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Autore: Deb    09/08/2007    1 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SMS Proibiti

Uscimmo di casa e prendemmo l’ascensore, cosa assai inconsueta visto che quando dovevamo scendere scendevamo sempre le scale; ed un’altra cosa strana era che Simone mi stava tenendo tra una sua mano la mia. Mi agitava.

«Dove mi porti?» domandai ancora una volta sperando che questa sia la volta buona per ricevere una risposta.

«Lo saprai quando arriveremo.» mi guardò e mi sorrise. Le porte dell’ascensore si aprirono ed entrammo in quell’abitacolo rosso con uno specchio in fondo ad esso.

Cercai di liberarmi dalla stretta della sua mano, senza riuscirci. Avevo deciso di cambiare, è vero, però quel tocco mi riportava alla mente quando Roberto mi stringeva la mano per non farmi allontanare. Improvvisamente la tristezza si rimpossessò di me, ma non dovevo pensarci.

«Perché mi tieni la mano?» domandai risoluta.

«Non ti va?»

«Non è questo. È che Roberto me la teneva sempre… e…» non riuscii a terminare la frase che mi lasciò velocemente la mano.

«Scusami, non ci avevo pensato.» si giustificò abbassando lo sguardo verso le sue scarpe da ginnastica ormai rovinate dal tempo e dall’usura.

«Niente! Non preoccuparti!!» esclamai cercando di fargli capire che non è che mi desse fastidio quel tocco è che poi avrei rimuginato, senza volerlo davvero, indietro nel tempo.

Arrivammo al piano terra e la prima ad uscire da quel buco rosso, come lo chiamavo da piccola, fui proprio io. Tra me e Simone spesso si veniva a creare imbarazzo, non capivo perché e questo mi dava ancora più fastidio.

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Non avevamo preso mezzi di trasporto e stavo cominciando a stancarmi di camminare, era da almeno un’ora che lo stavamo facendo. Parlavamo del più e del meno, e l’imbarazzo di prima, almeno da parte mia, non era scomparso.

Quel giorno Simone indossava degli occhiali da sole che gli nascondevano gli occhi; era un peccato, erano così belli, però avendo gli occhi chiari erano anche più delicati. Aveva addosso una maglia a maniche corte bianca, quasi come la mia se non ci fossero scritte alcune frasi per me illeggibili e una marca in basso a sinistra ed aveva dei pantaloni a quadri viola, come la scritta sulla maglia, corti, che gli arrivavano poco più sotto del ginocchio.

«Quanto manca?» domandai annoiata.

«Poco.» fu l’unica risposta che ricevetti, non mi voleva dire niente, non mi voleva dare nemmeno un aiutino.

«Sono curiosa di vedere dove mi porti! Mi dia, signor Simo, un aiutino!» scherzai, o almeno ci provai.

«Signorina Francy, non sia petulante, la prego! Un aiuto non glielo do! Tra poco arriveremo e lo vedrà con i suoi occhi.» disse inchinandosi leggermente.

«Io… petulante?»

Simone annuì muovendo la testa e mi sorrise «Lo sei da quando ti conosco!»

«Ma guarda te… sei proprio uno stronzo!» esclamai voltandomi e tornando verso casa se lui non mi avesse preso per un braccio e tirato a sé. «Lasciami!»

«Zitta. Siamo quasi arrivati ed io stavo scherzando! Non essere così permalosa.» mi cinse le spalle, ma non era un abbraccio, era un qualcosa di diverso. Un qualcosa di profondo, o forse no.

«Va bene…» sussurrai cercando di allontanarmi da lui.

Svoltammo a sinistra e vidi un parco in lontananza. «E’ quello il posto?» domandai guardandolo.

«Sì.» Simone mi prese per mano, forse non aveva capito ciò che gli avevo detto nell’ascensore?

Stavo per parlargli quando mi sentii strattonare, aveva cominciato a correre, ed io non potevo fare altro che la stessa cosa.

Corremmo verso l’entrata del parco, e quando fummo giunto al suo ingresso Simone si fermò di botto facendomi andare contro di lui perché non riuscii a fermarmi in tempo. «Ahio…» dissi massaggiandomi il naso, con la mano libera, che aveva colpito la schiena della persona che mi stava incatenando forzatamente a lui.

Avanzò qualche passo, io lo seguii guardandomi intorno «Perché mi hai portato qui?» domandai tirandogli il braccio per riuscire ad avere la sua attenzione che, da quando era entrato lì dentro, non avevo più.

Non ricevetti, comunque, risposta.

«BOOO!!» sentii delle mani appoggiate ai miei fianchi e un urlo che mi trapanò le orecchie.

Urlai di paura stringendo la mano di Simone come non avevo mai fatto, pensai che potevo avergli fatto male visto che mugugnò qualcosa di incomprensibile.

