Salve
a tutti! Mi spiace molto per tutti quelli che seguivano
e recensivano questa fanfic, non ho avuto un bel modo di ringraziarvi
smettendo
di aggiornare. Ci sono sempre rimasta molto male quando iniziavo a
leggere una
ff per poi scoprire che non era più aggiornata da secoli, e
che quindi non
avrebbe mai avuto un seguito, tantomeno una fine, e alla fine
l’ho fatto io
stessa, e per
questo non avete
idea di quanto mi senta in colpa! Forse è stata la mancanza
di tempo, forse la
mancanza di ispirazione, non lo so con esattezza. Tuttavia, proprio
ieri ho
ritrovato per caso qualche altro capitolo scritto a mano, evidentemente
da
tempo sepolto sotto qualche pila di libri, e così MIRACOLO!
Sto aggiornando di
nuovo. Mi sarebbe dispiaciuto che questi capitoli andassero buttati,
anche
perchè hanno richiesto tempo e impegno, così ho
deciso di pubblicarli comunque,
anche se forse non li leggerà nessuno. E chissà,
se l’ispirazione tornerà,
potrei anche tornare a scrivere questa fanfic, che era partita con
l’intenzione
di provare a inventare ciò che i libri non raccontano a
proposito dei miei due
personaggi preferiti della saga della meravigliosa J.K. Rowling. Beh,
che dire.
Se qualcuno dei miei lettori è sopravvissuto e
avrà la pazienza di scusarmi e
la curiosità di scorrere ancora questa pagina, sappia che
lui/lei è una delle
cose che più mi hanno spinto ad aggiornare nuovamente, e che
ha tutta la mia
riconoscenza.
Erano
le 10.30, e il mio organismo
aveva ancora un disperato bisogno di dormire, ma quella mattina dovetti
costringermi ad alzarmi, benché non fosse una giornata
lavorativa: avevo
promesso ai miei che sarei andata a pranzo da loro, perciò,
con un enorme
sforzo di volontà, abbandonai il mio lettuccio caldo.
Mi
preparai tra uno sbadiglio e
una tazza di caffè, e poi mi dedicai a cucinare la mia amata
torta al
cioccolato, amata forse anche perché era l’unica
cosa che io sapessi cucinare
decentemente. Decisi che a casa con la mamma ne avrei cucinata
un’altra più
grande, per portarla a Grimmauld Place quella sera.
Pronta
la torta, pronta io, in
marcia!
La
casa dei miei genitori si
trovava in Mitre Road, distante dalla mia… diciamo una buona
passeggiata. Quando
potevo evitavo la smaterializzazione, perché avevo sempre
amato camminare: mi
piaceva guardarmi intorno e osservare le cose e le persone, cercare di
immaginare che ci facessero in quella determinata strada a quella
determinata
ora, spiare nelle ideali vite che la mia mente creava per loro.
L’appartamento
al n°22 di Mitre Road aveva sempre avuto un particolare valore
affettivo per
me, in quanto era la casa dove ero cresciuta. A volte mi sorprendevo
ancora a
notare la semplicità con cui raggiungevo scaffali e mensole
che, quando ero
bambina, mi sforzavo inutilmente di sfiorare in punta di piedi. La mia
vecchia
stanza era ancora la mia preferita. Tutti gli oggetti che conteneva
erano
legati ad un ricordo particolare: la prima bambola che papà
mi comprò in un
negozio babbano, paia di scarpe ormai consunte che mi avevano
fedelmente
portata ovunque, il primo fiore ricevuto dal primo spasimante ancora
schiacciato tra le pagine di un libro… era la mia vita
rinchiusa in una stanza.
Quando ero lì da sola amavo sedermi sul pavimento freddo e
prendere in mano
quegli oggetti uno per uno, ascoltando quello che avevano da raccontare.
A
pensarci bene, era da un po’ che
non ci andavo: da quando mi ero trasferita nel mio adorato e
perennemente
disordinato appartamento, i miei erano più propensi a venire
a farmi visita; in
particolare mia madre, che coglieva sempre quelle occasioni per farmi
notare la
mia contorta concezione di “pulizia” e
“ordine” (come se non lo sapessi già!),
cosa che sicuramente avevo ereditato da mio padre, perché
lei invece bla, bla,
bla… Mia madre era una gran perfezionista, a volte un
po’ pedante, ma, per
quanto spendessi la maggior parte del tempo che trascorrevo con lei ad
alzare
gli occhi al cielo e sbuffare, nutrivo nei suoi confronti una grande
ammirazione.
