VENTIDUESIMO
CAPITOLO
So
I haven't given up,
But
all my choices, my good luck...
Appear
to go and get me stuck,
In
an open prison.
Now
I am tryin' to break free,
Be
in a state of empathy.
Find
the true and inner me,
Eradicate
the schism.
No-one
can take it away from me,
And
no-one can tear it apart.
Because
a heart that hurts,
Is
a heart that works.
A
heart that hurts,
Is
a heart that works.
(Bright
lights, Placebo)
Constance,
in tutta franchezza, non riusciva a capire dove diavolo fosse il
problema. Non era come adottare sul
serio un
bambino, insomma... Blaise non se ne sarebbe di certo dovuto occupare
ventiquattro ore su ventiquattro. Lui e quella lì, quella
Mary, avrebbero potuto tenerlo un mese per uno o qualcosa del genere.
Si potevano organizzare! Tra l'altro, sarebbe stata una custodia
condivisa non ufficiale; per legge il bambino, com'era ovvio che
fosse, poteva essere affidato ad una sola famiglia, quindi Blaise
sarebbe stato vincolato da un semplice accordo verbale a quella sorta
di... patto.
Facilmente
eludibile, dunque.
Forse
il problema era proprio quello, rifletté Constance osservando
il profilo di suo figlio seduto composto al tavolino. Forse Blaise
non aveva preso neanche in considerazione la prospettiva di uno
svincolo; se avesse accettato la proposta di Mary, l'avrebbe fatto
con tutte le conseguenze del caso.
Avrebbe
preso quell'impegno per tutta la vita.
La
donna sospirò silenziosamente, appoggiando la schiena contro
la sedia.
L'appartamento
di Blaise era immerso nella penombra ed un quieto silenzio sembrava
voler rispettare la moltitudine di pensieri che in quel momento
sconvolgevano la mente del suo unico erede.
Constance
lo osservò con attenzione, come tante volte aveva fatto da
quando la vita glielo aveva donato: quella serietà, quel
quieto e sottile senso del dovere, quel particolare rispetto che
mostrava verso determinate situazioni... non aveva ereditato da lei
quelle qualità (ma neanche dal padre, visto il modo in cui se
l'era svignata, lasciandola da sola con una moltitudine di problemi
sulle spalle). Blaise gli ricordava piuttosto Elemia Zabini, suo
padre, nonché defunto nonno del giovane. Avrebbe dovuto
immaginare, che suo figlio non sarebbe mai stato in grado di
affrontare quella scelta con la serenità che invece avrebbe
avuto lei; non riusciva a capacitarsi di come potesse sentirsi
minacciato dal peso di una promessa che non richiedeva nessuna firma,
di una promessa che poteva essere infranta in qualsiasi momento.
Eppure...
Eppure
Constance era maledettamente orgogliosa di quella consapevolezza. Era
orgogliosa perché Blaise continuava a darle motivazioni che
glielo facevano amare sempre di più.
"Bé...
pensa anche alla tua povera mamma, Blaise caro"
Lui
sollevò gli occhi dalla tazza di caffè quasi vuota, per
studiare il volto di sua madre che, dal canto suo, non voleva
saperne di lasciarsi seppellire dall'austerità e dall'aura
depressa che emanava suo figlio.
Lei
roteò gli occhi di fronte alla sua espressione interrogativa e
sbuffò una risata.
"Non
vuoi regalarmi un nipotino? La gioia di essere chiamata nonna?"
sfarfallò le ciglia con ben architettata affabilità.
Lui aggrottò la fronte, gli occhi che trasudavano scetticismo
a secchiate.
"Non
ti faresti chiamare nonna neanche se ti offrissero un premio in
denaro" commentò, schioccando seccamente la lingua sul
palato. Constance sventolò una mano per aria con leggerezza.
"Dipende
dalla cifra di cui stiamo parlando, figlio mio. Ognuno ha il suo
prezzo!"
Blaise
fece una smorfia, ma non replicò, perché sua madre
aveva ragione.
"Non
prenderebbe comunque il nostro cognome"
"Non
è il cognome che farebbe di lui uno di famiglia!"
Di
nuovo, il ragazzo si zittì, perché sua madre stava
abbattendo, senza pietà, tutti i paletti che si erano posti
sulla strada dell'accettare la proposta di Mary Moore.
