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Autore: HamletRedDiablo    06/04/2013    1 recensioni
Un mondo dove gli esseri umani vivono arroccati nelle Cattedrali, sotto la protezione degli Esorcisti e la minaccia congiunta di angeli e demoni. Un legame che non sarebbe mai dovuto nascere, tra due uomini che non si sarebbero mai dovuti amare.
Dal primo capitolo:
Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
[...]
«Deimos, tu mi ami, non è così?»
(Storia MOMENTANEAMENTE INTERROTTA, in fase di REVISIONE. Mi scuso per il disagio, l'Esorcista e il demone torneranno quanto prima su questi schermi)
Genere: Erotico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Cinque

Frammenti di passato

 

La fronte appoggiata alle mani congiunte, la frangia scarlatta che pizzicava le nocche; le ginocchia puntate allo scalino di legno, le palpebre abbassate sugli occhi sacrileghi, la bocca cucita in un’espressione seria.

In quella posa assorta, le candele che spandevano un soffuso chiarore sulla sua testa china, la tanto dibattuta Stella Cardinale dell’Est pareva un arazzo sacro, dispiegato nell’aria polverosa dell’Ottava Cappella.

Drew si sedette al suo fianco, abbastanza rumorosamente da annunciare la propria presenza e con sufficiente eleganza da non distoglierlo troppo dalle sue meditazioni.

Lastar restò immobile qualche istante, poi scostò la fronte dalle mani, inforcò gli occhiali e si rizzò a sedere sulla panca di noce.

«Credevo che nessuno fosse alzato, a quest’ora. Perfino il sole deve ancora svegliarsi» considerò, neutro.

«Non c’è riposo per le anime in pena come noi» replicò Drew. Le ombre sotto gli occhi dell’Esorcista non erano state scurite solo dal sonno scarso e agitato che aveva seguito l’attacco degli Assistenti di Astaroth; un’ansia nascosta stava divorando dall’interno il giovane, scolorendogli le guance e contraendogli i muscoli. Non era stato difficile capirlo: la medesima angoscia le rosicchiava le viscere da quando Astaroth le aveva proposto il suo diabolico scambio.

Drew stese le gambe fasciate dai pantaloni color bronzo, dando sollievo alle ginocchia affaticate. La tunica arancione si spiegò triste sulle forme quasi assenti mentre la giovane incrociava le braccia dietro la testa.

«Sei venuto per chiedere alle divinità di alleviare le tue pene?» domandò, con un’eco di canzonatura nella voce.

La risposta di Lastar polverizzò qualunque altro tentativo di scherno.

«Non esistono gli dei. E, se esistono, hanno trovato un mondo più interessante a cui rivolgere le loro premure. Ecco perché non guardano mai questo posto disgraziato: è caduto in rovina, e loro hanno preferito cercare qualcosa di più bello anziché migliorare la nostra terra. Come un bambino che rompe un giocattolo e ne cerca uno più nuovo per rimpiazzarlo» aprì gli occhi, affilati come rasoi di rubino. «Gli dei sono creature troppo infantili per farvi affidamento.»

«Ma se non cerchi il loro appoggio, perché sei venuto in cappella a quest’ora?» domandò Drew, la voce vellutata per non infastidire l’Esorcista.

«Avevo bisogno di parlare con qualcuno di più affidabile degli dei.»

«E con chi?»

«Me stesso» Lastar inspirò a fondo, piegando la testa sul proprio petto. «Vengo in cappella a quest’ora solo per il silenzio.»

Drew annuì, lisciando le nappe della sua pellegrina. Si era recata in quel luogo per lo stesso motivo: gli dei non avrebbero risolto il problema che le aveva posto il demone. Doveva escogitare una soluzione da sola, e per farlo aveva bisogno della concentrazione che solo un luogo solitario poteva offrirle.

«Hai qualche problema che ti rode?» chiese, picchiettando il pavimento con il tacchetto dello stivale: il colpo secco si infranse nell’aria immobile della cappella.

«Ho commesso un peccato» sillabò Lastar.

Il tacco della giovane si arrestò.

«Io commetterò un peccato. Ma non so ancora di che genere» soffiò mesta Drew. Abbandonare suo fratello a un demone o condannare l’intera Cattedrale; qualunque fosse stata la sua decisione, la sua anima sarebbe stata scagliata direttamente a Infera.

