due volte e si accostò all'uomo,
pronto. Non
appena quello gli voltò le spalle per prendere un altro
ceppo di
legno da aggiungere al fuoco, lui si trasformò, abbandonando
le
sembianze canine.
La
sentinella ebbe appena il tempo di capire cosa fosse successo. Non
appena realizzò che Sirius non solo era umano, ma era anche
un mago,
il volto fino a quel momento cordiale si deformò in una
smorfia di
odio allo stato puro, accompagnata da un ringhio cupo.
«
Petrificus Totalus
» sussurrò Sirius, prima che quello potesse
chiamare rinforzi.
L'uomo
rimase seduto, immobile come la pietra, lo sguardo colmo d'ira e
frustrazione rivolto ancora verso di lui.
«
Niente di personale » gli sibilò Sirius,
disgustato. « Ma devo
occuparmi del tuo amico Greyback ».
Senza
aggiungere altro, evocò a sua volta un Patronus. Il cane
argenteo
fluttuò davanti a lui, in attesa di istruzioni.
«
Via libera » disse Sirius.
«
Il Patronus agitò la coda un paio di volte, poi gli
voltò le spalle
e partì spedito nel fitto della foresta a riferire il
messaggio.
Non
appena ebbe ricevuto la conferma del Patronus di Sirius, Remus si
puntellò sui gomiti, lanciando un'attenta occhiata alla
radura
intorno a sé. Gli adulti del branco, compreso Greyback, per
fortuna
dormivano lontano, perché si accaparravano i posti migliori
e senza
radici che premessero sotto la schiena, mentre i bambini dovevano
arrangiarsi e venivano sorvegliati da un paio di sentinelle. Quella
notte Remus era riuscito a farsi assegnare proprio quel ruolo, anche
se non era stato poi così difficile: nessuno degli adulti
amava fare
la guardia ai piccoli. E ora che Sirius aveva reso inoffensiva la
seconda sentinella, poteva finalmente agire.
«
Tim » sussurrò piano, scuotendolo leggermente.
Con
non molta sorpresa, si rese conto che Timothy era già
sveglio, e
come lui anche tutti gli altri quattordici. Dovevano aver atteso quel
momento per tutta la notte.
«
È ora? » chiese Tim, per nulla insonnolito e con
un tono
determinato.
Remus
annuì, mettendo poi subito a tacere i mormorii emozionati
degli
altri, che avevano appena notato il Patronus di Sirius e lo fissavano
con stupore. Per alcuni di loro era la prima volta che assistevano ad
una magia.
«
Ascoltatemi bene » disse Remus, attirando la loro attenzione.
«
Dovete seguire il cane argentato. Vi porterà dal mio amico,
che vi
farà arrivare sani e salvi da Silente. Ma non dovrete
camminare
sulle foglie. Mi raccomando, è fondamentale: camminate sul
terreno
più difficile, dove ci sono sassi o radici, e state il
più lontano
possibile dalle distese di foglie secche. Sono stato chiaro? »
Tutti
loro annuirono.
«
Tu non vieni? » gli chiese Tim.
«
Devo coprirvi le spalle ».
Il
ragazzino corrugò la fronte, visibilmente preoccupato.
«
Quando sarò libero, posso venire a vivere a casa tua?
»
Remus
si sforzò di sorridere. Senza uno stipendio fisso per lui
era già
complicato sfamare se stesso, ma non era quello il momento di
spiegare le sue difficoltà economiche.
«
Vedrò quello che posso fare. Adesso andate. Ci vediamo
dall'altra
parte ».
I
bambini obbedirono. Partirono un paio alla volta, facendo attenzione
a dove mettevano i piedi e seguendo il Patronus, che quella notte era
l'unica fonte di luce. Remus li guardò addentrarsi nella
foresta:
alcuni di loro, i più grandi, erano agitati, i
più piccoli
sembravano divertiti, ma solo lui era in preda all'angoscia e
sobbalzava ogni volta che uno degli adulti russava più forte.
Era
andato tutto secondo i piani, almeno fino a quando uno degli ultimi
bambini non inciampò in una radice. Si sentì un
crack di legnetti
spezzati, uno strillo e un tonfo che risuonò come un colpo
di fucile
nella notte silenziosa.
Il
cuore di Remus perse un battito quando tutti gli adulti smisero
improvvisamente di russare. Greyback e gli altri lupi mannari si
erano svegliati e avevano già capito tutto.
«
Continuate a camminare! » gridò Remus, gettando
alle ortiche ogni
precauzione. « Ci penso io! Scappate! »
Si
incamminò a sua volta nella foresta, evitando accuratamente
le
distese di foglie, che in realtà celavano delle trappole per
i lupi
mannari adulti. Il bambino caduto doveva essere finito in una di
esse.
