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6.
Treasure.
Quando
aprii gli occhi ci misi un po' a rendermi conto di dove fossi. Poi
ricordai il deserto.
Jasmine.
Aladdin.
E
quel grande letto pieno di cuscini su cui avevo dormito per un bel
po'. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stanca, e di
come quel viaggio stesse cambiando ogni cosa di me. Avevo
l'impressione che quella sensazione sarebbe rimasta in me per sempre.
Mi
stiracchiai, infilando nuovamente il corpetto metallico e le scarpe.
Faceva un gran caldo ad Agrabah.
Di
certo i miei vestiti da vecchio bosco innevato non erano proprio il
massimo. Mi diressi verso la porta, più riposata ed
energica.
«
Lascia, faccio io... » mormorò una voce dall'altra
parte della
tenda, oltre la porta. Aladdin.
«
Tranquillo, ho quasi finito. » sussurrò Jasmine.
Scostai appena la
tenda e li vidi, l'uno vicino all'altro.
Jasmine
stava lavando le ciotole in cui avevamo bevuto qualche ora prima.
Dalle finestre filtrava un debole spiraglio di luce.
Ma
quanto avevo dormito?
La
vidi riporre l'ultima ciotola sulla pila accanto al lavabo. Quel
luogo era uno dei tanti rifugi che avevano in città e fuori:
lì ci
vivevano, ospitavano i ribelli e organizzavano le varie missioni ogni
giorno.
Mantenerlo
in modo decoroso era il minimo. Osservai i modi dolci e delicati di
Aladdin mentre le cingeva i fianchi con le braccia, stringendola a
sé. Arrossii impercettibilmente, dandomi della stupida da
sola.
Ma
il sorriso che apparve sulle loro labbra, quasi nello stesso momento,
mi sembrò incredibile.
Si
avvicinarono l'uno all'altra, sfiorandosi appena. Con le labbra a
contatto, mi resi conto di essere un'intrusa in quella scena privata.
E
mi ritrovai a pensare nuovamente a Peter.
Avevo
dormito tutta la notte senza neanche rendermene conto. Jasmine mi
aveva detto che il riposo era fondamentale se avessi voluto
proseguire nel mio viaggio, perciò era contenta che fossi
rimasta
con loro fino alla mattina.
Camminavamo
nei vicoli della città con le armi a portata di mano,
nonostante la
situazione sembrasse più tranquilla del giorno precedente:
il
mercato cittadino pullulava di gente, e in quel breve lasso di tempo
mi sembrò di essere tornata alla normalità.
Eppure, nonostante
quell'apparente tranquillità, riuscivo ancora a sentire lo
scricchiolio delle crepe che minacciavano di far crollare l'intero
sistema.
Era
l'occhio del ciclone, la calma prima – o forse, nel mezzo
– della
tempesta. Ma andava bene così.
Un
attimo di respiro era necessario. Il riposo serviva a tutti.
«
Dove stiamo andando? » chiesi, rivolta verso Aladdin.
«
Ti portiamo a fare rifornimenti.
»
disse lui, strizzandomi l'occhio. « Da Jim. ».
«
Jim? » ripetei, titubante. Non era proprio un nome tipico di
quel
posto. Probabilmente Jasmine comprese i miei dubbi, e
ridacchiò. Mi
piaceva vederla ridere, in quello sfacelo un sorriso era la cosa
migliore che avevamo.
In
quel momento un rumore di passi veloci e leggeri sopra le nostre
teste ci distrasse. Guardai in alto, scorgendo una macchia scura sul
cornicione della finestra sotto cui stavamo passando. Vidi Aladdin
sorridere.
In
quel momento, una scimmietta saltò sulla sua spalla,
attirando la
mia attenzione. Una scimmia?
«
Abu! » esclamò Aladdin, con un buffetto sulla
testa pelosa del
primate. « dove ti eri cacciato? ».
Lanciai
un'occhiata fugace a Jasmine, che osservava il suo uomo con
devozione.
Un
amore così non lo ricordavo.
Raggiungemmo
una piccola bottega in un vicolo cieco. Le scalette strette e ripide
portavano ad un locale buio, con solo due piccole finestrelle agli
angoli per illuminazione.
Faceva
caldo, e il vapore che fuoriusciva dai grossi macchinari disposti in
fila lungo la stanza non aiutava.
Doveva
essere la bottega di un fabbro, o qualcosa di simile. Un grosso omone
dalla folta barba scura stava colpendo una lama affilata e rovente
con un martello dall'aria davvero pesante.