«Siamo simili in modo inquietante» notò atono Lastar.

«È per questo che funzioniamo così bene come squadra» minimizzò Drew con un’alzata di spalle. «Dimmi, che genere di peccato ti tormenta?»

«Esattamente il tipo che ho intenzione di commettere» ammise l’Esorcista, dopo qualche attimo di profondo silenzio.

Drew scosse la testa, rimuginando:

«Quelli sono i peggiori. Bussano insistentemente alla tua porta finché non sei praticamente costretto ad aprire.»

Lastar annuì con vigoroso trasporto: nessuna descrizione poteva essere più azzeccata per circoscrivere Deimos.

«Qual è il genere del tuo peccato, invece?»

«Esattamente il tipo che non voglio commettere» sospirò istantaneamente Drew, incrociando i piedi sul braccio dell’inginocchiatoio. «Tu crederesti in me, Lastar?» le gambe tornarono in una dignitosa posa seduta, mentre gli occhi di un castano cupo scrutavano l’espressione dell’altro. «Anche se dovessi commettere un peccato orribile?»

Lastar si rialzò dalla panca e sentenziò, con voce salda:

«Combatterò con te, Drew. Se non tradirai i nostri Principi.»

La ragazza sorrise, ricordando i Principi che lei, il fratello e Lastar avevano stilato insieme tanti anni prima, all’epoca del loro primo incontro.

«Non lo farò» dichiarò alla schiena dell’Esorcista che si allontanava.

Lastar attese di essere uscito e di essere abbastanza lontano dalla cappella per permettere alle sue gambe di cedere. Si aggrappò alla balaustra di pietra, i bottoni vermigli della divisa che stridevano contro il parapetto marmoreo, e una mano corse ad allentare il colletto attorno alla gola.

La bocca dischiusa in cerca di aria, il respiro che scalciava nei polmoni, le dita tremanti: si sentiva come un intossicato, e la sua droga possedeva un nome e un paio di occhi rubino.

Lastar, se ti chiedessi di dividere il letto con me, per questa notte… che cosa risponderesti?

L’Esorcista tolse gli occhiali e chiuse le palpebre, gli spettri della sera prima che si rincorrevano nella sua mente agitata.

Deimos gli aveva avvelenato l’anima, e allo stesso tempo era l’unico antidoto efficace contro quelle tossine diaboliche.

E quel veleno colava dentro di lui da anni…

 

***

 

«Sei morto?»

Non aveva trovato nemmeno un ruscello da quando aveva abbandonato il suo villaggio e sua madre. Erano ormai tre giorni che vagava nel bosco, e il suo unico pasto era stato un coniglio abbastanza stupido da cadere nella trappola che aveva teso tra i cespugli.

Aveva ceduto alla stanchezza quando il sole aveva raggiunto lo zenit: mentre l’astro del giorno ascendeva, lui era crollato a terra, le labbra disidratate e il bastone che aveva usato per difendersi dalle belve abbandonato di fianco a lui.

Il demone era comparso non appena il cielo era diventato del colore dei suoi occhi malefici, e si era fermato a guardarlo con curiosità sardonica.

Lastar aveva aperto la bocca per rispondere, ma dalla sua gola era uscito solo un rantolo metallico.

Il diavolo si era inginocchiato di fianco a lui, un ghigno che si stendeva da un orecchio all’altro.

«Non sei morto, ma non manca molto» ridacchiò.

Sollevò un indice e cominciò a stuzzicargli la guancia con l’unghia nera. L’istinto di sopravvivenza di Lastar ebbe un guizzo improvviso, così come la sua mano, che corse veloce ad afferrare il bastone. La punta del faggio sfrecciò vicino al viso del demone, che fu lesto a spostarsi di lato per evitare di essere colpito.

Il diavolo si rovesciò in piedi con una capriola, e osservò piacevolmente incuriosito quel mucchietto d’ossa, che respirava come se una manciata di ghiaia gli fosse rimasta incastrata in gola e che brandiva un bastone striminzito contro di lui, il demone che con un solo colpo di mano poteva rovesciare un intero esercito.

Un diavolo normale avrebbe trovato patetica quella scena, e vi avrebbe posto fine divorando l’anima del piccoletto. Ma Deimos esisteva per il solo scopo di stravolgere le convinzioni altrui.

«Sei carino» cinguettò infatti, incrociando le braccia dietro la schiena come prova di non aggressione.