Penserò
io a sistemare Benjamin, Blaise. Devi solo dire di sì gli
aveva detto, con uno strano sguardo da girl
power celato
negli occhi verdi.
Certe
volte le femmine riuscivano ad inquietarlo; potevano sembrare candide
ed innocenti, ma sotto lo strato di purezza che sbattevano in faccia
agli altri come un biglietto da visita, erano tutte delle sporche
calcolatrici.
"Il
mio lavoro mi tiene molto impegnato" riprese poi, rigirandosi la
tazza tra le mani con aria distratta.
"Ne
sono certa. Per fortuna hai me e quel tuo simpaticissimo amico
Neville, che sicuramente sarebbe disposto ad aiutarti come lo sono
io!"
"Non
esserne troppo sicura"
"Piacerebbe
a te, non esserlo, così avresti un motivo in più per
rifiutare" Constance disintegrò il suo insulso borbottio
con una sentenza da tribunale.
Blaise
si morse l'interno della guancia, consapevole di star perdendo
miseramente la guerra.
Dio,
perché sua madre doveva essere così
sua madre? Un po' come quando Neville certe volte si chiedeva perché
Blaise dovesse essere così
Blaise.
Evidentemente
era una caratteristica della genetica Zabini essere sempre così
così.
"Anche
lui lavora e comunque non capisco cosa possa entrarci in tutta questa
faccenda"
Sua
madre arcuò le sopracciglia e lo guardò con un'occhiata
che da sola sembrava dire fai sul serio?
"Io,
invece, campo di rendita” rispose con una serenità
diabolica, “ Ed ho un sacco di tempo libero. Per quanto
riguarda il tuo amico, non credo ci voglia una magia per capire che
si è affezionato al bambino quanto Mathias si è
affezionato a lui"
"Come
verrebbe trattato se venisse associato ad uno come me?!" Blaise
si mosse nervosamente sulla sedia, facendo scorrere una mano tra i
corti capelli neri.
"Non
mi sembra ti sia mai importato qualcosa di quello che pensano gli
altri"
"Non
importa a me, ma potrebbe importare a lui!"
Constance
schioccò le dita affusolate ed un sorriso accattivante le
piegò le labbra piene.
"Ma
guardati! Pensi già in funzione a cosa possa essere meglio per
Mathias! Ti sei praticamente calato nel ruolo da solo, non ti resta
che mandare un gufo a quella Mary e dirle di sì!"
"Non
ho risposto ai suoi gufi, non credo proprio voglia rivedermi così
presto"
"Mio
figlio: un vero prodigio! Perché non mi hai mai parlato delle
tue capacità divinatorie,
Blaise caro? O forse hai avuto un sogno premonitore che ti ha
permesso di darlo per certo?"
Il
ragazzo le lanciò un'occhiatina, aveva l'aria di uno che era
stato messo alle strette contro la sua volontà.
In
effetti, era proprio ciò che sua madre stava facendo.
"Ho
venticinque anni!" tentò, non sapendo a cos'altro diavolo
aggrapparsi.
"Io
ne avevo venti quando sei nato tu"
"Sono
stato voluto!"
"E
tu vuoi Mathias altrimenti non staremmo qui a parlarne né mi
staresti costringendo a calpestare ogni tua sentenza. Perché è
questo che vuoi da me, Blaise. Tu vuoi che io riduca ogni tua
considerazione ad un livello talmente irrilevante, da convincerti che
non valga neanche la pensa starci a pensare. Vuoi forse prendere in
giro la tua mamma adorata e devota, osando negare questa ovvietà?"
Il
Serpeverde ebbe l'impulso di vomitare davanti alle ciglia
sfarfallanti di Constance che, in un modo davvero crudele, riuscivano
sempre a farlo sentire in colpa. Lo sapeva che lo stava facendo
apposta, tuttavia non riusciva a resisterle, non era mai stato in
grado di farlo. E lei lo sapeva.
Strega!
"E
comunque ci saremmo anche noi, eh"
Blaise
neanche si voltò, anzi: sperò ardentemente che ignorare
sin dal principio quell'intervento non richiesto, potesse salvarlo
dall'ennesima sceneggiata.
Ah!
