No, che fate, non uscite
dalla pagina, questo non è un miraggio! Ho veramente postato
il nuovo capitolo di Penumbra con solo
un mese di distacco!
Ci
vediamo sotto :3
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Un aiuto da… ?
Quartier generale della
resistenza, ore 13.04.
“Ho
fame.”
Le
parole ciancicate di Xigbar,
sdraiato su di un materasso con le gambe su di un comodino, aleggiarono
come un
palloncino nell’atmosfera pigra e soffice del nascondiglio,
dove più o meno
tutti erano impegnati a sonnecchiare.
L’unico
vigile era Lexaeus che,
dopo aver ripreso completamente le forze dopo l’attacco di
Sora, se ne stava
seduto appoggiato al muro di ruvida pietra blu, immobile e attento alle
parole
dei propri compagni, come se volesse ripagar loro il fatto di averlo
lasciato a
riposare invece che trascinarlo a combattere. Dopo la dichiarazione di
Xigbar
si guardò intorno, evidentemente cercando qualcosa da
mangiare, ma non trovò
nulla, anche perché nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
Kairi
aveva avuto la mezza idea
di andare a cercare un po’ di cibo, sentendo anche i propri e
personali
borbottii di stomaco, ma la stanchezza si era rovesciata su di lei da
quando
erano tornati, come se si fosse tenuta lontana dal suo corpo per tutto
il tempo
che erano stati nell’Oltretomba e si stesse facendo sentire
solo in quei
momenti: aveva le palpebre che si chiudevano, ma per la fame non
riusciva ad
addormentarsi.
Naminé,
intuendo il suo stato
d’animo, si levò dalla propria seggiola e si
diresse verso il gruppo di
scatoloni che Cloud le aveva indicato come dispensa, ma, apertone uno,
aveva
trovato solo del latte scaduto da chissà quanto e alcune
scatole di fagioli che
avevano l’aria di essere state dimenticate da secoli,
pertanto si voltò verso
il gruppo di persone stravaccate in maniera sparsa per tutto il
rifugio,
annunciando: “Non abbiamo cibo.”
“L’importante
è che ci sia da
bere.” Fu la risposta a tutti i problemi di Jack, che aveva
fatto svolazzare un
braccio per consigliarle di non preoccuparsi, ma Naminé non
si era affatto
tranquillizzata: “Non c’è neanche da
bere.”
Jack,
trovato all’improvviso un
incontenibile desiderio di muoversi, scattò in piedi:
“Cosa?! Allora dobbiamo
fare scorte!”
Xigbar,
dettosi che star sdraiato
sul suo materasso non avrebbe risolto la situazione, si levò
a sua volta: “Ho
capito, ho capito, vado e torno.” E, detto fatto, si
teletrasportò fuori dal
nascondiglio.
Xemnas
se ne stava semi-sdraiato
su di un vecchio tappeto, con la schiena appoggiata su un vecchio
cuscino
bitorzoluto, con un braccio sugli occhi. Stava tentando di dormire, o
comunque
di ripararsi dalla luce costante che filtrava a causa dei Cristalli di
Terra –
o come Vexen aveva deciso di ribattezzarli dopo un accurata analisi
– ma il
fatto stava che gli eventi vissuti quella notte non lo aiutavano a
fargli
abbassare le palpebre: era stato tutto così frenetico e
stancante che non
riusciva neanche a sentirsi affaticato, e gli occhi sembravano
bruciargli.
Per
un attimo aveva visto la
prima missione concludersi, ma poi, come se tutte le fatiche di qualche
ora
prima non fossero bastate, la strada gli era stata sbarrata di nuovo
dal fatto
che quella maledetta serratura si potesse aprire solo utilizzando tre
chiavi, e
lì aveva davvero pensato che non ci sarebbe stata soluzione:
la terza chiave
era comunque in possesso di Sora e di sicuro lui non si sarebbe
prestato a
garantire il suo aiuto.
Ma
fortunatamente, per quanto la
situazione non avesse vie di uscita, la soluzione era arrivata, quasi
fosse
caduta dal cielo.
