That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.021
- La Scacchiera
Rigel Sherton
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
Ero sdraiato nel letto dell'infermeria, ancora molto debole per
l'incidente nel bosco, la mente turbata da quella rivelazione
spaventosa eppure troppe volte intuita: a quanto pareva, di tanti
fratelli che eravamo, Habarcat aveva deciso di rovinare la vita proprio
a me. Ero io l'erede di Hifrig.
Ghignai amareggiato per quello scherzo della sorte, mentre guardavo
fuori dalla finestra senza vedere niente, un po' perché la
testa sembrava vuota, un po' perché l'oscurità
aveva celato tutto. C'era solo il riflesso del mio volto, reso
più pallido dalla paura e dalle luci tremule delle candele.
Continuavo a pensare che ci fosse un errore: al contrario di Mirzam,
ossessionato dalla politica, per me il mondo delle Terre del Nord non
aveva attrattive, consideravo il Cammino un’accozzaglia di
regole fuori dal tempo e la Confraternita una masnada di eccentrici,
fissati su cose prive di valore. Tra le cose che più
m’indisponevano c'erano alcuni dannati Maghi che, fin da
piccolo, avevano posto l’accento su quanto fossi simile a mio
padre e avevano tratto dal mio aspetto vaticini sul mio destino, come
se avere lo stesso colore degli occhi e dei capelli implicasse che non
avessi diritto a un'identità solo mia. Ero disgustato per
l'aria tronfia che avrebbero assunto, appena la verità fosse
saltata fuori, e soprattutto, orrore aggiunto a orrore, per il tedio
che avrei patito sprecando la mia vita con loro. Era anche per questo,
per ribellarmi alle loro aspettative che, giorno dopo giorno, facevo
stupidaggini sempre più grandi, facendo incazzare mio padre,
come a voler dire a tutti:
“Vedete?
Sono un moccioso stupido e ribelle, inadatto ai vostri alti e
barbosissimi scopi!”
Per quanto gli volessi bene e lo ammirassi, io non volevo essere il
nuovo Alshain Sherton, l'uomo che aveva rinunciato addirittura al
Quidditch per una dannata congrega di barbagianni. Mugugnai, il cuore
che batteva furioso, più di quando avevo agguantato il primo
boccino davanti a tutta la scuola.
…
Più di quando, in sella alla mia scopa, ho risalito il
crinale ventoso… ho raccolto un fiore meraviglioso... l'ho
donato a Narcissa e lei… lei mi ha sorriso, compiaciuta...
Mi morsi un labbro, fino a sentire il sapore metallico del sangue, non
potevo permettermi di pensare anche a lei, non in quel momento. Erano
settimane che provavo a soffocare la mia fissazione: dopo la delusione
per quanto avevo visto a Herrengton e la rabbia per il suo fidanzamento
con Malfoy il “Viscido”, credevo mi sarebbe
passata, se non altro per orgoglio, invece ogni volta che la
vedevo…
Basta!
Dovevo uscire, fuggire via, stare solo, rimuginare in pace, piangere,
spaccare tutto, urlare. Trovare una via d'uscita... Una via che non
c'era: non era mai esistito, in mille anni di storia, uno Sherton
capace di sottrarsi alla chiamata di Salazar. Mai. Non si trattava di
scappare tra i Babbani, di dare scandalo con un matrimonio misto, di
farsi diseredare e cancellare da un arazzo, come avevano fatto quei
Black più fuori di testa degli altri. C'era qualcosa che ci
perseguitava e rendeva persino quei gesti estremi del tutto inutili.
Qualcosa che avevamo dentro. Qualcosa di cui non potevo liberarmi.
Il Sangue... il mio
maledetto Sangue... il Sangue toccato da Salazar...
Affondai la testa nel cuscino, prendendomela con il mio miserabile
corpo, debole e traditore, che mi costringeva lì. Ero stanco
di essere malato e trattato come tale, non ne potevo più
dell'infermiera che si occupava di me, che mi controllava ogni due
secondi. Strinsi i pugni, serrando forte le coperte tra le dita,
cercando di riprendermi: ci mancava solo che qualcuno entrasse e si
accorgesse delle mie lacrime trattenute a stento. E che mi consolasse
come si fa con i bambini.