«
Ehi, ragazzi! » mugugnò lui, con un cenno della
testa. Loro
risposero al saluto.
«
Lui sarebbe Jim? » sussurrai all'orecchio di Jasmine, ma lei
fece
segno di no con la testa. Si voltò verso una seconda porta
sulla
parete opposta della stanza, che si aprì nell'esatto momento
in cui
i nostri occhi vi si posarono.
Un
ragazzo apparve sulla soglia con un panno sporco tra le mani piene di
grasso: indossava una casacca color cachi e un paio di pantaloni
scuri; ai piedi aveva degli anfibi. La pelle era chiara, i capelli
castani stretti in un codino.
Quello
non era certo di Agrabah. Ma allora che ci faceva lì?
«
Jim, ti stavamo cercando. » esordì Aladdin,
dirigendosi verso di
lui.
Jim.
Oh.
«
Al, vecchio sbruffone. » rispose lui scherzosamente,
abbracciandolo
con un gesto affettuoso. Aveva una stretta forte, energica. Le
braccia erano toniche e muscolose. Arrossii, e quando me ne resi
conto cercai di nasconderlo.
Che
diavolo mi prendeva adesso?
«
Che vi serve oggi, ragazzi? » aggiunse poi, salutando Jasmine
e
guardando in mia direzione con l'espressione di un bambino
incuriosito. Aveva l'aria di essere così spensierato da
mettermi
allegria.
«
Oh, non siamo qui per noi, Jim. » rispose Jasmine,
scostandosi
appena. « Ti presento Red. Le servono dei ...rifornimenti
molto particolari. Sicuramente saprai aiutarla. ».
Jim
mi guardò con quella stessa espressione, spalancando i
grandi occhi
azzurri e brillanti. Sembrava volermi guardare dentro, fin nel
profondo. Quell'intensità mi metteva quasi a disagio.
«
Red. » dissi rapidamente, mettendo fuori il mio scudo
virtuale
contro quegli occhi indagatori. Lui mi strinse la mano, accennando un
debole sorriso.
«
Jim Hawkins, molto piacere. » rispose con un mezzo sorriso e
il
panno in equilibrio sulla spalla. « Vieni con me. ».
Lasciai
Jasmine e Aladdin a chiacchierare con il gigante e il suo martello,
mentre mi dirigevo con Jim nell'altra stanza, anch'essa prima di
finestre e molto nascosta. Avevo capito fin da subito che quel
commercio di armi non era assolutamente illegale, e lo si capiva
anche dalla quantità di mitra, proiettili e altra roba
accatastata
in quello stanzino.
Ma
alla fine la legalità era sopravvalutata in quel momento.
Tanto
meglio per me.
«
Allora, fammi vedere l'arma. » esordì poi, nel
silenzio della
stanza. Era arrivato il momento.
«
Okay. Ma ti conviene fare qualche passo indietro. » mormorai,
pronta
alla sua reazione. Lo vidi aggrottare la fronte, ma alla fine fece
come richiesto. Chiusi gli occhi, percependo lo scorrere degli
impulsi elettrici sotto la carne, e l'intenso vibrare del metallo che
cominciava a muoversi.
Il
cannone metallico cominciò rapidamente a formarsi attorno e
dentro
il mio braccio, provocandomi quelle fitte lancinanti che ogni volta
mi facevano talmente male da far sembrare quei pochi secondi
un'eternità.
Jim
guardò in silenzio, gli occhi grandi fissi su di me. Mi
sentivo
scoperta, e fragile nonostante le mie difese.
Si
avvicinò lentamente a me, un passo dopo l'altro, rispettando
il mio
silenzio: sembrava sorpreso e affascinato da quella trasformazione.
Ero sorpresa anche io. Insomma, non era scappato a gambe levate.
Era
già qualcosa.
Ispezionò
ogni singolo centimetro di quell'aggeggio, osservando i cavi e gli
ingranaggi che si muovevano lentamente, incastrandosi alla perfezione
nelle sottili fessure dei cilindri metallici.
«
Ti fa male? » mormorò, sollevando improvvisamente
lo sguardo.
Sussultai.
Di
certo non era la domanda che mi aspettavo. Ero pronta a fornirgli
informazioni sui materiali, il funzionamento e la tipologia di
proiettili che avevo in precedenza. Ma non quello.
«
Ecco...non adesso. » risposi, schiarendomi la voce.
« ma quando si
monta e si smonta, bé...è parecchio fastidioso.
».
