L’idea per questa storia è nata molti mesi fa, all’incirca
con “Like a Paradise”,
e questo doveva essere il secondo capitolo della raccolta. Ci ho messo davvero
tantissimo a passare l’idea da carta a pc, e ne avrei
ancora, per continuare questo ‘Periodo Resembooliano’ - prima di tutto, prima della tragedia. Lascerò comunque
‘completa: sì’, perché non so
quando aggiornerò. Lo stile richiama il precedente capitolo, ‘Like a Paradise’
per l’appunto, non per trama, ma per l’ambientazione.
Buona lettura!
Amo i bambini. Vivo in
mezzo a loro. Sono la mia quotidianità.
Eppure non passa
giorno, senza che riescano a stupirmi in qualche modo nuovo.
Non mi ci abituerò
mai. Per fortuna.
Tratto da un mondo di vita vissuta e quotidianità vivente.
Dedicata a Nacchan,
perché, mentre scrivevo
questa fic...
pensavo al suo
meraviglioso modo di descrivere Ed e Al, e l’affetto che li lega.
What’s happiness?
(In our shoes)
by elyxyz
“Muovetevi, lumaconi!”
Edward accelerò ancor di più il
passo, marciando veloce nell’erba alta che quasi lo nascondeva, flettendosi poi,
docile, al suo passaggio.
Winry, poco dietro a lui, cercava
di raggiungerlo perché era stanca di sentirlo vantarsi della sua rapidità.
Per ultimo, Alphonse chiudeva la
processione di quel trio scanzonato.
Avevano deciso di andare in esplorazione, quel giorno,
spingendosi oltre la collina del Grande Albero; e si era fatto tardi, senza che
se ne accorgessero.
“Finiremo in punizione, stavolta.”
Sussurrò Al, preoccupato, lungo la via del ritorno.
“Mh… forse no, se corriamo
svelti!” propose Ed, stimando la via più breve per il rientro: scartare il
sentiero ciottoloso che avevano percorso all’andata e tagliare per i campi del
signor Wilsen, quell’orso
scorbutico che non amava i bambini… che poi loro, l’anno addietro, avessero involontariamente
distrutto la sua coltivazione di tulipani, giocando a pallone… beh, quella era
un’altra faccenda.
“Attraversiamo la proprietà del vecchio Willy
senza farci beccare!” suggerì con un’espressione furba, storpiando di proposito
il nome.
Gli altri due lo scrutarono preoccupati. E se ci corre dietro col forcone, come
l’ultima volta?, il loro pensiero comune.
Tuttavia non osarono contraddire il loro capobanda. E così
fecero.
Sgattaiolarono lesti lesti,
zitti zitti…
Edward ghignò tra sé, pensava
quasi di avercela fatta, in lontananza vedeva già la casa di zia Pinako, quando udì il grido di dolore del suo fratellino.
Lui e Win fecero dietro-front,
spaventati.
Al, rannicchiato a terra, piangeva
senza ritegno, tenendosi stretto un ginocchio sbucciato.
“Fa’ vedere!” gli intimò Ed, senza tante cerimonie,
accovacciandosi al suo fianco.
Ma lui, tutto lacrimoni
umidi e moccio gocciolante, lo fissò restio, proteggendo ancor di più
l’abrasione.
“Su, Al! Fai vedere a Edo-chan la
ferita.” Ripeté Winry, ma con più gentilezza,
aggiungendoci un sorriso incoraggiante.
Era solo una piccola escoriazione fastidiosa, a conti fatti.
Ed capì in fretta che il fratellino era solamente
spaventato, in verità.
“Non è niente.” Dichiarò, serio. “Basta piangere, ora.” E
addolcì il tono.
Alphonse annuì, tirando su col
naso, rumorosamente.
“Sei un bimbo coraggioso, tu.” Lo rassicurò il fratello
maggiore, prendendo dalla tasca dei pantaloncini un fazzoletto immacolato - che
la mamma si raccomandava avesse sempre con sé -, e lo legò attorno alla ferita.
Il piccolo Al squittì di dolore, sussultando. Eppure lo
lasciò fare, docile.
“Brucia?” s’interessò, per non sembrare scortese.
“Un po’.” Si asciugò gli occhietti con i pugni chiusi, poi
fissò la medicazione provvisoria. “Grazie.”
Edward gli fece una carezza sulla
testa, scompigliandogli i capelli.
“Devi stare attento a dove metti i piedi!” lo redarguì
bonariamente.
“Ma, Nii-san, avevo la scarpa
slacciata!” ribatté, motivando così la sua caduta.
“E perché non l’hai allacciata?” s’intromise Winry, alquanto stupita.
