Capitolo
Cinque
Frammenti di
passato
La
fronte appoggiata alle mani
congiunte, la frangia scarlatta che pizzicava le nocche; le ginocchia
puntate
allo scalino di legno, le palpebre abbassate sugli occhi sacrileghi, la
bocca
cucita in un’espressione seria.
In
quella posa assorta, le candele che spandevano
un soffuso chiarore sulla sua testa china, la tanto dibattuta Stella
Cardinale
dell’Est pareva un arazzo sacro, dispiegato
nell’aria polverosa dell’Ottava
Cappella.
Drew
si sedette al suo fianco,
abbastanza rumorosamente da annunciare la propria presenza e con
sufficiente
eleganza da non distoglierlo troppo dalle sue meditazioni.
Lastar
restò immobile qualche istante,
poi scostò la fronte dalle mani, inforcò gli
occhiali e si rizzò a sedere sulla
panca di noce.
«Credevo
che nessuno fosse alzato, a
quest’ora. Perfino il sole deve ancora svegliarsi»
considerò, neutro.
«Non
c’è riposo per le anime in pena
come noi» replicò Drew. Le ombre sotto gli occhi
dell’Esorcista non erano state
scurite solo dal sonno scarso e agitato che aveva seguito
l’attacco degli
Assistenti di Astaroth; un’ansia nascosta stava divorando
dall’interno il
giovane, scolorendogli le guance e contraendogli i muscoli. Non era
stato
difficile capirlo: la medesima angoscia le rosicchiava le viscere da
quando
Astaroth le aveva proposto il suo diabolico scambio.
Drew
stese le gambe fasciate dai
pantaloni color bronzo, dando sollievo alle ginocchia affaticate. La
tunica
arancione si spiegò triste sulle forme quasi assenti mentre
la giovane
incrociava le braccia dietro la testa.
«Sei
venuto per chiedere alle divinità
di alleviare le tue pene?» domandò, con
un’eco di canzonatura nella voce.
La
risposta di Lastar polverizzò
qualunque altro tentativo di scherno.
«Non
esistono gli dei. E, se esistono,
hanno trovato un mondo più interessante a cui rivolgere le
loro premure. Ecco
perché non guardano mai questo posto disgraziato:
è caduto in rovina, e loro
hanno preferito cercare qualcosa di più bello
anziché migliorare la nostra
terra. Come un bambino che rompe un giocattolo e ne cerca uno
più nuovo per
rimpiazzarlo» aprì gli occhi, affilati come rasoi
di rubino. «Gli dei sono
creature troppo infantili per farvi affidamento.»
«Ma
se non cerchi il loro appoggio,
perché sei venuto in cappella a
quest’ora?» domandò Drew, la voce
vellutata per
non infastidire l’Esorcista.
«Avevo
bisogno di parlare con qualcuno
di più affidabile degli dei.»
«E
con chi?»
«Me
stesso» Lastar inspirò a fondo,
piegando la testa sul proprio petto. «Vengo in cappella a
quest’ora solo per il
silenzio.»
Drew
annuì, lisciando le nappe della
sua pellegrina. Si era recata in quel luogo per lo stesso motivo: gli
dei non
avrebbero risolto il problema che le aveva posto il demone. Doveva
escogitare
una soluzione da sola, e per farlo aveva bisogno della concentrazione
che solo
un luogo solitario poteva offrirle.
«Hai
qualche problema che ti rode?»
chiese, picchiettando il pavimento con il tacchetto dello stivale: il
colpo
secco si infranse nell’aria immobile della cappella.
«Ho
commesso un peccato» sillabò
Lastar.
Il
tacco della giovane si arrestò.
«Io
commetterò un peccato. Ma non so
ancora di che genere» soffiò mesta Drew.
Abbandonare suo fratello a un demone o
condannare l’intera Cattedrale; qualunque fosse stata la sua
decisione, la sua
anima sarebbe stata scagliata direttamente a Infera.
«Siamo
simili in modo inquietante» notò
atono Lastar.
«È
per questo che funzioniamo così bene
come squadra» minimizzò Drew con
un’alzata di spalle. «Dimmi, che genere di
peccato ti tormenta?»
«Esattamente
il tipo che ho intenzione
di commettere» ammise l’Esorcista, dopo qualche
attimo di profondo silenzio.
Drew
scosse la testa, rimuginando:
«Quelli
sono i peggiori. Bussano
insistentemente alla tua porta finché non sei praticamente
costretto ad aprire.»