E
infatti era proprio lì: un bambino di neanche cinque anni lo
guardava spaurito da dietro la porta trasparente che era comparsa
magicamente a sigillare la buca, una volta attivata. A giudicare
dalle sue urla disperate e dall'angolo innaturale delle sue gambe,
Remus capì che doveva essersele spezzate entrambe.
«
Mi dispiace. Ti tiro fuori subito » cercò di
rassicurarlo, mentre
le grida di Greyback lo facevano sobbalzare. Il branco li stava
inseguendo. Ma le trappole funzionarono: i lupi mannari in prima fila
passarono sopra le foglie secche e, uno dopo l'altro, caddero nelle
trappole che si chiusero sopra le loro teste. La retroguardia fu
costretta a rallentare e a fare attenzione a dove mettevano i piedi,
dando a Remus il tempo di rompere la chiusura dell'ultima trappola ed
estrarne il bambino con un incantesimo di Levitazione.
Lo
prese in braccio, cercando di portarlo in salvo, ma il suo peso lo
rallentava, e più di una volta lo sbilanciò,
rischiando di farlo
cadere a sua volta in una delle trappole.
Nel
frattempo, Greyback e altri tre o quattro lupi mannari lo avevano
raggiunto. Disperato, Remus frugò nella tasca in cerca della
bacchetta, ma con il bambino appeso al collo si muoveva a fatica.
Poi,
all'improvviso, arrivarono i soccorsi. Greyback e i superstiti furono
assaliti da una decina di persone che, nel giro di un paio di minuti,
riuscirono a legarli e renderli inoffensivi.
Remus
si lasciò cadere ai piedi di un albero, con la fronte ancora
imperlata di sudore, mentre lanciava un'occhiata riconoscente a
Charlie MacDougal e Silvanus Cook, i due lupi mannari che tempo prima
lui e Tim avevano convinto ad aderire alla causa dell'Ordine della
Fenice.
«
Hai visto? Anche noi abbiamo sparso la voce » gli disse
Silvanus,
indicando i lupi mannari che erano con loro,
«
Grazie, davvero » disse Remus, esausto. « Vi devo
un favore ».
«
Greyback sarà catturato, questo ci basta per ora »
rispose Charlie.
« Ora ce ne andiamo, però. Non vogliamo finire in
una gabbia
insieme a loro. Dubito che al Ministero si diano la pena di
considerarci diversi ».
«
Le cose cambieranno » cercò di dire Remus,
fiducioso. Quella notte
era disposto a credere a qualsiasi cosa.
«
Lo spero. Nel frattempo, goditi la libertà ».
Remus
non appariva così felice e sollevato da... Sirius non sapeva
dire da
quanto tempo. Sapeva solo che fino a quella notte non aveva creduto
possibile che uno di loro sarebbe tornato a sentirsi meglio. Peter
era stato rinchiuso ad Azkaban solo poche ore prima, e nessuno dei
Malandrini prometteva di riprendersi molto presto dallo shock.
Ma
vedere tutti quei bambini licantropi liberi da Greyback e pronti a
cominciare una nuova vita, nonostante le difficoltà che
avrebbero
sicuramente incontrato, riusciva ad infondergli speranza. Per
fortuna, dopo il loro salvataggio, era stato Silente ad occuparsi di
una loro sistemazione: se fossero stati presi dal Ministero,
sarebbero finiti segregati in qualche scantinato o abbandonati a loro
stessi. Silente invece li aveva accolti e aiutati, non dopo aver
distribuito loro un'ampia scorta di caramelle.
«
Ti ringrazio per avermi aiutato. Non ce l'avrei mai fatta da solo
»
gli disse Remus, una volta uscito dall'infermeria che avevano
improvvisato lì per lì.
«
Te lo dovevo » rispose Sirius. « Dopo il modo in
cui mi sono
comportato con te ultimamente, questo è stato il minimo che
potessi
fare ».
«
Anche io ho molto di cui farmi perdonare ».
«
Per oggi mi basta non ricevere altre brutte notizie »
sospirò
Sirius. « O giuro che alla prossima do di matto ».
«
Questo non dipende da me. Ma oggi abbiamo fatto tutti un bel passo
avanti. La guerra non è ancora finita ».
***
La
prigione consisteva in una sola torre di pietra, nera come
l'inchiostro e di un'altezza vertiginosa. Svettava fin quasi a
infrangere la massa di nubi addensate sopra di essa. La salita fino
alla cella più in alto di tutte non era stata facile, ma
Albus non
vi aveva fatto neanche caso e, anzi, per quanto lo riguardava era
durata anche troppo poco. Certo, vi era andato di sua spontanea
volontà, ma c'era un motivo ben preciso se non era mai stato
lì
prima di quel giorno: temeva quell'incontro; era inevitabile, ma ne
era spaventato. E le parole incise sopra l'entrata di Nurmengard non
lo aiutavano a rilassarsi, ma continuavano a risuonargli nella mente
come un mantra che lui stesso, tanto tempo prima, aveva ripetuto
molte, troppe volte: Per
il Bene Superiore.
