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Autore: Ely79    01/03/2013    6 recensioni
Una notte volge al termine e la Luna sta lentamente fuggendo dal cielo. Sono gli ultimi momenti per un lupo mannaro di essere tale, prima di abbandonarsi alle cure della sua compagna umana.
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Beauty of the Beast - La Bellezza della Bestia'
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III
III

Abbiamo dormito poco insieme, come sempre. Giusto un paio d’ore. Poi la routine ha cominciato ad insinuarsi tra noi insieme alla luce del giorno. È filtrata nelle pieghe delle lenzuola, in quelle della pelle, nei pensieri, staccandoci poco alla volta l’una dall’altro.
Mentre restavo a poltrire fra le lenzuola disfatte, Selene si è fatta la doccia, ha cominciato a preparare le cose per la colazione, ha sistemato il caos che ho sparpagliato in soggiorno stanotte quando sono entrato (credo di avere rovesciato pure un paio di vasi in giardino), mi ha preso dei vestiti puliti ed ha riposto sul comodino la mia pelliccia. Già che c’era, mi ha preparato anche un bagno caldo.
Lo so perché l’ho sentita alzarsi e aggirarsi per casa. Nelle ore successive la trasformazione i sensi rimangono acuiti a livelli esasperanti, inimmaginabili per un comune essere umano. La loro sensibilità è tale da impedirmi d’ignorare come vorrei suoni, odori, movimenti. Per quanto lei tenti di stare attenta, finisce sempre col produrre sollecitazioni che mi svegliano. Ovviamente non le attribuisco nessuna colpa: se volesse farmi un dispetto, le basterebbe parlare a voce normale. In queste condizioni equivarrebbe ad una sirena da stadio sparata dritta nelle orecchie. Poi però ne pagherebbe le conseguenze, visto che in questo stato posso diventare particolarmente suscettibile e il primo istinto sarebbe, con ogni probabilità, di ributtarla sul letto e tanti saluti al bel completino cui tiene tanto.
Solo l’idea di fare di nuovo l’amore risveglia fastidiose contrazioni al basso ventre, per cui obbligo le articolazioni a muoversi, trascinandomi fino al bagno.
Mi allungo piano nella vasca, sentendo i muscoli che si ribellano. A farli protestare è sia il naturale ritrarsi alle forme diurne, sia il timore verso l’acqua, che proprio non è il nostro elemento. Specialmente se è calda. Nel fondo della mia testa la vivo come un’entità innaturale, incomprensibile, nonostante sappia perfettamente cos’è e a cosa serve.
Impiego sempre un’eternità a convincere i piedi prima e il resto di me dopo, che non corriamo pericoli, che non affogheremo o finiremo lessati. La pelliccia stregata mi osserva sogghignando: con lei indosso mi basterebbe qualche leccata per sentirmi pulito mentre il mio guscio umano ha bisogno di ben altro.
Una volta mi è capitato d’essere così stanco e svuotato dalla mutazione, che Selene ha dovuto lavarmi lì dov’ero, rannicchiato tremebondo sul pavimento, gli occhi sbarrati sul vuoto e una stupida cantilena in bocca: l’acqua no, l’acqua no, ti prego, l’acqua no, è cattiva, mi porta via e mi mangia. Roba da manicomio. O da asilo infantile, a seconda del come la si guardi. Per fortuna è successo solo una volta o penso che lei avrebbe già provveduto a ridurmi ad uno scaldacollo. Una volta recuperate le forze, per nascondere la preoccupazione mi ha detto ridendo:
«Grande, grosso e adulto come sei, non ti si può vedere piangere avvinghiato a me perché hai paura di venti centimetri di acqua, ferma per giunta. Non vorrai per caso che t’infili il salvagente ogni volta?»
Ho ammesso che aveva ragione, che era stata una reazione esagerata, ma se voleva proporsi in veste di sostituta della paperella di gomma non avrei rifiutato l’offerta. Ho rimediato alcuni bagni in compagnia estremamente piacevoli.
Oggi sono stato meno fortunato, ma almeno ho evitato scenette ridicole o continui ripensamenti con un piede sospeso nel vuoto e le mani artigliate al bordo di ceramica. Forse è merito dell’olio essenziale di Petit Grain
1 che Selene ha messo nell’acqua.
Inspiro con calma il profumo mescolato al vapore, lasciando che gli effluvi benefici penetrino a fondo, inseguendo e scacciando le ultime tracce di spossatezza. Il muso scuro sul comodino sembra biasimare questi sotterfugi. La creatura notturna che sono stato non ha bisogno di oli essenziali per rilassarsi, le basta una buona preda.
Selene entra in punta di piedi nel bagno e siede sullo sgabello accanto alla vasca. Rimane a guardarmi in silenzio. Non so cosa stia pensando, anche se fiuto una nota di tensione nel suo odore.