Lo
vidi annuire. Sfiorò con le dita i cavi perfettamente
inseriti tra i
cilindri, mantenendo un silenzio religioso.
«
L'hai fatto tu? »
«
Oh, no. E' una lunga storia. »
«
Ho tempo. ».
Trattenni
il respiro. Tempo? E chi ne aveva più in quel mondo?
E
poi, quella storia non mi piaceva. Odiavo raccontarla, soprattutto
perché neanche io la conoscevo bene.
«
So solo che mi sono svegliata in mezzo alla neve e senza un braccio.
Perdevo tanto sangue, ma sono riuscita a bloccare l'emorragia con uno
straccio. Poi sono svenuta e quando mi sono svegliata avevo questo al
posto del braccio. La pelle che si forma quando lo ripongo è
sintetica. Non so chi sia stato, ma chiunque l'abbia fatto mi ha
salvato la vita. Senza motivo. ».
«
Un motivo ce l'aveva. » ribatté lui, ed io
aggrottai la fronte. «
Ti ha salvato la vita. Non è già una risposta
sufficiente? ».
Mi
lasciai sfuggire un sorrisetto. Touchè.
«
Ho quello che fa per te. ». Lo vidi frugare tra le scatole
poste su
un grande ripiano di fronte a noi. Continuava ad aprire contenitori
di plastica rigida, girando attorno al grande tavolo come un
forsennato.
Alla
fine sollevò un pesante scatolone scuro e lo
portò di fronte a me:
al suo interno c'erano dei grossi proiettili simili a quelli che
avevo in precedenza, ma dall'aria molto più minacciosa.
«
Argento e metallo. La scorza è bella resistente, non se ne
trovano
in giro. » commentò poi, tirandone su uno.
«
Fantastico. » mormorai, ammaliata. I lupi del mio bosco
avrebbero
girato alla larga, con quei cosi che minacciavano di spaccargli la
testa.
Guardai
di nuovo Jim, orgoglioso nell'aver trovato quello che stavo cercando:
indossava un orecchino d'oro, un piccolo cerchietto luminoso. Mi
ricordava un pirata.
«
Jim...come mai sei qui? Voglio dire...ad Agrabah. ». Era
chiaro che
non fosse di quel mondo. Pensai subito ad Esmeralda: che fosse anche
lui un fuggitivo?
«
Anche questa è una storia lunga. »
mormorò lui, sospirando. « Ma,
in sintesi, è solo la storia di un ragazzo senza casa. Il
mio mondo
oramai è ridotto in cenere. Montressor, il luogo da cui
provengo, è
stato raso al suolo dopo l'Apocalisse. Il potere nelle mani
sbagliate, il desiderio di una forza illimitata, armi di distruzione
di massa...una marea di stronzate che hanno portato solo a
sofferenza. ».
Nei
suoi occhi c'era qualcosa che rivedevo nei miei: la perdita. La
perdita di qualcuno che, come con Jasmine, si rifletteva nello
sguardo.
«
Mi dispiace. Non volevo... »
«
Non preoccuparti, Red. » ribatté lui, sorridendo.
« Sto cercando
di superarlo. Ognuno di noi ha perso qualcosa, ma nonostante tutto
siamo ancora qui. Credo sia questo l'importante. ».
Solo
in quel momento mi resi conto della collanina che portava al collo.
Il ciondolo era un piccolo portafoto dorato, di forma ovale. Al suo
interno, una donna bellissima e molto somigliante a lui sorrideva.
Il
sorriso di Jim.
Jasmine
e Aladdin mi accompagnarono al confine, dall'altra parte della
città.
Jim mi aveva lasciato rifornimenti sufficienti per un pezzo,
assicurandomi che lì avrei sempre trovato quello che cercavo.
Salutarlo
mi aveva lasciato con una strana sensazione all'altezza dello
stomaco, un sentore che non riuscivo a definire correttamente.
«
Fai attenzione, mi raccomando. » ripeté nuovamente
Jasmine,
fissandomi con gli intensi occhi nocciola.
Aladdin,
accanto a lei, rimase in silenzio. Ma il suo sguardo non aveva
bisogno di parole.
Erano
così vicini, così uniti, che per un attimo pensai
solo a loro due.
Affiorò di nuovo quel sentimento di protezione che ogni
volta
cercavo di reprimere.
«
Anche voi. Non cacciatevi nei guai. » mormorai, con una punta
d'affetto nella voce.