La rabbia, il fastidio, l'insofferenza che provavo erano,
però, solo la superficie crespa del magma che avevo dentro:
sotto, pronta a emergere, c'era la paura. Paura per tutto quello che
era accaduto negli ultimi tempi, paura di non tornare più
com’ero prima, paura per quelle immagini di lupi e aquile che
si sbranavano. E di me incapace di urlare e di difendermi. Si era
trattato non di un sogno ma di una visione, una premonizione,
l'avvisaglia che i miei fossero in pericolo? Visti i tempi e i recenti
avvenimenti, non era un’idea campata in aria: per fortuna
Dumbledore, prima di andarsene, mi aveva confidato che mio fratello era
stato prosciolto da ogni accusa dal Wizengamot, altrimenti avrei
pensato che gli Aurors l’avessero catturato e gli avessero
imposto il Bacio del Dissennatore. Sentii un brivido lungo la schiena.
Rividi gli occhi del lupo rosso: non mi ricordavo molti dettagli, ma
sapevo di averne riconosciuto la voce, durante il delirio. Ripensai al
Mangiamorte con il quale mi ero scontrato ai piedi della torre, a
Herrengton: avevano occhi diversi, ma avevo provato lo stesso
presentimento di morte. Non sapevo chi fossero, ma la minaccia era la
stessa.
Salazar, ti
prego… fai che il Signore Oscuro non abbia
catturato mio fratello...
*
Ero rimasto ammutolito da quel pensiero, inerte, per pochi istanti o
forse per ore, finché la porta dell'infermeria si era aperta
con un calcio violento ed Evan Rosier, più scarmigliato e
sconvolto di quanto l'avessi mai visto, aveva fatto irruzione tra le
file ordinate di letti, diretto all’ambulatorio in cui la
Pomfrey prestava le prime cure agli studenti. Il mio compagno di Casa
non era ferito, tra le braccia, però, stretta al petto,
sorreggeva una ragazzina Slytherin che sembrava svenuta: non riuscivo a
vederne il volto, ma non mi fu necessario, mi bastò,
infatti, osservarne i lunghi capelli corvini che ondeggiavano oltre la
spalla del mio amico, al ritmo del suo passo, per iniziare a urlare.
«Che cosa è
successo a mia sorella, Evan? Rispondimi!»
Non lo persi di vista mentre, con la coda dell'occhio, notavo che anche
altri compagni di Casa premevano sull'uscio per entrare e che i ragazzi
della squadra cercavano di trattenerli per non far indispettire di
nuovo la Pomfrey. Provai a tirarmi su dal letto, per rincorrere Rosier,
fermarlo, chiedere spiegazioni, Evan però era già
entrato nello studiolo; come misi i piedi a terra, inoltre,
iniziò a girarmi la testa e le gambe tremarono: stavo per
svenire di nuovo, davanti a tutti, ma per mia fortuna Anthony Cox, il
portiere della nostra squadra, era già vicino a me, pronto a
sorreggermi.
«Stai calmo, Rigel, non ti
agitare! Non è successo... niente... »
«Come non è
successo niente? Quella è mia sorella! Ed io l'ho vista!
È priva di sensi!»
Sentivo la faccia prendere fuoco, avevo in testa mille domande, mille
pensieri spaventosi. E mi sentivo in colpa, perché non avevo
rispettato l’impegno di occuparmi di Meissa, fatto a lei e a
nostro padre, solo per cacciarmi nei guai, come un idiota, andando nel
bosco, benché stessi male.
«Fatemi passare! Largo! Largo!
Fatemi passare! E tornate tutti in Sala Comune! Svelti!»
C'era sempre più agitazione. Un professore, da fuori,
insisteva per entrare, ma non capii chi fosse finché, tra i
miei compagni serrati sulla porta, vidi emergere Slughorn: si diresse
senza una parola nello studio di Madame Pomfrey, aveva il volto pallido
e tirato, teneva gli occhi fissi a terra e sembrò impegnarsi
molto per non guardare mai verso di me, facendo così
aumentare la tensione che già mi stringeva lo stomaco.
Dietro di lui entrò anche Narcissa che, al contrario, si
guardò intorno finché i nostri sguardi
s'incrociarono: voleva dirmi qualcosa, lo leggevo nei suoi occhi di
quel meraviglioso blu che mi faceva ammattire, ma, per qualche motivo,
non ne aveva il coraggio così finì col tenersi
anche lei a distanza. Tutti parlavano a mezza bocca, chi mi rivolgeva
la parola ripeteva solo di stare tranquillo: i loro volti tirati e i
loro sguardi sfuggenti, però, raccontavano tutt'altra
verità ed io, già preoccupato di mio, mi misi
sulla difensiva. Se solo le forze me l’avessero consentito,
anzi, li avrei presi per il bavero uno a uno e preteso una risposta
sincera.
Dei miei amici mancava solo Rabastan e pure questo era strano: di
solito era il primo a comparire, quando c'era da fare colpo su
qualcuno, soprattutto se quel qualcuno eravamo io o mia sorella.