Lastar produsse uno strano ringhio, mentre il bastone ballava nelle mani indebolite.

«Non sai chi sono io? Non hai paura?»

«Sei un demone. Ed è per colpa di uno della tua razza se ho questi occhi rossi» Lastar compose quella replica ansando tra una parola e l’altra come un cavallo che ha corso troppe miglia.

Deimos inclinò la testa di lato, i riccioli corvini e rossi che solleticavano la spalla.

«Sei un mezzosangue» constatò, gustando ogni sillaba come un nettare squisito.

Le ginocchia cedettero, nonostante gli sforzi di Lastar: si ritrovò bocconi al suolo, ma non abbandonò il bastone, che agitò in direzione del demone.

«Stai lontano!» ragliò.

«Quanto fuoco!» rise di gusto il diavolo, saltellando al suo fianco. «Frena le tue fiamme, umano, non sono qui per mangiarti. E, se tu conoscessi il mio nome, capiresti perché.»

Il demone allargò i bordi del suo mantello in un’elegante piroetta, che concluse con un inchino aggraziato.

«Io sono Deimos, secondogenito di Lucifero. Sono conosciuto come il Principe dell’Irrazionale. E, se non ti affidi a me, temo che la tua permanenza in questo mondo sarà molto breve» aggiunse, inspiegabilmente divertito da quella prospettiva, portandosi un indice sulle labbra carnose.

«Perché dovrei fidarmi di uno della tua razza?» rantolò Lastar, esausto.

«Perché sono l’unico demone che mangia i suoi simili, e non esseri umani» gorgheggiò Deimos. «E perché sverrai tra due secondi precisi.»

Lastar non fece in tempo a chiedergli cosa intendesse: all’improvviso i suoi sensi si oscurarono, e l’unica cosa di cui fu cosciente furono le mani del diavolo che si protendevano per evitare che battesse la testa contro il suolo.

 

***

 

I demoni avevano un ciclo di vita molto diverso da quello degli esseri umani.

Per questo motivo Lastar era passato attraverso l’adolescenza e la pubertà fino a diventare un abbozzo di uomo maturo, mentre Deimos aveva conservato il viso vispo e gioviale del giorno in cui l’aveva raccolto nel bosco. Il Principe non era cambiato minimamente dal loro primo incontro: pareva sempre un ragazzo sulla soglia dell’età matura, gli occhi grandi perennemente sgranati dalla sorpresa e dalla curiosità.

Ricordava ancora quando si era risvegliato nello sproporzionato letto del demone e aveva realizzato di non trovarsi più nella parte di mondo riservata agli umani: i colori, gli odori e la temperatura non erano adatte al suo fisico, ma erano perfette per temprare lo spirito e il corpo degli abitanti di Infera.

Deimos era apparso al suo fianco qualche secondo dopo, chiedendogli arzillo come avesse passato la notte. Lastar aveva cercato di cavargli gli occhi.

Più lui si ribellava, più Deimos sembrava divertito dal suo spirito indomabile.

Per qualche anno, Lastar aveva cercato di capire cosa avesse spinto quel demone a strapparlo da morte certa per portarlo a Infera, dove ogni giorno aveva rischiato di incorrere nell’ira di suo padre per la tutela di quell’umano impuro.

Con il passare del tempo, Lastar si era semplicemente rassegnato: Deimos era incomprensibile per sua natura, e tentare di capire il motivo delle sue azioni era un’impresa che oltrepassava l’impossibile. Lo aveva portato con sé per capriccio, e per lo stesso vizio imperscrutabile lo aveva tenuto nascosto agli occhi del genitore. Lo aveva istruito a dovere sui luoghi da evitare e sugli orari in cui era più sicuro muoversi, e Lastar aveva assorbito quelle informazioni con un cipiglio scontroso in viso.

Non aveva abbandonato la sua diffidenza nei confronti di quell’astruso diavolo nemmeno per un giorno nei cinque anni in cui era rimasto sotto le sue cure bislacche. Il viso rotondo si era asciugato nell’adolescenza, e gli occhi rossi avevano assunto un taglio più affilato, che Deimos non aveva esitato a definire sensuale, appellativo appiccicato anche al suo corpo che diventava man mano più muscoloso.