«
È la prima volta che viene, vero, signor Silente?
» parlò il
carceriere che lo stava conducendo luno la scala che finiva in cima
alla torre. « Altrimenti me ne sarei ricordato ».
«
Sì, è così » rispose Albus,
sintetico. Capiva perfettamente che
per uno che lavorava come carceriere di Nurmengard da decenni, era
raro intrattenere una conversazione con qualcuno che non fosse un
assassino o un Mago Oscuro, ma Silente non aveva nessuna voglia di
parlare. La gola secca e i battiti accelerati non accennavano a
migliorare, tutt'altro. Quando furono arrivati in cima, Albus si
sentì in preda ad un'angoscia che non provava da almeno
trentasei
anni.
L'uomo
che lo aveva condotto fin lì si avvicinò alla
porta blindata
dell'unica cella all'ultimo piano ed estrasse un enorme mazzo di
chiavi.
«
Hai una visita » annunciò a chi si trovava
dall'altra parte. Non
aspettò una risposta e girò una delle chiavi
nella toppa. Poi
eseguì un paio di incantesimi per sbloccarla magicamente e
la aprì,
facendo cenno al visitatore di entrare.
«
Il tempo massimo delle visite è di un quarto d'ora... Ma per
lei
posso fare un'eccezione ».
«
Non sarà necessario. Grazie lo stesso ».
Albus
si sforzò di rivolgergli un sorriso cordiale prima di
fermarsi per
prendere fiato e prepararsi ad irrompere nella cella.
Quando
entrò, mentre la porta gli si chiudeva alle spalle, era in
preda ad
una tempesta di emozioni che controllò a fatica.
Il
prigioniero era sdraiato per terra e si vedeva a mala pena dalla
sottilissima fessura di luce che riusciva a passare attraverso la
minuscola finestra della cella. Il suo corpo magro ed emaciato si
teneva al caldo, rannicchiato sotto una coperta, ma quando
notò la
presenza di Albus, l'uomo si alzò a sedere con uno scatto
improvviso. Una fitta dolorosa attraversò il petto del suo
visitatore quando la poca luce illuminò il suo volto ormai
scheletrico, segnato dal tempo e dagli stenti, i capelli grigi e
radi. In apparenza sembrava un'altra persona ma i suoi occhi, sebbene
infossati, non avevano perduto la vitalità di un tempo. E
non era un
bene, pensò Albus.
Quando
l'uomo lo riconobbe, il suo sguardo assunse un'espressione di
sorpresa mista ad un'ironia provocatoria che l'altro conosceva molto
bene. Un tempo aveva amato ciecamente quello sguardo e, anche se
adesso era cresciuto e aveva messo da parte certi tipi di emozioni,
le conseguenze di quell'errore continuavano a fare male.
Forse
Albus non sarebbe stato in grado di parlare se non fosse stato
l'altro a esordire.
«
Guarda chi si vede. Sono passati trent'anni dall'ultimo nostro
incontro. O sono già quaranta? Credo di aver perso la
cognizione del
tempo ».
Non
è cambiato, fu il
primo pensiero di Silente. Anche dopo tutto quel tempo, aveva ancora
lo stesso modo di fare di quand'era giovane.
«
Trentasei anni » rispose in un tono calmo e innaturale.
«
Giusto. Avevo perso il conto. Non è che ho molto da fare
qui, ma le
giornate sono tutte uguali, e quando mi addormento a volte mi sveglio
senza sapere se ho dormito per giorni o per poche ore ».
«
Direi che te la sei cercata, Gellert » ribatté
Albus, freddamente,
senza capire dove volesse andare a parare.
Grindelwald
fece uno strano sorriso, scoprendo i pochi denti che gli restavano.
«
Ma guardati, come sei rigido. Sei più a disagio di me, il
che è
curioso: quello sporco e impresentabile in teoria sono io ».
Di
colpo smise di scherzare e il suo volto scavato si fece più
serio. «
Se hai così poca voglia di scambiare convenevoli,
perché sei
venuto? Passavi di qui per caso? O hai bisogno di un consiglio?
»
Albus
provò a rispondergli per le rime, ma per la prima volta in
vita sua
non riuscì ad aprire bocca. Gellert lo capì
all'istante, e fece una
smorfia.