Povero
illuso.
"Sta
zitta Morgana, non riesci neanche ad evitare che ti schiaccino contro
la cornice, come pensi di poter aiutare Blaise a badare ad un
bambino?"
"A
parte questo, dovresti parlare al singolare Morg, perché io
non ho intenzione di fare da balia proprio a nessuno!"
"Ah,
è così? Se proprio vuoi saperlo, Bacco,
con quello stomaco enorme che ti ritrovi è un po' difficile
non lasciarsi schiacciare contro la cornice. Magari se chiudessi la
bocca, oltre ad attivare il cervello perderesti anche un po' di
ciccia. In quanto a te, meravigliosa
Ginevra, se Ser Lancillotto ha smesso di farti la corte è
proprio per questo tuo acidume!"
"Disse
quella che tradì il sangue del suo sangue!"
"Come
osi?
Il passato è passato, parlo di nuovo con Artù se non te
ne sei accorta, quello stesso Artù che hai ben pensato di
cornificare come una sciacquetta da taverna!"
"Sciacquetta
a chi, strega?
Per lo meno io non morirò zitella e con le ragnatele nelle
mutande!"
Quando
la situazione iniziò a farsi preoccupante, Don Chisciotte
balzò in mezzo alle due cercando di calmare gli animi, che già
stavano per prendersi per i capelli.
Blaise
passò stancamente una mano sul volto, mentre sua madre rise di
gusto.
Certe
volte la sua vita gli pareva una barzelletta!
*
Mathias
guardava il cielo nuvoloso al di là del vetro della finestra,
mentre Dennis, il fratellastro di cinque anni, giocava con i
modellini di alcune scope seduto sul tappetto della sua stanza: era
tutto intento ad inscenare un'avvincente partita di Quidditch, con
mostri e draghi annessi (non si faceva mancare niente).
Da
quando Mathias aveva messo piede in casa Moore, Dennis era diventato
la sua ombra. Lo seguiva ovunque, pretendeva di fare le cose che
faceva lui e, certe volte, cercava di parlare come lui. Gli occhioni
verdi del bambino lo scrutavano capeggiando sotto una zazzera di
capelli castani, il visetto a forma di cuore come quello della sua
mamma.
Mathias
non apprezzava essere costantemente osservato da qualcuno, che fosse
un individuo di cinque o trenta anni aveva poca importanza: trattava
Dennis con distacco, cercando di farsi odiare; lo stesso distacco, lo
propinava senza tante cerimonie anche ai due coniugi che lo avevano
adottato, ma il fallimento continuo dei suoi tentativi non faceva
altro che alimentare la sua rabbia.
Mary
e Benjamin con lui erano stati fin dall'inizio maledettamente
gentili, premurosi ed attenti ad ogni suo bisogno. Gli sorridevano e
lo trattavano allo stesso modo in cui Dennis veniva trattato e,
davvero, ci stava ancora provando a farsi odiare, ma i suoi tentativi
diminuivano di intensità e determinazione di giorno in giorno.
Non ce la faceva proprio a comportarsi male con quella gente che gli
stava dimostrando affetto senza chiedere nulla in cambio, quella era
una cosa al di fuori delle sue capacità! E poi, se sua madre
fosse stata ancora viva, sicuramente non avrebbe benvisto quel modo
di fare, quell'irriconoscenza. I suoi genitori non gli avevano
insegnato ad essere un bambino maleducato ed ingrato, quindi si era
detto una buona volta che doveva piantarla di sbattere i piedi e
ringhiare a chiunque gli rivolgesse la parola, perché così
facendo avrebbe dato un dispiacere anche a loro.
Tuttavia,
nonostante le sue buone intenzioni, non poté fare a meno di
sentirsi uno schifo mentre il cielo plumbeo si rifletteva nei suoi
occhi scuri.
Si
sentiva solo, non capito e non aveva voglia di parlarne. A cosa
sarebbe servito ricominciare tutto da capo? L'aveva fatto con Blaise
e com'era finita? Ignorava i gufi che gli spediva!
Mathias
aveva smesso di scrivergli una settimana prima; i sentimenti
stracciati dall'indifferenza che il Serpeverde aveva mostrato nei
suoi confronti, gli avevano fatto perdere il coraggio di continuare a
farlo.