Mi voltai lentamente, e trovai davanti al mio viso la faccia sorridente di Sabrina. L’abbracciai con un solo braccio visto che l’altro era ancora incastrato tra la mano del mio amico.

«Ciao Francy. Ti ho messo paura eh?!» scherzò lei tirandomi le guance come faceva spesso.

Io annuii e sentii la mia mano destra libera di respirare.

«Ciao Simo!» salutò anche lui andandolo ad abbracciare. «Certo che, per stare con lei, non mi hai più cercato eh?!» fece la faccia imbronciata. «Ma dai, ti perdono lo stesso.» e gli appoggiò violentemente una mano sulla spalla.

«Ciao!» salutò, sembrava un po’ nervoso. Perché? Che fosse innamorato di lei? Non sarebbero stati una brutta coppia, in effetti.

«Che bella sorpresa Sabry! Sono contenta di vederti!» dissi attirando l’attenzione su di me, cosa che forse non avrei dovuto fare. Simone mi aveva portato lì per farmi incontrare la mia migliore amica, oppure perché voleva vederla lui?

«Anche io! Sono veramente felice di vederti! Tutto merito di questo scemo, comunque! Io sinceramente mi sentivo un po’ in imbarazzo di chiederti di uscire, ma mi sono sentita con lui e mi ha convinto, poi abbiamo deciso di farti una sorpresa!» mi fece l’occhiolino e mi abbracciò. «Quanto mi sei mancata!!» esclamò vicino al mio orecchio con la sua solita voce acuta che riusciva a perforare le orecchie.

Mi sentivo un po’ in imbarazzo, probabilmente perché ormai nella mia mente ormai si era formata l’idea che quei due stavano per instaurare una storia romantica, cosa che non mi creava alcun fastidio se non fosse per la paura di perdere l’unica persona che riusciva a non farmi pensare a Roberto. Ero proprio un’egoista.

Pensai un momento agli SMS che io e Sabrina ci eravamo scambiate il giorno prima, battei il mio pugno sulla mia mano e domandai senza pensare «Sabry, ma ieri per SMS cosa volevi dire?»

La mia amica mi guardò dubbiosa, non aveva capito a che SMS mi riferivo.

«Sì, dai, quando hai detto che Simo riesce a reprimere i suoi sentimenti!» continuai ingenuamente facendo imbarazzare sia Simone che Sabrina che mi guardò un po’ storto.

«Ma niente, stavo scherzando!» mi rispose sorridendo, guardando subito dopo l’amico che volse lo sguardo verso di me.

«Va bene…» dissi senza aver davvero capito ciò che mi era appena stato dichiarato. In lontananza sentii suonare il mio cellulare che presi dentro la borsa. Era mia madre, risposi ma mi stava chiamando con l’addebito sulla chiamata. Com’era possibile avere una madre che non si ricaricava mai il cellulare? Toccava sempre a me pagare. Misi giù, in quanto nemmeno io avevo i soldi, cioè ne avevo ma davvero pochi, mi voltai verso i miei amici «Chi di voi ha i soldi nel cellulare? Dovrei chiamare mamma!»

Sabrina prese dalla tasca il suo telefono e me lo passò «Chiama pure con il mio!»

«Grazie!» lo afferrai e mi allontanai per poter avere un po’ di privacy.

Composi il numero, che sapevo a memoria, e dopo alcuni squilli finalmente rispose. «Sono Francy, dimmi mamma!»

«A che ora torni a casa?» mi domandò seria.

«Non so, a che ora vuoi che torni?»

«Alle sette? Oggi, se ti ricordi, è il compleanno di tuo padre. Sei andata a comprargli un regalo?»

Rimasi in silenzio per alcuni secondo «No. Ci vado ora.»

«Bene! Dai, ora ti lascio. Divertiti!»

Chiusi la chiamata e maledii me stessa per essermi dimenticata del compleanno della persona che aveva contribuito a mettermi al mondo, ho sempre saputo quando lui teneva al giorno del suo compleanno eppure me lo dimenticavo ogni anno. Oggi avrei rimediato, sarei andata a comprargli un bellissimo regalo. Ma cosa dovrei prendergli? Un maglione? Un profumo? Una stecca di sigarette? Qual è il regalo perfetto per un genitore? Ogni anno ero nella stessa, medesima, situazione.

Mi voltai e cominciai a tornare dai miei amici, quando notai che stavano parlando, così decisi di rimanere ancora un po’ nascosta nell’ombra, magari avrebbero deciso di mettersi assieme. Mi sedetti su di una panchina all’ombra, non sapevo cosa fare. Sabrina non si sarebbe arrabbiata se le avessi letto gli SMS, tanto lo facevamo sempre, lei leggeva i miei ed io leggevo i suoi. No, non si sarebbe arrabbiata.