Sala interna del Cuore
dell’Oltretomba, ore 07.40.
“Ci
stai dicendo che non possiamo
in nessun modo aprire nessuna serratura?”
La
voce di Xemnas era profonda e
calma come al solito, ma era molto facile da intuire una vena di accusa
e
rabbia: d’altronde era anche semplice da capire che stesse
pensando ad una
possibile menzogna da parte di Riku solo per avere il loro aiuto.
Evidentemente
era talmente tanto semplice che Riku, intesa immediatamente la velata
accusa,
provò a discolparsi immediatamente: “Ragiona, cosa
ci sarebbe stato di utile
nel mentire e nell’ottenere il vostro appoggio solo nel primo
mondo? Non
avrebbe senso!”
A
quelle parole Xemnas parve
accantonare la propria rabbia, seppur finta, ma il problema rimase
insoluto, e
la serratura sigillata.
“Tch,
ma ti pare che facciamo
tutta ‘sta fatica per un punto morto?”
sbottò Larxene, girando di scatto la
testa come se si fosse offesa. Semplicemente non trovava possibile che
in due –
i due Keyblader – non si fossero ricordati di un dettaglio
tanto importante: se
non si trovava una soluzione, tutto il loro progetto sarebbe andato a
farsi
fregare, e con esso i loro cuori.
Nella
sala ormai in macerie, era
calato il silenzio più completo: gli dèi, divisi
tra chi aveva seguito la
conversazione tra Riku e Xemnas e tra chi si stava ancora occupando di
Demeter,
accasciata al suolo, posarono gli occhi sulla serratura, muto enigma
che si
stagliava sul pezzo rimasto della colonna, cercando di aiutare chi li
aveva
liberati dalla prigionia, ma nessuno arrivò ad una
conclusione; i Nessuno e i
loro compagni, invece, spostavano lo sguardo altrove, pensierosi,
riflettendo,
cercando di trovare una soluzione, invano.
“Tanto
vale che torniamo
indietro, qui non c’è più niente da
fare.” Mormorò il Superiore, con
un’espressione che lasciava bene immaginare la frustrazione
immensa che quella
missione a vuoto gli aveva costretto a fingere.
Naminé,
svuotata di ogni pensiero
a causa della stanchezza, alzò lo sguardo a cercare quello
di Riku, che però
sembrava perso nel vuoto, rincorrendo chissà quali speranze
di concludere in
quel momento l’avventura nel Monte Olimpo. Probabilmente
stava pensando che,
comunque, la situazione sarebbe stata uguale a quella,
perché tutte le serrature
in tutti i mondi erano state sigillate da tre Keyblade. La bionda
abbassò lo
sguardo.
Castello Disney, ore 07.42.
Il
mal di testa lo stava
uccidendo, si disse Merlino, togliendosi il cappello e lanciandolo con
una
certa stizza dietro le sue spalle, dove l’attaccapanni,
animandosi
improvvisamente, lo andò a raccogliere. Probabilmente era
solo una delle tante conseguenze
della vecchiaia, ma, perbacco, non era mica diventato vecchio da due
settimane!
Sapeva che gli stava succedendo
qualcosa di strano.
Prima
di arrivare nella sua
piccola stanza era stato costretto a presentarsi ad una riunione quando
avrebbe
preferito declinare, e più di una volta, al Re che parlava,
si erano
sovrapposte delle immagini che facevano stridere tutto quanto e gli
annebbiavano
il cervello.
Perché
in quelle visioni Riku e
il Re erano vestiti come l’Organizzazione? E
perché Riku era bendato o aveva la
forma dell’Heartless di Xehanort? E perché Sora
era così piccolo e puro? Era
davvero possibile che fosse stato così… limpido?
Merlino,
piegato da quella feroce
emicrania, si sedette sul letto con la testa bianca tra le mani.
C’erano
momenti in cui non sapeva neanche se stesse vivendo in un sogno o in un
altro
mondo, perché gli sembrava di non avere sufficienti ricordi
per tutta la sua
vita, che aveva la sensazione fosse stata molto lunga, come se stesse
galleggiando in una bolla.