Mi
voltai sotto la luce del sole, senza dire altro. Non sapevo davvero
che altro dire per non aggravare quell'addio già abbastanza
apprensivo. Rischiavo di preoccuparmi per troppe persone in quel
modo, ma cominciava a diventare inevitabile.
Diventava
sempre più difficile reprimere i sentimenti che affioravano
nel mio
cuore ogni volta che incontravo nuove persone, e ogni volta che
queste mi aiutavano.
La
città scomparve lentamente dietro le mie spalle, con le sue
dune di
sabbia e quel barlume di speranza che per un attimo aveva colpito
anche me. Secondo le parole del Bianconiglio, dovevo essere sulla
strada giusta.
Dovevo
solo continuare a camminare, e quel viaggio avrebbe avuto un senso.
Buttai
un occhio sul mio braccio. Provai a muovere le dita, poi l'intera
mano. Non ricordavo nulla di quello che mi era accaduto dopo aver
perso i sensi nel bosco, e forse quel viaggio mi avrebbe aiutata a
scoprirlo.
La
sabbia cominciò a diradarsi lentamente a qualche ora di
distanza da
Agrabah: era un regno davvero enorme, e senza le indicazioni di
Aladdin probabilmente sarei rimasta a vagare lì per sempre.
Forse
un po' di aiuto ti serve, in fondo.
«
Ah...stà zitta. » mugugnai, rispondendo a quel
pensiero nato
spontaneamente nel mio cervello stanco. Ma in realtà stavo
solo
parlando da sola come una pazza.
La
conformazione del territorio cominciò a cambiare lentamente,
man
mano che il sole si faceva più alto nel cielo. Mi
sembrò di essere
tornata all'inizio, quando dal Paese delle Meraviglie mi ero diretta
ad Agrabah.
La
sabbia aveva lasciato spazio a cumuli di roccia rossa e terra, che si
alzava a piccoli getti grazie al vento leggero. L'aria si era fatta
più fresca, e anche il sole sembrava picchiare di meno sulla
mia
testa accaldata.
Probabilmente
mi stavo avvicinando ad un confine, nonostante non avessi idea di
dove fossi. Quelle terre inesplorate mi facevano sentire
così
impreparata ogni volta da farmi infuriare man mano che proseguivo.
Il
cielo era azzurro e terso, così pulito che quasi non lo
ricordavo:
di certo il caldo bestiale che adesso opprimeva Agrabah era
sufficiente. Io, al contrario, nel mio bosco mi ero beccata l'Inverno
nucleare e un cielo costantemente plumbeo, di una tristezza
desolante.
Fantastico.
«
Oltre le dune di sabbia... » continuando a ripetere a me
stessa come
un mantra, quasi sperando che il Bianconiglio apparisse accanto a me
per spiegarmi quel cavolo di messaggio che mi aveva lasciato.
Quello
che apparve, al contrario, non me lo aspettavo di certo.
C'erano
delle grosse pietre sul mio cammino: larghe e piatte, dalla forma
rotondeggiante. Davvero enormi, avrei potuto stendermi su una di esse
e sarebbe avanzato spazio.
Prima
una sola, poi due. E poi non vidi altro per metri e metri.
Un
posto così non l'avevo davvero mai visto. Salii su una delle
pietre
e ne testai la stabilità.
Erano
piuttosto pesanti, e avrebbero retto un peso nettamente superiore al
mio: quel lastricato sarebbe stata la mia unica strada per molte ore,
se avessi deciso di percorrerla.
E
siccome non vedevo altro attorno a me se non la prospettiva di
tornare indietro, decisi di proseguire.
Saltavo
da una pietra all'altra, cercando di scorgere cosa ci fosse sotto.
Per un breve tratto sotto di esse vidi ancora terra rossa e
pietruzze, ma lentamente mi accorsi che anche la terra cominciava a
sparire sotto ai miei piedi, lasciando spazio solo a quei grandi
sassi fluttuanti.
Fluttuanti?
Stavo
camminando nel vuoto. O meglio, su delle grosse rocce sospese nel
vuoto. Ma era lo stesso.
Mi
fermai un istante a pensare, ma bloccarmi lì avrebbe voluto
dire
tornare indietro. E questo non potevo permettermelo in nessun caso,
perciò avrei dovuto rischiare.
Continuai
a camminare lentamente, mantenendo un passo costante e stando attenta
alla reazione delle pietre al mio passaggio. Sembravano salde
nonostante fossero circondate solo da aria.
