Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Julia Weasley    06/01/2013    9 recensioni
Seguito di “Eroi non si nasce, si diventa”.
Regulus è morto in circostanze misteriose, lasciando dietro di sé soltanto domande senza risposta. Ma quando una fidanzata che non si dà pace, un vecchio Indicibile in pensione e un elfo domestico che sa molto più di quanto possa sembrare incroceranno per caso le loro strade e uniranno le forze, tutto sarà destinato a cambiare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Black, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Regulus Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'R.A.B.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non può piovere per sempre

Capitolo 56
Il messaggio

La sentinella era seduta ai piedi di un grande faggio. Sgranocchiava un osso ancora da spolpare e cercava di tenersi il più vicino possibile al fuoco che aveva acceso per riscaldarsi, mentre la nebbia gelida portata nella foresta dalla notte lo faceva tremare di freddo. La barba lunga e i capelli sporchi e arruffati gli conferivano un'aria ancora più miserevole. Avrebbe potuto fare pena, se avesse scelto diverse frequentazioni.
Nascosto dietro il cespuglio, Felpato rimaneva immobile, in attesa, continuando a tenere d'occhio la sentinella di turno e controllando di tanto in tanto la macchia scura di alberi in direzione dell'accampamento. Aveva aspettato almeno venti minuti quando finalmente scorse il segnale: un Patronus a forma di lupo argenteo apparve in lontananza alle spalle della sentinella, che non si accorse della sua presenza, e dopo aver ammiccato in direzione del cane, svanì nel nulla.
Felpato uscì dal nascondiglio, sforzandosi di apparire naturale. Non appena iniziò a camminare, l'uomo di guardia balzò in piedi con uno scatto repentino e, nonostante il buio, lo individuò subito.
« Chi...? » gracchiò, la voce rauca a causa del troppo freddo. « Mi dispiace, niente cibo per te ».
Felpato scodinzolò, assicurandosi di non sembrare affamato: doveva solo ottenere la sua fiducia per potersi avvicinare.
« Oh bè, immagino che starai morendo di freddo. C'è un motivo se la chiamano vita da cani » bofonchiò l'uomo. « Siamo più simili di quanto pensi, sai? Dopotutto siamo parenti alla lontana, e anche a me tocca stare qui a congelare. Vieni, c'è spazio a sufficienza ».
Felpato non se lo fece ripetere due volte e si accostò all'uomo, pronto. Non appena quello gli voltò le spalle per prendere un altro ceppo di legno da aggiungere al fuoco, lui si trasformò, abbandonando le sembianze canine.
La sentinella ebbe appena il tempo di capire cosa fosse successo. Non appena realizzò che Sirius non solo era umano, ma era anche un mago, il volto fino a quel momento cordiale si deformò in una smorfia di odio allo stato puro, accompagnata da un ringhio cupo.
« Petrificus Totalus » sussurrò Sirius, prima che quello potesse chiamare rinforzi.
L'uomo rimase seduto, immobile come la pietra, lo sguardo colmo d'ira e frustrazione rivolto ancora verso di lui.
« Niente di personale » gli sibilò Sirius, disgustato. « Ma devo occuparmi del tuo amico Greyback ».
Senza aggiungere altro, evocò a sua volta un Patronus. Il cane argenteo fluttuò davanti a lui, in attesa di istruzioni.
« Via libera » disse Sirius.
« Il Patronus agitò la coda un paio di volte, poi gli voltò le spalle e partì spedito nel fitto della foresta a riferire il messaggio.

Non appena ebbe ricevuto la conferma del Patronus di Sirius, Remus si puntellò sui gomiti, lanciando un'attenta occhiata alla radura intorno a sé. Gli adulti del branco, compreso Greyback, per fortuna dormivano lontano, perché si accaparravano i posti migliori e senza radici che premessero sotto la schiena, mentre i bambini dovevano arrangiarsi e venivano sorvegliati da un paio di sentinelle. Quella notte Remus era riuscito a farsi assegnare proprio quel ruolo, anche se non era stato poi così difficile: nessuno degli adulti amava fare la guardia ai piccoli. E ora che Sirius aveva reso inoffensiva la seconda sentinella, poteva finalmente agire.
« Tim » sussurrò piano, scuotendolo leggermente.
Con non molta sorpresa, si rese conto che Timothy era già sveglio, e come lui anche tutti gli altri quattordici. Dovevano aver atteso quel momento per tutta la notte.
« È ora? » chiese Tim, per nulla insonnolito e con un tono determinato.
Remus annuì, mettendo poi subito a tacere i mormorii emozionati degli altri, che avevano appena notato il Patronus di Sirius e lo fissavano con stupore. Per alcuni di loro era la prima volta che assistevano ad una magia.