Ricordai con un certo disagio le sue visite e i suoi doni, all'ospedale
di Inverness, e quella strana storia su come avesse ritrovato Meissa
nel maniero, dopo l’attacco dei Mangiamorte. Sentii
l'ennesimo brivido lungo la schiena e mi trovai a chiedermi se fosse
assente perché responsabile di quanto accaduto a Meissa: non
giravano belle storie su Lestrange, io stesso, pur apprezzando la sua
compagnia, non mi fidavo di lui e avevo messo in guardia mia sorella
sul mio “amico”.
Madama Pomfrey uscì dal suo studiolo, indicò il
letto più vicino al suo ufficio e invitò Evan a
stenderci sopra mia sorella poi, con il solito cipiglio severo,
ordinò ai ragazzi che assediavano l’infermeria di
andarsene, pena una pioggia di punizioni su tutta la Casa, chiese a Cox
di assicurarsi che rimanessi a letto, poi, tampinata da uno Slughorn
ormai violaceo in volto, si chinò su Meissa, continuando a
parlare fitto fitto, a bassa voce, con Evan e Narcissa, per capire cosa
fosse successo.
La ressa in corridoio si stava finalmente disperdendo quando anche
l'odiato cugino Malfoy fece il suo ingresso trionfale, da bravo pallone
gonfiato: era strano che fosse così in ritardo, di solito,
come una vecchia comare pettegola, era sempre in mezzo, per sapere gli
affari di tutti. Lo guardai percorrere la stanza con passo altezzoso,
allontanare Evan di malagrazia, avvicinarsi mellifluo alla Pomfrey e
bisbigliarle qualcosa all'orecchio, a lungo, con fare circospetto,
balenando ogni tanto, verso di me, sopra la spalla, occhiatacce
inquietanti, che non seppi decifrare. A poco a poco, notai che la donna
sbiancava, finché, inorridita, si portò la mano
alla bocca trattenendo a stento un gemito. Non riuscii a pazientare
oltre, mi rivoltai sul letto rischiando di cadere, deciso a far sentire
le mie ragioni: strattonai Anthony, gli chiesi di rispondermi, lui
farfugliò poche parole incomprensibili, allora, esasperato,
tentai un rocambolesco tentativo di sfuggirgli, mi misi a terra e
provai a raggiungere Evan. Cox cercò di riagguantarmi, io
gli sgusciai lontano, feci qualche stentato passo riuscendo persino a
non inciampare, nonostante le gambe tremassero, Rosier,
però, aveva già raggiunto la porta e
lì si era fermato, per far passare un Rabastan Lestrange
zoppicante e provato, che esibiva un occhio nero, la bocca insanguinata
e l'aria soddisfatta di chi ha vinto una battaglia.
Salazar...
ma cosa diavolo sta succedendo oggi ai miei compagni?
Lo fissai cercando di immaginare con chi si fosse azzuffato e capire se
c'entrasse qualcosa con Meissa, quando Anthony e Slughorn mi presero
uno per parte e mi riportarono di peso sulla branda.
«Qualcuno mi risponda, voglio
sapere che cosa è successo a mia sorella! Lo
pretendo!»
«Signor Sherton, stia buono a
letto o sarò costretta a darle una Pozione sedativa... tutti
voi, grazie per l'aiuto, ora potete andare... i ragazzi devono
riposare, perciò dite ai vostri amici di non salire a
disturbare o chiederò al preside e al professor Slughorn di
togliere punti alla vostra Casa.»
Slughorn invitò gli ultimi rimasti a uscire, Evan mi fece un
lieve cenno di saluto, prese per la manica Anthony ed entrambi si
allontanarono, poco convinti. Narcissa fece finta di non sentire,
restò accanto a mia sorella, seduta sul letto, tenendole una
mano mentre con l’altra le sistemava i capelli dietro
l'orecchio: quel gesto familiare e delicato mi fece preoccupare ancora
di più, oltre a farmi battere il cuore così
velocemente che pensai mi stesse per esplodere in migliaia di
coriandoli.
«Signorina Black, se
vuole… lei può restare... dico bene
Poppy?»
«D'accordo, ma solo lei,
Horace… Signor Lestrange, mi preceda nell'ambulatorio, le
sistemerò quei denti appena avrò finito qui.
Quanto a lei, signor Malfoy, ora può andare,
grazie.»
Lucius non le prestò ascolto, tutto preso com'era dai suoi
pensieri: al contrario degli altri, preoccupati per Meissa, sembrava
essere lì per me, mi guardava insistente, la stessa
espressione combattuta che aveva Narcissa appena entrata. Mi faceva
ribrezzo l’idea di chiedergli qualcosa e trovarmi in debito
con lui, però decisi di rivolgergli la parola, sforzandomi
pure di essere gentile.