Il
silenzio mi circondava. Il cielo si fece via via più
sbiadito, fino
a che sopra la mia testa non ci fu che una coltre bianca. Sembrava
dovesse arrivare una nevicata da un momento all'altro, ma la
temperatura era ancora piacevole e fresca.
Tum,
tum, tum. I miei passi oramai erano diventati familiari. In quel
luogo così lontano dalla civiltà e diverso da
quello che avevo
appena lasciato, il silenzio mi era diventato amico.
Per
questo udii subito il fruscio a pochi passi da me, quando una leggera
nebbia aveva iniziato ad oscurare l'orizzonte. Quel rumore non
l'avevo fatto io. E in quel luogo deserto non poteva essere un caso.
C'era
qualcuno.
Tenni
stretta la lancia tra le dita, pronta a difendermi. Ero sospesa in
aria su un mucchio di sassi e con la nebbia alle costole, di certo
questo non giocava a mio favore.
Ma
non mi sarei arresa, non adesso.
«
Avanti, fatti sotto... » sibilai, e quel fruscio si
ripeté. La
sagoma che intravidi era sicuramente umana.
La
mia ombra si rifletteva sulle pietre grigie, aiutata dai pallidi
raggi di sole che filtravano oltre le nuvole color latte. Osservai di
nuovo la figura di fronte a me, poi di nuovo la mia ombra a terra.
Solo
la mia
ombra
a terra.
Per
un istante trattenni il respiro e rilassai i muscoli. Difendermi non
sembrava più così importante.
Non
ero in pericolo. La figura di fronte a me avanzò di qualche
passo,
mostrandosi oltre la nebbia leggera.
«
Peter... » mormorai, in un sibilo. Mi mancava il fiato. Dal
momento
in cui lo avevo perso di vista nel mio bosco, avevo pensato alle
più
orribili tragedie. Vederlo lì, con gli occhialoni da
aviatore sulla
testa e i capelli ribelli mossi dalla brezza leggera, mi
mozzò il
respiro.
«
Red. » rispose lui con un sussurro, incredulo quanto me. Sul
suo
volto i segni della stanchezza erano parecchi visibili, ma la luce
che da sempre vedevo nei suoi occhi non era scomparsa.
Chiusi
gli occhi, poi li riaprii. E lui era ancora lì.
Solo
più vicino.
«
Red. » ripeté, come se dire il mio nome mi
rendesse più reale.
Ormai vicinissimo a me, allargò le braccia e mi cinse le
spalle,
stringendomi in un abbraccio forte, energico.
Senza
pensarci.
Chiusi
di nuovo gli occhi. Sentivo le lacrime risalire e spingere con forza
sulle palpebre in attesa di uscire.
Le
ricacciai in dietro. Avevo giurato, santo dio, giurato che non avrei
pianto per quel genere di cose.
Sentii
le mani forti di Peter ricadere sulle mie spalle. Mi
trascinò
nuovamente contro di lui, contro il suo respiro sulla mia pelle.
Rimanemmo in silenzio per minuti interi, stretti in quell'abbraccio
che rendeva insignificante tutto il resto.
Non
riuscivo a capire il motivo per cui non ero in grado di staccarmi da
lui. Io non ero così. Non volevo essere fragile, vittima dei
sentimenti come quelle sciocche ragazzine che tanto odiavo. Ma in
quel momento non ero in grado di fare il primo passo.
«
Ho pensato al peggio. » ammise lui in un sussurro, muovendo
lentamente le labbra accanto al mio orecchio, facendomi tremare.
«
Mi hai sottovalutata. » commentai io, senza trattenere un
sorriso
sarcastico.
«
Dopo la tempesta di neve sono tornato a cercarti, ma non c'eri
più.
Te n'eri già andata via dal tuo bosco e non sono riuscito a
trovarti. La tempesta ha continuato a imperversare per giorni.
» mi
spiegò lui, distanziandosi appena da me. Era più
pallido del
solito, e due occhiaie leggere marcavano gli occhi scuri rendendoli
ancora più intensi. Era molto stanco.
«
Sei rimasto bloccato nel mio bosco? » gli chiesi, ripensando
alla
terribile tempesta di neve e al miracoloso salvataggio di Biancaneve.
Lui
annuì. « Volare era impossibile. Ho trovato un
rifugio e sono
ripartito quando la tempesta si è placata. Ma quando non ti
ho più
trovata, ho cominciato a cercarti. ».
Ascoltai
attentamente le sue parole, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare
era quanto fossi sollevata di vederlo lì di fronte a me,
sano e
salvo.