Lastar
annuì con vigoroso trasporto:
nessuna descrizione poteva essere più azzeccata per
circoscrivere Deimos.
«Qual
è il genere del tuo peccato,
invece?»
«Esattamente
il tipo che non voglio
commettere» sospirò istantaneamente Drew,
incrociando i piedi sul braccio
dell’inginocchiatoio. «Tu crederesti in me,
Lastar?» le gambe tornarono in una
dignitosa posa seduta, mentre gli occhi di un castano cupo scrutavano
l’espressione
dell’altro. «Anche se dovessi commettere un peccato
orribile?»
Lastar
si rialzò dalla panca e
sentenziò, con voce salda:
«Combatterò
con te, Drew. Se non
tradirai i nostri Principi.»
La
ragazza sorrise, ricordando i
Principi che lei, il fratello e Lastar avevano stilato insieme tanti
anni
prima, all’epoca del loro primo incontro.
«Non
lo farò» dichiarò alla schiena
dell’Esorcista che si allontanava.
Lastar
attese di essere uscito e di essere
abbastanza lontano dalla cappella per permettere alle sue gambe di
cedere. Si
aggrappò alla balaustra di pietra, i bottoni vermigli della
divisa che
stridevano contro il parapetto marmoreo, e una mano corse ad allentare
il
colletto attorno alla gola.
La
bocca dischiusa in cerca di aria, il
respiro che scalciava nei polmoni, le dita tremanti: si sentiva come un
intossicato, e la sua droga possedeva un nome e un paio di occhi rubino.
Lastar,
se ti chiedessi di dividere il letto con me, per
questa notte… che cosa risponderesti?
L’Esorcista
tolse gli occhiali e chiuse
le palpebre, gli spettri della sera prima che si rincorrevano nella sua
mente
agitata.
Deimos
gli aveva avvelenato l’anima, e
allo stesso tempo era l’unico antidoto efficace contro quelle
tossine
diaboliche.
E
quel veleno colava dentro di lui da
anni…
***
«Sei
morto?»
Non
aveva trovato nemmeno un ruscello
da quando aveva abbandonato il suo villaggio e sua madre. Erano ormai
tre
giorni che vagava nel bosco, e il suo unico pasto era stato un coniglio
abbastanza stupido da cadere nella trappola che aveva teso tra i
cespugli.
Aveva
ceduto alla stanchezza quando il
sole aveva raggiunto lo zenit: mentre l’astro del giorno
ascendeva, lui era
crollato a terra, le labbra disidratate e il bastone che aveva usato
per
difendersi dalle belve abbandonato di fianco a lui.
Il
demone era comparso non appena il
cielo era diventato del colore dei suoi occhi malefici, e si era
fermato a
guardarlo con curiosità sardonica.
Lastar
aveva aperto la bocca per rispondere,
ma dalla sua gola era uscito solo un rantolo metallico.
Il
diavolo si era inginocchiato di
fianco a lui, un ghigno che si stendeva da un orecchio
all’altro.
«Non
sei morto, ma non manca molto»
ridacchiò.
Sollevò
un indice e cominciò a
stuzzicargli la guancia con l’unghia nera.
L’istinto di sopravvivenza di Lastar
ebbe un guizzo improvviso, così come la sua mano, che corse
veloce ad afferrare
il bastone. La punta del faggio sfrecciò vicino al viso del
demone, che fu
lesto a spostarsi di lato per evitare di essere colpito.
Il
diavolo si rovesciò in piedi con una
capriola, e osservò piacevolmente incuriosito quel
mucchietto d’ossa, che
respirava come se una manciata di ghiaia gli fosse rimasta incastrata
in gola e
che brandiva un bastone striminzito contro di lui, il demone che con un
solo
colpo di mano poteva rovesciare un intero esercito.
Un
diavolo normale avrebbe trovato
patetica quella scena, e vi avrebbe posto fine divorando
l’anima del
piccoletto. Ma Deimos esisteva per il solo scopo di stravolgere le
convinzioni
altrui.
«Sei
carino» cinguettò infatti,
incrociando le braccia dietro la schiena come prova di non aggressione.
Lastar
produsse uno strano ringhio,
mentre il bastone ballava nelle mani indebolite.
«Non
sai chi sono io? Non hai paura?»
«Sei
un demone. Ed è per colpa di uno
della tua razza se ho questi occhi rossi» Lastar compose
quella replica ansando
tra una parola e l’altra come un cavallo che ha corso troppe
miglia.
Deimos
inclinò la testa di lato, i
riccioli corvini e rossi che solleticavano la spalla.
