“Oh
dei... sto per morire...”
Una
vaga traccia di curiosità alterò i lineamenti distesi
del vampiro. Posò il bicchiere pieno di sangue sul tavolino
basso accanto al divano e smorzò un sorrisetto derisorio:
aveva voluto fare l'umana e ora si beccava il ciclo mestruale.
Rebekah
infilò i libri nello zainetto e allo stesso tempo digrignò
i denti per i crampi. “Vado da Bonnie” annunciò
con voce dolorosa. “Ha preso un altro brutto vuoto in
algebra... è la seconda volta che il preside la convoca nel
suo ufficio” borbottò la ragazza controllando l'interno
dell'astuccio. “Ci alterniamo con Elena per darle una mano a
recuperare, ma è più il tempo che passa a guardare il
vuoto che a fare gli esercizi.”
Klaus
spinse la lingua nella guancia e scorse il dito sul tablet,
ignorandola deliberatamente. Rebekah mosse la mandibola e chiuse il
quaderno con gli appunti che aveva trascritto in bella copia. “Ora
che non hai più bisogno delle sue pozioni per guarire,
l'interesse è svanito magicamente” sussurrò
strappando un'occhiata al fratello che si limitò a guardarla
senza che le emozioni trasparissero sul suo volto.
“Non
trovo interessante speculare sulla vita privata della strega.”
“Mah...
sono stata una stupida a pensare che ci fosse qualcosa fra voi”
annunciò allentando il bottone dei jeans. “Le
emozioni umane mi hanno dato alla testa, perdonami.”
Klaus
si scansò, quando la sorella impresse un bacio derisorio sulla
guancia e l'allontanò con una spallata. “Stai cercando
di farmi piacere la strega?”
“Ti
piace già.”
Il
vampiro mantenne la posizione per qualche minuto, finché
Rebekah non si riversò fuori casa assieme alle sue emozioni
umane, poi posò i piedi a terra e puntò le mani sulla
seduta del divano. Le relazioni le divideva in semplici e
complicate e le complicate, in demoralizzanti e
catastrofiche. Aveva mischiato affari e sentimenti – lui
che li teneva da parte per i secoli bui – e non era neppure
certo di aver svolto al meglio il suo compito. Bonnie gli
aveva resisto fino alla fine e questo la diceva lunga sul
piacere che ne aveva ricavato. Perché?, si domandò
vagamente di cattivo umore. Perché non poteva mai
essere semplice?
Toc
toc toc
Rebekah
non dimenticava mai le chiavi... ed Elijah non aveva annunciato
alcuna visita. Klaus gettò una veloce occhiata alla finestra e
tutto il suo corpo fu attraversato dalla pelle d'oca, prima di
spalancare la porta.
Bonnie
alzò lo sguardo da un angolo invisibile e lo condusse
cautamente in quello del vampiro. “Ciao...”
**Venti
minuti prima**
Il
giorno della fidanzata era stato eroicamente boicottato per la
seconda volta. Da giorni le sembrava di vivere una vita parallela che
stava per esplodere sotto i piedi. Mentiva alle amiche, a se stessa,
e la maggior parte del tempo lo passava in stato confusionale. Tutto
attorno a lei aveva acquisito un'altra dimensione. Tutto risuonava
come se fosse vivo e le stesse mandando un messaggio che non riusciva
a comprendere appieno. La tomba di Jeremy era colma di fiori. Bonnie
si alzò da terra con le labbra incollate, attraversò la
collina a grandi passi e si fermò sotto il salice piangente.
L'agitazione le aveva impedito di lasciarsi andare, e gran parte del
piacere era stato soppresso dai sensi di colpa verso Jeremy e
l'onnipresente voce 'cosa penseranno le ragazze'. Perché
doveva essere tutto così complicato?
**
“Io...
sono andata via per non dover dare spiegazioni a Rebekah...”
“Balle.
Mi hai scaricato. Punto.”
Bonnie
perse le ultime tracce di sicurezza e si bloccò a metà
di una sillaba. Vide distintamente le pupille del vampiro allargarsi
e restringersi e sperò che funzionasse. Non voleva più
essere responsabile delle proprie azioni. “Non funziona mai...”
“No”
mormorò lasciando correre lo sguardo sui suoi lineamenti. Era
affaticata, stanca e nervosa. Aveva voglia di baciarla di nuovo. E di
averla, di nuovo. “Stai cercando di dimenticarmi con tutte le
tue forze...” mormorò tirandosi indietro. “E'
stato tanto brutto?”