Preso
dai propri pensieri, non
badò al volatile bruno che lo osservava dalla cima
dell’armadio con sguardo
severo e le piume arruffate in un atteggiamento di superiore distacco.
Lui non
se ne ricordava perché il Re non aveva detto a
Naminé di badare ai particolari
quando era stato il suo turno a subire la modificazione della memoria,
ma quel
volatile era suo, e il suo nome era Anacleto. Quando il proprio padrone
aveva
subito l’atrocità della piccola strega, il caro
gufo non aveva smesso di
essergli fedele, osservandolo e controllandolo da lontano, non
riuscendo a
staccarsi a quel vecchio barbogio di un
mago. E la presenza silenziosa di Anacleto, il gufo
brontolone, era uno dei motivi per cui in Merlino i ricordi
fasulli non erano attecchiti completamente e stavano per essere
soppiantati da
quelli veri. L’altro motivo era che, per quanto
Naminé potesse essere brava a
manipolare i ricordi, il potere del mago rimaneva sempre superiore, e
stava
rompendo quella catena di ricordi finti che gli era stata imposta.
“Ahi
ahi, che male…” mormorò,
aggrottando le sopracciglia.
L’Eroe del Keyblade era più
piccolo di quanto avesse immaginato: solo
quattordici anni e un fardello enorme da portare, difficoltà
che neanche
avrebbe immaginato e tanta, tanta sofferenza.
Se c’era una cosa che l’aveva
colpito quando aveva incontrato Sora per
la prima volta era il fatto che, sebbene il peso da portare fosse
quello
previsto dal mago, lui non sembrasse per nulla stanco o provato:
gironzolava
per la grande stanza della sua casa rotonda, guardandosi attorno con
una
curiosità e un candore tipici di un marmocchio piccolo e
inesperto la prima
volta fuori di casa. “E questo
cos’è?” aveva chiesto, stuzzicando con
un dito
lo stomaco di Anacleto, che, stizzito, lo aveva apostrofato in malo
modo, tanto
da strappargli un sorriso: “Io
sono
un gufo reale, marmocchio, piuttosto, che cosa sei tu, che hai ancora il moccio al naso.”
“Eh? Io sono Sora!”
“Già,
Anacleto era stato buffo…”
borbottò non badando alle parole perché gli erano
uscite dal cuore e non dalla
bocca, ma poi rifletté sul loro significato e
balzò in piedi. “Anacleto!”
Il
gufo si scosse, sorpreso: per
dieci anni il mago non aveva fatto altro che ignorarlo, e ora lo
chiamava così
improvvisamente che non sapeva che fare.
“Anacleto!
Dove sei?”
“Era
ora che ti svegliassi,
vecchio rimbambito!” era la prima frase che scambiava con lui
da anni, ma, al
contrario dell’irritazione che voleva dimostrare, nascondeva
una buona dose di
sollievo e gioia nell’aver ritrovato il proprio padrone, e
tosto gli volò sulla
spalla.
“Oh,
sei qui amico mio!”
“Già.
Ti sei ripreso?”
Il
mago non rispose, affaccendato
com’era: “Ohibò, la situazione
è grave! Molto grave!” si disse, camminando in
tondo, tra tutti i suoi libri, ma poi, dopo tre o quattro giri della
stanza, la
risoluzione fu che ci fosse qualcosa di molto urgente da fare.
“Andiamo!”
esclamò, totalmente
dimentico del mal di testa: “Dove accidenti ho messo il
cappello?”
L’attaccapanni
gli bussò
gentilmente sulla spalla, porgendogli il puntuto copricapo:
“Oh, grazie.”
“Dove
stiamo andando?”
“Ci
serve uno specchio.”
Sala interna del Cuore
dell’Oltretomba, ore 07.50.
“Non
avete trovato nulla che vi
possa aiutare?” aveva chiesto Zeus e a rispondere al posto di
Xemnas, che
avrebbe di sicuro trovato il peggior modo per esaudire la domanda a
causa del
malumore, fu Kairi, che, per quanto si scervellasse, non arrivava a
nulla: “No,
non potete fare qualcosa voi, che siete dèi?”