La cosa che più aveva faticato a comprendere, in quel periodo, erano le lezioni che Deimos gli impartiva con regolarità sulla cultura demoniaca e sulla struttura gerarchica di Infera, nonché gli allenamenti cui lo sottoponeva per diventare un bravo combattente. Se anni dopo era stato nominato Stella Cardinale dell’Est, probabilmente doveva quel riconoscimento alla disciplina con cui Deimos lo aveva forgiagto.

Quando gli aveva chiesto il motivo, Deimos si era limitato a rispondere che non voleva persone flaccide intorno, e per questo lo costringeva ad allenarsi così duramente. Lastar sospettava invece che il diavolo si divertisse a vederlo sudare e arrancare sotto gli addestramenti che gli imponeva.

E quando gli aveva domandato la ragione per cui gli stesse spiegando nel dettaglio le caratteristiche dei suoi simili, Deimos aveva replicato che sarebbe stato utile per schivarli, ed evitare così il rischio di essere scoperto e cacciato. Gli aveva descritto più di una volta i terribili tormenti che avrebbe patito, se si fosse scoperto che un umano si era infiltrato ad Infera.

Deimos si era dimostrato straordinariamente gentile, per essere un demone: non gli aveva mai fatto mancare il cibo, a parte nei giorni in cui la sua anima irrazionale gli faceva dimenticare del cucciolo d’uomo che lo attendeva nella sua stanza. Né aveva mai saltato i loro allenamenti o le sue lezioni sul mondo di Infera, anche se non avevano mai goduto di un orario stabile. Il demone si presentava nella stanza a suo piacimento, e non rispondeva mai quando Lastar gli chiedeva cosa facesse in giro per tutto quel tempo.

Quella strana quotidianità di resistenza dell’umano e sfrontatezza del demone era proceduta senza grosse svolte finché Lastar non si era avvicinato alla fine dell’adolescenza: da quel momento gli sguardi del diavolo si erano fatti più insistenti e più ammirati, e, nonostante gli sforzi titanici di Lastar di dissimulare con gli occhiali o con ostinati sguardi al soffitto, la sua attenzione si soffermava con un magnetismo del tutto nuovo sulle curve provocanti del Principe.

Deimos viveva con irriverenza la sua attrazione per quel giovane, mentre Lastar cercava di reprimerla adducendo le mille motivazioni per cui avrebbe dovuto odiare quel demone: faceva parte della stirpe di suo padre, lo aveva tenuto segregato in una camera per tutti quegli anni, lo aveva torturato con tutte le sue frivolezze. Ma lo aveva anche protetto dagli altri demoni, lo aveva nutrito e istruito, sebbene con i suoi modi bizzarri, e gli aveva dimostrato più affetto della sua stessa madre. Lui, perlomeno, era più che felice di guardarlo. Non aveva mai visto le spalle del demone.

Era quasi riuscito a convincersi che il ritorto affetto che provava per il diavolo fosse una specie di patologia, dovuta al fatto di non aver visto altro essere vivente al di fuori di lui per cinque anni. Inoltre, era l’unica persona che gli avesse mai dimostrato interessamento: la gente al villaggio lo evitava per paura, e sua madre detestava il ritratto del violentatore che vedeva sul suo viso.

Era riuscito ad ancorarsi a questa convinzione, fino al giorno in cui era entrato nel bagno, deciso a immergersi nella vasca, e l’aveva trovata occupata dal demone.

Era trasalito fin quasi toccare il soffitto con la testa, e aveva cercato di guadagnare la porta, quando la voce melodiosa del diavolo lo aveva invitato:

«Puoi venire anche tu. La vasca è grande.»

«La vasca è fatta per essere usata da una persona per volta.»

«Non è vero. Nelle Cattedrali ad oriente è uso comune fare il bagno tutti insieme.»

«Non siamo in una Cattedrale orientale.»

«Hai paura di me, Lastar? O hai paura dell’effetto che potrei avere su di te

Il futuro Esorcista non capì mai cosa lo avesse spinto ad agire in maniera tanto avventata; qualcosa, nella voce del demone, era in grado di risvegliare sezioni della sua anima che lui non aveva mai nemmeno supposto di avere. Si era sciolto l’asciugamano dai fianchi quasi con sfida, e si era immerso nella vasca di fronte al diavolo, ben appallottolato su se stesso in modo che il Principe non vedesse troppe cose.