«Sei
un mezzosangue» constatò, gustando
ogni sillaba come un nettare squisito.
Le
ginocchia cedettero, nonostante gli
sforzi di Lastar: si ritrovò bocconi al suolo, ma non
abbandonò il bastone, che
agitò in direzione del demone.
«Stai
lontano!» ragliò.
«Quanto
fuoco!» rise di gusto il
diavolo, saltellando al suo fianco. «Frena le tue fiamme,
umano, non sono qui
per mangiarti. E, se tu conoscessi il mio nome, capiresti
perché.»
Il
demone allargò i bordi del suo
mantello in un’elegante piroetta, che concluse con un inchino
aggraziato.
«Io
sono Deimos, secondogenito di
Lucifero. Sono conosciuto come il Principe dell’Irrazionale.
E, se non ti
affidi a me, temo che la tua permanenza in questo mondo sarà
molto breve» aggiunse,
inspiegabilmente divertito da quella prospettiva, portandosi un indice
sulle
labbra carnose.
«Perché
dovrei fidarmi di uno della tua
razza?» rantolò Lastar, esausto.
«Perché
sono l’unico demone che mangia
i suoi simili, e non esseri umani» gorgheggiò
Deimos. «E perché sverrai tra due
secondi precisi.»
Lastar
non fece in tempo a chiedergli
cosa intendesse: all’improvviso i suoi sensi si oscurarono, e
l’unica cosa di
cui fu cosciente furono le mani del diavolo che si protendevano per
evitare che
battesse la testa contro il suolo.
***
I
demoni avevano un ciclo di vita molto
diverso da quello degli esseri umani.
Per
questo motivo Lastar era passato
attraverso l’adolescenza e la pubertà fino a
diventare un abbozzo di uomo
maturo, mentre Deimos aveva conservato il viso vispo e gioviale del
giorno in
cui l’aveva raccolto nel bosco. Il Principe non era cambiato
minimamente dal
loro primo incontro: pareva sempre un ragazzo sulla soglia
dell’età matura, gli
occhi grandi perennemente sgranati dalla sorpresa e dalla
curiosità.
Ricordava
ancora quando si era
risvegliato nello sproporzionato letto del demone e aveva realizzato di
non
trovarsi più nella parte di mondo riservata agli umani: i
colori, gli odori e
la temperatura non erano adatte al suo fisico, ma erano perfette per
temprare
lo spirito e il corpo degli abitanti di Infera.
Deimos
era apparso al suo fianco
qualche secondo dopo, chiedendogli arzillo come avesse passato la
notte. Lastar
aveva cercato di cavargli gli occhi.
Più
lui si ribellava, più Deimos
sembrava divertito dal suo spirito indomabile.
Per
qualche anno, Lastar aveva cercato
di capire cosa avesse spinto quel demone a strapparlo da morte certa
per
portarlo a Infera, dove ogni giorno aveva rischiato di incorrere
nell’ira di
suo padre per la tutela di quell’umano impuro.
Con
il passare del tempo, Lastar si era
semplicemente rassegnato: Deimos era incomprensibile per sua natura, e
tentare
di capire il motivo delle sue azioni era un’impresa che
oltrepassava
l’impossibile. Lo aveva portato con sé per
capriccio, e per lo stesso vizio
imperscrutabile lo aveva tenuto nascosto agli occhi del genitore. Lo
aveva
istruito a dovere sui luoghi da evitare e sugli orari in cui era
più sicuro
muoversi, e Lastar aveva assorbito quelle informazioni con un cipiglio
scontroso in viso.
Non
aveva abbandonato la sua diffidenza
nei confronti di quell’astruso diavolo nemmeno per un giorno
nei cinque anni in
cui era rimasto sotto le sue cure bislacche. Il viso rotondo si era
asciugato
nell’adolescenza, e gli occhi rossi avevano assunto un taglio
più affilato, che
Deimos non aveva esitato a definire sensuale, appellativo appiccicato
anche al
suo corpo che diventava man mano più muscoloso.
La
cosa che più aveva faticato a
comprendere, in quel periodo, erano le lezioni che Deimos gli impartiva
con
regolarità sulla cultura demoniaca e sulla struttura
gerarchica di Infera,
nonché gli allenamenti cui lo sottoponeva per diventare un
bravo combattente.
Se anni dopo era stato nominato Stella Cardinale dell’Est,
probabilmente doveva
quel riconoscimento alla disciplina con cui Deimos lo aveva forgiagto.