Era
impazzito?! Bonnie sgranò gli occhi, lasciando scivolare le
braccia lungo i fianchi.
“Ed
ora ti penti di averlo fatto” insistette abbassando la voce e
solleticando i nervi logorati dalla tensione. Klaus sollevò
lentamente la mano e la lasciò scivolare lungo il suo viso,
strappandole un gemito supplichevole e confuso che riattivò il
predatore sopito. L'afferrò, stringendola contro di se. “Sei
mia, strega...”
Martedì
“Tornerà,
caro... tornerà...”
Klaus
sollevò le spalle, infilò le mani attraverso la matassa
rossa e le mosse su e giù, sentendosi un po' stupido. Le donne
la prendevano male se espandevi la proprietà senza il
loro permesso. “Ma non l'annoia sentirmi parlare di queste
sciocchezze?”
“E'
sempre bene dire le cose ad alta voce. Suonano in maniera diversa...”
mormorò la vecchietta finendo di sbrogliare il filo e
riponendo il gomitolo nella cesta da lavoro.
Klaus
s'insaccò nella poltroncina dalla fodera rovinata e lisa sui
braccioli. La settimana di umanità doveva aver offuscato la
sua capacità di giudizio. Doveva rivedere il proprio
comportamento, quando si trattava di Bonnie. Non poteva portarsela a
letto quando ne aveva voglia, quella femmina richiedeva impegno e
pazienza... e non era molto certo di volerci riprovare: l'aveva
spaventata e la strega era andata a fuoco. Letteralmente. La
sua pelle era diventata rovente, l'aveva ustionato in tutti i punti
di contatto e aveva dovuto buttare giù un bel po' di sangue
per rimettersi in sesto. Avrebbe dovuto relegare l'esperienza ad una
botta e via, ma poiché non riusciva a smettere di
pensarci, Klaus aveva intuito che la cosa era andata ben al di
la del sesso. Non si innamorava da secoli e quando accadeva finiva
sempre male, pensò, strusciando i denti sul labbro inferiore
che prudeva. Innamorarsi di una strega era deleterio per un vampiro
della sua razza...
Un
gatto spuntato da chissà dove catturò l'attenzione di
Klaus che si voltò a guardarlo. Il micetto strofinò i
fianchi su tutte le sedie, sulle sue gambe e saltò in braccio
alla vecchia che lo scacciò garbatamente. Klaus l'afferrò
per la collottola, sollevandolo a metà aria. Era una femmina e
stava allattando.
“Dimentico
sempre le mie medicine” borbottò la vecchiarella e si
alzò tremolando dalla poltroncina. Klaus rimise il gatto a
terra, seguendolo in silenzio, fino al covo segreto delle creaturine
miagolanti. Erano quattro, quasi tutte in perfetta salute. Il più
emaciato e debole non riusciva a nutrirsi, scacciato dai fratelli.
Aveva un non so che di familiare.
***
“Sessanta
su settantacinque. Stai migliorando.”
Bonnie
sollevò la penna in segno di trionfo ed Elena picchiettò
le dita sul tavolo per dare maggiore enfasi alla vittoria ed
incoraggiarla, mentre Rebekah segnava il punteggio sul foglio. La sua
media era sempre stata buona – non come quella di Caroline, a
dir poco perfetta - ma sarebbero bastate un po' di interrogazioni per
risollevarla completamente.
“Ci
meritiamo un frullato” dichiarò l'ex vampira mettendo da
parte i fogli. “Nik è fuori e non tornerà fino a
stasera... possiamo frullare tutta la frutta del mondo senza dover
udire i suoi fastidiosi piagnistei sul rumore. Ehi, stiamo mettendo
su peso, dobbiamo darci dentro con le lezioni di aerobica!”
“Il
mio peso è identico a prima” dichiarò Elena
infilando la testa nel frigo. “Facciamo gli hot dog!”
“Posso
prenderlo, un chilo. Accendi la piastra mentre preparo le salse”
disse la voragine nello stomaco di Bonnie
“Vuoi
entrare nell'abito del ballo o no? A proposito...” Rebekah
puntò le mani sui fianchi e la guardò. “Tu con
chi vieni?”
Lei
doveva andarci con Jeremy, ma il pensiero del ragazzo morto era stato
brutalmente sostituito da un'ossessione quotidiana e notturna
che le riempiva i sogni di universi alternativi.