« Ascoltatemi bene » disse Remus, attirando la loro attenzione. « Dovete seguire il cane argentato. Vi porterà dal mio amico, che vi farà arrivare sani e salvi da Silente. Ma non dovrete camminare sulle foglie. Mi raccomando, è fondamentale: camminate sul terreno più difficile, dove ci sono sassi o radici, e state il più lontano possibile dalle distese di foglie secche. Sono stato chiaro? »
Tutti loro annuirono.
« Tu non vieni? » gli chiese Tim.
« Devo coprirvi le spalle ».
Il ragazzino corrugò la fronte, visibilmente preoccupato.
« Quando sarò libero, posso venire a vivere a casa tua? »
Remus si sforzò di sorridere. Senza uno stipendio fisso per lui era già complicato sfamare se stesso, ma non era quello il momento di spiegare le sue difficoltà economiche.
« Vedrò quello che posso fare. Adesso andate. Ci vediamo dall'altra parte ».
I bambini obbedirono. Partirono un paio alla volta, facendo attenzione a dove mettevano i piedi e seguendo il Patronus, che quella notte era l'unica fonte di luce. Remus li guardò addentrarsi nella foresta: alcuni di loro, i più grandi, erano agitati, i più piccoli sembravano divertiti, ma solo lui era in preda all'angoscia e sobbalzava ogni volta che uno degli adulti russava più forte.
Era andato tutto secondo i piani, almeno fino a quando uno degli ultimi bambini non inciampò in una radice. Si sentì un crack di legnetti spezzati, uno strillo e un tonfo che risuonò come un colpo di fucile nella notte silenziosa.
Il cuore di Remus perse un battito quando tutti gli adulti smisero improvvisamente di russare. Greyback e gli altri lupi mannari si erano svegliati e avevano già capito tutto.
« Continuate a camminare! » gridò Remus, gettando alle ortiche ogni precauzione. « Ci penso io! Scappate! »
Si incamminò a sua volta nella foresta, evitando accuratamente le distese di foglie, che in realtà celavano delle trappole per i lupi mannari adulti. Il bambino caduto doveva essere finito in una di esse.
E infatti era proprio lì: un bambino di neanche cinque anni lo guardava spaurito da dietro la porta trasparente che era comparsa magicamente a sigillare la buca, una volta attivata. A giudicare dalle sue urla disperate e dall'angolo innaturale delle sue gambe, Remus capì che doveva essersele spezzate entrambe.
« Mi dispiace. Ti tiro fuori subito » cercò di rassicurarlo, mentre le grida di Greyback lo facevano sobbalzare. Il branco li stava inseguendo. Ma le trappole funzionarono: i lupi mannari in prima fila passarono sopra le foglie secche e, uno dopo l'altro, caddero nelle trappole che si chiusero sopra le loro teste. La retroguardia fu costretta a rallentare e a fare attenzione a dove mettevano i piedi, dando a Remus il tempo di rompere la chiusura dell'ultima trappola ed estrarne il bambino con un incantesimo di Levitazione.
Lo prese in braccio, cercando di portarlo in salvo, ma il suo peso lo rallentava, e più di una volta lo sbilanciò, rischiando di farlo cadere a sua volta in una delle trappole.
Nel frattempo, Greyback e altri tre o quattro lupi mannari lo avevano raggiunto. Disperato, Remus frugò nella tasca in cerca della bacchetta, ma con il bambino appeso al collo si muoveva a fatica.
Poi, all'improvviso, arrivarono i soccorsi. Greyback e i superstiti furono assaliti da una decina di persone che, nel giro di un paio di minuti, riuscirono a legarli e renderli inoffensivi.
Remus si lasciò cadere ai piedi di un albero, con la fronte ancora imperlata di sudore, mentre lanciava un'occhiata riconoscente a Charlie MacDougal e Silvanus Cook, i due lupi mannari che tempo prima lui e Tim avevano convinto ad aderire alla causa dell'Ordine della Fenice.
« Hai visto? Anche noi abbiamo sparso la voce » gli disse Silvanus, indicando i lupi mannari che erano con loro,
« Grazie, davvero » disse Remus, esausto. « Vi devo un favore ».
« Greyback sarà catturato, questo ci basta per ora » rispose Charlie. « Ora ce ne andiamo, però. Non vogliamo finire in una gabbia insieme a loro. Dubito che al Ministero si diano la pena di considerarci diversi ».
« Le cose cambieranno » cercò di dire Remus, fiducioso. Quella notte era disposto a credere a qualsiasi cosa.
« Lo spero. Nel frattempo, goditi la libertà ».

Remus non appariva così felice e sollevato da... Sirius non sapeva dire da quanto tempo. Sapeva solo che fino a quella notte non aveva creduto possibile che uno di loro sarebbe tornato a sentirsi meglio. Peter era stato rinchiuso ad Azkaban solo poche ore prima, e nessuno dei Malandrini prometteva di riprendersi molto presto dallo shock.
