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SMS
Proibiti
Uscimmo
di casa e prendemmo l’ascensore, cosa assai inconsueta visto che quando
dovevamo scendere scendevamo sempre le scale; ed un’altra cosa strana era che
Simone mi stava tenendo tra una sua mano la mia. Mi agitava.
«Dove
mi porti?» domandai ancora una volta sperando che questa sia la volta buona per
ricevere una risposta.
«Lo
saprai quando arriveremo.» mi guardò e mi sorrise. Le porte dell’ascensore
si aprirono ed entrammo in quell’abitacolo rosso con uno specchio in fondo ad
esso.
Cercai
di liberarmi dalla stretta della sua mano, senza riuscirci. Avevo deciso di
cambiare, è vero, però quel tocco mi riportava alla mente quando Roberto mi
stringeva la mano per non farmi allontanare. Improvvisamente la tristezza si
rimpossessò di me, ma non dovevo pensarci.
«Perché
mi tieni la mano?» domandai risoluta.
«Non
ti va?»
«Non
è questo. È che Roberto me la teneva sempre… e…» non riuscii a terminare
la frase che mi lasciò velocemente la mano.
«Scusami,
non ci avevo pensato.» si giustificò abbassando lo sguardo verso le sue scarpe
da ginnastica ormai rovinate dal tempo e dall’usura.
«Niente!
Non preoccuparti!!» esclamai cercando di fargli capire che non è che mi desse
fastidio quel tocco è che poi avrei rimuginato, senza volerlo davvero, indietro
nel tempo.
Arrivammo
al piano terra e la prima ad uscire da quel buco rosso, come lo chiamavo da
piccola, fui proprio io. Tra me e Simone spesso si veniva a creare imbarazzo,
non capivo perché e questo mi dava ancora più fastidio.
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Non
avevamo preso mezzi di trasporto e stavo cominciando a stancarmi di camminare,
era da almeno un’ora che lo stavamo facendo. Parlavamo del più e del meno, e
l’imbarazzo di prima, almeno da parte mia, non era scomparso.
Quel
giorno Simone indossava degli occhiali da sole che gli nascondevano gli occhi;
era un peccato, erano così belli, però avendo gli occhi chiari erano anche più
delicati. Aveva addosso una maglia a maniche corte bianca, quasi come la mia se
non ci fossero scritte alcune frasi per me illeggibili e una marca in basso a
sinistra ed aveva dei pantaloni a quadri viola, come la scritta sulla maglia,
corti, che gli arrivavano poco più sotto del ginocchio.
«Quanto
manca?» domandai annoiata.
«Poco.»
fu l’unica risposta che ricevetti, non mi voleva dire niente, non mi voleva
dare nemmeno un aiutino.
«Sono
curiosa di vedere dove mi porti! Mi dia, signor Simo, un aiutino!» scherzai, o
almeno ci provai.
«Signorina
Francy, non sia petulante, la prego! Un aiuto non glielo do! Tra poco arriveremo
e lo vedrà con i suoi occhi.» disse inchinandosi leggermente.
«Io…
petulante?»
Simone
annuì muovendo la testa e mi sorrise «Lo sei da quando ti conosco!»
«Ma
guarda te… sei proprio uno stronzo!» esclamai voltandomi e tornando verso
casa se lui non mi avesse preso per un braccio e tirato a sé. «Lasciami!»
«Zitta.
Siamo quasi arrivati ed io stavo scherzando! Non essere così permalosa.» mi
cinse le spalle, ma non era un abbraccio, era un qualcosa di diverso. Un
qualcosa di profondo, o forse no.
«Va
bene…» sussurrai cercando di allontanarmi da lui.
Svoltammo
a sinistra e vidi un parco in lontananza. «E’ quello il posto?» domandai
guardandolo.
«Sì.»
Simone mi prese per mano, forse non aveva capito ciò che gli avevo detto
nell’ascensore?
Stavo
per parlargli quando mi sentii strattonare, aveva cominciato a correre, ed io
non potevo fare altro che la stessa cosa.
Corremmo
verso l’entrata del parco, e quando fummo giunto al suo ingresso Simone si
fermò di botto facendomi andare contro di lui perché non riuscii a fermarmi in
tempo. «Ahio…» dissi massaggiandomi il naso, con la mano libera, che aveva
colpito la schiena della persona che mi stava incatenando forzatamente a lui.
Avanzò
qualche passo, io lo seguii guardandomi intorno «Perché mi hai portato qui?»
domandai tirandogli il braccio per riuscire ad avere la sua attenzione che, da
quando era entrato lì dentro, non avevo più.
Non
ricevetti, comunque, risposta.
«BOOO!!»
sentii delle mani appoggiate ai miei fianchi e un urlo che mi trapanò le
orecchie.
Urlai
di paura stringendo la mano di Simone come non avevo mai fatto, pensai che
potevo avergli fatto male visto che mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Mi
voltai lentamente, e trovai davanti al mio viso la faccia sorridente di Sabrina.