Zeus
scosse tristemente la testa:
“L’unica cosa su cui non possiamo agire
è l’operato del Keyblade, è superiore a
noi.” Kairi chinò la testa.
Il
silenzio ricadde tra i
presenti, rotto solo dal suono di un calcio di Riku contro un sasso che
rotolò
per la grande sala fino a sparire dalla sua vista. “Beh,
torniamo alla base.”
Disse Marluxia: “È chiaro che non si
può fare nulla, tanto vale elaborare un
piano diverso dove possiamo agire tranquillamente.”
“Sono
d’accordo.” Disse Xigbar:
“Non dobbiamo dimenticare che potrebbe arrivare qualcuno dal
Castello Disney.”
Naminé,
nel frattempo, si era
staccata da Riku, vedendo che Xemnas non costituiva più un
pericolo e, con una
sorta di movimento involontario nato dalla sua voglia di contraddire
Marluxia
il più possibile, invece di allontanarsi come già
qualche membro stava
cominciando a fare, si avvicinò alla colonna e alla
serratura.
Se
fosse stato chiunque altro che
Marluxia a proporre di tornare al nascondiglio, probabilmente lei non
avrebbe
avuto quell’impulso di analizzare ancora la situazione, che
non si sarebbe per
nulla risolta, anzi, sarebbe stata per sempre un enigma. Era uno dei
quei
movimenti umani e irrazionali che quel cuore artificiale che le batteva
nel
piccolo petto le inculcava come naturali, tanto che lei neanche se ne
accorgeva, e li eseguiva senza neanche analizzarli, perché
non aveva la
lucidità per controllarli. Non sospettava nemmeno che il
cuore finto avesse un
qualche effetto su di lei.
Con
una mano sfiorò la colonna,
per poi arrivare, seguendo le linee come un codice, alla pietra di
colore
diverso che componevano la serratura: era fredda, ma, per uno strano
motivo, si
riscaldò quando le sue dita la sfiorarono.
“Eh…?” mormorò, incuriosita,
ma non
fece in tempo a chiamare Riku o Kairi, che il calore si
trasformò in una luce
intensa, quasi solida, che la inghiottì.
« Naminé! »
Era
tutto così luminoso che non
riusciva ad aprire gli occhi o, se era riuscita ad aprirli, non
riusciva a
distinguere più i contorni dell’ambiente in cui si
trovava, anche se poteva
benissimo sospettare di essere stata trasportata da qualche altra
parte.
L’unica cosa che sapeva era che qualcuno, una donna,
presumibilmente dalla
voce, la stesse chiamando.
« Chi sei? »
Quel
modo di parlare triste e
malinconico le sembrava familiare, ma non riusciva a ricondurlo a
nessun volto.
« Ora non c’è tempo,
apri la mano! »
« La mano? »
« Sì, quella con cui disegni!
»
C’era
da fidarsi? Naminé
successivamente non avrebbe saputo spiegare perché avesse
seguito quelle
istruzioni così enigmatiche, ma non percepiva nulla di
pericoloso od ostile, e
pertanto tese destra la mano in avanti.
In
quel momento riuscì a intuire
la forma dell’ambiente, perché si accorse di aver
infilato il braccio nel buco
della serratura: non credeva che potesse entrarci, per quanto lei
potesse
essere piccola quella rimaneva una fessura per una chiave, ma, ancora
una
volta, si fidò della voce dolce e malinconica.
« Prendi! »
C’era
qualcosa di duro, sul fondo
dell’apertura, e sembrava che la proprietaria della voce
gliel’avesse passato,
perché sentì le sue dita stringersi su qualcosa
di cilindrico. Un manico?
« Fanne buon uso. »
E,
detto questo, Naminé fu spinta
indietro con una forza abnorme per qualsiasi corpo, e sbattuta contro
il muro
più vicino. In mano aveva ancora ciò che aveva
trovato, e sembrava l’unica
certezza quando aveva sentito che i sensi la stessero abbandonando.