Ma vedere tutti quei bambini licantropi liberi da Greyback e pronti a cominciare una nuova vita, nonostante le difficoltà che avrebbero sicuramente incontrato, riusciva ad infondergli speranza. Per fortuna, dopo il loro salvataggio, era stato Silente ad occuparsi di una loro sistemazione: se fossero stati presi dal Ministero, sarebbero finiti segregati in qualche scantinato o abbandonati a loro stessi. Silente invece li aveva accolti e aiutati, non dopo aver distribuito loro un'ampia scorta di caramelle.
« Ti ringrazio per avermi aiutato. Non ce l'avrei mai fatta da solo » gli disse Remus, una volta uscito dall'infermeria che avevano improvvisato lì per lì.
« Te lo dovevo » rispose Sirius. « Dopo il modo in cui mi sono comportato con te ultimamente, questo è stato il minimo che potessi fare ».
« Anche io ho molto di cui farmi perdonare ».
« Per oggi mi basta non ricevere altre brutte notizie » sospirò Sirius. « O giuro che alla prossima do di matto ».
« Questo non dipende da me. Ma oggi abbiamo fatto tutti un bel passo avanti. La guerra non è ancora finita ».

***

La prigione consisteva in una sola torre di pietra, nera come l'inchiostro e di un'altezza vertiginosa. Svettava fin quasi a infrangere la massa di nubi addensate sopra di essa. La salita fino alla cella più in alto di tutte non era stata facile, ma Albus non vi aveva fatto neanche caso e, anzi, per quanto lo riguardava era durata anche troppo poco. Certo, vi era andato di sua spontanea volontà, ma c'era un motivo ben preciso se non era mai stato lì prima di quel giorno: temeva quell'incontro; era inevitabile, ma ne era spaventato. E le parole incise sopra l'entrata di Nurmengard non lo aiutavano a rilassarsi, ma continuavano a risuonargli nella mente come un mantra che lui stesso, tanto tempo prima, aveva ripetuto molte, troppe volte: Per il Bene Superiore.
« È la prima volta che viene, vero, signor Silente? » parlò il carceriere che lo stava conducendo luno la scala che finiva in cima alla torre. « Altrimenti me ne sarei ricordato ».
« Sì, è così » rispose Albus, sintetico. Capiva perfettamente che per uno che lavorava come carceriere di Nurmengard da decenni, era raro intrattenere una conversazione con qualcuno che non fosse un assassino o un Mago Oscuro, ma Silente non aveva nessuna voglia di parlare. La gola secca e i battiti accelerati non accennavano a migliorare, tutt'altro. Quando furono arrivati in cima, Albus si sentì in preda ad un'angoscia che non provava da almeno trentasei anni.
L'uomo che lo aveva condotto fin lì si avvicinò alla porta blindata dell'unica cella all'ultimo piano ed estrasse un enorme mazzo di chiavi.
« Hai una visita » annunciò a chi si trovava dall'altra parte. Non aspettò una risposta e girò una delle chiavi nella toppa. Poi eseguì un paio di incantesimi per sbloccarla magicamente e la aprì, facendo cenno al visitatore di entrare.
« Il tempo massimo delle visite è di un quarto d'ora... Ma per lei posso fare un'eccezione ».
« Non sarà necessario. Grazie lo stesso ».
Albus si sforzò di rivolgergli un sorriso cordiale prima di fermarsi per prendere fiato e prepararsi ad irrompere nella cella.
Quando entrò, mentre la porta gli si chiudeva alle spalle, era in preda ad una tempesta di emozioni che controllò a fatica.
Il prigioniero era sdraiato per terra e si vedeva a mala pena dalla sottilissima fessura di luce che riusciva a passare attraverso la minuscola finestra della cella. Il suo corpo magro ed emaciato si teneva al caldo, rannicchiato sotto una coperta, ma quando notò la presenza di Albus, l'uomo si alzò a sedere con uno scatto improvviso. Una fitta dolorosa attraversò il petto del suo visitatore quando la poca luce illuminò il suo volto ormai scheletrico, segnato dal tempo e dagli stenti, i capelli grigi e radi. In apparenza sembrava un'altra persona ma i suoi occhi, sebbene infossati, non avevano perduto la vitalità di un tempo. E non era un bene, pensò Albus.
Quando l'uomo lo riconobbe, il suo sguardo assunse un'espressione di sorpresa mista ad un'ironia provocatoria che l'altro conosceva molto bene. Un tempo aveva amato ciecamente quello sguardo e, anche se adesso era cresciuto e aveva messo da parte certi tipi di emozioni, le conseguenze di quell'errore continuavano a fare male.
Forse Albus non sarebbe stato in grado di parlare se non fosse stato l'altro a esordire.