Quando
gli aveva chiesto il motivo,
Deimos si era limitato a rispondere che non voleva persone flaccide
intorno, e
per questo lo costringeva ad allenarsi così duramente.
Lastar sospettava invece
che il diavolo si divertisse a vederlo sudare e arrancare sotto gli
addestramenti che gli imponeva.
E
quando gli aveva domandato la ragione
per cui gli stesse spiegando nel dettaglio le caratteristiche dei suoi
simili,
Deimos aveva replicato che sarebbe stato utile per schivarli, ed
evitare così
il rischio di essere scoperto e cacciato. Gli aveva descritto
più di una volta
i terribili tormenti che avrebbe patito, se si fosse scoperto che un
umano si
era infiltrato ad Infera.
Deimos
si era dimostrato
straordinariamente gentile, per essere un demone: non gli aveva mai
fatto
mancare il cibo, a parte nei giorni in cui la sua anima irrazionale gli
faceva
dimenticare del cucciolo d’uomo che lo attendeva nella sua
stanza. Né aveva mai
saltato i loro allenamenti o le sue lezioni sul mondo di Infera, anche
se non
avevano mai goduto di un orario stabile. Il demone si presentava nella
stanza a
suo piacimento, e non rispondeva mai quando Lastar gli chiedeva cosa
facesse in
giro per tutto quel tempo.
Quella
strana quotidianità di
resistenza dell’umano e sfrontatezza del demone era proceduta
senza grosse
svolte finché Lastar non si era avvicinato alla fine
dell’adolescenza: da quel
momento gli sguardi del diavolo si erano fatti più
insistenti e più ammirati,
e, nonostante gli sforzi titanici di Lastar di dissimulare con gli
occhiali o
con ostinati sguardi al soffitto, la sua attenzione si soffermava con
un
magnetismo del tutto nuovo sulle curve provocanti del Principe.
Deimos
viveva con irriverenza la sua
attrazione per quel giovane, mentre Lastar cercava di reprimerla
adducendo le
mille motivazioni per cui avrebbe dovuto odiare quel demone: faceva
parte della
stirpe di suo padre, lo aveva tenuto segregato in una camera per tutti
quegli
anni, lo aveva torturato con tutte le sue frivolezze. Ma lo aveva anche
protetto dagli altri demoni, lo aveva nutrito e istruito, sebbene con i
suoi
modi bizzarri, e gli aveva dimostrato più affetto della sua
stessa madre. Lui,
perlomeno, era più che felice di guardarlo. Non aveva mai
visto le spalle del
demone.
Era
quasi riuscito a convincersi che il
ritorto affetto che provava per il diavolo fosse una specie di
patologia,
dovuta al fatto di non aver visto altro essere vivente al di fuori di
lui per
cinque anni. Inoltre, era l’unica persona che gli avesse mai
dimostrato
interessamento: la gente al villaggio lo evitava per paura, e sua madre
detestava il ritratto del violentatore che vedeva sul suo viso.
Era
riuscito ad ancorarsi a questa
convinzione, fino al giorno in cui era entrato nel bagno, deciso a
immergersi
nella vasca, e l’aveva trovata occupata dal demone.
Era
trasalito fin quasi toccare il
soffitto con la testa, e aveva cercato di guadagnare la porta, quando
la voce melodiosa
del diavolo lo aveva invitato:
«Puoi
venire anche tu. La vasca è
grande.»
«La
vasca è fatta per essere usata da
una persona per volta.»
«Non
è vero. Nelle Cattedrali ad
oriente è uso comune fare il bagno tutti insieme.»
«Non
siamo in una Cattedrale orientale.»
«Hai
paura di me, Lastar? O hai paura dell’effetto
che potrei avere su di te?»
Il
futuro Esorcista non capì mai cosa
lo avesse spinto ad agire in maniera tanto avventata; qualcosa, nella
voce del
demone, era in grado di risvegliare sezioni della sua anima che lui non
aveva
mai nemmeno supposto di avere. Si era sciolto l’asciugamano
dai fianchi quasi
con sfida, e si era immerso nella vasca di fronte al diavolo, ben
appallottolato su se stesso in modo che il Principe non vedesse troppe
cose.
Il
demone aveva steso le labbra in un
sorriso che non aveva mai visto prima sul suo volto: lo
pungolò dritto al cuore
come un dardo di fuoco, e Lastar strinse più strettamente le
gambe.
«Perché
porti questi occhiali?» flautò
Deimos, indicando le lenti con un dito bagnato.
«Mi
servono.»