Evidentemente il colpo era stato troppo per lei…
“Naminé!”
Sentiva qualcuno che la
prendeva per le spalle: “Riku?” Era tutto
così confuso e delirante, c’erano
delle voci e dei passi, ma poi qualcuno pensò bene di
somministrarle un
incantesimo di guarigione, e la visione si fece più chiara.
Era
circondata da tutti quanti,
Nessuno e dèi, con Kairi e Riku che la tenevano stretta per
non farle fare
movimenti bruschi, tanto che fu costretta ad intimar loro di lasciarla
andare,
perché stava soffocando. La botta aveva avuto meno effetto
grazie
all’incantesimo, in quel momento di sentiva solo come se
avesse sbattuto la
testa contro uno spigolo, un dolore sopportabile.
Teneva
stretto nella mano destra
ciò che aveva trovato nella serratura, e riuscì a
vedere di cosa si trattasse
solo dopo che entrambi si furono spostati… e rimase a bocca
aperta.
“Un…”
cominciò a dire, ma fu
Xemnas a completare per lei.
“…Keyblade.”
Castello Disney, ore 07.50.
I
passi rapidi di Sora
rimbombavano per tutto il corridoio, indice della fretta
dell’Eroe del
Keyblade. Uno degli scudi si era appena frantumato davanti ai suoi
occhi, e
quello non poteva essere che un segno che i tre traditori e i loro
alleati
avessero fatto la prima mossa. La faccenda rischiava di diventare
spinosa, se
non si prendevano provvedimenti: i ribelli avevano attaccato prima che
loro
potessero muovere una difesa in tutti i mondi, ed era stato colpito
proprio uno
degli ultimi ad essersi mobilitato, il Monte Olimpo.
Chissà
come avessero fatto ad
indovinare l’unico mondo che non aveva controlli ancora
stabili, che Riku
avesse trovato una mappa delle barriere?
Sora
bussò alla porta del Re,
impaziente. Non aveva fatto in tempo a partire per fermare quel gruppo
di folli
che già un mondo era stato espugnato e non poteva essere
risigillato, perché
servivano comunque tre chiavi.
Un
momento.
Di
Keyblader, in quel gruppo di
ribelli, ce n’erano due, e avevano aperto una serratura
chiusa con tre Chiavi.
“Non è possibile…”
borbottò, sempre attendendo che la porta davanti a lui si
schiudesse per lasciarlo entrare. Dato il tempo che ci stava mettendo,
evidentemente il Re era stato buttato giù dal letto.
L’unico
Keyblade che rimaneva era
quello di Roxas, ma, se il suo Nessuno fosse tornato in vita, lui lo
avrebbe di
sicuro percepito, o almeno una delle due Chiavi che aveva sarebbe
scomparsa e
se ne sarebbe accorto. La soluzione a quell’enigma era una.
“Entra,
Sora.”
Il
Custode entrò a passi larghi,
segno che non volesse perdere tempo, e si diresse immediatamente alla
scrivania
del Re: come aveva previsto, Topolino era stato svegliato di colpo dal
suo
bussare, perché aveva ancora gli occhi appesantiti dal
sonno, ma era comunque
vigile. “Qualcosa di grave, suppongo, vista
l’irruenza.”
“Si
è frantumata una barriera,
quella che faceva capo al Monte Olimpo.”
Topolino
si fece più attento,
rizzando le orecchie: “Proprio l’unico mondo che
avevamo lasciato per ultimo
perché aveva un esercito di Heartless. Léon
avrebbe dovuto essere lì, non ha
mandato nessun rapporto?”
Chissà
perché il Re facesse così
tanto affidamento su Léon nonostante egli fosse diventato
praticamente
inservibile: era stato così ostile a Naminé che
aveva sacrificato la propria
volontà di intendere e volere piuttosto che rendersi un
utile strumento nelle
mani del Re. Altro non era che un burattino coi fili tagliati, immobile
se non
mosso da cause estrinseche.
Capiva
benissimo che fosse
un’ottima fonte di informazioni, ma non sarebbe stato meglio
cercarsi una vera
e propria spia?