« Guarda chi si vede. Sono passati trent'anni dall'ultimo nostro incontro. O sono già quaranta? Credo di aver perso la cognizione del tempo ».
Non è cambiato, fu il primo pensiero di Silente. Anche dopo tutto quel tempo, aveva ancora lo stesso modo di fare di quand'era giovane.
« Trentasei anni » rispose in un tono calmo e innaturale.
« Giusto. Avevo perso il conto. Non è che ho molto da fare qui, ma le giornate sono tutte uguali, e quando mi addormento a volte mi sveglio senza sapere se ho dormito per giorni o per poche ore ».
« Direi che te la sei cercata, Gellert » ribatté Albus, freddamente, senza capire dove volesse andare a parare.
Grindelwald fece uno strano sorriso, scoprendo i pochi denti che gli restavano.
« Ma guardati, come sei rigido. Sei più a disagio di me, il che è curioso: quello sporco e impresentabile in teoria sono io ». Di colpo smise di scherzare e il suo volto scavato si fece più serio. « Se hai così poca voglia di scambiare convenevoli, perché sei venuto? Passavi di qui per caso? O hai bisogno di un consiglio? »
Albus provò a rispondergli per le rime, ma per la prima volta in vita sua non riuscì ad aprire bocca. Gellert lo capì all'istante, e fece una smorfia.
« Deve essere frustrante per te: l'unico altro mago alla tua altezza si trova chiuso a Nurmengard, e tu sei costretto a circondarti di comuni mortali e menti limitate. Ma scommetto che sono tutte brave persone. Tu sì che sai scegliere le frequentazioni migliori: maghi e streghe onesti e disperati sono i tuoi preferiti, vero? Si affidano a te e tu sfrutti i loro sensi di giustizia o di colpa, e alla fine ti ringraziano pure. È per questo che tu sei diventato il santo della situazione, e io invece sono finito qui ».
Questa volta Albus non si lasciò provocare. Conosceva Grindelwald e sapeva che lo stava facendo apposta.
« Se le nostre sorti sono state diverse è perché io ho capito quando era giusto fermarmi, a differenza di te » replicò.
« E allora, ripeto, perché sei qui? »
Silente esitò, ma alla fine si ritrovò costretto ad ammetterlo.
« Perché sei l'unico che può capire... Li ho trovati, Gellert » aggiunse dopo alcuni secondi di silenzio. « Li ho tutti e tre ».
Per la prima volta, Grindelwald parve davvero sbigottito e, per un solo istante, i suoi occhi si illuminarono della stessa brama che avevano tanti anni prima. Ma fu solo un momento. Poi Grindelwald scosse la testa e tornò in sé.
« Sapevo che avresti continuato a cercare anche gli altri due Doni. Immagino che tu voglia usarli contro Voldemort ». In risposta all'espressione stupita di Albus, Gellert fece una smorfia. « Oh sì, lo conosco eccome. Ogni tanto qualche giornalista viene a intervistarmi, e io in cambio mi faccio raccontare le ultime novità. Non posso di certo ignorare colui che mi ha tolto il primato. Ammetto di nutrire un certo astio nei suoi confronti ».
« Me lo immagino ».
« Non sai cosa fare, vero? Sei il Padrone della Morte, ora, ma non ti senti diverso ».
Albus non capiva come Gellert avesse potuto indovinare, ma non negò. Ora che possedeva tutti e tre i Doni della Morte era invincibile, ma l'istinto gli suggeriva che c'era qualcosa che stava sbagliando. Per questo aveva deciso di andare a Nurmengard. Solo Gellert conosceva i Doni meglio di lui.
Con suo grande stupore, Gellert si fece serio, quasi triste.
« Sei cambiato molto meno di quanto pensassi » disse. « Non hai ancora capito? Ci siamo sempre sbagliati sui Doni. C'è un motivo se nella fiaba il più saggio è l'ultimo dei tre fratelli. Nella storia c'è più verità di quanto abbiamo mai sospettato. In tutti questi anni ho avuto modo di riflettere a lungo su questo argomento ».
Silente lo guardò, scioccato. Grindelwald sembrava scosso e in preda ad un sentimento che sembrava quasi – possibile? – rimorso.
« Essere Padroni della Morte non significa aggirarla o annientarla. La si può solo rimandare, ma alla fine arriva per tutti. Eravamo giovani e stupidi. Io cercavo il potere, come il fratello maggiore, tu volevi far tornare i tuoi cari in vita, come il secondo fratello. Ma nessuno dei due è riuscito nel suo intento. Il vero Padrone della Morte era il terzo fratello, quello che ignoravamo di proposito ».
Albus lo fissava, incredulo. Il Grindelwald che aveva conosciuto non avrebbe mai detto una cosa del genere. Ma forse la prigionia lo aveva cambiato. E forse era diventato molto più saggio di lui.