L’abbracciai con un solo braccio visto che l’altro era ancora incastrato tra
la mano del mio amico.
«Ciao
Francy. Ti ho messo paura eh?!» scherzò lei tirandomi le guance come faceva
spesso.
Io
annuii e sentii la mia mano destra libera di respirare.
«Ciao
Simo!» salutò anche lui andandolo ad abbracciare. «Certo che, per stare con
lei, non mi hai più cercato eh?!» fece la faccia imbronciata. «Ma dai, ti
perdono lo stesso.» e gli appoggiò violentemente una mano sulla spalla.
«Ciao!»
salutò, sembrava un po’ nervoso. Perché? Che fosse innamorato di lei? Non
sarebbero stati una brutta coppia, in effetti.
«Che
bella sorpresa Sabry! Sono contenta di vederti!» dissi attirando l’attenzione
su di me, cosa che forse non avrei dovuto fare. Simone mi aveva portato lì per
farmi incontrare la mia migliore amica, oppure perché voleva vederla lui?
«Anche
io! Sono veramente felice di vederti! Tutto merito di questo scemo, comunque! Io
sinceramente mi sentivo un po’ in imbarazzo di chiederti di uscire, ma mi sono
sentita con lui e mi ha convinto, poi abbiamo deciso di farti una sorpresa!» mi
fece l’occhiolino e mi abbracciò. «Quanto mi sei mancata!!» esclamò vicino
al mio orecchio con la sua solita voce acuta che riusciva a perforare le
orecchie.
Mi
sentivo un po’ in imbarazzo, probabilmente perché ormai nella mia mente ormai
si era formata l’idea che quei due stavano per instaurare una storia
romantica, cosa che non mi creava alcun fastidio se non fosse per la paura di
perdere l’unica persona che riusciva a non farmi pensare a Roberto. Ero
proprio un’egoista.
Pensai
un momento agli SMS che io e Sabrina ci eravamo scambiate il giorno prima,
battei il mio pugno sulla mia mano e domandai senza pensare «Sabry, ma ieri per
SMS cosa volevi dire?»
La
mia amica mi guardò dubbiosa, non aveva capito a che SMS mi riferivo.
«Sì,
dai, quando hai detto che Simo riesce a reprimere i suoi sentimenti!» continuai
ingenuamente facendo imbarazzare sia Simone che Sabrina che mi guardò un po’
storto.
«Ma
niente, stavo scherzando!» mi rispose sorridendo, guardando subito dopo
l’amico che volse lo sguardo verso di me.
«Va
bene…» dissi senza aver davvero capito ciò che mi era appena stato
dichiarato. In lontananza sentii suonare il mio cellulare che presi dentro la
borsa. Era mia madre, risposi ma mi stava chiamando con l’addebito sulla
chiamata. Com’era possibile avere una madre che non si ricaricava mai il
cellulare? Toccava sempre a me pagare. Misi giù, in quanto nemmeno io avevo i
soldi, cioè ne avevo ma davvero pochi, mi voltai verso i miei amici «Chi di
voi ha i soldi nel cellulare? Dovrei chiamare mamma!»
Sabrina
prese dalla tasca il suo telefono e me lo passò «Chiama pure con il mio!»
«Grazie!»
lo afferrai e mi allontanai per poter avere un po’ di privacy.
Composi
il numero, che sapevo a memoria, e dopo alcuni squilli finalmente rispose. «Sono
Francy, dimmi mamma!»
«A
che ora torni a casa?» mi domandò seria.
«Non
so, a che ora vuoi che torni?»
«Alle
sette? Oggi, se ti ricordi, è il compleanno di tuo padre. Sei andata a
comprargli un regalo?»
Rimasi
in silenzio per alcuni secondo «No. Ci vado ora.»
«Bene!
Dai, ora ti lascio. Divertiti!»
Chiusi
la chiamata e maledii me stessa per essermi dimenticata del compleanno della
persona che aveva contribuito a mettermi al mondo, ho sempre saputo quando lui
teneva al giorno del suo compleanno eppure me lo dimenticavo ogni anno. Oggi
avrei rimediato, sarei andata a comprargli un bellissimo regalo. Ma cosa dovrei
prendergli? Un maglione? Un profumo? Una stecca di sigarette? Qual è il regalo
perfetto per un genitore? Ogni anno ero nella stessa, medesima, situazione.
Mi
voltai e cominciai a tornare dai miei amici, quando notai che stavano parlando,
così decisi di rimanere ancora un po’ nascosta nell’ombra, magari avrebbero
deciso di mettersi assieme. Mi sedetti su di una panchina all’ombra, non
sapevo cosa fare. Sabrina non si sarebbe arrabbiata se le avessi letto gli SMS,
tanto lo facevamo sempre, lei leggeva i miei ed io leggevo i suoi. No, non si
sarebbe arrabbiata.