Mary
se ne era accorta, ma non gli aveva chiesto niente e continuando a
sorridere gli aveva accarezzato i capelli e ficcato tra le mani una
cioccolata calda con una montagna di panna sopra. Mathias era
arrossito, perché se c'era una cosa cui non sapeva resistere
era proprio la panna e senza dire niente, vi si era praticamente
affogato, evitando di incrociare gli occhi verdi della donna,
inteneriti forse da qualcosa che solo lei poteva vedere.
Ovviamente
Dennis aveva preteso la stessa identica quantità di cioccolata
con la stessa identica quantità di panna; Mary, roteando gli
occhi verso il soffitto, lo aveva accontentato con un'espressione
divertita ad illuminarle il volto gentile.
Mathias
avrebbe definito la vita in casa Moore soffice.
Entrare
lì dentro, era come sentire una coperta calda che ti avvolgeva
nelle fredde giornate invernali e c'era da dire che sia Mary che
Benjamin avevano fatto veramente di tutto, per metterlo a proprio
agio. Il fatto che continuasse a pensare a Neville e Blaise, quindi,
lo faceva sentire ancora di più in colpa; quanti di quei
sentimenti avrebbe potuto ancora sopportare un bambino di otto anni
come lui?
Mathias
distolse gli occhi dal cielo scuro perché Dennis lo stava
tirando per una manica, chiedendogli di giocare con lui. Con uno
sbuffo, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e si rigirò
tra le dita uno dei modellini di scopa appartenenti al fratellastro;
gli venne quindi naturale lanciare un'occhiatina al muro della sua
stanza, al quale era appesa la scopa che Constance gli aveva regalato
per Natale. Piegò le labbra in un debole sorriso, ricordando
la domenica in cui era stato portato a provarla ed un piacevole
calore gli invase il petto.
"Mathias
il mio drago sta mangiando la tua scopa!"
Dennis
riportò la sua attenzione sul gioco che aveva deciso di fare;
notò così che il modellino della sua scopa. veniva
gradualmente e magicamente inghiottito dalle fauci di un drago di
plastica, dalle discrete dimensioni.
"Non
vale, non stavo guardando!" replicò, senza nemmeno
tentare di salvare la scopa.
"E
perché non stavi guardando?" la voce del suo fratellastro
risuonava sempre con un tono di tale candore ed innocenza da minare
spesso alla salute del suo cipiglio perennemente irritato.
"Perché
stavo pensando"
"Perché
stavi pensando?"
"Perché
la gente pensa!"
"E
tu che cosa pensi?"
"Penso
a... penso alle scope!"
"Alla
tua scopa?"
"Sì,
alla mia"
"Perché
non mi fai mai giocare con la tua scopa?"
"Perché
sei piccolo!"
"E
quando divento grande?"
Mathias
venne investito dagli occhi chiari del fratello, che lo guardarono
con una sorta di aspettativa e speranza. Realizzò in quel
momento che avrebbe davvero
vissuto per
sempre con
i Moore e che quindi sarebbe giunto davvero
il momento in cui Dennis sarebbe diventato abbastanza grande per
poter giocare con la sua scopa.
E
lui sarebbe stato lì ad assistere a quel processo, a quella
crescita.
Ed
avrebbero anche frequentato alcuni degli anni ad Hogwarts insieme!
Schiuse
le labbra con espressione piuttosto babbea, fissando Dennis come non
lo vedesse realmente.
Il
suo futuro, tutta la sua vita sarebbe stata con i Moore!
Gettando
il modellino della scopa (o ciò che ne restava) sul tappeto,
si alzò boccheggiando.
Come
aveva fatto a non pensarci prima? Aria, gli serviva aria,
immediatamente!
Si
catapultò verso la porta della sua stanza e dopo averla
aperta, volò al pian terreno guadagnando l'uscita della
villetta come un razzo.
Mary,
che era in salotto a sistemare i panni puliti da poco ritirati,
allargò gli occhi incredula, credendo di aver visto male,
tanto Mathias era stato veloce; ma quando vide Dennis scendere le
scale nel tentativo di andare come al solito dietro al fratellastro,
capì invece di averci visto benissimo. Corrugò la
fronte accantonando i suoi doveri di casalinga e si diresse verso la
porta di ingresso mentre Dennis la affiancava.
