III
III
Abbiamo dormito
poco insieme, come sempre. Giusto un paio d’ore. Poi la routine
ha cominciato ad insinuarsi tra noi insieme alla luce del giorno.
È filtrata nelle pieghe delle lenzuola, in quelle della pelle,
nei pensieri, staccandoci poco alla volta l’una dall’altro.
Mentre restavo
a poltrire fra le lenzuola disfatte, Selene si è fatta la
doccia, ha cominciato a preparare le cose per la colazione, ha
sistemato il caos che ho sparpagliato in soggiorno stanotte quando sono
entrato (credo di avere rovesciato pure un paio di vasi in giardino),
mi ha preso dei vestiti puliti ed ha riposto sul comodino la mia
pelliccia. Già che c’era, mi ha preparato anche un bagno caldo.
Lo so
perché l’ho sentita alzarsi e aggirarsi per casa. Nelle
ore successive la trasformazione i sensi rimangono acuiti a livelli
esasperanti, inimmaginabili per un comune essere umano. La loro
sensibilità è tale da impedirmi d’ignorare come
vorrei suoni, odori, movimenti. Per quanto lei tenti di stare attenta,
finisce sempre col produrre sollecitazioni che mi svegliano. Ovviamente
non le attribuisco nessuna colpa: se volesse farmi un dispetto, le
basterebbe parlare a voce normale. In queste condizioni equivarrebbe ad
una sirena da stadio sparata dritta nelle orecchie. Poi però ne
pagherebbe le conseguenze, visto che in questo stato posso diventare
particolarmente suscettibile e il primo istinto sarebbe, con ogni
probabilità, di ributtarla sul letto e tanti saluti al bel
completino cui tiene tanto.
Solo
l’idea di fare di nuovo l’amore risveglia fastidiose
contrazioni al basso ventre, per cui obbligo le articolazioni a
muoversi, trascinandomi fino al bagno.
Mi allungo
piano nella vasca, sentendo i muscoli che si ribellano. A farli
protestare è sia il naturale ritrarsi alle forme diurne, sia il
timore verso l’acqua, che proprio non è il nostro
elemento. Specialmente se è calda. Nel fondo della mia testa la
vivo come un’entità innaturale, incomprensibile,
nonostante sappia perfettamente cos’è e a cosa serve.
Impiego sempre
un’eternità a convincere i piedi prima e il resto di me
dopo, che non corriamo pericoli, che non affogheremo o finiremo
lessati. La pelliccia stregata mi osserva sogghignando: con lei indosso
mi basterebbe qualche leccata per sentirmi pulito mentre il mio guscio
umano ha bisogno di ben altro.
Una volta mi
è capitato d’essere così stanco e svuotato dalla
mutazione, che Selene ha dovuto lavarmi lì dov’ero,
rannicchiato tremebondo sul pavimento, gli occhi sbarrati sul vuoto e
una stupida cantilena in bocca: l’acqua no, l’acqua no, ti prego, l’acqua no, è cattiva, mi porta via e mi mangia.
Roba da manicomio. O da asilo infantile, a seconda del come la si
guardi. Per fortuna è successo solo una volta o penso che lei
avrebbe già provveduto a ridurmi ad uno scaldacollo. Una volta
recuperate le forze, per nascondere la preoccupazione mi ha detto
ridendo:
«Grande,
grosso e adulto come sei, non ti si può vedere piangere
avvinghiato a me perché hai paura di venti centimetri di acqua,
ferma per giunta. Non vorrai per caso che t’infili il salvagente
ogni volta?»
Ho ammesso che
aveva ragione, che era stata una reazione esagerata, ma se voleva
proporsi in veste di sostituta della paperella di gomma non avrei
rifiutato l’offerta. Ho rimediato alcuni bagni in compagnia
estremamente piacevoli.
Oggi sono stato
meno fortunato, ma almeno ho evitato scenette ridicole o continui
ripensamenti con un piede sospeso nel vuoto e le mani artigliate al
bordo di ceramica. Forse è merito dell’olio essenziale di
Petit Grain1 che Selene ha messo nell’acqua.
Inspiro con
calma il profumo mescolato al vapore, lasciando che gli effluvi
benefici penetrino a fondo, inseguendo e scacciando le ultime tracce di
spossatezza. Il muso scuro sul comodino sembra biasimare questi
sotterfugi. La creatura notturna che sono stato non ha bisogno di oli
essenziali per rilassarsi, le basta una buona preda.
Selene entra in
punta di piedi nel bagno e siede sullo sgabello accanto alla vasca.
Rimane a guardarmi in silenzio. Non so cosa stia pensando, anche se
fiuto una nota di tensione nel suo odore.