Il demone aveva steso le labbra in un sorriso che non aveva mai visto prima sul suo volto: lo pungolò dritto al cuore come un dardo di fuoco, e Lastar strinse più strettamente le gambe.

«Perché porti questi occhiali?» flautò Deimos, indicando le lenti con un dito bagnato.

«Mi servono.»

«Non è vero. Hai una vista perfetta. Perciò dimmi: li usi come maschera?»

«Sono fatti miei.»

«Ma certo» Deimos giocò per qualche istante con l’acqua, poi tornò a fissarlo. «Hai mai baciato qualcuno?»

Lastar si ritirò nell’angolo più lontano della vasca, e quasi strillò:

«Che razza di domanda è?»

«Non hai risposto alla prima, così te ne ho fatta un’altra» minimizzò il demone.

«Sono fatti miei!» ribadì il ragazzo, vagamente isterico.

Deimos scosse la testa, spargendo un’impalpabile corolla di gocce tutt’intorno.

«Mi spiace contraddirti, mio diletto: sono anche fatti miei. Non ti sei mai chiesto cosa significhi essere il demone del Peccato Irrazionale?»

Lastar fu sul punto di uscire dalla vasca di slancio, ma gli occhi del Principe lo inchiodarono al suo posto.

«Lascia che te lo spieghi, allora. Io sono nato per portare alla luce tutto ciò che è nascosto, tutto il marcio che gli esseri viventi cercano di nascondere nella discarica in fondo all’anima. La mia sola presenza fa ribollire quel calderone di marciume, e basta una mia parola perché tutti i segreti più vergognosi vengano svelati.»

Il ragazzo non riuscì a muoversi di un millimetro mentre il demone si avvicinava in un lento sciabordio di onde profumate. Le sue iridi, la sua voce, perfino la luce riflessa sulla pelle bagnata erano corde di seta rossa che si attorcigliavano attorno al cuore del giovane e lo avvicinavano irresistibilmente al diavolo.

Lastar batté la testa contro la sponda cromata della vasca quando il demone fu così vicino da sentire il suo respiro infrangersi contro le proprie guance.

«Quindi anche la pulsione che stai cercando disperatamente di nascondere… io la conosco. Anzi, si potrebbe dire che tu non la conosceresti, se non te l’avessi infusa io stesso.»

I lineamenti del Principe si confusero davanti ai suoi occhi sbarrati quando il diavolo fu così vicino che gli sarebbe bastato sporgere appena le labbra per baciarlo. Una risata beffarda si sgretolò sulla sua bocca, e Deimos saltò fuori dalla vasca in un vortice di spruzzi.

«Sono spiacente per te, ma non ho intenzione di alleviare la tua pressione oggi. È troppo divertente vederti lottare contro i tuoi bassi istinti

Dopo averlo così canzonato, il demone sparì al di là della porta del bagno.

La verità nelle parole del Principe era scesa come una colata di liquido urticante sul suo stomaco: bruciava, e il ragazzo si sforzava di ignorarla, nonostante quella continuasse a irritargli le viscere.

Circa due settimane dopo aveva restituito quella stessa sensazione al demone, quando il Principe era stato costretto a rivelargli il suo vero volto.

Aveva appena pulito gli occhiali, quindi riuscì a vedere con spietata chiarezza la scena in cui inciampò.

Stava rientrando nella stanza del demone dopo essersi fatto il bagno e rivestito. Era uno degli orari sicuri stabiliti con il Principe, per cui non sospettava minimamente quanto stava per succedere.

Aprì la porta e rimase congelato sulla soglia.

Deimos era adagiato sul letto, le ginocchia divaricate sul materasso e il collo steso all’indietro. E la bocca di un altro demone era poggiata sulla pelle liscia della gola.

Lastar rimase immobile, inorridito, mentre il suo sguardo saettava dai polsi del Principe, allacciati dietro la nuca del suo compagno, alla mano dell’altro diavolo che afferrava con foga la carne morbida dell’interno coscia.

Deimos socchiuse per un attimo gli occhi, quando il suo occasionale amante scese con la bocca lungo il collo, allargando i bottoni della camicia per avere più pelle a disposizione. E lesse il disgusto nell’espressione di Lastar.

Sentendolo irrigidirsi, anche l’altro diavolo sollevò lo sguardo in direzione della porta e notò il ragazzo atterrito sulla soglia. Sibilò qualcosa in lingua demoniaca, accigliato, e Lastar non aspettò un secondo di più per dileguarsi.