«
Deve essere frustrante per te: l'unico altro mago alla tua altezza si
trova chiuso a Nurmengard, e tu sei costretto a circondarti di comuni
mortali e menti limitate. Ma scommetto che sono tutte brave persone.
Tu sì che sai scegliere le frequentazioni migliori: maghi e
streghe
onesti e disperati sono i tuoi preferiti, vero? Si affidano a te e tu
sfrutti i loro sensi di giustizia o di colpa, e alla fine ti
ringraziano pure. È per questo che tu sei diventato il santo
della
situazione, e io invece sono finito qui ».
Questa
volta Albus non si lasciò provocare. Conosceva Grindelwald e
sapeva
che lo stava facendo apposta.
«
Se le nostre sorti sono state diverse è perché io
ho capito quando
era giusto fermarmi, a differenza di te » replicò.
«
E allora, ripeto, perché sei qui? »
Silente
esitò, ma alla fine si ritrovò costretto ad
ammetterlo.
«
Perché sei l'unico che può capire... Li ho
trovati, Gellert »
aggiunse dopo alcuni secondi di silenzio. « Li ho tutti e tre
».
Per
la prima volta, Grindelwald parve davvero sbigottito e, per un solo
istante, i suoi occhi si illuminarono della stessa brama che avevano
tanti anni prima. Ma fu solo un momento. Poi Grindelwald scosse la
testa e tornò in sé.
«
Sapevo che avresti continuato a cercare anche gli altri due Doni.
Immagino che tu voglia usarli contro Voldemort ». In risposta
all'espressione stupita di Albus, Gellert fece una smorfia. «
Oh sì,
lo conosco eccome. Ogni tanto qualche giornalista viene a
intervistarmi, e io in cambio mi faccio raccontare le ultime
novità.
Non posso di certo ignorare colui che mi ha tolto il primato. Ammetto
di nutrire un certo astio nei suoi confronti ».
«
Me lo immagino ».
«
Non sai cosa fare, vero? Sei il Padrone della Morte, ora, ma non ti
senti diverso ».
Albus
non capiva come Gellert avesse potuto indovinare, ma non
negò. Ora
che possedeva tutti e tre i Doni della Morte era invincibile, ma
l'istinto gli suggeriva che c'era qualcosa che stava sbagliando. Per
questo aveva deciso di andare a Nurmengard. Solo Gellert conosceva i
Doni meglio di lui.
Con
suo grande stupore, Gellert si fece serio, quasi triste.
«
Sei cambiato molto meno di quanto pensassi » disse.
« Non hai
ancora capito? Ci siamo sempre sbagliati sui Doni. C'è un
motivo se
nella fiaba il più saggio è l'ultimo dei tre
fratelli. Nella storia
c'è più verità di quanto abbiamo mai
sospettato. In tutti questi
anni ho avuto modo di riflettere a lungo su questo argomento
».
Silente
lo guardò, scioccato. Grindelwald sembrava scosso e in preda
ad un
sentimento che sembrava quasi – possibile? –
rimorso.
«
Essere Padroni della Morte non significa aggirarla o annientarla. La
si può solo rimandare, ma alla fine arriva per tutti.
Eravamo
giovani e stupidi. Io cercavo il potere, come il fratello maggiore,
tu volevi far tornare i tuoi cari in vita, come il secondo fratello.
Ma nessuno dei due è riuscito nel suo intento. Il vero
Padrone della
Morte era il terzo fratello, quello che ignoravamo di proposito
».
Albus
lo fissava, incredulo. Il Grindelwald che aveva conosciuto non
avrebbe mai detto una cosa del genere. Ma forse la prigionia lo aveva
cambiato. E forse era diventato molto più saggio di lui.
«
Mi stai dicendo che i Doni non rendono invincibili? Che era
nient'altro che una favola? »
«
No. Dico solo che chi ne è degno diventa Padrone della
Morte, e noi
due non lo siamo. Sai cosa significa davvero essere Padroni della
Morte, Albus? »
Ci
furono alcuni secondi di silenzio, poi Albus parlò.
«
Accogliere la Morte
come una vecchia amica
» rispose, citando a memoria il testo della fiaba. Dentro di
sé lo
aveva sempre saputo ma, accecato dai suoi sogni di gloria, non
l'aveva mai compreso del tutto.
Grindelwald
annuì.
«
Tu non sei disposto a morire. Ti ritieni troppo importante per farlo:
e non è una colpa, è normale. Ma solo una persona
disinteressata
può riunire i Doni e farli funzionare. Io e te no
».
«
E quindi cosa dovrei fare? Aspettare che il Prescelto sia abbastanza
cresciuto per poi farlo morire? »
«
Non so chi sia questo Prescelto ma sì, sarebbe un
comportamento
tipico di te ». Ignorando la reazione imbarazzata di Silente,
Grindelwald continuò. « Ascoltami bene. Sei
riuscito a sconfiggere
me senza possedere nessun Dono. Sei perfettamente in grado di battere
anche Voldemort ».