Entrai
nella cartella degli SMS inviati, aveva la mania di salvarli tutti. Dopo aver
parlato con me lo aveva fatto anche con Simone, probabilmente per mettersi
d’accordo per oggi. Andai al primo messaggio che gli mandò e lo aprii.
«Ho
parlato con Francy. Ma a te va davvero bene starle vicino in questo modo? Non
soffri?» alla sola lettura di quel primo messaggio mi si strinse il cuore. Cosa
voleva dire Sabrina con quello che gli aveva scritto?
Cambiai
cartella e lessi il primo messaggio che aveva ricevuto da lui, dalla persona con
la quale in questo momento stava parlando a diversi metri da me. Avevo voglia di
origliare il loro dialogo ma non potevo farlo, già mi sentivo la coscienza
sporca solo per leggere quei loro pochi SMS.
Cercando
di non pensare alla mia coscienza cominciai a leggere «Mi va bene.»
Ma
perché doveva essere così laconico? Non poteva spiegare meglio le cose?
Continuai
a non farmi i fatti miei, volevo andare a fondo a questa faccenda ma dopo, anche
se l’avessi fatto e ci avessi capito qualcosa cosa avrebbe risolto? Cosa avrei
potuto fare? Sarei stata zitta e mi sarei tenuta per me tutto ciò che avrei
scoperto per me.
«Ti
ammiro, io non riuscirei mai stare vicino ad una persona che so di amare ma con
la quale non ho alcuna possibilità.»
Il
cuore cominciò a battermi più velocemente, quello che avevo letto non mi
piaceva. Ciccai sul tasto rosso, bloccai la tastiera e tornai da loro, forse
quella era solo una supposizione di Sabrina, probabilmente si sbagliava. «Di
che parlate?» domandai facendo sentire la mia presenza.
«Niente
di che.» rispose Simone mentre stavo restituendo il telefono a Sabry.
«Grazie!»
la ringraziai guardando di sott’occhio il mio amico. «Umh… sentite. Oggi è
il compleanno di mio padre, e come al solito me n’ero dimenticata. Devo essere
a casa per le sette, però ho una questione urgente da risolvere.» spiegai
tutto d’un fiato. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo, quando mai? In quel
periodo era sempre così.
«Quale?»
«Il
regalo! Che gli faccio?» mi voltai verso Simone e come se lo implorassi gli
dissi «Tu che sei un ragazzo, dimmi, per favore, che cavolo gli devo regalare!»
«E
che ne so?» rispose lui un po’ seccato.
«Come
non lo sai? Ma sei un uomo! Dovresti saperlo. Ecco lo sapevo sei gay, ci avevo
visto giusto allora!» esclamai cercando di essere il più naturale possibile,
invece ero proprio diversa, si vedeva che era tutto molto forzato, molto finto.
Sabrina
rise di gusto e lo guardò «Ehy, perché non le fai vedere quanto sei gay?»
gli ammiccò ed il mio cuore arrivò in gola, le avrebbe dato retta? Speravo che
non le avesse dato ascolto.
«Peccato
che, io, non sia gay!» controbatté evidenziando il pronome personale di prima
persona.
«Dimostraglielo!»
Ormai era come se fossi fuori, se un muro si fosse alzato ed io fossi
dall’altra parte di questo, non dove vi erano i miei amici. Una parete
trasparente dalla quale potevo vedere e sentire tutto ciò che loro dicevano o
facevano ma, da dove erano loro, non potevano vedere me.
«No!»
esclamò Simone facendomi sospirare, cercai di prendere la parola ma Sabry non
me ne diede il tempo.
«Sei
proprio fifone, e pensare che questa sarebbe la tua occasione.»
Il
ragazzo si voltò e cominciò ad avanzare verso l’uscita del parco «Forse ho
sbagliato, forse era meglio se non l’avessi portata ad incontrarti.» ammise
lui mettendosi le mani in tasca «Francy, vieni? Andiamo in cerca del regalo per
tuo padre.»
«O-Ok…»
risposi un po’ perplessa «Tu vieni con noi Sabry?» domandai infine
prendendole una mano.
Lei
negò «Ormai non mi sento più parte del gruppo.» spiegò poi facendosi cupa.
«Perché?
Tu sei parte integrante del gruppo!» esclamai io prendendola per le spalle,
preoccupata.
«Chiedilo
a Simone.»
La
lasciai andare per la sua strada, la salutai e lei contraccambiò con un gesto
della mano, voltata di spalle. Raggiunsi Simone, guardavo a terra e non avevo
voglia di parlare, eppure volevo sapere.
«Perché
Sabry non si sente parte del gruppo?» gli chiesi fermandomi. Lui si voltò e mi
guardò dall’alto al basso, come succedeva alle medie.
«Ed
io che ne so? Lo sa lei e basta.» rispose sottovoce.
«Lei
mi ha detto di chiederlo a te, però!»
«Ed
io ti sto dicendo che non lo so!»
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