Socchiudo gli
occhi e abbozzo un sorriso. Lei replica alla stessa maniera, curvandosi
su di me. Le sue mani iniziano a massaggiare le spalle, il collo, le
braccia, il torace. È inutile che domandi dove sento male, la
risposta è la stessa ogni volta: dappertutto. Nessuna fibra
sfugge alla torsione cui è sottoposto il mio corpo. Eppure, non
rinnegherei la mia scelta per nulla al mondo. Sono orgoglioso di quella
che altri chiamerebbero diversità o, con disprezzo,
mostruosità. Essere un lupo mannaro in questa realtà
elettronica e multiforme è quasi un paradosso, è come
dichiarare di essere un dinosauro o un antico romano. Siamo vestigia di
un passato remoto, ricordi di un’epoca dove la natura governava
sovrana ciascuna vita, dove le uniche leggi che contavano erano dettate
dall’energia emanata dal cosmo. Leggi che valgono ancora oggi,
per noi. Per questo facciamo paura: il nostro codice morale, il senso
di giustizia, hanno ben poco a che vedere con l’ampolloso sistema
dei pensieri umani.
Nonostante
ciò, esercitiamo un fascino ed un timore reverenziale che poche
altre specie possono vantare. La bellezza della bestia, delle sue zanne
ferali, della potenza indomabile della natura.
Allungo un
braccio sulle gambe di Selene per farla avvicinare, ma quando le
accarezzo il ventre, lei s’irrigidisce. È un attimo,
impercettibile, sfuggente, ma l’ho distinto benissimo.
Sento le sue dita accarezzare le mie, intrecciandole. Trema appena. Deglutisce a vuoto.
So dove sta
correndo la sua mente, spinta da quel contatto. So quanta frustrazione
si stia tenendo dentro, anche se dice che non le importa, anche se nega
di pensarci, anche se non mostra gli occhi lucidi.
Figli.
Vuole avere dei figli.
Piccoli, teneri, pestiferi marmocchi a cui insegnare quanto è bella la Luna.
Sfortunatamente,
licantropi ed esseri umano non vanno d’accordo su questo piano.
Anche se veniamo al mondo alla stessa maniera, non siamo compatibili.
Con me è persino più complicato: non solo sono diventato
un lupo mannaro, accettando la mia natura interiore, ma sono anche nato
in una famiglia di licantropi. Potremmo chiuderci in casa un anno
intero, fare sesso selvaggio da mattina a sera e da sera a mattina,
sfinendoci di coccole e orgasmi, e non accadrebbe nulla. Niente di
niente.
Per qualche
arcano motivo, la mutazione arriva a tale profondità nel nostro
essere, nei mattoni di questa genetica ibrida, da non consentire la
procreazione. Se vogliamo allargare la nostra famiglia, lei deve
entrare a pieno titolo nel mio clan, diventare una di noi, deve
trasformarsi.
Sono già
sette anni che insisto con gli Anziani, ma queste cose vanno sempre per
le lunghe. Gli Anziani sono capi proprio in virtù della
veneranda età. Il che comporta che siano restii a dar retta alle
richieste dei giovani, anche quando il proponente in questione ha
superato i duecentodieci anni, l’età minima per avere voce
in capitolo. Ci sono discussioni infinite che si perdono nei meandri
delle antiche tradizioni, le quali si annodano
all’ottusità e alla diffidenza di chi ha vissuto col
proprio segreto chiuso nello stomaco e nella testa perché chi
l’ha preceduto gli ha instillato la paura verso il comune essere
umano e i suoi difetti. Convincere una iena digiuna a diventare
vegana è molto più semplice.
Posta di fronte
al rifiuto, al riaffiorare di quel desiderio negato, scivola nella
malinconia, ogni volta un po’ più giù. Selene
affoga inerme in un malessere silenzioso.
«Arriverà il momento» mormoro, accarezzando piano quella che lei vede come una culla vuota.
Non risponde. Abbassa la testa e annuisce in silenzio. Sospira a labbra chiuse.
Vorrei essere
capace di scuoterla, di convincerla che le cose si sistemeranno e
otterremo ciò che vogliamo, che quello di tenere a bada il suo
orologio biologico di donna è solo un problema relativo: una
volta accettato l’altro io, non appena l’animale viene alla
luce della Luna, lo scorrere delle lancette rallenta fin quasi ad
azzerarsi. Avremo decenni interi, secoli forse, per riempire queste
mura di decine di fagottini sgambettanti che tenteranno di mordicchiare
l’imbottitura del divano anche senza le zanne. Recupereremo il
tempo perso: noi licantropi siamo fertili come la storica Mezzaluna,
prolifici al punto tale da dover imporre una regolazione delle nascite
nei clan: solo le coppie stabili hanno il diritto di avere discendenti.
Coppie come noi.
Ma ogni volta
che vedo Selene raccogliere i frammenti di quel sogno spezzato tra le
mani, impastandoli con le lacrime che non versa, per dar loro
nuovamente la forma delle speranze e del desiderio che racchiudono, non
posso che provare quel po’ d’amaro lasciato in bocca dal
fallimento. E non c’è preda abbastanza succulenta o bacio
abbastanza appassionato, da cancellare quel sapore. Né dentro di
me né, soprattutto, dentro di lei.