"Mathias?"
provò, cautamente, affacciandosi sull'uscio ed osservando il
giardino curato che precedeva l'entrata della casa.
Nell'udire
la sua voce, l'interpellato si girò verso di lei con uno
sguardo perso ed il respiro inframmezzato.
Mary
uscì di casa, preoccupata dalla confusione e dal turbamento
che leggeva sul volto delicato di Mathias.
Dennis
la seguì con un cipiglio curioso e passò le manine tra
i capelli castani, cercando di incasinarli come lo erano quelli del
suo fratellastro. Ciò che faceva Mathias gli sembrava sempre
giusto, quindi voleva essere letteralmente
come lui! Il più piccolo dei Moore rimase in silenzio, semi
nascosto dietro le gambe di sua madre.
"Mathias,
cos'hai?" domandò Mary, con tono di voce gentile che
cercò di essere anche tranquillizzante. Ebbe l'istinto di
allungare le mani per accarezzargli il viso, ma si trattenne: aveva
capito che il più grande dei suoi figli non amava il contatto
fisico. Non quello delle persone di cui non si fidava, per lo meno.
Mathias
percepì una strana nota nel tono di voce della donna che aveva
di fronte, ma era pur sempre un bambino e non poteva capire che lei
gli stava chiedendo, ti
prego,
di lasciarsi aiutare.
"Voi
mi avete adottato" esordì, incapace di tenere tutti quei
pensieri per sé. Doveva parlare, doveva
farlo o sarebbe letteralmente esploso, lo sentiva. Era un bambino,
pretendeva di essere rassicurato ed aveva il sacrosanto diritto di
fare tutte le domande del mondo perché
sì.
"Sì
Math..." rispose Mary, incerta, attendendo che il bambino
continuasse a parlare. Che fosse arrivato il momento, si chiese con
una sorta di magone speranzoso a stringerle la gola?
"Lo
sapete che è per tutta la vita?"
Lei
annuì senza parlare, ma cercò gli occhi scuri
dell'altro con i suoi, perché voleva che capisse
che lo sapevano, l'avevano sempre saputo e questo non li aveva mai
distolti dai loro propositi.
"Lo
sapete che non potrete ridarmi indietro se non vi piaccio più?"
"Sì,
certo!"
"Lo
sapete che tra vent'anni sarete ancora i miei genitori?"
"Sì!"
"Lo
sapete che se per caso facessi dei guai poi dovrete pensarci insieme
a me?"
"Lo
sappiamo, Math!"
"Lo
sapete che se vi stufate o ci ripensate non potrete cacciarmi via?"
"Buon
Merlino, ma come ti vengono in mente certe cose?!"
Mathias
unì le labbra, abbassando lo sguardo verso il terreno.
Era
stato piuttosto schietto, ma aveva bisogno di parlare con sincerità
e di sentire delle risposte altrettanto sincere. Voleva capire se i
Moore erano davvero convinti di quello che avevano fatto.
Lui
non era un giocattolo od un oggetto e ne aveva veramente abbastanza
di cambiamenti drastici nella sua vita. Ne avrebbe avuto per molti,
molti anni a venire!
Mary
si avvicinò a lui e poggiò le mani sulle sue spalle in
un contatto non troppo invasivo.
"Io
e Benjamin" esordì, con un tono di voce gentile ma fermo,
di chi non aveva intenzione di essere contraddetto,
"Abbiamo deciso di prendere in adozione un bambino dopo
la
nascita di Dennis, Mathias. Non prima. Non abbiamo nessun problema ad
avere figli, ma il nostro desiderio di adottarne uno era grande.
Sopratutto quello di Benjamin, che ha un cugino rimasto orfano ancora
prima di te. Abbiamo visto con i nostri occhi la felicità che
la sua famiglia adottiva è riuscita a donargli, lo abbiamo
visto attraversare momenti veramente bui e difficili durante il corso
della sua vita, ma i suoi genitori, perché io mi ritengo tua
madre a dispetto di ciò che pensi, non l'hanno lasciato solo
nemmeno per un secondo. Mai. Quando qualcuno adotta, Mathias, lo fa
per tutta la vita ed è quello che abbiamo fatto con te. Ti
abbiamo desiderato così tanto e, davvero, tu non puoi avere
neanche la minima idea di quello che stai dicendo. Lo capisci? Io e
Ben cercheremo di essere sempre tua madre e tuo padre anche se tu non
ci permetterai di farlo"
A
quelle parole, il bambino divenne paonazzo. Dalla rabbia.