Rebekah
si rese conto della gaffe e incrociò lo sguardo di
Elena che fece a sua volta una smorfia. Le coppie erano fatte: Matt
avrebbe accompagnato Caroline e i Salvatore le rispettive fidanzate.
Bonnie
si rabbuiò e la distrazione la portò ad affettarsi un
dito col coltello affilato del pane. “Ahia!”
“Mettilo
sotto l'acqua mentre prendo un cerotto” esclamò la
biondina spalancando la porta della cucina. “Ciao, Nik! Ce li
abbiamo, i cerotti?”
Rebekah
l'aveva sbattuto fuori casa per studiare con le sue amiche e gli
strani malumori che lo dominavano, avevano un effetto micidiale sulla
creatività: appena posava il pennello sulla tela, l'immagine
svaniva impedendogli di proseguire.
“La
tua busta si muove” Rebekah alzò le sopracciglia e si
avvicinò di un passo. “Che hai là dentro, un
animale?”
“La
cena.”
“Ma
la dispensa è piena e Bonnie sta sanguinando in cucina!”
Invogliarlo
a fare qualcosa di molto stupido e molto pericoloso per
la salute, non era un atteggiamento fraterno. Anche se... non
si nutriva decentemente da mesi e la sola idea di affondarle i denti
nel collo, gli provocava un'erezione marmorea. “Spiritosa.”
“Non
era una battuta” sussurrò sparendo nel bagno.
Klaus
riconobbe tre battiti distinti: quello lontano della sorella intenta
a frugare negli armadietti, quello tranquillo di Elena ed infine il
più famigliare di tutti, che lo riempiva di eccitazione e
malinconia. “Signore...” borbottò attraversando la
cucina e spalancando l'anta del frigo
Elena
si limitò a guardarlo con un hot dog conficcato nella
forchetta e un panino spalmato di salse nell'altro. Klaus afferrò
il bidone del latte e lo guardò con poca convinzione,
sollevando piano lo sguardo sulla ragazza. Fissò il dito
tagliato, i suoi occhi sgranati e indurì la mascella. Bonnie
smise di succhiare il sangue che fuoriusciva dalla ferita e il cuore
le finì in gola, turandole le orecchie. Klaus la guardò
sfacciatamente: Elena gli dava le spalle, Rebekah borbottava alla
ricerca della scatola del pronto soccorso, la preda tremante
era lì di fronte a lui... sì sì, era una strega
e con una strega c'era ben poco da scherzare... ma era la sua
strega... pensò afferrandole il polso e succhiando il sangue
sgorgato dalla ferita.
Bonnie
arrossì e sgranò gli occhi, cercando di ritirare il
braccio. Klaus gettò pigramente un'occhiata dietro di se –
Elena era presa da altre faccende per prestargli attenzione –
sorrise, la spinse contro il frigo e la baciò. Non avrebbe mai
rischiato una reazione violenta di fronte le sue amiche, pensò
invadendole la bocca ben poco gentilmente, mentre il pugno di Bonnie
si abbatteva sulla sua spalla e poi si aggrappava al suo collo,
arresa.
“Abbiamo
finito i cerotti normali. Puoi scegliere fra Donald e Daisy Duck.”
Bonnie
trasalì, soffocando un gemito. Aveva le braccia dolorosamente
vuote e l'odore del vampiro addosso... il vampiro che stava
attraversando ora la porta della cucina con aria noncurante e una
bustina di carta dal contenuto misterioso.
“Nik,
la tua busta piange. Hai raccolto un animale ferito?”
“Non
è ferito” mormorò strappando delicatamente la
busta e rivelando il contenuto piagnucoloso, spelacchiato e
tutt'ossa. Nel tempo di un battito di ciglia, Klaus vide la sorella
mutare espressione.
“Dove
l'hai trovato?! Possiamo tenerlo?!” singhiozzò Rebekah
facendo catapultare un'altra testa sull'apertura del sacchetto. “E'
piccolissimo, è appena nato?!”
“E'
già traumatizzato dalla vita, cerca di non trapassargli le
orecchie con i tuoi guaiti.”
“Se
non viene svezzato, morirà. La madre?”