«
Ha creato degli Horcrux » rivelò Albus.
«
Più di uno? In effetti questo complica un po' le cose
» ammise
quello, anche se il suo tono tradiva una certa ammirazione. «
Ma una
volta distrutti tutti gli Horcrux, lui sarà mortale come
qualunque
altro essere umano. L'ho imparato a mie spese: per quanto tu possa
essere potente, c'è sempre qualcuno più forte di
te. E tu sei
l'unico mago alla sua altezza, almeno tra quelli ancora in
libertà »
aggiunse, sarcastico. « O vuoi attendere la venuta del
Prescelto,
sacrificando una persona innocente in nome del Bene Superiore? Io ho
capito di aver commesso molti errori, alla fine me ne sono reso
conto. E tu, invece? »
Albus
si sentì bruciare di vergogna. Grindelwald aveva colto nel
segno.
Stava ancora agendo in nome del Bene Superiore, o ciò che
lui
considerava tale, e intanto la gente che si fidava di lui continuava
a morire. Non avrebbe mai creduto possibile che Gellert Grindelwald
gli avrebbe fatto fare un esame di coscienza. Ma forse questo era un
modo per fare ammenda.
«
Credo che tu abbia ragione » confessò, «
Dovrei imparare ad essere
più simile a Ignotus, con o senza Doni ». In un
gesto involontario
alzò la mano e guardò l'anello di Orvoloson
Riddle che indossava
ancora, la Pietra della Resurrezione spaccata, ma ancora funzionante,
anche se non come lui avrebbe voluto. « Anche io l'ho
imparato: la
Morte non si raggira, si può solo rimandare e, alla fine,
accettarla
».
Era
quasi assurdo che fosse giunto alla fine della sua ricerca proprio
grazie alla persona con cui l'aveva cominciata, ma forse era
così
che doveva andare.
«
Lieto di averti aiutato » disse Grindelwald, riassumendo il
consueto
tono sarcastico. « Accettare la Morte non è
facile, ma credimi,
alla fine ti renderai conto che in vita esistono cose peggiori
».
Silente
non capì cosa lui volesse dire finché non fece
per congedarsi e gli
voltò le spalle, la mano destra giù sulla
maniglia.
«
Non mi hai più chiesto chi è stato a uccidere tua
sorella ».
Albus
rimase immobile, come pietrificato, il battito di nuovo a mille.
Sì,
era vero: esistevano cose di gran lunga peggiori della Morte.
«
Credevo che volessi lasciarmi distruggere dal dubbio »
sibilò, con
una calma mortale.
«
Te l'ho detto dopo che avevi appena posto fine al mio regime
»
rispose lui, come se stessero parlando di una sconfitta a Quidditch.
« Ero un po' seccato, se permetti. Ma me ne sono fatto una
ragione.
Vuoi saperlo o no? »
Albus
si voltò a guardarlo, incerto e in preda al panico. Non
sapeva cosa
preferisse, ma alla fine parlò senza rifletterci troppo.
«
Devo imparare ad essere meno egoista, giusto? Allora voglio sapere
solo se è stato Aberforth oppure no. Tra di noi è
l'unico che non
merita di continuare a vivere nel dubbio. Se è innocente,
gli devo
la verità. Quanto a me, che sia stato io o meno, la colpa
è
comunque mia e della mia stupidità ».
Poi
tacque, in un'attesa infinita e terribile. Grindelwald
sogghignò di
nuovo, ma alla fine rispose.
«
Non è stato tuo fratello. Non ti dirò altro, se
non vuoi ».
Albus
non poteva considerarsi sollevato, ma sapeva che era giusto
così.
Aberforth non meritava di avere sensi di colpa per gli errori
commessi da altri, anche se nel profondo – e si vergognava
terribilmente di questo – Albus avrebbe preferito che la
colpa
fosse del fratello minore, pur di non essere colui che aveva
materialmente ucciso Ariana.
***
«
Notizie di Minus? »
«
Sì, mio Signore. L'Ordine della Fenice è arrivato
prima di noi e
adesso si trova ad Azkaban ».
«
Meglio così. Mi risparmieranno la fatica di punirlo
personalmente ».
Il
suo tono di voce era calmo, ma Voldemort era furioso. Nel giro di una
notte aveva perso il suo infiltrato nell'Ordine e non era riuscito a
uccidere Harry Potter. Sebbene cercasse di non apparire troppo
turbato dagli ultimi fallimenti, non poteva nasconderli ai suoi
seguaci più fedeli.