« Mi stai dicendo che i Doni non rendono invincibili? Che era nient'altro che una favola? »
« No. Dico solo che chi ne è degno diventa Padrone della Morte, e noi due non lo siamo. Sai cosa significa davvero essere Padroni della Morte, Albus? »
Ci furono alcuni secondi di silenzio, poi Albus parlò.
« Accogliere la Morte come una vecchia amica » rispose, citando a memoria il testo della fiaba. Dentro di sé lo aveva sempre saputo ma, accecato dai suoi sogni di gloria, non l'aveva mai compreso del tutto.
Grindelwald annuì.
« Tu non sei disposto a morire. Ti ritieni troppo importante per farlo: e non è una colpa, è normale. Ma solo una persona disinteressata può riunire i Doni e farli funzionare. Io e te no ».
« E quindi cosa dovrei fare? Aspettare che il Prescelto sia abbastanza cresciuto per poi farlo morire? »
« Non so chi sia questo Prescelto ma sì, sarebbe un comportamento tipico di te ». Ignorando la reazione imbarazzata di Silente, Grindelwald continuò. « Ascoltami bene. Sei riuscito a sconfiggere me senza possedere nessun Dono. Sei perfettamente in grado di battere anche Voldemort ».
« Ha creato degli Horcrux » rivelò Albus.
« Più di uno? In effetti questo complica un po' le cose » ammise quello, anche se il suo tono tradiva una certa ammirazione. « Ma una volta distrutti tutti gli Horcrux, lui sarà mortale come qualunque altro essere umano. L'ho imparato a mie spese: per quanto tu possa essere potente, c'è sempre qualcuno più forte di te. E tu sei l'unico mago alla sua altezza, almeno tra quelli ancora in libertà » aggiunse, sarcastico. « O vuoi attendere la venuta del Prescelto, sacrificando una persona innocente in nome del Bene Superiore? Io ho capito di aver commesso molti errori, alla fine me ne sono reso conto. E tu, invece? »
Albus si sentì bruciare di vergogna. Grindelwald aveva colto nel segno. Stava ancora agendo in nome del Bene Superiore, o ciò che lui considerava tale, e intanto la gente che si fidava di lui continuava a morire. Non avrebbe mai creduto possibile che Gellert Grindelwald gli avrebbe fatto fare un esame di coscienza. Ma forse questo era un modo per fare ammenda.
« Credo che tu abbia ragione » confessò, « Dovrei imparare ad essere più simile a Ignotus, con o senza Doni ». In un gesto involontario alzò la mano e guardò l'anello di Orvoloson Riddle che indossava ancora, la Pietra della Resurrezione spaccata, ma ancora funzionante, anche se non come lui avrebbe voluto. « Anche io l'ho imparato: la Morte non si raggira, si può solo rimandare e, alla fine, accettarla ».
Era quasi assurdo che fosse giunto alla fine della sua ricerca proprio grazie alla persona con cui l'aveva cominciata, ma forse era così che doveva andare.
« Lieto di averti aiutato » disse Grindelwald, riassumendo il consueto tono sarcastico. « Accettare la Morte non è facile, ma credimi, alla fine ti renderai conto che in vita esistono cose peggiori ».
Silente non capì cosa lui volesse dire finché non fece per congedarsi e gli voltò le spalle, la mano destra giù sulla maniglia.
« Non mi hai più chiesto chi è stato a uccidere tua sorella ».
Albus rimase immobile, come pietrificato, il battito di nuovo a mille. Sì, era vero: esistevano cose di gran lunga peggiori della Morte.
« Credevo che volessi lasciarmi distruggere dal dubbio » sibilò, con una calma mortale.
« Te l'ho detto dopo che avevi appena posto fine al mio regime » rispose lui, come se stessero parlando di una sconfitta a Quidditch. « Ero un po' seccato, se permetti. Ma me ne sono fatto una ragione. Vuoi saperlo o no? »
Albus si voltò a guardarlo, incerto e in preda al panico. Non sapeva cosa preferisse, ma alla fine parlò senza rifletterci troppo.
« Devo imparare ad essere meno egoista, giusto? Allora voglio sapere solo se è stato Aberforth oppure no. Tra di noi è l'unico che non merita di continuare a vivere nel dubbio. Se è innocente, gli devo la verità. Quanto a me, che sia stato io o meno, la colpa è comunque mia e della mia stupidità ».
Poi tacque, in un'attesa infinita e terribile. Grindelwald sogghignò di nuovo, ma alla fine rispose.
« Non è stato tuo fratello. Non ti dirò altro, se non vuoi ».