«Non
è vero. Hai una vista perfetta. Perciò
dimmi: li usi come maschera?»
«Sono
fatti miei.»
«Ma
certo» Deimos giocò per qualche
istante con l’acqua, poi tornò a fissarlo.
«Hai mai baciato qualcuno?»
Lastar
si ritirò nell’angolo più
lontano della vasca, e quasi strillò:
«Che
razza di domanda è?»
«Non
hai risposto alla prima, così te
ne ho fatta un’altra» minimizzò il
demone.
«Sono
fatti miei!» ribadì il ragazzo,
vagamente isterico.
Deimos
scosse la testa, spargendo
un’impalpabile corolla di gocce tutt’intorno.
«Mi
spiace contraddirti, mio diletto:
sono anche fatti miei. Non ti sei mai chiesto cosa significhi essere il
demone
del Peccato Irrazionale?»
Lastar
fu sul punto di uscire dalla
vasca di slancio, ma gli occhi del Principe lo inchiodarono al suo
posto.
«Lascia
che te lo spieghi, allora. Io
sono nato per portare alla luce tutto ciò che è
nascosto, tutto il marcio che
gli esseri viventi cercano di nascondere nella discarica in fondo
all’anima. La
mia sola presenza fa ribollire quel calderone di marciume, e basta una
mia
parola perché tutti i segreti più vergognosi
vengano svelati.»
Il
ragazzo non riuscì a muoversi di un
millimetro mentre il demone si avvicinava in un lento sciabordio di
onde
profumate. Le sue iridi, la sua voce, perfino la luce riflessa sulla
pelle
bagnata erano corde di seta rossa che si attorcigliavano attorno al
cuore del
giovane e lo avvicinavano irresistibilmente al diavolo.
Lastar
batté la testa contro la sponda
cromata della vasca quando il demone fu così vicino da
sentire il suo respiro
infrangersi contro le proprie guance.
«Quindi
anche la pulsione che stai cercando
disperatamente di nascondere… io la
conosco. Anzi, si potrebbe dire che tu
non la conosceresti, se non te l’avessi infusa io
stesso.»
I
lineamenti del Principe si confusero
davanti ai suoi occhi sbarrati quando il diavolo fu così
vicino che gli sarebbe
bastato sporgere appena le labbra per baciarlo. Una risata beffarda si
sgretolò
sulla sua bocca, e Deimos saltò fuori dalla vasca in un
vortice di spruzzi.
«Sono
spiacente per te, ma non ho
intenzione di alleviare la tua pressione oggi. È troppo
divertente vederti
lottare contro i tuoi bassi istinti.»
Dopo
averlo così canzonato, il demone
sparì al di là della porta del bagno.
La
verità nelle parole del Principe era
scesa come una colata di liquido urticante sul suo stomaco: bruciava, e
il
ragazzo si sforzava di ignorarla, nonostante quella continuasse a
irritargli le
viscere.
Circa
due settimane dopo aveva
restituito quella stessa sensazione al demone, quando il Principe era
stato
costretto a rivelargli il suo vero volto.
Aveva
appena pulito gli occhiali,
quindi riuscì a vedere con spietata chiarezza la scena in
cui inciampò.
Stava
rientrando nella stanza del
demone dopo essersi fatto il bagno e rivestito. Era uno degli orari
sicuri
stabiliti con il Principe, per cui non sospettava minimamente quanto
stava per
succedere.
Aprì
la porta e rimase congelato sulla
soglia.
Deimos
era adagiato sul letto, le
ginocchia divaricate sul materasso e il collo steso
all’indietro. E la bocca di
un altro demone era poggiata sulla pelle liscia della gola.
Lastar
rimase immobile, inorridito,
mentre il suo sguardo saettava dai polsi del Principe, allacciati
dietro la
nuca del suo compagno, alla mano dell’altro diavolo che
afferrava con foga la
carne morbida dell’interno coscia.
Deimos
socchiuse per un attimo gli occhi,
quando il suo occasionale amante scese con la bocca lungo il collo,
allargando
i bottoni della camicia per avere più pelle a disposizione.
E lesse il disgusto
nell’espressione di Lastar.
Sentendolo
irrigidirsi, anche l’altro
diavolo sollevò lo sguardo in direzione della porta e
notò il ragazzo atterrito
sulla soglia. Sibilò qualcosa in lingua demoniaca,
accigliato, e Lastar non
aspettò un secondo di più per dileguarsi.