Fedeli,
pensò, scettico. Erano tutti lì, riuniti intorno
a lui, anche dopo
una caccia durata tutta la notte. Sembravano proprio tutti
irriducibili, in apparenza, ma a lui bastava intercettare i loro
sguardi per pochi secondi per leggere i loro pensieri come libri
aperti. I più furbi evitavano di guardarlo negli occhi.
Altri
invece, come Crouch e i Lestrange, lo facevano, non avendo nulla da
nascondere: loro sì che erano devoti. Ma tutti gli altri si
chiedevano la stessa cosa: perché il Signore Oscuro pi
potente di
tutti i tempi stava perdendo tempo per catturare un inutile moccioso
di neanche due anni?
Per
quanto Voldemort desiderasse punirli per aver dubitato di lui, non
poteva ignorare quei segnali. E se la sua ossessione di uccidere il
bambino della Profezia avesse indotto molti Mangiamorte a perdere
fiducia in lui? Negli ultimi mesi si era concentrato solo sulla
cattura dei Potter, rimandando l'attuazione del piano finale. Ma
forse era giunto il momento di metterlo in atto: non poteva
permettersi di perdere sostenitori, ora che non aveva ancora
conquistato il potere. Una volta stabilito il suo dominio sull'intero
mondo magico, si sarebbe potuto sbarazzare di coloro che non gli
servivano più. Ma finché gli erano utili, doveva
fare buon viso a
cattivo gioco e dare loro un contentino. Dopotutto, una volta
conquistato il controllo del Ministero della Magia, sarebbe stato
più
facile rintracciare i Potter e porre fine a quella minaccia che
gravava sul suo capo.
«
Potete iniziare a esultare » annunciò loro dopo
qualche attimo di
riflessione. « La nostra prossima mossa sarà il
colpo definitivo al
Ministero ».
Molti
furono sorpresi dalla notizia che attendevano da tempo, e quasi tutti
levarono esclamazioni di giubilo. Impaziente, Voldemort
intimò loro
di tacere.
«
Vi avverto, non sarà facile, soprattutto ora che quasi tutti
gli
infiltrati sono stati arrestati, licenziati o sospesi. Avrò
bisogno
dei migliori di voi ».
Un'ondata
di eccitazione si diffuse tra i Mangiamorte. Voldemort represse
un'espressione soddisfatta: era incredibile quanto certe persone
amassero essere manipolate dalle menti superiori. E lui li avrebbe
accontentati. Sapeva già chi sarebbero stati i Mangiamorte
designati
per quell'incarico, ma non lo comunicò subito. Poteva dire
di
conoscere molto bene l'animo umano, ed era sicuro che quelli esclusi
avrebbero avuto la tentazione prendersi una rivalsa facendo uscire
qualche informazione da quelle mura. Diede ordine a tutti gli altri
di andare via, permettendo di restare solo ai Lestrange, Crouch,
Malfoy, Rookwood e Piton.
«
Ognuno di voi dovrà colpire un esponente di spicco del
Ministero, in
modo da eliminare tutti i potenziali leader. Il Ministero va
decapitato, a partire dalla Bagnold. Vi intrufolerete nel suo ufficio
e tenderete una trappola a lei e ai suoi collaboratori più
pericolosi. Non abbiate pietà: li voglio tutti morti
».
Tutti
loro annuirono prontamente.
«
Ma non dimentichiamo che c'è pure quel Babbanofilo di
Silente da
tenere sotto controllo. Ultimamente frequenta un po' troppo spesso il
Ministero della Magia, mentre io voglio che resti a Hogwarts.
Pertanto serve un diversivo per distrarlo e costringerlo a restare a
scuola. Piton, spetterà a te organizzare la missione a
Hogwarts »
Sentendosi
convocare, Severus fece un passo avanti.
«
Grazie, ne sono onorato » disse, con un'espressione
indecifrabile
che fece serrare le labbra a Voldemort. Piton era in gamba,
intellettualmente superiore a quasi tutti gli altri Mangiamorte, ma
Voldemort trovava particolarmente frustrante non riuscire a leggere i
suoi pensieri a proprio piacimento. Era un ottimo Occlumante, anche
troppo. Chissà cosa pensava della fuga dei Potter. Di certo
doveva
essere soddisfatto che la Sanguesporco di cui era invaghito fosse
ancora viva... Ma forse si preoccupava per nulla, si disse. Essere
potente lo rendeva sempre più sospettoso, ma non aveva
motivo di
dubitare di Piton.
«
Avrai a disposizione un'arma. Ti spiegherò come usarla
più tardi.
Lucius, anni fa ti affidai un oggetto di estrema importanza. Voglio
che me lo porti, adesso ».
«
Sarò di ritorno a breve » si affrettò a
rispondere Malfoy. E, dopo
un inchino, uscì dalla sala, chiudendosi la porta alle
spalle.