Albus non poteva considerarsi sollevato, ma sapeva che era giusto così. Aberforth non meritava di avere sensi di colpa per gli errori commessi da altri, anche se nel profondo – e si vergognava terribilmente di questo – Albus avrebbe preferito che la colpa fosse del fratello minore, pur di non essere colui che aveva materialmente ucciso Ariana.

***

« Notizie di Minus? »
« Sì, mio Signore. L'Ordine della Fenice è arrivato prima di noi e adesso si trova ad Azkaban ».
« Meglio così. Mi risparmieranno la fatica di punirlo personalmente ».
Il suo tono di voce era calmo, ma Voldemort era furioso. Nel giro di una notte aveva perso il suo infiltrato nell'Ordine e non era riuscito a uccidere Harry Potter. Sebbene cercasse di non apparire troppo turbato dagli ultimi fallimenti, non poteva nasconderli ai suoi seguaci più fedeli.
Fedeli, pensò, scettico. Erano tutti lì, riuniti intorno a lui, anche dopo una caccia durata tutta la notte. Sembravano proprio tutti irriducibili, in apparenza, ma a lui bastava intercettare i loro sguardi per pochi secondi per leggere i loro pensieri come libri aperti. I più furbi evitavano di guardarlo negli occhi. Altri invece, come Crouch e i Lestrange, lo facevano, non avendo nulla da nascondere: loro sì che erano devoti. Ma tutti gli altri si chiedevano la stessa cosa: perché il Signore Oscuro pi potente di tutti i tempi stava perdendo tempo per catturare un inutile moccioso di neanche due anni?
Per quanto Voldemort desiderasse punirli per aver dubitato di lui, non poteva ignorare quei segnali. E se la sua ossessione di uccidere il bambino della Profezia avesse indotto molti Mangiamorte a perdere fiducia in lui? Negli ultimi mesi si era concentrato solo sulla cattura dei Potter, rimandando l'attuazione del piano finale. Ma forse era giunto il momento di metterlo in atto: non poteva permettersi di perdere sostenitori, ora che non aveva ancora conquistato il potere. Una volta stabilito il suo dominio sull'intero mondo magico, si sarebbe potuto sbarazzare di coloro che non gli servivano più. Ma finché gli erano utili, doveva fare buon viso a cattivo gioco e dare loro un contentino. Dopotutto, una volta conquistato il controllo del Ministero della Magia, sarebbe stato più facile rintracciare i Potter e porre fine a quella minaccia che gravava sul suo capo.
« Potete iniziare a esultare » annunciò loro dopo qualche attimo di riflessione. « La nostra prossima mossa sarà il colpo definitivo al Ministero ».
Molti furono sorpresi dalla notizia che attendevano da tempo, e quasi tutti levarono esclamazioni di giubilo. Impaziente, Voldemort intimò loro di tacere.
« Vi avverto, non sarà facile, soprattutto ora che quasi tutti gli infiltrati sono stati arrestati, licenziati o sospesi. Avrò bisogno dei migliori di voi ».
Un'ondata di eccitazione si diffuse tra i Mangiamorte. Voldemort represse un'espressione soddisfatta: era incredibile quanto certe persone amassero essere manipolate dalle menti superiori. E lui li avrebbe accontentati. Sapeva già chi sarebbero stati i Mangiamorte designati per quell'incarico, ma non lo comunicò subito. Poteva dire di conoscere molto bene l'animo umano, ed era sicuro che quelli esclusi avrebbero avuto la tentazione prendersi una rivalsa facendo uscire qualche informazione da quelle mura. Diede ordine a tutti gli altri di andare via, permettendo di restare solo ai Lestrange, Crouch, Malfoy, Rookwood e Piton.
« Ognuno di voi dovrà colpire un esponente di spicco del Ministero, in modo da eliminare tutti i potenziali leader. Il Ministero va decapitato, a partire dalla Bagnold. Vi intrufolerete nel suo ufficio e tenderete una trappola a lei e ai suoi collaboratori più pericolosi. Non abbiate pietà: li voglio tutti morti ».
Tutti loro annuirono prontamente.
« Ma non dimentichiamo che c'è pure quel Babbanofilo di Silente da tenere sotto controllo. Ultimamente frequenta un po' troppo spesso il Ministero della Magia, mentre io voglio che resti a Hogwarts. Pertanto serve un diversivo per distrarlo e costringerlo a restare a scuola. Piton, spetterà a te organizzare la missione a Hogwarts »
Sentendosi convocare, Severus fece un passo avanti.
« Grazie, ne sono onorato » disse, con un'espressione indecifrabile che fece serrare le labbra a Voldemort. Piton era in gamba, intellettualmente superiore a quasi tutti gli altri Mangiamorte, ma Voldemort trovava particolarmente frustrante non riuscire a leggere i suoi pensieri a proprio piacimento. Era un ottimo Occlumante, anche troppo. Chissà cosa pensava della fuga dei Potter. Di certo doveva essere soddisfatto che la Sanguesporco di cui era invaghito fosse ancora viva... Ma forse si preoccupava per nulla, si disse. Essere potente lo rendeva sempre più sospettoso, ma non aveva motivo di dubitare di Piton.