"Voi
non sarete mai mia madre e mio padre! Li ho già avuti e sono
morti, non sarete mai come loro!" ribatté ad alta voce,
incurante di poter attirare gli sguardi curiosi dei vicini rintanati
nelle loro case.
Mary
sospirò, conscia di essersi espressa solo a metà e
tentò di rimediare.
"Nessuno
vuole prendere il posto dei tuoi veri genitori Math, né io né
Ben. Non vogliamo farlo e comunque non saremmo in grado. Tuttavia
questo non mi impedirà di comportarmi con te come una madre
farebbe, perché per me sei mio figlio. Lo sei diventato ancora
prima che ti conoscessi quel giorno al Ministero. Lo sei diventato
quando hanno accettato la nostra richiesta di adozione e ho sentito
di amarti ancora prima di sapere il tuo nome"
Stava
piangendo, ma non se ne era accorto. Credeva di aver esaurito tutte
le sue lacrime quel giorno al cimitero... Invece aveva pianto al
Ministero, quando aveva dovuto separarsi da Blaise e lo stava facendo
di nuovo.
Si
sentiva così stanco,
così
stanco che quando Mary lo abbracciò teneramente avvolgendolo
in un calore confortante, la lasciò fare.
Singhiozzò
indecentemente sul suo cardigan verde pastello che arpionò con
le mani, stringendolo tra le dita. Piangeva perché si sentiva
effettivamente amato da quella famiglia e non sapeva se sarebbe mai
stato in grado di ricambiare. Piangeva perché sentiva di avere
come una zavorra che gli impediva di sbloccare il suo tormento.
Piangeva perché Blaise l'aveva abbandonato, nonostante le sue
tacite promesse. Piangeva perché avrebbe voluto sentire ancora
l'odore di Neville, così simile a quello di suo padre.
Piangeva perché forse, forse,
voleva credere a quello che Mary gli aveva detto... Perché se
non l'avesse fatto allora sarebbe stato perduto per sempre e non ci
sarebbe stato nessun Blaise
in grado di salvarlo da se stesso.
Mary
continuò a stringerlo tra le braccia con un sorriso
comprensivo sulle labbra, sussurrando gentilmente per cercare di
calmarlo. A quel punto, entrambi si sentirono circondare le gambe da
qualcosa. Abbassando gli occhi, videro Dennis che cercava di
abbracciarli entrambi, per quanto nelle sue possibilità,
tenendo il naso puntato all'insù con gli occhi verdi e lucidi.
"Perché
piangi Mathias?" pigolò con tono di voce incerto,
combattuto tra l'idea di farlo anche lui (per imitare il fratello)
oppure no.
"Non
vuoi stare con noi? Non ti piaccio?"
La
sola idea sarebbe bastata come pretesto per piangere, ma Dennis non
era in grado di capirlo.
"Giuro
che non ti chiederò mai più di farmi giocare con la tua
scopa, ti prego non te ne andare! Io voglio stare con te!"
La
faccia devastata di Dennis sull'orlo delle lacrime, gli fece tremare
le spalle nel tentativo di non mettersi a ridere. Aveva
un'espressione troppo comica!
Incredibilmente
la prima a cedere fu Mary che, meno sensibile di lui nei riguardi dei
sentimenti del suo secondogenito, scoppiò in una fragorosa
risata priva di ritegno.
Dennis
lanciò un'occhiata di fuoco a sua madre, che avrebbe forse
potuto incenerirla, offeso nel profondo orgoglio tipico dei bambini e
cominciò a lagnarsi sul serio; a Mathias tremolavano le
labbra, mentre si asciugava la faccia con la manica della maglietta,
ma tentò comunque di trattenersi, per evitare che gli acuti
del bambino arrivassero fino all'altro mondo. Si inginocchiò
sull'erba e lo guardò con espressione esitante, gli occhi
attraversati da un'ombra di incertezza. Le sue
braccia sembrarono vacillare lungo i fianchi, ma le mantenne
saldamente attaccate al corpo; questo non impedì a Dennis di
capire cosa Mathias stesse per fare e togliendolo sia dall'imbarazzo
che dall'impiccio, gli gettò le braccia al collo in una presa
da boa constrictor.