“Intendo
le tue perplessità, ma
Léon ha ancora dei lati molto utili, fidati.”
“Mi
fido, solo che…”
“Registra
qualsiasi cosa veda, e
sarà in grado di dirci cosa sia effettivamente successo al
Monte Olimpo.
Piuttosto, sugli altri fronti, come procede la situazione?”
Sora
poteva chiaramente intuire i
pensieri di Sua Maestà: non aveva assolutamente intenzione
di cedere altre
serrature all’Organizzazione, e avrebbe messo chiunque
davanti a sé e il suo
castello. Non voleva morire così presto, e non voleva cedere
il proprio regno a
nessuno.
“Oramai
ogni serratura è
monitorata e sorvegliata perpetuamente, non c’è
nulla da temere. Se i ribelli
vorranno fare un passo in avanti, cadranno di sicuro in una
buca.”
Il
Re sembrava soddisfatto con
quelle informazioni, sicuro com’era, ma Sora, ricordandosi di
ciò che aveva
pensato prima di entrare, riferì queste parole al suo
sovrano: “Sua Maestà, è
possibile che sia comparso un altro Custode, perché una
serratura da tre
sigilli è stata apparentemente rotta da due
Keyblade.”
Topolino
si fece molto serio:
“Non è possibile che sia…”
“No,
se fosse stato Roxas almeno
“Lontano Ricordo” sarebbe svanito.”
“Capisco.
Ti convocherò stasera
insieme agli altri che possono oltrepassare gli scudi, per studiare la
situazione.”
“Ricevuto,
Sua Maestà.”
Quartier generale della
resistenza, ore 13.33.
Xigbar
era tornato con una busta
di pane, spiegando la povera spesa con un “non sono riuscito
ad arraffare più
di tanto, c’era troppa gente”, ma, sebbene non ci
fosse abbastanza cibo per un
pranzo per diciassette persone appena uscite da una battaglia
massacrante,
tutti furono più che contenti di mettere qualcosa sotto i
denti. In più, tutto
veniva annaffiato con acqua e vino, cosa che riuscì almeno a
rinfrancare un
minimo gli animi spossati dei ribelli.
Naminé
non riusciva ad essere
tranquilla: tutti la guardavano, chi incuriosito, chi sospettoso, non
credendo
al fatto che lei fosse riuscita ad estrarre un Keyblade dalla
serratura, cosa
che, in effetti, neanche lei riusciva ad elaborare. Era stato tutto
troppo
confuso perché riuscisse ad assorbirlo: la luce, la voce, il
Keyblade spuntato
dal nulla, e, finalmente, il primo obiettivo che si schiudeva e apriva
la porta
per un’altra missione, un’altra serratura.
L’unica cosa che ricordava bene era
il movimento che aveva dovuto fare per aprirla, la serratura: si era
messa in
linea con Kairi e Riku e aveva puntato in Keyblade verso la colonna,
poi l’arma
aveva fatto da sola, un raggio era nato dalla punta ed era finito nella
fessura, che poi sparì.
La
Chiave, dopo ciò, era svanita,
e Naminé sapeva, non
aveva idea di
come, che per riprenderla sarebbe bastato infilare di nuovo il braccio
nel buco
della serratura, perché la voce dolce e malinconica
l’avrebbe guidata di nuovo.
Non sarebbe riuscita ad usare il Keyblade come arma, ma almeno sarebbe
stata
utile a Riku, invece che essere un peso morto e basta.
“Grazie
al cielo abbiamo un po’
di pane… stavo morendo di fame…”
mormorò Kairi, che si guadagnò il sorriso
amichevole di Demyx, il quale era, se possibile, ancora più
affamato: “Già, ho
sempre detto che il potere di Xigbar fosse molto utile.”
Per
qualche minuto calò un
silenzio laborioso di mandibole che masticavano, essendo tutti troppo
impegnati
a mangiare che parlare.