Fece appena in tempo ad arrivare in bagno prima che le sue ginocchia diventassero d’acqua e si abbattessero sulla dura pavimentazione. Lastar premette una mano sullo stomaco e una sulla bocca, in un disperato tentativo di arginare i conati.

Una mano insinuante gli scompigliò gentilmente i capelli, una volta che l’apparato digerente fu placato.

«Ti ha tanto sconvolto quello che hai visto?» la voce di Deimos lo raggiunse dall’alto, e Lastar allontanò bruscamente le dita sulla sua testa.

«Se sei già impegnato, non dovresti venire a stuzzicare me» abbaiò il giovane.

«Non sono impegnato. Quello è solo un mio amante. Uno dei tanti.»

«È così che vivi? Prendendoti gioco delle persone?»

La rabbia gli fece schiumare il sangue nelle vene, e aveva intenzione di rigettare tutta quell’ira sulla fonte del suo disagio: lo aveva illuso facendogli credere di essere speciale, mentre in realtà era solo uno dei suoi tanti giocattoli. Era peggiore perfino della gente del villaggio: loro erano stati coerenti con il loro disprezzo, mentre il demone si era trastullato con i suoi sentimenti, ingannandolo per tutto quel tempo.

Le calunnie evaporarono sulle sue labbra e la furia si dissolse non appena vide l’espressione del Principe.

Una tristezza sorda, inasprita di rassegnazione, aveva rabbuiato le iridi cremisi e spento la solita luminosità insolente del viso.

«Non ti ho raccontato tutta la verità sull’essere il Principe del Peccato Irrazionale. Significa essere stranieri nel proprio corpo.»

Deimos incrociò le gambe e ruotò su se stesso, poggiando una mano sul collo: non voleva che Lastar vedesse il segno rosso che il suo amante gli aveva lasciato.

«Posso prendere delle decisioni, ma so che non le rispetterò mai. È la mia natura, non posso ribellarmi. È logico che una persona compia una scelta e vi sia fedele; e proprio perché è logico io non posso farlo. Se prendo una decisione, so che la tradirò, anche se è l’ultima cosa che vorrei.»

«Per esempio?»

«Per esempio, avevo giurato che tu non avresti mai visto come induco tante persone in tentazione.»

«Ma sono capitato per caso.»

«Già, per caso. Esattamente nell’orario che ti avevo detto di seguire» una risatina amara sgorgò dalle labbra del diavolo. «Alcune volte è frustrante. Ti senti come se fossi in costante balia di una corrente che ti conduce solo in porti sgraditi. Ma è meglio che tu non lo capisca: se arrivassi a comprendere quella sensazione, impazziresti. Io no. Io sono strutturato per questo.»

«Tu sei già impazzito da tempo.»

Un fruscio alle sue spalle fu il segnale che Lastar si era alzato in piedi.

«Hai molte persone… come quello di prima?»

«Più delle stelle che stanno in cielo. Angeli, demoni e umani.»

«Volevi che anche io diventassi uno dei tanti nella tua schiera?»

«Ti ho salvato perché eri divertente. Gli umani normali tremano al mio cospetto. Tu invece avevi la forza di lottare, anche se eri più fragile del bastone che reggevi in mano. Inoltre, non hai mai smesso di odiarmi, almeno un po’. I miei occhi rossi ti ricordano troppo i tuoi» Deimos si voltò, tenendo la mano asserragliata sul collo. «Tu mi piaci, Lastar, Mi piaci quasi quanto mio fratello.»

Il ragazzo afferrò il polso affusolato del demone e lo scostò dal suo collo, rivelando il marchio irregolare e sanguigno. Assegnò un’occhiata sprezzante a quel segno di lussuria e domandò:

«Se per te non sono come gli altri, dimostralo. Resta qui, e non tornare da quell’altro.»

«È una cosa molto logica, quella che mi chiedi di fare. È molto probabile che non la farò» lo schermì Deimos, allontanandosi con un passo ballerino.

«Lo so. Ma non riesco a credere che il Principe dei demoni non sia in grado di scegliere nemmeno una volta.»

La spina dorsale di Deimos si snodò in mille angolazioni diverse quando il diavolo eruppe in una risata senza ritegno.

«Punti all’orgoglio» si sbellicò.