Entrai nella cartella degli SMS inviati, aveva la mania di salvarli tutti. Dopo aver parlato con me lo aveva fatto anche con Simone, probabilmente per mettersi d’accordo per oggi. Andai al primo messaggio che gli mandò e lo aprii.

«Ho parlato con Francy. Ma a te va davvero bene starle vicino in questo modo? Non soffri?» alla sola lettura di quel primo messaggio mi si strinse il cuore. Cosa voleva dire Sabrina con quello che gli aveva scritto?

Cambiai cartella e lessi il primo messaggio che aveva ricevuto da lui, dalla persona con la quale in questo momento stava parlando a diversi metri da me. Avevo voglia di origliare il loro dialogo ma non potevo farlo, già mi sentivo la coscienza sporca solo per leggere quei loro pochi SMS.

Cercando di non pensare alla mia coscienza cominciai a leggere «Mi va bene.»

Ma perché doveva essere così laconico? Non poteva spiegare meglio le cose?

Continuai a non farmi i fatti miei, volevo andare a fondo a questa faccenda ma dopo, anche se l’avessi fatto e ci avessi capito qualcosa cosa avrebbe risolto? Cosa avrei potuto fare? Sarei stata zitta e mi sarei tenuta per me tutto ciò che avrei scoperto per me.

«Ti ammiro, io non riuscirei mai stare vicino ad una persona che so di amare ma con la quale non ho alcuna possibilità.»

Il cuore cominciò a battermi più velocemente, quello che avevo letto non mi piaceva. Ciccai sul tasto rosso, bloccai la tastiera e tornai da loro, forse quella era solo una supposizione di Sabrina, probabilmente si sbagliava. «Di che parlate?» domandai facendo sentire la mia presenza.

«Niente di che.» rispose Simone mentre stavo restituendo il telefono a Sabry.

«Grazie!» la ringraziai guardando di sott’occhio il mio amico. «Umh… sentite. Oggi è il compleanno di mio padre, e come al solito me n’ero dimenticata. Devo essere a casa per le sette, però ho una questione urgente da risolvere.» spiegai tutto d’un fiato. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo, quando mai? In quel periodo era sempre così.

«Quale?»

«Il regalo! Che gli faccio?» mi voltai verso Simone e come se lo implorassi gli dissi «Tu che sei un ragazzo, dimmi, per favore, che cavolo gli devo regalare!»

«E che ne so?» rispose lui un po’ seccato.

«Come non lo sai? Ma sei un uomo! Dovresti saperlo. Ecco lo sapevo sei gay, ci avevo visto giusto allora!» esclamai cercando di essere il più naturale possibile, invece ero proprio diversa, si vedeva che era tutto molto forzato, molto finto.

Sabrina rise di gusto e lo guardò «Ehy, perché non le fai vedere quanto sei gay?» gli ammiccò ed il mio cuore arrivò in gola, le avrebbe dato retta? Speravo che non le avesse dato ascolto.

«Peccato che, io, non sia gay!» controbatté evidenziando il pronome personale di prima persona.

«Dimostraglielo!» Ormai era come se fossi fuori, se un muro si fosse alzato ed io fossi dall’altra parte di questo, non dove vi erano i miei amici. Una parete trasparente dalla quale potevo vedere e sentire tutto ciò che loro dicevano o facevano ma, da dove erano loro, non potevano vedere me.

«No!» esclamò Simone facendomi sospirare, cercai di prendere la parola ma Sabry non me ne diede il tempo.

«Sei proprio fifone, e pensare che questa sarebbe la tua occasione.»

Il ragazzo si voltò e cominciò ad avanzare verso l’uscita del parco «Forse ho sbagliato, forse era meglio se non l’avessi portata ad incontrarti.» ammise lui mettendosi le mani in tasca «Francy, vieni? Andiamo in cerca del regalo per tuo padre.»

«O-Ok…» risposi un po’ perplessa «Tu vieni con noi Sabry?» domandai infine prendendole una mano.

Lei negò «Ormai non mi sento più parte del gruppo.» spiegò poi facendosi cupa.

«Perché? Tu sei parte integrante del gruppo!» esclamai io prendendola per le spalle, preoccupata.

«Chiedilo a Simone.»

La lasciai andare per la sua strada, la salutai e lei contraccambiò con un gesto della mano, voltata di spalle. Raggiunsi Simone, guardavo a terra e non avevo voglia di parlare, eppure volevo sapere.

«Perché Sabry non si sente parte del gruppo?» gli chiesi fermandomi. Lui si voltò e mi guardò dall’alto al basso, come succedeva alle medie.

«Ed io che ne so? Lo sa lei e basta.» rispose sottovoce.

«Lei mi ha detto di chiederlo a te, però!»

«Ed io ti sto dicendo che non lo so!»

   
 
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