Quella
missione era durata solo
una notte, ma era bastata per far loro esaurire forze che sarebbero
durate per
due settimane, e probabilmente era anche stata colpa della maledizione
dell’Oltretomba che, oltre a inibire ogni forma di potere,
infiacchiva l’anima
e il corpo. Tra tutti, il più esausto, nonostante il ruolo
avuto nell’esito
della battaglia contro Ade, era Marluxia, e ciò era dovuto a
parecchi fattori:
prima di tutto, non si era accorto di subire ancora qualche effetto
collaterale
della botta ricevuta sulla nuca che si riconduceva a fitte alle tempie
ogniqualvolta muovesse la testa in maniera troppo brusca, inoltre la
scalata a
cui era stato costretto con ancora la maledizione addosso non aveva
contribuito
a migliorare la sua situazione a cui si era aggiunto anche il
combattimento
contro Zexion. In più, aveva completamente rimosso il
frammento di catena
assorbente – così l’aveva ribattezzato
– che aveva riposto all’interno del
cappotto e che gli aveva risucchiato qualche etto di energia. Non
sapeva se
quegli anelli metallici e magici gli sarebbero serviti, ma aveva avuto
l’impulso di prenderli e così aveva fatto.
A
peggiorare il tutto c’era la
fastidiosa sensazione di doversi ricordare qualcosa a tutti costi, ma
quel
qualcosa era talmente evanescente che non riusciva a intuirlo
né riportarlo
alla luce: da quello che gli aveva detto Zeus la sua vita si era svolta
in quel
mondo, e avrebbe dovuto investigare ancora. Aveva avuto
l’intenzione di
rimanere indietro, ultimo, ed infine dileguarsi almeno
finché non avesse
trovato qualche indizio utile sul vecchio sé stesso, ma si
era accorto di avere
lo sguardo del Superiore puntato addosso e aveva desistito. Il fatto di
essersi
già allontanato aveva funto da calamita per il sospetto di
Xemnas che,
quando era caduto giù dopo aver colpito Kore, sebbene si
fingesse completamente
assorbito dai propri problemi con la serratura, non gli aveva staccato
gli
occhi di dosso.
Xemnas
aveva in qualche modo
allentato la presa su Larxene perché lei si era resa utile e
non aveva tradito
i propri compagni, ma la morsa sopra di lui restava ancora pronta a
scattare.
Non sarebbe stato facile allontanarsi dal campo visivo del Superiore o
del suo
vice senza suscitare dubbi, ma una sorveglianza troppo rigida era
l’ultima cosa
di cui aveva bisogno. Doveva acquistarsi il suo favore per potersi
liberare di
quelle due paia d’occhi indiscreti e, infine, dirigersi sul
Monte Olimpo e
indagare.
Marluxia
non poté formulare altri
pensieri che la voce di un vecchio distrusse il silenzio del
nascondigli,
mettendo tutti sull’attenti: “Riku!”
Il
diretto interessato scattò in
piedi, brandendo il Keyblade con fare sospettoso, e tosto davanti a lui
comparve l’immagine, un po’ sfocata, di mago
Merlino.
Era
proprio Merlino: a
testimoniarlo erano il gufo Anacleto sulla sua spalla, la tunica che
lasciava
intravedere le caviglie secche e il cappello a punta.
“Cosa
ci fai qui?” ringhiò
l’albino che, nonostante con un braccio ferito e fasciato
sembrasse molto poco
pericoloso, assunse il suo atteggiamento più aggressivo, che
sembrò in qualche
modo spaventare e divertire il vecchio mago: “Non essere
così bellicoso, Riku,
vengo in pace.” E poi si rivolse a Naminé:
“Le tue catene sopra la mia memoria
si sono rotte, sono tornato me stesso.”
Il
sollievo volatilizzò ogni
traccia di ostilità sui volti dei diciassette ribelli.
“Cosa…?”
balbettò Riku, sorpreso,
ma fu interrotto dalla voce del vecchio: “Non posso spiegare
tutto ora, sono in
una stanza che non è la mia e potrebbero entrare estranei da
un momento
all’altro. Ascoltatemi!”