Fece
appena in tempo ad arrivare in
bagno prima che le sue ginocchia diventassero d’acqua e si
abbattessero sulla
dura pavimentazione. Lastar premette una mano sullo stomaco e una sulla
bocca,
in un disperato tentativo di arginare i conati.
Una
mano insinuante gli scompigliò
gentilmente i capelli, una volta che l’apparato digerente fu
placato.
«Ti
ha tanto sconvolto quello che hai
visto?» la voce di Deimos lo raggiunse dall’alto, e
Lastar allontanò
bruscamente le dita sulla sua testa.
«Se
sei già impegnato, non dovresti
venire a stuzzicare me» abbaiò il giovane.
«Non
sono impegnato. Quello è solo un
mio amante. Uno dei tanti.»
«È
così che vivi? Prendendoti gioco
delle persone?»
La
rabbia gli fece schiumare il sangue
nelle vene, e aveva intenzione di rigettare tutta quell’ira
sulla fonte del suo
disagio: lo aveva illuso facendogli credere di essere speciale, mentre
in
realtà era solo uno dei suoi tanti giocattoli. Era peggiore
perfino della gente
del villaggio: loro erano stati coerenti con il loro disprezzo, mentre
il
demone si era trastullato con i suoi sentimenti, ingannandolo per tutto
quel
tempo.
Le
calunnie evaporarono sulle sue
labbra e la furia si dissolse non appena vide l’espressione
del Principe.
Una
tristezza sorda, inasprita di
rassegnazione, aveva rabbuiato le iridi cremisi e spento la solita
luminosità
insolente del viso.
«Non
ti ho raccontato tutta la verità
sull’essere il Principe del Peccato Irrazionale. Significa
essere stranieri nel
proprio corpo.»
Deimos
incrociò le gambe e ruotò su se
stesso, poggiando una mano sul collo: non voleva che Lastar vedesse il
segno
rosso che il suo amante gli aveva lasciato.
«Posso
prendere delle decisioni, ma so
che non le rispetterò mai. È la mia natura, non
posso ribellarmi. È logico che
una persona compia una scelta e vi sia fedele; e proprio
perché è logico io non
posso farlo. Se prendo una decisione, so che la tradirò,
anche se è l’ultima
cosa che vorrei.»
«Per
esempio?»
«Per
esempio, avevo giurato che tu non
avresti mai visto come induco
tante
persone in tentazione.»
«Ma
sono capitato per caso.»
«Già,
per caso. Esattamente
nell’orario che ti avevo detto di seguire» una
risatina
amara sgorgò dalle labbra del diavolo. «Alcune
volte è frustrante. Ti senti
come se fossi in costante balia di una corrente che ti conduce solo in
porti
sgraditi. Ma è meglio che tu non lo capisca: se arrivassi a
comprendere quella
sensazione, impazziresti. Io no. Io sono strutturato per
questo.»
«Tu
sei già impazzito da tempo.»
Un
fruscio alle sue spalle fu il
segnale che Lastar si era alzato in piedi.
«Hai
molte persone… come quello di
prima?»
«Più
delle stelle che stanno in cielo.
Angeli, demoni e umani.»
«Volevi
che anche io diventassi uno dei
tanti nella tua schiera?»
«Ti
ho salvato perché eri divertente.
Gli umani normali tremano al mio cospetto. Tu invece avevi la forza di
lottare,
anche se eri più fragile del bastone che reggevi in mano.
Inoltre, non hai mai
smesso di odiarmi, almeno un po’. I miei occhi rossi ti
ricordano troppo i tuoi»
Deimos si voltò, tenendo la mano asserragliata sul collo.
«Tu mi piaci, Lastar,
Mi piaci quasi quanto mio fratello.»
Il
ragazzo afferrò il polso affusolato
del demone e lo scostò dal suo collo, rivelando il marchio
irregolare e
sanguigno. Assegnò un’occhiata sprezzante a quel
segno di lussuria e domandò:
«Se
per te non sono come gli altri,
dimostralo. Resta qui, e non tornare da
quell’altro.»
«È
una cosa molto logica, quella che mi
chiedi di fare. È molto probabile che non la
farò» lo schermì Deimos,
allontanandosi con un passo ballerino.
«Lo
so. Ma non riesco a credere che il
Principe dei demoni non sia in grado di scegliere nemmeno una
volta.»
La
spina dorsale di Deimos si snodò in
mille angolazioni diverse quando il diavolo eruppe in una risata senza
ritegno.
«Punti
all’orgoglio» si sbellicò.
«La
colonna portante dell’anima dei
demoni è la fierezza, e farebbero di tutto per preservarla
intatta. È stata una
delle tue prime lezioni» snocciolò Lastar.