«
Io... » iniziai, senza sapere come concludere la frase.
Ero
preoccupata.
Ho
pensato spesso a te.
Pensavo
di non rivederti più.
«
...sono contenta di vederti. ». Dire ciò che
pensavo realmente non
era giusto. Non lo volevo davvero.
In
quel momento, avrebbe provocato solo più sofferenza. Peter
mi
sorrise, sfiorandomi il volto con le dita.
Quel
contatto mi fece rabbrividire.
«
Pennino? » dissi semplicemente, ripensando al motivo del suo
viaggio. Stava cercando la cura per uno dei suoi bimbi sperduti, e
oramai era passato parecchio tempo dall'ultima volta che ci eravamo
visti. La sua espressione cambiò, e la luce nei suoi occhi
fu
oscurata da un incredibile senso di preoccupazione.
«
Per ora ho trovato solo un palliativo. Lo mantiene in vita ma non lo
cura. » mi spiegò Peter, senza riuscire
più a sostenere il mio
sguardo. « Sto continuando a cercare, ma sembra del tutto
inutile.
».
«
Non devi arrenderti. » ribattei io, stupita di
quell'improvviso moto
di positività. Lo vidi rispondere con un sorriso muto e
malinconico.
«
Adesso sei tu, quella poco realista. » mugugnò,
quasi divertito. «
una volta era il contrario. ».
«
Non sono sempre stata così cinica, sai. ». Ed era
vero. Una volta
ero quasi troppo ingenua e spensierata per vivere in quel mondo.
Ripensandoci, forse quel cambio di atteggiamento mi aveva fatto bene.
«
Lo so. ». Peter mi prese la mano, stringendola nelle sue.
« Ma non
ho detto che questo sia un male. ».
Rimasi
in silenzio, meditando su quelle parole. Forse non era un male, ma di
certo non avevo ciò che avevo prima. L'Apocalisse mi aveva
strappato
qualcosa che volevo fortemente indietro.
«
Devi andare. » mormorai, e non era una domanda, né
una richiesta.
Solo un dato di fatto. Dovevamo separarci, ed era giusto che fosse
così.
«
Non ti lascio di certo qui. » rispose lui, spalancando i
grandi
occhi scuri. « Vieni. ».
Non
feci in tempo a ribattere. Peter mi afferrò per le gambe e
mi prese
in braccio, stringendomi con forza.
Il
mio viso era vicinissimo al suo. « Che fai? »
balbettai,
impreparata.
«
Ti porto via da qui. » disse semplicemente lui, e in un
attimo ci
alzammo in volo. Di certo volare mi avrebbe fatto arrivare alla fine
del percorso molto più rapidamente. Non avevo ancora capito
dove
fossi.
«
Sai in che Regno ci troviamo? » gli chiesi, poggiando il capo
sul
suo petto. Lo vidi scuotere la testa.
«
Probabilmente una zona di transizione, ma non ne sono sicuro.
».
Rimasi
in silenzio per il resto del viaggio. Durò qualche minuto,
se non
poco più. Ma per me, il tempo in quel momento si
fermò. Sentivo il
battito del cuore di Peter, il silenzio oltre le nuvole, i nostri
respiri.
E
per un attimo non pensai più ad altro.
Nb. Per chi non lo sapesse, Jim Hawkins è il protagonista de
"L'isola del tesoro", celebre storia di Robert L. Stevenson.
Personalmente, quando ero piccola adoravo questo romanzo, per questo ho
deciso di inserirlo. La descrizione di Jim e il suo atteggiamento sono
tuttavia ispirati al classico Disney "Il Pianeta del tesoro", ispirato
al romanzo di Stevenson ma riletto in chiave fantascientifica. Per chi
non lo avesse visto, consiglio di fare un tuffo nel passato e vederselo
perché, nonostante sia abbastanza recente in casa Disney (
anno 2002) è caratterizzato ancora da quell'aura magica che
riveste i grandi classici. Consiglio davvero a tutti di vederlo, anche
perché ho intenzione di renderlo più partecipe
all'interno della storia, dato che è un personaggio che mi
piace moltissimo...ma non vi dico altro! =)
E poi abbiamo Peter: vi avevo detto che l'avremmo rivisto,
personalmente è un personaggio che mi piace tantissimo anche
in questa chiave più realistica...perciò spero
non me ne vogliate per questo ultimo momento un pò
più sdolcinato, ma non ho potuto farne a meno!
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, e che continuerete a seguire la
mia storia!
Un abbraccio,
L.
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