E
cadde il silenzio: nessuno
sembrava più interessato a come Merlino avesse potuto
trasportare la sua
immagine lì, quanto più, allarmati dal tono
urgente che egli aveva assunto, da
ciò che stesse per dire: “Come dicevo, sono
tornato me stesso, e ho intenzione
di aiutarvi, ma dall’interno.”
Riku
si illuminò: “Davve-”
“Non
mi interrompere!” lo fermò
il mago, irritato e frettoloso: “Devo darvi alcune
informazioni: primo, lo
scudo che porta alla stanza dei Cuori è difettoso, e non
lascia passare
nessuno, neanche me, che in teoria potrei passare attraverso le
barriere. È
collegato alla serratura che si trova nel Mondo Che Non Esiste,
perciò, in caso
l’apriste, sappiate che Sora e Sephiroth si getteranno di
corsa a distruggere i
vostri cuori, che si trovano in una stanza che solo Sora può
aprire. Dedicatevi
a quella serratura per ultima.”
Annuirono.
“Gli
altri mondi sono molto più
sorvegliati del Monte Olimpo, state attenti. Mi è difficile
collegare i ricordi
finti a quelli veri, ma da quanto ho sentito sono state sistemate
truppe un po’
ovunque. Inoltre, cercate quanti più alleati potete, non
sarà facile entrare
neanche con un alleato all’interno.”
“Come
faremo?” chiese Xemnas:
“Qui tutti ci sono ostili.”
Merlino
addolcì stranamente lo
sguardo, come se avesse visto Xemnas e i suoi sottoposti
solo in quel momento e avesse pietà di loro: “Ci
sono più persone favorevoli a
voi di quanto credete, Xemnas, non ti preoccupare. L’unica
difficoltà è
trovarli.” Poi si rivolse di nuovo a Riku: “Cercate
Yuffie, mi raccomando! Sarà
una preziosa alleata, visto che è ancora libera.”
Cloud,
al sentire il nome della
sua unica amica rimasta, fece un passo in avanti, come se volesse
chiedere
altre informazioni, ma la figura di Merlino si girò di
scatto verso qualcosa
che, nella realtà, si stava muovendo dietro di lui:
“Sta arrivando qualcuno,
devo andare. Riku, proverò a mettermi in contatto con te di
nuovo, non
toglierti mai di dosso ciò che ti ho regalato,
perché è con quello che ti
riesco a raggiungerti.” La sua parlata si stava facendo
sempre più veloce:
“Vado, e, ricordate, ora sono dalla vostra parte.”
E,
detto questo, la sua immagine si frantumò in una nuvoletta
bianca e
scomparve, lasciando i diciassette ribelli nei propri pensieri.
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EHEH, non vi
aspettavate mica che fossi così veloce, eh?
E dopo solo
sette capitoli, ecco a voi che finisce la missione nel primo mondo! E
pensare che ce ne mancano ancora... molti. In un certo senso la cosa mi
deprime xD Vi prometto che la missione nel Bosco dei Cento Acri non
durerà così tanto!
...
Anche perché, in effetti, cosa mai potrei inventarmi su
Winnie The Pooh, di malvagio?
Do. Not. Ask.
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Ehm Ehm. Comunque, il prossimo capitolo - che non ho idea di quando
potrebbe essere aggiornato - farà parte di una serie di
flashback, chiamata Chain
Of Memories, che saranno sparsi per tutta la storia e
inseriti al momento opportuno.
Su cosa saranno questi
flashback?
Sono i ricordi, perduti e non, dell'Organizzazione, e
verranno inseriti quando qualcosa delle loro vite salterà
fuori, anche in minima parte. Il fatto che siano postati non vuol dire
però che il personaggio interessato abbia recuperato la
memoria. Devo però dire che la maggior parte sono inventati,
non provengono da nessuna fonte in particolare. Giusto per
essere chiari.
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Nei capitoli scorsi si è citato il passato di Marluxia, ergo
il prossimo capitolo sarà su di lui.
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Alla prossima <3
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p.s. chi indovina dove andranno i nostri eroi nella prossima missione
farà 1076 punti e vincerà un biscotto \(^o^)/
p.s. Cliss, tu non vali perché già lo sai
°^°
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