«Lucius… per
favore... dimmi quello che devo sapere... »
«Signor Malfoy, per favore,
vada… il signor Sherton si è agitato a
sufficienza, per oggi!»
«Senza offesa, Madame... credo
che Rigel dovrebbe sapere quanto prima… »
«Sì! Ha ragione!
Devo sapere! Ho il diritto di sapere! Adesso!»
Ero ingestibile, Slughorn con difficoltà riuscì a
trattenermi sul letto, cercava di essere rassicurante e convincermi, ma
io non lo ascoltavo, scalciavo per liberarmi, lo vidi scambiarsi
un'occhiata con la Pomfrey, la Magia era diventato l'unico modo per
tenermi tranquillo, perciò la Guaritrice prese
dall'armadietto una pozione sedativa e si avvicinò al mio
letto armata di boccetta e con la bacchetta sguainata; Lucius, a pochi
passi, allungò la mano sul braccio della Strega, invitandola
a fermarsi.
«Per favore, Madame, sono i
miei cugini… e noi Malfoy siamo tutto ciò che
ormai resta... »
«Signor Malfoy... »
La voce di Dumbledore, dal fondo dell’Infermeria,
bloccò il discorso a metà; Lucius, che aveva
appena messo mano nella tasca interna della giacca e stava tirando
fuori un giornale, si voltò verso la porta, la stessa
espressione interdetta di quando lo beccavano a fare qualcosa che non
doveva. Non si allontanò troppo da me, tuttavia,
così riuscii a prendergli la mano, sperando che continuasse
a parlarmi, il bastardo invece la ritrasse, guardandomi con disprezzo,
come fossi un cane rabbioso che aveva appena tentato di morderlo. Mi
scrutava con gli occhi socchiusi, sulla faccia da sfinge aleggiava
un'espressione beffarda celata a stento, la stessa che gli avevo visto
ogni volta che mi aveva provocato guai, la stessa che aveva quando
faceva la persona gentile con qualcuno, solo per poi pugnalarlo alle
spalle. Conoscevo Lucius, sapevo che farabutto fosse, per questo avevo
imparato a non dare troppo peso alle sue parole, stavolta
però avevo bisogno che finisse quella frase
perché ero certo mi avrebbe detto la verità. Una
verità supportata persino dalle pagine di un giornale.
Guardai Meissa: da quanto avevo capito dal discorso di Malfoy, non era
stata aggredita, era svenuta per una verità di cui era
venuta a conoscenza, ma non c’entrava l’emozione
per il proscioglimento di Mirzam, perché era stato
Dumbledore a parlargliene, prima che io mi riprendessi. Che
cos’altro poteva essere accaduto quel giorno che ci
riguardasse e che fosse così importante da finire sulle
pagine di un giornale? E di così tremendo da far svenire mia
sorella e spaventare i miei amici tanto da nascondermelo? Tornai a
fissare Lucius: no, non aveva senso, per lui, mentire, nessuna bugia,
per quanto terribile, sarebbe stata capace di ferirmi come la
verità misteriosa che tutti mi celavano.
«... signor Malfoy
può andare... ci pensiamo noi... »
Noi? Noi chi?
È forse arrivato mio padre? È
già qui? Salazar, finalmente una buona notizia!
Dumbledore si era congedato da me, dopo avermi mostrato le mie mani
prive di ferite e avermi ricordato l'incidente occorso a
papà alla mia età, dicendo che per guarirmi era
necessario convocare mio padre o qualcuno altrettanto importante della
Confraternita. L’idea di riabbracciare mio padre, essere
rassicurato da lui, persino essere punito per la mia incoscienza,
spazzò via tutto il turbamento e mi diede forza,
riempiendomi di speranza. Fissai la porta, impaziente di vedere il
volto di papà, quando, però, il Preside fece un
passo avanti, lasciando libera la visuale sul suo ospite, restai deluso.
Non
è possibile! Mio padre non può aver mandato
“lui”, da me, invece di venire di persona!