«
Continueremo a parlare del piano quando Lucius sarà tornato
» disse
Voldemort. « Adesso vorrei scambiare qualche parola in
privato con
te, Barty ».
Il
ragazzo sussultò, preso alla sprovvista, ma si fece subito
avanti,
mentre gli altri Mangiamorte obbedivano all'ordine e uscivano
momentaneamente dalla stanza.
«
Mi auguro che tu sia contento di essere tra quelli che conquisteranno
il Ministero » esordì Voldemort.
«
Sì, Signore. Non me l'aspettavo » si
affrettò a rispondere Barty.
«
Te lo meriti. Finora sei sempre stato in gamba. Ed è per
questo che
credo che tu abbia capito cos'è che voglio da te ».
Barty
tacque per alcuni istanti, per la prima volta evitando di sostenere
il suo sguardo. Voldemort percepì chiaramente la sua
esitazione e i
suoi timori e lo vide sbiancare, ma alla fine il ragazzo rispose.
«
Devo essere io a occuparmi di mio padre? »
«
Non sei costretto, a me in fondo interessa solo il risultato finale.
Ma voglio lasciarti la precedenza per farti un favore. Hai
più
motivi di chiunque altro per desiderare di essere tu la persona che
lo ucciderà ».
Barty
annuì, ma non riuscì a ingannarlo, anche
perché adesso era
diventato livido.
«
Sarà difficile? » chiese, e subito dopo parve
vergognarsi di quella
domanda.
«
È esattamente come uccidere chiunque altro. La procedura
è sempre
la stessa » rispose Voldemort con semplicità.
« Puoi anche
ucciderlo colpendolo alle spalle, a me non importa. Ma ti assicuro
che guardarlo in faccia mentre lo uccidi ti darà molta
più
soddisfazione ».
Barty
pendeva dalle sue labbra, come sempre, sebbene fosse molto nervoso.
Era ancora un ragazzino, ma Voldemort era convinto che potesse
farcela, magari con un piccolo incoraggiamento.
«
Quando uccisi mio padre fu uno dei momenti migliori della mia vita.
Ero molto più giovane di te e non lo odiavo meno di quanto
tu odi il
tuo. Lo detestavo così tanto che non ebbi alcun problema a
ucciderlo. Poche cose mi hanno dato altrettanta soddisfazione che
vedere il panico impossessarsi di lui, non appena capì cosa
stava
per succedere. Anche l'uomo più superbo e arrogante si
trasforma in
un essere miserevole e implorante quando guarda la Morte in faccia
».
Barty
sembrava allettato da quella prospettiva, ma Voldemort sapeva di non
averlo ancora convinto del tutto. Sapeva bene che il ragazzo era
arrivato fino a quel punto perché suo padre non gli aveva
mai
dimostrato un briciolo di affetto, ma questo dimostrava quanto in
realtà, nel profondo dell'animo, Barty lo desiderasse
segretamente.
Perché
alla fine cercano sempre tutti una cosa così inutile e
dannosa?
non poté fare a meno di chiedersi, confuso e irritato.
«
Tuo padre ti considera suo figlio solo quando ti comporti come lui.
Non ti apprezzerà mai per quello che sei. Pensi che
proverebbe a
capirti se gli rivelassi chi sei davvero e cosa hai fatto finora? Tu
non vuoi ammetterlo neanche a te stesso, ma dipendi ancora da lui
come un elfo domestico, speri che il tuo comportamento ribelle possa
indurlo a fare autocritica. Ma sei solo un illuso. L'amore,
l'affetto, o qualunque sia il termine che i deboli usano, non esiste.
Devi liberarti al più presto di questo inutile bisogno che
ti
impedisce di diventare quello che potresti essere, e uccidere tuo
padre è l'unico modo per riuscirci ».
Imbarazzatissimo,
Barty si scusò. Voldemort capì di averlo quasi in
pugno, ma sapeva
di non poter contare completamente su di lui fino a che non si fosse
liberato del desiderio di essere amato. Per sua fortuna, la storia
personale del ragazzo era abbastanza simile alla sua; con chiunque
altro, Voldemort avrebbe perso la pazienza molto prima.
«
Direi che ci siamo capiti... Ah, ecco Lucius di ritorno »
aggiunse,
quando qualcuno bussò.
Malfoy
portava con sé lo scrigno nel quale aveva riposto il diario.
Nessuno
di loro sapeva che si trattava di un Horcrux, ed era meglio
così.
Quando glielo porse, Voldemort lo aprì e ne estrasse il
diario.
Lo
capì subito, non appena le sue dita sfiorarono la copertina
rilegata
in pelle: qualcosa non andava.