“Perché… non lo so fare… lo fa sempre la mamma…” bisbigliò, vergognoso.
Dall’alto dei suoi sei anni, Ed lo
guardò con sfacciata superiorità.
“Fra un po’ andrai a scuola, e non riesci ad annodarti una
scarpa?!”
Quindi si voltò verso la loro compagna di marachelle: “Win!” si limitò a dire, invitandola ad occuparsene al posto
suo. Però lei non si mosse di un millimetro. “Procedi con la spiegazione.” La
incitò, sbrigativo.
“Io vorrei, ma è tardi…” cercò di temporeggiare lei.
“Non importa! Questa storia val
bene una sgridata!” decretò, anche se il suo era un pensiero un po’ meschino. Poiché
sapeva che, loro due, se la sarebbero cavata con poco, ma forse la sua amica non altrettanto a buon prezzo.
“Win-chan, sono cose da femmine,
fallo tu!” insistette, certo che lei gli avrebbe dato manforte.
“Ehm… i-io… anch’io non lo so fare…” ammise infine,
arroventandosi di vergogna.
A quella risposta Ed sgranò gli occhi,
palesemente stupito, e un pochino tradito, nella sua logica di seienne.
“Ma sei vecchia come
me!” sbottò, scandalizzato. “Dovresti… dovresti…”
La bimba s’imbronciò, lì lì per
scoppiare anche lei in un pianto a dirotto, o in una sequela di fastidiose recriminazioni.
“Io non ne ho bisogno! Non li porto mai!” si difese,
concitata.
Il maggiore degli Elric fissò i
suoi sandaletti con gancetto e il vestitino preferito
di cotone leggero, come se li vedesse per la prima volta.
“E poi quando avresti imparato, tu?!” il suo tono sembrava quasi
un’accusa, anziché una domanda.
Lui fece spallucce, perché la sua motivazione era un po’
sciocca, in realtà.
“Un giorno di pioggia… mi annoiavo… e così ho capito da solo, a furia di
tentativi…” confessò, ricordando la noia, Alphonse
che dormiva, e la cocciutaggine che ci aveva messo per un intero pomeriggio.
Si aspettava una replica da parte della sua amichetta, una
qualsiasi; di ammirazione o di meraviglia, quantomeno. E invece non ottenne
nulla, tranne uno sguardo corrucciato, per cui lasciò
cadere il discorso, ma a modo suo.
“Mph! Sempre a me i lavori più
ingrati!” Recitò, polemico. Risolvendosi a concludere la questione. Quando Win-chan s’arrabbiava, non la finiva più! E poi a lui
toccava sorbirsela, lagne comprese.
Si chinò quindi dietro al fratellino, che ancora stava
seduto tra l’erba, e afferrò i due lacci della calzatura.
“Devi cominciare così.” E incrociò i due pezzi di stoffa,
facendo un nodo resistente.
“Poi devi fare un cappio con la mano destra, aiutandoti con
l’indice sinistro e poi il contrario.” Ed eseguì,
mostrandoglielo.
“Dopo… li incroci, fai passare sotto una
delle due asole, così, e inoltre tiri
forte.” Concluse, presentando un fiocco perfetto.
Al fissò con riconoscenza il lavoro
ultimato.
“Nii-san, gra-”
“Fermo!, Alt!” lo interruppe questi,
sciogliendo il nodo. “Ora, prova tu.”
Lo sconcerto si dipinse sul faccino del piccolo Alphonse, sostituito poi dalla delusione trattenuta a
stento, mentre osservava la sua scarpa nuovamente sfatta.
“Ma… la mamma…” pigolò, la boccuccia che gli tremava appena.
“Ci vuol poco, su!” lo animò, paziente
ma risoluto.
E lo esaminò, bimba al fianco, mentre tentava quella
difficile operazione.
Lo guidò con la voce, incoraggiandolo, e ben presto i due
nastri sottili vennero legati.
“Nii-san! Ce l’ho
fatta, Nii-san!” esclamò con orgoglio, mentre un
sorriso contagioso fioriva sui loro visetti paffuti e negli occhietti
brillanti.
“Bravo ometto!” lo premiò, grattandogli la testolina bionda,
e contemporaneamente Winry lo lodava, altrettanto
festosa. “Ma adesso andiamo, ok?” li avvisò,
scrutando il sole che stava facendo capolino dietro le montagne. Questo poteva
significare solo una cosa: guai. Grossi
guai.
Eppure… la contentezza del suo fratellino, quella sua soddisfazione,
valevano di sicuro una predica e anche un castigo. Scambio Equivalente, no?
Fine
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forma di lucro, da parte mia.
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