« Avrai a disposizione un'arma. Ti spiegherò come usarla più tardi. Lucius, anni fa ti affidai un oggetto di estrema importanza. Voglio che me lo porti, adesso ».
« Sarò di ritorno a breve » si affrettò a rispondere Malfoy. E, dopo un inchino, uscì dalla sala, chiudendosi la porta alle spalle.
« Continueremo a parlare del piano quando Lucius sarà tornato » disse Voldemort. « Adesso vorrei scambiare qualche parola in privato con te, Barty ».
Il ragazzo sussultò, preso alla sprovvista, ma si fece subito avanti, mentre gli altri Mangiamorte obbedivano all'ordine e uscivano momentaneamente dalla stanza.
« Mi auguro che tu sia contento di essere tra quelli che conquisteranno il Ministero » esordì Voldemort.
« Sì, Signore. Non me l'aspettavo » si affrettò a rispondere Barty.
« Te lo meriti. Finora sei sempre stato in gamba. Ed è per questo che credo che tu abbia capito cos'è che voglio da te ».
Barty tacque per alcuni istanti, per la prima volta evitando di sostenere il suo sguardo. Voldemort percepì chiaramente la sua esitazione e i suoi timori e lo vide sbiancare, ma alla fine il ragazzo rispose.
« Devo essere io a occuparmi di mio padre? »
« Non sei costretto, a me in fondo interessa solo il risultato finale. Ma voglio lasciarti la precedenza per farti un favore. Hai più motivi di chiunque altro per desiderare di essere tu la persona che lo ucciderà ».
Barty annuì, ma non riuscì a ingannarlo, anche perché adesso era diventato livido.
« Sarà difficile? » chiese, e subito dopo parve vergognarsi di quella domanda.
« È esattamente come uccidere chiunque altro. La procedura è sempre la stessa » rispose Voldemort con semplicità. « Puoi anche ucciderlo colpendolo alle spalle, a me non importa. Ma ti assicuro che guardarlo in faccia mentre lo uccidi ti darà molta più soddisfazione ».
Barty pendeva dalle sue labbra, come sempre, sebbene fosse molto nervoso. Era ancora un ragazzino, ma Voldemort era convinto che potesse farcela, magari con un piccolo incoraggiamento.
« Quando uccisi mio padre fu uno dei momenti migliori della mia vita. Ero molto più giovane di te e non lo odiavo meno di quanto tu odi il tuo. Lo detestavo così tanto che non ebbi alcun problema a ucciderlo. Poche cose mi hanno dato altrettanta soddisfazione che vedere il panico impossessarsi di lui, non appena capì cosa stava per succedere. Anche l'uomo più superbo e arrogante si trasforma in un essere miserevole e implorante quando guarda la Morte in faccia ».
Barty sembrava allettato da quella prospettiva, ma Voldemort sapeva di non averlo ancora convinto del tutto. Sapeva bene che il ragazzo era arrivato fino a quel punto perché suo padre non gli aveva mai dimostrato un briciolo di affetto, ma questo dimostrava quanto in realtà, nel profondo dell'animo, Barty lo desiderasse segretamente.
Perché alla fine cercano sempre tutti una cosa così inutile e dannosa? non poté fare a meno di chiedersi, confuso e irritato.
« Tuo padre ti considera suo figlio solo quando ti comporti come lui. Non ti apprezzerà mai per quello che sei. Pensi che proverebbe a capirti se gli rivelassi chi sei davvero e cosa hai fatto finora? Tu non vuoi ammetterlo neanche a te stesso, ma dipendi ancora da lui come un elfo domestico, speri che il tuo comportamento ribelle possa indurlo a fare autocritica. Ma sei solo un illuso. L'amore, l'affetto, o qualunque sia il termine che i deboli usano, non esiste. Devi liberarti al più presto di questo inutile bisogno che ti impedisce di diventare quello che potresti essere, e uccidere tuo padre è l'unico modo per riuscirci ».
Imbarazzatissimo, Barty si scusò. Voldemort capì di averlo quasi in pugno, ma sapeva di non poter contare completamente su di lui fino a che non si fosse liberato del desiderio di essere amato. Per sua fortuna, la storia personale del ragazzo era abbastanza simile alla sua; con chiunque altro, Voldemort avrebbe perso la pazienza molto prima.
« Direi che ci siamo capiti... Ah, ecco Lucius di ritorno » aggiunse, quando qualcuno bussò.