Qualcosa
tamburella insistente sulla mia testa. Volto lo sguardo. Sta aspettando
che dica qualcosa, ma non ho ascoltato la sua domanda. Che mostro, non
mi sono nemmeno accorto che stava parlando. E sono stato così
bravo che se n’è accorta.
«Crema o marmellata?»
«Per cosa?» domando, aggrottando la fronte.
Mi scompiglia i
capelli con entrambe le mani, sbuffando. Rispondo con un latrato
d’avvertimento. Non sono ancora in uno stato di tale quiescenza
da lasciar correre certi atteggiamenti. Prontamente, Selene trasforma
lo scherzo in una coccola, in un massaggio alle tempie che riduce la
belva ringhiante ad un cucciolo goffo e sonnacchioso.
«Ho detto: vado a comprare le brioches dal fornaio. La tua la vuoi con la crema o con la marmellata?»
Ci penso un attimo, stiracchiando le gambe.
«Vuota» rispondo, lasciandomi scivolare verso il fondo della vasca.
«Vuota?
Tesoro, sei ancora debole, devi mangiare qualcosa con un po’ di
zuccheri per tirarti su, lo sai» tenta di convincermi.
Scuoto la testa solenne.
«La
voglio vuota» confermo. «Così la apro, ci metto te
nel mezzo» mimo, prendendole una mano tra le mie, «e ti
mangio. Brioche alla Selene, la perfetta colazione del lupo
mannaro».
Le mordicchio leggero le nocche, per poi posarvi un bacio. Risponde facendomi un nocchino sul naso.
«Esci di
qui, l’acqua ti sta entrando nel cervello. Senti che stupidaggini
dici? Tra un po’ ti verranno anche le branchie. E il pesce lupo
è uno degli animali più brutti che esistano, non mi piace
nemmeno un po’» scherza a sua volta, allontanandosi.
Con calma emergo dalla vasca per infilarmi nell’accappatoio, sgocciolando sul pavimento al pari di un temporale estivo.
Mi affaccio alla finestra, scostando le tenda. Il mattino ha preso fiato, s’incammina allegro verso mezzogiorno.
Davanti alla
casa, sul lato opposto al giardino, c’è una via che sembra
uscita da quelle commedie romantiche, con bassi alberi e lampioncini
liberty a scandire gli spazi dei parcheggi. Le persone camminano
tranquille, ognuna nel solco della propria esistenza. La cartolina di
una vita che sembra fatta di zucchero filato, dove anche i drammi
peggiori sembrano solo buffetti di un destino scherzoso.
Zucchero filato.
Che orrore.
Una bistecca al
sangue, ecco come andrebbe rappresentata la vita. Non a tutti piace
trovarsela nel piatto, il suo gusto va interpretato, capito, a
prescindere dalla strana succosità che lascia sul palato, ma a
chi sa apprezzarla da grandi soddisfazioni.
Sento la voce
della mia femmina darmi appuntamento di lì a breve, un attimo
prima che la porta si chiuda. In una manciata di secondi la vedo
comparire sul marciapiede. Indossa un vestito arancione che mi aiuta a
scordare quanto la sua carnagione chiara sia simile quella della Grande Madre Celeste.
Controlla la strada e attraversa di corsa, dirigendosi dal fornaio, un
paio di isolati più in giù. Sembra quasi che stia
ballando sulle note di una colonna sonora che solo lei può
sentire.
Sopra il tetto
della palazzina di fronte si affaccia un angolo di Luna, come se
tentasse di resistere alla presenza dell’astro invadente che
l’allontana da noi. Quasi stesse chiedendo scusa per ciò
che dovrà fare a breve. Stanotte era all’ultimo quarto.
Tra una settimana la sua assenza in cielo ci farà dare di matto
tutti quanti. Le notti di novilunio solo le peggiori per noi: la
trasformazione è più lenta, faticosa, i sensi rimangono
ovattati, ci lascia in pegno dolori lancinanti e cattivo umore per
tutto il giorno successivo. Sono notti pericolose, durante le quali
evitiamo di radunarci per non scatenare zuffe furibonde.
Prendo un profondo respiro, scuotendo la testa per allontanare quei pensieri.
Selene sta
già tornando, il sacchetto stretto al petto. Mi vede. Mi saluta
e preme l’indice sulla guancia, allettante.
Le sorrido.
Alzo lo sguardo.
Sorrido anche a Lei.
Una Luna nel cielo, un’altra luna nel mio cuore.
Le mie due Lune.
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Olio essenziale di Petit Grain: si estrae dalla pianta
dell’arancio, ha proprietà rilassanti per il corpo e
riequilibranti del sistema nervoso.
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