“L'ho
trovato in strada. Se sai cosa fare... fallo, donna” mormorò
ad Elena imbottendo il panino, mentre le ragazze uggiolavano alla
vista del gattino. Era frustrata, pensò sentendo la fronte
trapassata da uno sguardo oscuro, colpevolizzante ed eccitato.
Bonnie
spiò le amiche intente a progettare rifugi per micetti
abbandonati e ingoiò il labbro inferiore, uscendo di corsa
dalla cucina.
Mh.
Perché la cosa lo preoccupava, invece di fargli piacere?!
Mercoledì
“Sta
piangendo di nuovo. Ma che ha, è malato?”
Forse
era solo triste. Klaus lo toccò cautamente con un dito. Aveva
gli occhi ancora chiusi, sarebbe bastato una pressione troppo forte
per ucciderlo. Il battito del suo cuore era un martellio continuo e
non faceva che piangere. “Vieni costantemente nutrito e
coccolato, che hai da lamentarti? Nella mia lunghissima vita ho
ricevuto meno di un terzo delle attenzioni che hai avuto tu in una
settimana.”
Rebekah
allontanò il libro e il quaderno da se e si inginocchiò
sulla scatola da scarpe che fungeva da nido per il micetto, tirandola
via da sotto il muso del fratello. “Ha fame, dagli da
mangiare.”
“Te
lo dice l'istinto femminile?”
“No,
lo dice l'orologio. Deve mangiare continuamente, hai sentito il
veterinario. Scalda il latte e prendi il biberon. Torno a studiare,
ho un compito in classe domani.”
Si
ostinava a fare l'umana e poi si arrabbiava se doveva sostenere gli
esami. Klaus caricò la scatola fra le braccia e la portò
in cucina. Non era il primo animale che accudivano ma era di certo il
più complicato. La lagnetta cessò, mentre poppava dal
mini biberon bianco che Rebekah aveva comprato al negozio di animali.
L'animale era intelligente e decideva da solo quando nutrirsi. Klaus
lo guardò, un po' affascinato. L'istinto gli diceva di fare
quel che era più giusto per la sua vita, non vagava come lui
in una notte senza stelle. L'avrebbe cresciuto e poi gli avrebbe reso
la libertà... ma non gatto non era come un cane, pensò
quando il gattino decise di averne abbastanza e si raggomitolò
in un angolo a dormire. Un gatto non potevi dominarlo e non ti
garantiva fedeltà assoluta, pensò rasserenato da una
strana tranquillità.
“Nik,
esco un attimo. Ho preso il libro di matematica di Bonnie, starà
impazzendo a cercarlo dappertutto...”
“Glielo
porto io” mormorò, laconico. Gettò un'occhiata
apprensiva al gattino e una molto minacciosa alla sorella. “Voglio
trovarlo vivo, al mio ritorno.”
***
Il
cosmo aveva smesso di parlare dopo averle inviato l'ingiunzione di
arrendersi. L'aveva abbandonata a se stessa, non trovava più
il libro di matematica e aveva anche le allucinazioni: la piantina di
salvia non aveva quell'aspetto sano, la mattina precedente... o forse
sì? Bonnie la guardò dubbiosa. Forse era stato il
concime. O l'acqua depurata dalla verbena. Il giardino sembrava
migliorare a vista d'occhio, com'era possibile...
“Rebekah
ti invia questo assieme alle sue scuse.”
Bonnie
sentì il cuore muoversi dolorosamente nel petto, quando alzò
lo sguardo dal terreno coltivato dietro la propria abitazione.
Sospirò, priva di speranze di uscire dal vortice che l'aveva
rapita. “E le tue scuse?”
Klaus
sorrise, inclinando la testa. “O-oh... la strega è
arrabbiata...”
“Sei
impazzito? Di fronte alle mie amiche?!” esclamò perdendo
la pazienza e la lucidità. “Non puoi comportarti
così...”
“Posso
fare tutto quel che mi pare e piace, Bonnie” sussurrò
arrivandole sotto il naso e facendola indietreggiare. “Io ti
voglio.”
“Devo
ustionarti un'altra volta?!” soffiò con voce strozzata e
tutti i muscoli del corpo irrigiditi.
Klaus
fece un passo indietro. Non per paura della sua magia, no... pensò
con un enorme sorrise che arrivò agli occhi, velandoli di
amarezza. “Tale e uguale a Caroline” mormorò
osservando la reazione immediata: Bonnie sbiancò e si appoggiò
al muro dell'abitazione con un tonfo che risuonò nei polmoni.
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