Malfoy portava con sé lo scrigno nel quale aveva riposto il diario. Nessuno di loro sapeva che si trattava di un Horcrux, ed era meglio così. Quando glielo porse, Voldemort lo aprì e ne estrasse il diario.
Lo capì subito, non appena le sue dita sfiorarono la copertina rilegata in pelle: qualcosa non andava.
Quando toccava o era vicino a un Horcrux, i due frammenti della sua anima si attiravano l'un l'altro, fremevano e si cercavano a vicenda. Ma in quel momento non provava niente, neanche una minuscola scarica elettrica. C'era soltanto paura.
« È quello che ti ho consegnato, Lucius? »
Malfoy aggrottò la fronte, perplesso, mentre Barty gli lanciava uno sguardo allarmato, percependo un pericolo imminente.
« Certo, mio Signore ».
Voldemort scrutò il diario, un'ansia crescente che si impadroniva della sua mente. Il suo aspetto era identico, ma allora che cosa non andava? Lo fece librare in aria e poi gli appiccò fuoco.
Con suo grande orrore, il fuoco non si estinse e il diario non rimase intatto come avrebbe dovuto. Invece, nel giro di pochi secondi, era ridotto a nient'altro che un misero mucchio di cenere.
Una furia letale s'impossessò di lui, mentre un boato assordante gli riempiva le orecchie.
« È UN FALSO! » gridò, in preda a un terrore che non aveva mai creduto di poter provare.
Colto dal panico, Lucius provò a bofonchiare qualche parola inconsulta, ma presto la Maledizione Cruciatus trasformò i suoi balbettii in urla di dolore.
Trascorsero parecchi minuti prima che Voldemort si rendesse conto che Malfoy non sapeva davvero spiegare come fosse potuto succedere. Smise di torturarlo, lasciandolo agonizzante sul pavimento.
Non è possibile, non è possibile...
La sua mente lavorava in modo febbrile.
Qualcuno ha scoperto il mio segreto.
Era un pensiero troppo spaventoso per permettergli di ragionare con lucidità, ma i suoi pensieri andarono subito all'unica persona che considerava in grado di capire una cosa del genere.
Silente! Era il suo piano fin dall'inizio. Forse non esiste nessun Prescelto. La Profezia potrebbe essere una sua macchinazione per distrarmi e permettergli di agire indisturbato...
Era una conclusione terribile e spaventosa, ma aveva senso. Doveva prendere provvedimenti, immediatamente. Ma prima doveva assicurarsi che gli altri Horcrux fossero al sicuro.

Aveva usato la Maledizione Imperius sulla prima inutile Babbana che aveva incontrato. La ragazza era rimasta docile per tutta la traversata del lago, mentre la barca solcava l'acqua apparentemente tranquilla.
Poi, quando era stata costretta a bere la pozione nel bacile, aveva iniziato a piangere e urlare, chiamava i suoi genitori e gli implorava di smetterla. Voldemort aveva ripetuto l'Imperius, facendogliela bere fino all'ultimo sorso. Poi la lasciò al suo destino, abbandonata bocconi sulla riva dell'isolotto, mentre strisciava in cerca d'acqua.
Voldemort le voltò le spalle e afferrò il medaglione nel bacile. Anche stavolta, l'Horcrux non reagì. E per la prima volta, il mago più potente del mondo tremò dalla testa ai piedi.
Il medaglione si aprì facilmente sotto la pressione delle sue dita, e un foglietto di pergamena spuntò all'interno.
Le grida di terrore della Babbana che veniva trascinata in acqua furono coperte dall'urlo silenzioso che esplose nelle orecchie di Lord Voldemort quando lesse il messaggio. Quelle parole per lui non avevano alcun senso, ma al tempo stesso gli lanciavano una sfida con un'arroganza tale che si impressero nella sua mente in maniera indelebile, come marchiate a fuoco.




L'anno nuovo e la Befana hanno decisamente portato brutti doni al Signore Oscuro xD Ma non potevo privarmi della soddisfazione di fargli leggere il biglietto lasciato da Regulus. Ora però Voldemort si è arrabbiato davvero (Lucius potrà confermarvelo... appena si riprenderà!), e alcuni dei suoi piani cambieranno radicalmente. Per fortuna almeno Greyback e i suoi compari sono sistemati!
Grindelwald era uno dei personaggi che volevo inserire per forza almeno una volta, e soprattutto mi interessava farlo parlare con Silente. Forse l'ho reso troppo sarcastico, ma questa è la sensazione che mi ha dato nel libro. Che non sia stato di Aberforth l'incantesimo che ha ucciso per errore Ariana l'ho inventato io, anche perché se fosse davvero così sarebbe davvero un cattiveria da parte della Rowling :( Il resto preferisco che rimanga un mistero...
Il prossimo capitolo sarà pubblicato il 21/22 gennaio
Ancora buon anno a tutti :)
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Julia Weasley