Quando
toccava o era vicino a un Horcrux, i due frammenti della sua anima si
attiravano l'un l'altro, fremevano e si cercavano a vicenda. Ma in
quel momento non provava niente, neanche una minuscola scarica
elettrica. C'era soltanto paura.
«
È quello che ti ho consegnato, Lucius? »
Malfoy
aggrottò la fronte, perplesso, mentre Barty gli lanciava uno
sguardo
allarmato, percependo un pericolo imminente.
«
Certo, mio Signore ».
Voldemort
scrutò il diario, un'ansia crescente che si impadroniva
della sua
mente. Il suo aspetto era identico, ma allora che cosa non andava? Lo
fece librare in aria e poi gli appiccò fuoco.
Con
suo grande orrore, il fuoco non si estinse e il diario non rimase
intatto come avrebbe dovuto. Invece, nel giro di pochi secondi, era
ridotto a nient'altro che un misero mucchio di cenere.
Una
furia letale s'impossessò di lui, mentre un boato assordante
gli
riempiva le orecchie.
«
È UN FALSO! » gridò, in preda a un
terrore che non aveva mai
creduto di poter provare.
Colto
dal panico, Lucius provò a bofonchiare qualche parola
inconsulta, ma
presto la Maledizione Cruciatus trasformò i suoi balbettii
in urla
di dolore.
Trascorsero
parecchi minuti prima che Voldemort si rendesse conto che Malfoy non
sapeva davvero spiegare come fosse potuto succedere. Smise di
torturarlo, lasciandolo agonizzante sul pavimento.
Non
è possibile, non è possibile...
La
sua mente lavorava in modo febbrile.
Qualcuno
ha scoperto il mio segreto.
Era
un pensiero troppo spaventoso per permettergli di ragionare con
lucidità, ma i suoi pensieri andarono subito all'unica
persona che
considerava in grado di capire una cosa del genere.
Silente!
Era il suo piano fin dall'inizio. Forse non esiste nessun Prescelto.
La Profezia potrebbe essere una sua macchinazione per distrarmi e
permettergli di agire indisturbato...
Era
una conclusione terribile e spaventosa, ma aveva senso. Doveva
prendere provvedimenti, immediatamente. Ma prima doveva assicurarsi
che gli altri Horcrux fossero al sicuro.
Aveva
usato la Maledizione Imperius sulla prima inutile Babbana che aveva
incontrato. La ragazza era rimasta docile per tutta la traversata del
lago, mentre la barca solcava l'acqua apparentemente tranquilla.
Poi,
quando era stata costretta a bere la pozione nel bacile, aveva
iniziato a piangere e urlare, chiamava i suoi genitori e gli
implorava di smetterla. Voldemort aveva ripetuto l'Imperius,
facendogliela bere fino all'ultimo sorso. Poi la lasciò al
suo
destino, abbandonata bocconi sulla riva dell'isolotto, mentre
strisciava in cerca d'acqua.
Voldemort
le voltò le spalle e afferrò il medaglione nel
bacile. Anche
stavolta, l'Horcrux non reagì. E per la prima volta, il mago
più
potente del mondo tremò dalla testa ai piedi.
Il
medaglione si aprì facilmente sotto la pressione delle sue
dita, e
un foglietto di pergamena spuntò all'interno.
Le
grida di terrore della Babbana che veniva trascinata in acqua furono
coperte dall'urlo silenzioso che esplose nelle orecchie di Lord
Voldemort quando lesse il messaggio. Quelle parole per lui non
avevano alcun senso, ma al tempo stesso gli lanciavano una sfida con
un'arroganza tale che si impressero nella sua mente in maniera
indelebile, come marchiate a fuoco.
L'anno nuovo e la
Befana hanno decisamente portato brutti doni al Signore Oscuro xD Ma
non potevo privarmi della soddisfazione di fargli leggere il biglietto
lasciato da Regulus. Ora però Voldemort si è
arrabbiato davvero (Lucius potrà confermarvelo... appena si
riprenderà!), e alcuni dei suoi piani cambieranno
radicalmente. Per fortuna almeno Greyback e i suoi compari sono
sistemati!
Grindelwald era uno dei personaggi che volevo inserire per forza almeno
una volta, e soprattutto mi interessava farlo parlare con Silente.
Forse l'ho reso troppo sarcastico, ma questa è la sensazione
che mi ha dato nel libro. Che non sia stato di Aberforth l'incantesimo
che ha ucciso per errore Ariana l'ho inventato io, anche
perché se fosse davvero così sarebbe davvero un
cattiveria da parte della Rowling :( Il resto preferisco che rimanga un
mistero...
Il prossimo capitolo sarà pubblicato il 21/22 gennaio
Ancora buon anno a tutti :)
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