Aveva un grande cuore, e questo nessuna delle persone che conosceva
avrebbe
potuto negarlo. Mio padre… beh era l’opposto. Era
un sognatore, mio padre. In
fondo aveva sposato una strega, pur non essendo un mago! Ci
vorrà pure un po’
di coraggio per questo. Da bambina amavo sentirmi raccontare la storia
di come
si erano conosciuti e innamorati. Non ne capirò mai nulla di
romanticismo, ma
per me quella era la storia d’amore più romantica
di sempre.
Quando
suonai il campanello,
riconobbi i passi di mia madre che si affrettavano verso la porta.
Quando aprì
aveva un sorriso smagliante. Sapevo di esserle mancata, così
ricambiai il
sorriso con affetto. Mi abbracciò entusiasta, prima di
rovinare il momento
esclamando allegramente che mi trovava ingrassata, non badando alla mia
espressione inorridita.
“Ted,
guarda un po’ chi è
arrivata!” esclamò dal corridoio mentre
raggiungevamo il soggiorno.
Mio
padre alzò gli occhi dal suo
giornale babbano:
“Non
sono poi così sorpreso, è
tutta la mattina che non fai altro che dire cose come –tesoro
datti una
sistemata, non vorrai che nostra figlia ti trovi nelle condizioni di un
venditore ambulante di Notturn Alley-”
disse
imitando scherzosamente la
voce di mia madre. Lei si indispettì e andò a
finire di sistemare la sala da
pranzo, mentre mio padre si alzava dal sofà per venirmi ad
abbracciare. Ero
sempre stata molto legata a mio padre, forse più che a mia
madre. La loro
storia mi piaceva molto di più quando la raccontava lui,
aggiungendo a volte
dettagli improbabili per farmi ridere.
“Come
se la passa la mia bambina?”
fece lui con un sorriso affettuoso.
La
sua bambina. Ero sempre la sua
bambina. Avrei forse dovuto ritenerla una cosa irritante, ma per me
era… quasi
confortante.
“Come
al solito, credo. Non ti
racconto nulla, tanto a breve dovrò rispondere a tutte le
domande inquisitorie
di mamma e saprai tutto e anche di più!” dissi
suscitando la sua risata.
Avrei
così tanto voluto mettere al
corrente la mia famiglia delle svolte importanti che stava prendendo la
mia
vita, di come da quando ero nell’Ordine sentissi di star
facendo davvero
qualcosa di importante, di Sirius, un pezzetto di famiglia che mi
sembrava di
conoscere da sempre… ma non avrei mai potuto.
“Mamma”
esordii mentre mi tagliavo
un’ultima fetta di torta “dopo pranzo mi dai una
mano a preparare un’altra
torta? Un po’ più grande però, la
vorrei portare ad una cena tra amici.”
“Amici?”
fece lei lanciandomi una
di quelle occhiate che riuscivano bene solo a lei.
“Sì,
mamma, amici. E’ quello che
ho detto.”
“Non
hai mai preparato torte per
gli amici… c’è qualcuno di speciale in
mezzo a questi… amici?” continuò
marcando volontariamente l’ultima parola.
“Avanti
mamma, non ricominciamo!”
“Che
c’è di male nel tenere tua
madre informata?”
“Nulla,
ma…”
“E’
sbagliato interessarsi della
vita sentimentale della propria figlia?”
“No,
ma…”
“Non
mi sembra inaudito che io
voglia sapere se tu esci con qualcuno, come si chiama, quanti anni ha,
dove
vive, dove lavora, quali sono i suoi hobby…”
“In
realtà…”
“…se
ha studiato qui, se i suoi
genitori vivono con lui, se è ricco, se ha mai commesso un
crimine…”
“Mamma…”
“…se
è favorevole al matrimonio,
se vuole dei figli, se 5 per lui sono pochi o
troppi…”
“Figli?!
Frena! Sono solo degli
amici mamma, non mi sposo tra una settimana, né tantomeno
avrò a breve…5
figli!”
“Credo
che 5 nipoti siano troppi,
ma uno non mi dispiacerebbe!”
“Papà,
anche tu!”
“Per
me se gli piace questa torta
è già un tipo a posto.” concluse lui
divorando l’ultima fetta sotto lo sguardo
severo di mia madre.
Sospirai, ma sorrisi. Solita
routine in casa Tonks.
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