«Che
hai incamerato bene» le unghie
nere del diavolo si inseguirono sulla spalla del giovane e poi sul
collo, fino
a pizzicargli il mento. «Allora saprai anche che non puoi
trattenere un demone
senza un valido motivo.»
Anche
quella volta, Lastar non pensò:
la presenza del diavolo annullava ogni traccia di
razionalità nella sua mente.
I
lembi aperti della camicia invitarono
le sue mani ad insinuarvisi all’interno, scivolando sulla
schiena nuda del
demone. Le dita si sorpresero per la morbidezza della pelle del
Principe, così
inusuale per un maschio di Infera; anche quell’epidermide
levigata era
accuratamente studiata per indurre il prossimo ad indugiare su di essa
e sui peccati
che dischiudeva.
Deimos
non si fece scrupoli e rise di
nuovo quando il ragazzo non riuscì a fare altro che
abbracciarlo. Sentiva
quelle mani inesperte tremare appena sulla sua schiena, contraddicendo
l’apparente inflessibilità
dell’espressione del giovane.
«Si
vede che sei uno che non ha mai
nemmeno baciato qualcuno» lo prese in giro.
Lastar
non ebbe modo di replicare a
quell’illazione e nemmeno alla successiva mossa del demone:
gli occhiali
vennero divelti dal loro posto e scaraventati a terra, una mano lo
afferrò per
la nuca e lo abbassò verso il diavolo. La lingua del
Principe guizzò tra le sue
labbra prima ancora che lui riuscisse a capire cosa fosse successo.
«Dovrai
andartene» lo avvertì Deimos,
temporeggiando sulla sua bocca. «Sei stato visto da un
demone. È pericoloso che
tu resti.»
Si
scostò da lui ghignando: la notizia
e il bacio improvviso avevano trasecolato il ragazzo, lasciando
spalancati i
suoi occhi scarlatti, che Deimos trovava semplicemente splendidi.
«E
dove?» riuscì a comporre quando lo
stupore si fu in parte dissolto.
Deimos
osservò fuori dalla finestra che
si apriva ad est.
«La
Cattedrale più vicina al confine
con Infera è la Cattedrale di Elohim. Ti
accompagnerò fino al fiume, e poi dovrai
fare affidamento solo su te stesso» annunciò. Il
Principe si sollevò sulle
punte dei piedi e gli arruffò la chioma amaranto.
«Non fare quella faccia
disperata. Tornerò a trovarti.»
«E
come farai a sapere dove trovarmi?»
volle sapere Lastar.
Un
ghigno malvagio distorse il viso del
diavolo.
«Potrei
metterti il mio marchio.
Ricordi, quello che noi demoni usiamo per marcare le nostre prede o i
nostri
preferiti?»
I
diavoli possedevano un marchio
personale, che si formava sulla pelle della vittima o del prescelto
insinuando
un pungiglione della loro aura oscura nella pelle: quello era uno degli
ultimi
insegnamenti del Principe.
«Ma
dovremmo lottare» obiettò Lastar.
«Questo
se tu fossi un mio avversario,
o una preda che voglio mangiare. Ma…» Deimos si
divertì immensamente nel vedere
la tonalità di rosso raggiunta dalle guance del giovane.
«Non se io volessi
mangiarti in un altro senso.»
«È
un ragionamento piuttosto logico,
quello che stai facendo.»
«Un
Principe deve essere in grado di
scegliere, almeno una volta.»
Non
ricordava con precisione come avessero
raggiunto la camera. Ricordava solo le dita del diavolo strette attorno
al suo
polso che lo guidavano nella stanza, che poi erano salite ad
accarezzargli il
volto.
Non
voleva essere famelico come il
demone che aveva visto prima, per cui spogliò lentamente il
Principe di fronte
a lui. Rimase incantato dal fisico che emergeva dagli stracci colorati
e dai
vestiti, perfetto come se una mano attenta avesse scolpito ogni singolo
muscolo, ogni ricciolo della chioma indomita. Deimos non ebbe la stessa
premura,
e gli abiti del ragazzo furono rapidi a raggiungere il pavimento.
Lastar
si trovò di nuovo sospeso in
quella condizione acquosa in cui annegava in presenza del demone: la
sua testa
diventava inconsistente e sfuggente come una medusa, e tutto
ciò che restava
era istinto.