«La colonna portante dell’anima dei demoni è la fierezza, e farebbero di tutto per preservarla intatta. È stata una delle tue prime lezioni» snocciolò Lastar.

«Che hai incamerato bene» le unghie nere del diavolo si inseguirono sulla spalla del giovane e poi sul collo, fino a pizzicargli il mento. «Allora saprai anche che non puoi trattenere un demone senza un valido motivo.»

Anche quella volta, Lastar non pensò: la presenza del diavolo annullava ogni traccia di razionalità nella sua mente.

I lembi aperti della camicia invitarono le sue mani ad insinuarvisi all’interno, scivolando sulla schiena nuda del demone. Le dita si sorpresero per la morbidezza della pelle del Principe, così inusuale per un maschio di Infera; anche quell’epidermide levigata era accuratamente studiata per indurre il prossimo ad indugiare su di essa e sui peccati che dischiudeva.

Deimos non si fece scrupoli e rise di nuovo quando il ragazzo non riuscì a fare altro che abbracciarlo. Sentiva quelle mani inesperte tremare appena sulla sua schiena, contraddicendo l’apparente inflessibilità dell’espressione del giovane.

«Si vede che sei uno che non ha mai nemmeno baciato qualcuno» lo prese in giro.

Lastar non ebbe modo di replicare a quell’illazione e nemmeno alla successiva mossa del demone: gli occhiali vennero divelti dal loro posto e scaraventati a terra, una mano lo afferrò per la nuca e lo abbassò verso il diavolo. La lingua del Principe guizzò tra le sue labbra prima ancora che lui riuscisse a capire cosa fosse successo.

«Dovrai andartene» lo avvertì Deimos, temporeggiando sulla sua bocca. «Sei stato visto da un demone. È pericoloso che tu resti.»

Si scostò da lui ghignando: la notizia e il bacio improvviso avevano trasecolato il ragazzo, lasciando spalancati i suoi occhi scarlatti, che Deimos trovava semplicemente splendidi.

«E dove?» riuscì a comporre quando lo stupore si fu in parte dissolto.

Deimos osservò fuori dalla finestra che si apriva ad est.

«La Cattedrale più vicina al confine con Infera è la Cattedrale di Elohim. Ti accompagnerò fino al fiume, e poi dovrai fare affidamento solo su te stesso» annunciò. Il Principe si sollevò sulle punte dei piedi e gli arruffò la chioma amaranto. «Non fare quella faccia disperata. Tornerò a trovarti.»

«E come farai a sapere dove trovarmi?» volle sapere Lastar.

Un ghigno malvagio distorse il viso del diavolo.

«Potrei metterti il mio marchio. Ricordi, quello che noi demoni usiamo per marcare le nostre prede o i nostri preferiti?»

I diavoli possedevano un marchio personale, che si formava sulla pelle della vittima o del prescelto insinuando un pungiglione della loro aura oscura nella pelle: quello era uno degli ultimi insegnamenti del Principe.

«Ma dovremmo lottare» obiettò Lastar.

«Questo se tu fossi un mio avversario, o una preda che voglio mangiare. Ma…» Deimos si divertì immensamente nel vedere la tonalità di rosso raggiunta dalle guance del giovane. «Non se io volessi mangiarti in un altro senso

«È un ragionamento piuttosto logico, quello che stai facendo.»

«Un Principe deve essere in grado di scegliere, almeno una volta.»

Non ricordava con precisione come avessero raggiunto la camera. Ricordava solo le dita del diavolo strette attorno al suo polso che lo guidavano nella stanza, che poi erano salite ad accarezzargli il volto.

Non voleva essere famelico come il demone che aveva visto prima, per cui spogliò lentamente il Principe di fronte a lui. Rimase incantato dal fisico che emergeva dagli stracci colorati e dai vestiti, perfetto come se una mano attenta avesse scolpito ogni singolo muscolo, ogni ricciolo della chioma indomita. Deimos non ebbe la stessa premura, e gli abiti del ragazzo furono rapidi a raggiungere il pavimento.

Lastar si trovò di nuovo sospeso in quella condizione acquosa in cui annegava in presenza del demone: la sua testa diventava inconsistente e sfuggente come una medusa, e tutto ciò che restava era istinto.