Lo
slancio fu talmente entusiasta che il più grande dei due
crollò con il sedere per terra, reggendo il peso di entrambi
con una mano, per evitare di finire distesi sull'erba umida;
sfarfallò le ciglia con espressione perplessa, avvertendo
Dennis cercare di mettere quanta più forza possibile in
quell'abbraccio, come a volerlo costringere a portarlo con sé
ovunque sarebbe andato.
Mathias
non capiva, davvero non
capiva cosa
avesse fatto per guadagnarsi tutto quell'affetto da parte del
fratellastro. Per una volta, però, prese a calci la sensazione
di non meritarsi tutto quello; si lasciò avvolgere dalla
famiglia Moore come non gli aveva mai permesso di fare e la sincera
gioia che lesse sul volto di Mary gli fece capire che stava facendo
la cosa giusta.
Si
lasciava avvolgere dai Moore e lasciava scivolare via Blaise.
Quando
si furono tutti rimessi in piedi e dopo aver cancellato ogni singola
traccia di pianto dalle facce, fecero per tornare dentro casa.
Il
cielo plumbeo aveva iniziato a buttar giù qualche goccia di
pioggia e nel giro di qualche attimo si sarebbero trasformate in una
sorta di diluvio universale, Mary poteva scommetterci la sua
collezione di cardigan color pastello (in tutte le tonalità
esistenti).
Dennis
entrò per primo, seguito da un pacato Mathias, imbarazzato
dalla scenata che aveva fatto in giardino.
Benedetto
ragazzo,
pensò Mary scuotendo la testa e promettendosi di riuscire a
farlo comportare come un bambino normale, prima o poi. Prima
di Hogwarts per lo meno,
aggiunse mentalmente con un cipiglio battagliero.
Fece
per chiudere la porta, quando nel cielo scorse un puntino nero,
piccolo, ma in avvicinamento. Restò con la mano sulla
maniglia, gli occhi verdi sempre diretti verso quello che capì
essere un gufo. Il suo cuore perse un battito e lanciò così
una veloce occhiata all'interno della casa, per assicurarsi che i
suoi figli avessero già lasciato il salotto. Uscì
nuovamente sull'uscio ed accostò la porta, attendendo con una
certa impazienza l'arrivo del volatile.
No,
Mary, non attivare il cervello. Non. Lo. Attivare. Aspetta prima,
devi aspettare. Potrebbe essere di chissà chi, magari non è
lui. Non iniziare a partire con i filmini mentali perché poi
lo sai come va a finire. Non è sano!
Quando
il gufo arrivò, la dolce, carina e pacata signora Moore quasi
lo aggredì. Gli strappò la lettera dalle zampe con una
foga eccessiva, tanto da guadagnarsi uno schiocco indignato del becco
di Zeus (così c'era scritto sulla targhetta che portava
intorno al collo) e ruppe il sigillo, estraendo la pergamena al suo
interno.
Quando
ebbe finito di leggere, le sue labbra si tesero in un sorriso.
NOTE DELL'AUTORE:
ventiduesimo capitolo. Oddio, sto scrivendo davvero questa parola...
ventiduesimo. Siamo a meno uno ragazze, oramai l'ufficiale fine di
questa storia è alle porte. L'epilogo è lì che
mi guarda, ma il pensiero di doverlo pubblicare venerdì
prossimo mi fa sanguinare il cuore, sul serio. Comunque, pensando a
cose ben più allegre: è venerdì, ciò vuol
dire che domani è sabato! Evviva! Ringrazio moltissimo
Mimiwitch per il betaggio, un grosso bacio a tutte quelle che mi
scrivono su Twitter, per e-mail e per messaggistica privata, a chi
legge e basta, a chi spende due minuti per farmi sapere cosa ne
pensa, a chi aggiunge la storia nelle varie liste ed a chi vi si è
affezionato! Offrirò a tutti da bere prima o poi, statene
certi, ahahah :D buon weekend sweethearts!
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