Non
era mai più riuscito a vivere le
emozioni di quella notte: aveva provato, qualche anno dopo, con una
ragazza
della Cattedrale che lo aveva corteggiato con encomiabile insistenza,
ma
l’esperienza lo aveva lasciato profondamente deluso. Le
sensazioni scialbe di
quella notte non erano paragonabili alla meraviglia nello scoprire il
corpo
sensuale del demone, l’agitazione nel farsi condurre lungo
quel sentiero
sconosciuto, l’emozione travolgente scaturita
dall’unione con il diavolo.
Gli
occhi scarlatti si illanguidirono
nel contatto con i gemelli, le braccia del demone lo guidarono nei
movimenti,
così come le gambe morbide, che risalirono il bacino fino ad
allacciarsi
attorno alla vita. Le mani del diavolo scesero a premergli sulle anche
per
incitarlo a portarsi dentro di lui.
Le
membra di Lastar tremarono
violentemente quando il corpo di Deimos si inarcò sotto il
suo alla prima
spinta. Le mani del demone lo condussero in quelle movenze per lui del
tutto
nuove, le iridi purpuree lo avvinghiarono più saldamente al
Principe e i suoi
gemiti arrivarono a intossicargli il cuore.
Dubitava
che per Deimos l’esperienza
fosse stata straordinaria come per lui: aveva avuto più di
mille amanti,
certamente più esperti di un ragazzino umano. Ma aveva
sorriso genuinamente
soddisfatto quando Lastar si era adagiato su di lui, ansante.
«Considerando
che questa era la tua
prima volta, non sei andato male.» cinguettò,
carezzandogli i capelli sudati.
Un
bruciore lancinante all’anca
sinistra dirottò gli occhi di Lastar dal viso del compagno
al suo osso pelvico.
Un’ombra nera e fumante si stava ritorcendo sulla sua pelle,
assumendo man mano
la forma dello stemma reale.
«Domani
il marchio sarà ultimato»
bisbigliò Deimos nel suo orecchio. «E io
potrò ritrovarti ovunque andrai.»
Sapeva
che era una completa follia:
aveva giaciuto con un demone, e ora portava il suo stemma. Ma non
riusciva a
pentirsene, e non riusciva a capire se quella scelleratezza partisse da
lui
stesso o se gliela avesse iniettata quell’inafferrabile
diavolo.
Accantonò
qualunque pensiero quando si
chinò sul Principe per essere lui, quella volta, a baciarlo
per primo.
***
Deimos
allungò le gambe verso l’alto,
sgranchendo muscoli e ossa insieme.
Ripensava
alla sera prima, quando era
andato a trovare Lastar alla Cattedrale, e alle parole di Astaroth.
Il
demone dell’accidia gli aveva
consigliato di non unirsi all’ibrido, e si era sorpreso della
sua volontà di
proteggerlo anche se non era stato marchiato.
Sorrise
amaramente.
C’erano
molte cose che Astaroth non
sapeva.
Ad
esempio, che lui e Lastar erano già
giaciuti insieme una volta. Tuttavia, Lastar all’epoca era
talmente giovane e
influenzabile che probabilmente aveva ceduto solo perché non
aveva ancora
sviluppato le barriere necessarie a difendersi dal magnetismo del
Principe.
Ecco perché era così difficile sedurlo ora che
era più maturo e addestrato a
resistere ai demoni.
Inoltre,
il Re del Terrore non sapeva
che Lastar era stato marchiato.
Per
un certo periodo, almeno. Fino a
che suo fratello, Lazard, non aveva brutalmente rimosso lo stemma reale
dalla
pelle del giovane.
Scusate
il ritardo, ma i preparativi e la partenza per il Giappone mi hanno
tenuta
lontana dal pc ç_ç
Questo capitolo è postato dall’arcipelago
nipponico, quindi ad un orario
improponibile in Italia XD
Anyway,
che dire del capitolo… non avevo previsto questo scorcio di
passato, ma poi le
scene si sono susseguite e ho deciso di assecondarle XD
Piccolo
avviso: è probabile che d’ora in poi i capitoli si
faranno più corti. Motivo:
lo studio in Giappone è molto impegnativo, e non sempre
abbiamo tempo di
rimanere al computer. Per cui, per evitare di farvi aspettare eoni
geologici
per un aggiornamento, posterò capitoli più
brevi<3 Al mio ritorno in Italia,
probabilmente torneranno ad allungarsi XD
Ancora
una volta, grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui a
leggere<3
*bows*
Red
Per i dati tecnici (schede dei personaggi, genealogia demoniaca, genealogia angelica ecc.), consultate il Commentario.
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