Non era mai più riuscito a vivere le emozioni di quella notte: aveva provato, qualche anno dopo, con una ragazza della Cattedrale che lo aveva corteggiato con encomiabile insistenza, ma l’esperienza lo aveva lasciato profondamente deluso. Le sensazioni scialbe di quella notte non erano paragonabili alla meraviglia nello scoprire il corpo sensuale del demone, l’agitazione nel farsi condurre lungo quel sentiero sconosciuto, l’emozione travolgente scaturita dall’unione con il diavolo.

Gli occhi scarlatti si illanguidirono nel contatto con i gemelli, le braccia del demone lo guidarono nei movimenti, così come le gambe morbide, che risalirono il bacino fino ad allacciarsi attorno alla vita. Le mani del diavolo scesero a premergli sulle anche per incitarlo a portarsi dentro di lui.

Le membra di Lastar tremarono violentemente quando il corpo di Deimos si inarcò sotto il suo alla prima spinta. Le mani del demone lo condussero in quelle movenze per lui del tutto nuove, le iridi purpuree lo avvinghiarono più saldamente al Principe e i suoi gemiti arrivarono a intossicargli il cuore.

Dubitava che per Deimos l’esperienza fosse stata straordinaria come per lui: aveva avuto più di mille amanti, certamente più esperti di un ragazzino umano. Ma aveva sorriso genuinamente soddisfatto quando Lastar si era adagiato su di lui, ansante.

«Considerando che questa era la tua prima volta, non sei andato male.» cinguettò, carezzandogli i capelli sudati.

Un bruciore lancinante all’anca sinistra dirottò gli occhi di Lastar dal viso del compagno al suo osso pelvico. Un’ombra nera e fumante si stava ritorcendo sulla sua pelle, assumendo man mano la forma dello stemma reale.

«Domani il marchio sarà ultimato» bisbigliò Deimos nel suo orecchio. «E io potrò ritrovarti ovunque andrai.»

Sapeva che era una completa follia: aveva giaciuto con un demone, e ora portava il suo stemma. Ma non riusciva a pentirsene, e non riusciva a capire se quella scelleratezza partisse da lui stesso o se gliela avesse iniettata quell’inafferrabile diavolo.

Accantonò qualunque pensiero quando si chinò sul Principe per essere lui, quella volta, a baciarlo per primo.

 

***

 

Deimos allungò le gambe verso l’alto, sgranchendo muscoli e ossa insieme.

Ripensava alla sera prima, quando era andato a trovare Lastar alla Cattedrale, e alle parole di Astaroth.

Il demone dell’accidia gli aveva consigliato di non unirsi all’ibrido, e si era sorpreso della sua volontà di proteggerlo anche se non era stato marchiato.

Sorrise amaramente.

C’erano molte cose che Astaroth non sapeva.

Ad esempio, che lui e Lastar erano già giaciuti insieme una volta. Tuttavia, Lastar all’epoca era talmente giovane e influenzabile che probabilmente aveva ceduto solo perché non aveva ancora sviluppato le barriere necessarie a difendersi dal magnetismo del Principe. Ecco perché era così difficile sedurlo ora che era più maturo e addestrato a resistere ai demoni.

Inoltre, il Re del Terrore non sapeva che Lastar era stato marchiato.

Per un certo periodo, almeno. Fino a che suo fratello, Lazard, non aveva brutalmente rimosso lo stemma reale dalla pelle del giovane.

 

 

 

 

 

 

 

 

Scusate il ritardo, ma i preparativi e la partenza per il Giappone mi hanno tenuta lontana dal pc ç_ç
Questo capitolo è postato dall’arcipelago nipponico, quindi ad un orario improponibile in Italia XD

Anyway, che dire del capitolo… non avevo previsto questo scorcio di passato, ma poi le scene si sono susseguite e ho deciso di assecondarle XD

Piccolo avviso: è probabile che d’ora in poi i capitoli si faranno più corti. Motivo: lo studio in Giappone è molto impegnativo, e non sempre abbiamo tempo di rimanere al computer. Per cui, per evitare di farvi aspettare eoni geologici per un aggiornamento, posterò capitoli più brevi<3 Al mio ritorno in Italia, probabilmente torneranno ad allungarsi XD

Ancora una volta, grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui a leggere<3

*bows*

Red

Per i dati tecnici (schede dei personaggi, genealogia demoniaca, genealogia angelica ecc.), consultate il Commentario. Licenza Creative Commons
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