Socchiudo gli occhi e abbozzo un sorriso. Lei replica alla stessa maniera, curvandosi su di me. Le sue mani iniziano a massaggiare le spalle, il collo, le braccia, il torace. È inutile che domandi dove sento male, la risposta è la stessa ogni volta: dappertutto. Nessuna fibra sfugge alla torsione cui è sottoposto il mio corpo. Eppure, non rinnegherei la mia scelta per nulla al mondo. Sono orgoglioso di quella che altri chiamerebbero diversità o, con disprezzo, mostruosità. Essere un lupo mannaro in questa realtà elettronica e multiforme è quasi un paradosso, è come dichiarare di essere un dinosauro o un antico romano. Siamo vestigia di un passato remoto, ricordi di un’epoca dove la natura governava sovrana ciascuna vita, dove le uniche leggi che contavano erano dettate dall’energia emanata dal cosmo. Leggi che valgono ancora oggi, per noi. Per questo facciamo paura: il nostro codice morale, il senso di giustizia, hanno ben poco a che vedere con l’ampolloso sistema dei pensieri umani.
Nonostante ciò, esercitiamo un fascino ed un timore reverenziale che poche altre specie possono vantare. La bellezza della bestia, delle sue zanne ferali, della potenza indomabile della natura.
Allungo un braccio sulle gambe di Selene per farla avvicinare, ma quando le accarezzo il ventre, lei s’irrigidisce. È un attimo, impercettibile, sfuggente, ma l’ho distinto benissimo.
Sento le sue dita accarezzare le mie, intrecciandole. Trema appena. Deglutisce a vuoto.
So dove sta correndo la sua mente, spinta da quel contatto. So quanta frustrazione si stia tenendo dentro, anche se dice che non le importa, anche se nega di pensarci, anche se non mostra gli occhi lucidi.
Figli.
Vuole avere dei figli.
Piccoli, teneri, pestiferi marmocchi a cui insegnare quanto è bella la Luna.
Sfortunatamente, licantropi ed esseri umano non vanno d’accordo su questo piano. Anche se veniamo al mondo alla stessa maniera, non siamo compatibili. Con me è persino più complicato: non solo sono diventato un lupo mannaro, accettando la mia natura interiore, ma sono anche nato in una famiglia di licantropi. Potremmo chiuderci in casa un anno intero, fare sesso selvaggio da mattina a sera e da sera a mattina, sfinendoci di coccole e orgasmi, e non accadrebbe nulla. Niente di niente.
Per qualche arcano motivo, la mutazione arriva a tale profondità nel nostro essere, nei mattoni di questa genetica ibrida, da non consentire la procreazione. Se vogliamo allargare la nostra famiglia, lei deve entrare a pieno titolo nel mio clan, diventare una di noi, deve trasformarsi.
Sono già sette anni che insisto con gli Anziani, ma queste cose vanno sempre per le lunghe. Gli Anziani sono capi proprio in virtù della veneranda età. Il che comporta che siano restii a dar retta alle richieste dei giovani, anche quando il proponente in questione ha superato i duecentodieci anni, l’età minima per avere voce in capitolo. Ci sono discussioni infinite che si perdono nei meandri delle antiche tradizioni, le quali si annodano all’ottusità e alla diffidenza di chi ha vissuto col proprio segreto chiuso nello stomaco e nella testa perché chi l’ha preceduto gli ha instillato la paura verso il comune essere umano e i suoi difetti. Convincere una iena digiuna a diventare vegana è molto più semplice.
Posta di fronte al rifiuto, al riaffiorare di quel desiderio negato, scivola nella malinconia, ogni volta un po’ più giù. Selene affoga inerme in un malessere silenzioso.
«Arriverà il momento» mormoro, accarezzando piano quella che lei vede come una culla vuota.
Non risponde. Abbassa la testa e annuisce in silenzio. Sospira a labbra chiuse.
Vorrei essere capace di scuoterla, di convincerla che le cose si sistemeranno e otterremo ciò che vogliamo, che quello di tenere a bada il suo orologio biologico di donna è solo un problema relativo: una volta accettato l’altro io, non appena l’animale viene alla luce della Luna, lo scorrere delle lancette rallenta fin quasi ad azzerarsi. Avremo decenni interi, secoli forse, per riempire queste mura di decine di fagottini sgambettanti che tenteranno di mordicchiare l’imbottitura del divano anche senza le zanne. Recupereremo il tempo perso: noi licantropi siamo fertili come la storica Mezzaluna, prolifici al punto tale da dover imporre una regolazione delle nascite nei clan: solo le coppie stabili hanno il diritto di avere discendenti. Coppie come noi.
Ma ogni volta che vedo Selene raccogliere i frammenti di quel sogno spezzato tra le mani, impastandoli con le lacrime che non versa, per dar loro nuovamente la forma delle speranze e del desiderio che racchiudono, non posso che provare quel po’ d’amaro lasciato in bocca dal fallimento. E non c’è preda abbastanza succulenta o bacio abbastanza appassionato, da cancellare quel sapore. Né dentro di me né, soprattutto, dentro di lei.
Qualcosa tamburella insistente sulla mia testa. Volto lo sguardo. Sta aspettando che dica qualcosa, ma non ho ascoltato la sua domanda. Che mostro, non mi sono nemmeno accorto che stava parlando. E sono stato così bravo che se n’è accorta.
«Crema o marmellata?»
«Per cosa?» domando, aggrottando la fronte.
Mi scompiglia i capelli con entrambe le mani, sbuffando. Rispondo con un latrato d’avvertimento. Non sono ancora in uno stato di tale quiescenza da lasciar correre certi atteggiamenti. Prontamente, Selene trasforma lo scherzo in una coccola, in un massaggio alle tempie che riduce la belva ringhiante ad un cucciolo goffo e sonnacchioso.
«Ho detto: vado a comprare le brioches dal fornaio. La tua la vuoi con la crema o con la marmellata?»
Ci penso un attimo, stiracchiando le gambe.
«Vuota» rispondo, lasciandomi scivolare verso il fondo della vasca.
«Vuota? Tesoro, sei ancora debole, devi mangiare qualcosa con un po’ di zuccheri per tirarti su, lo sai» tenta di convincermi.
Scuoto la testa solenne.
«La voglio vuota» confermo. «Così la apro, ci metto te nel mezzo» mimo, prendendole una mano tra le mie, «e ti mangio. Brioche alla Selene, la perfetta colazione del lupo mannaro».
Le mordicchio leggero le nocche, per poi posarvi un bacio. Risponde facendomi un nocchino sul naso.
«Esci di qui, l’acqua ti sta entrando nel cervello. Senti che stupidaggini dici? Tra un po’ ti verranno anche le branchie. E il pesce lupo è uno degli animali più brutti che esistano, non mi piace nemmeno un po’» scherza a sua volta, allontanandosi.
Con calma emergo dalla vasca per infilarmi nell’accappatoio, sgocciolando sul pavimento al pari di un temporale estivo.
Mi affaccio alla finestra, scostando le tenda. Il mattino ha preso fiato, s’incammina allegro verso mezzogiorno.
Davanti alla casa, sul lato opposto al giardino, c’è una via che sembra uscita da quelle commedie romantiche, con bassi alberi e lampioncini liberty a scandire gli spazi dei parcheggi. Le persone camminano tranquille, ognuna nel solco della propria esistenza. La cartolina di una vita che sembra fatta di zucchero filato, dove anche i drammi peggiori sembrano solo buffetti di un destino scherzoso.
Zucchero filato.
Che orrore.
Una bistecca al sangue, ecco come andrebbe rappresentata la vita. Non a tutti piace trovarsela nel piatto, il suo gusto va interpretato, capito, a prescindere dalla strana succosità che lascia sul palato, ma a chi sa apprezzarla da grandi soddisfazioni.
Sento la voce della mia femmina darmi appuntamento di lì a breve, un attimo prima che la porta si chiuda. In una manciata di secondi la vedo comparire sul marciapiede. Indossa un vestito arancione che mi aiuta a scordare quanto la sua carnagione chiara sia simile quella della Grande Madre Celeste. Controlla la strada e attraversa di corsa, dirigendosi dal fornaio, un paio di isolati più in giù. Sembra quasi che stia ballando sulle note di una colonna sonora che solo lei può sentire.
Sopra il tetto della palazzina di fronte si affaccia un angolo di Luna, come se tentasse di resistere alla presenza dell’astro invadente che l’allontana da noi. Quasi stesse chiedendo scusa per ciò che dovrà fare a breve. Stanotte era all’ultimo quarto. Tra una settimana la sua assenza in cielo ci farà dare di matto tutti quanti. Le notti di novilunio solo le peggiori per noi: la trasformazione è più lenta, faticosa, i sensi rimangono ovattati, ci lascia in pegno dolori lancinanti e cattivo umore per tutto il giorno successivo. Sono notti pericolose, durante le quali evitiamo di radunarci per non scatenare zuffe furibonde.
Prendo un profondo respiro, scuotendo la testa per allontanare quei pensieri.
Selene sta già tornando, il sacchetto stretto al petto. Mi vede. Mi saluta e preme l’indice sulla guancia, allettante.
Le sorrido.
Alzo lo sguardo.
Sorrido anche a Lei.
Una Luna nel cielo, un’altra luna nel mio cuore.
Le mie due Lune.


1 Olio essenziale di Petit Grain: si estrae dalla pianta dell’arancio, ha proprietà rilassanti per il corpo e riequilibranti del sistema nervoso.
   
 
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