***
Orion Black
Amesbury, Wiltshire - sab. 15 gennaio 1972
Doimòs non
aveva aspettato che mi congedassi dai suoi padroni per Smaterializzarli
con sé: stavo parlando con Deidra, prendendo accordi con
lei, quando avevo percepito un'occhiata in tralice di Alshain al suo
Elfo, cui non avevo dato peso. Poco dopo la creaturina, lesta
nonostante l'età, si era avvicinata ai miei amici, seduti
sul divano con i bambini tra le braccia, aveva appoggiato le manine
ossute sulle loro spalle e, con un “bop”
improvviso, li aveva portati via, cogliendomi di sorpresa. Ero rimasto
interdetto alcuni istanti: io stesso li avevo esortati ad andarsene al
più presto, perché Alshain aveva bisogno di aiuto
e nessun luogo, oltre Herrengton, era sicuro per loro; nei miei
confronti, però, quei modi apparivano furtivi e
incomprensibili, ulteriore conferma ai miei sospetti.
Erano molti gli eventi di quella giornata che non capivo e che, messi
insieme, riempivano la mia mente d'incertezza, al punto che anche il
sollievo per aver ritrovato il mio amico e i suoi figli vivi in mezzo
alla neve era durato poco: a parte il suo comportamento illogico,
infatti, erano le condizioni stesse di Alshain a sembrarmi
incompatibili con una fuga volontaria. Temevo fosse stato liberato dai
suoi carcerieri, al termine di quella lunga sequela di torture, solo
perché il Lord aveva ottenuto da lui la collaborazione che
cercava, assoggettandolo con la Magia, la violenza o le minacce. Io,
che conoscevo Alshain ormai da trent’anni, sapevo che
l'integrità era per lui un valore secondo solo all'amore che
nutriva per Deidra e per il quale era disposto a morire, se avesse
ceduto, perciò, sarebbe stato solo per un motivo sacrosanto
come la salvezza dei propri figli e, nonostante questo, non sarebbe
riuscito a perdonarselo, sarebbe stato tormentato dal senso di colpa e
dalla vergogna.
Vergogna
e colpa… spiegherebbero l'ostinazione nel tentare di
fermarmi e d’incolpare Mirzam...
Il Lord forse aveva deciso di lasciarlo in vita perché aveva
ancora bisogno di lui e, visto che non mi sembrava l’avesse
posto sotto Imperius, doveva aver trovato un altro modo per legarlo a
sé, qualcosa che impedisse ad Alshain di fuggire con la
famiglia, una volta libero, qualcosa che rendesse superfluo persino il
sequestro dei figli più piccoli. Non avevo idea di cosa
potesse essere.
Solo, scosso dai brividi, in piedi al centro della stanza fredda e
vuota, mi sentii soffocare. M'imposi di calmarmi, non era il momento di
perdere la testa, non per quelle che fino a prova contraria erano solo
mie congetture: le confidenze e le richieste di Alshain, quando la
moglie si era allontanata, mi erano apparse quelle di un uomo padrone
di se stesso, nonostante la sofferenza fisica, certo, eppure non potevo
escludere che fosse stato Affatturato. D'altra parte, conoscendo le
abilità dei Maghi del Nord, non era neanche del tutto
impossibile che fosse riuscito a farla in barba ai Mangiamorte da solo.
C'erano, insomma, ampi margini per sperare che le mie fossero
conclusioni sbagliate. Tra l’altro, era stata una giornata
densa di avvenimenti e preoccupazioni, al termine della quale persino
una persona controllata come me poteva essere colta dall'inquietudine e
valutare la situazione con scarsa obiettività. Era vitale
liberare la mente dalle fantasie e concentrarmi su fatti concreti,
anche perché quel giorno maledetto non era ancora finito,
c'erano cose da sistemare, persone da vedere, i ragazzi da informare,
non potevo mostrarmi debole e incapace di reagire, né troppo
determinato e sicuro di me, o mi sarei tradito.
Penserò
ad Alshain affrontati i problemi più immediati…
spero solo di non aver appena commesso un madornale errore di
valutazione, fidandomi delle sue parole, altrimenti Deidra…
Agguantai il mantello e me lo gettai sulle spalle; con la bacchetta
stretta nella sinistra, raggiunsi la porta e mi fermai, mi guardai
intorno con attenzione, puntai e, con un paio di colpi risoluti, feci
sparire le tracce della nostra presenza dentro e fuori il rifugio,
avendo cura di depositare una leggera coltre di polvere su tutte le
superfici. Non sapevo se l'esistenza del covo fosse ancora segreta o se
Alshain ne avesse dovuto parlare, nessuno, però, doveva
intuire che avessi visto gli Sherton vivi.
E
se anche questo, il tuo coinvolgimento, facesse parte del piano del
Lord?
Scossi la testa per cacciare indietro quel pensiero; soddisfatto, mi
richiusi la porta alle spalle, recitando tutti gli incantesimi di
Disillusione e Difesa che Alshain ed io avevamo ideato anni prima per
il nascondiglio, gli stessi che ripetevamo ogni volta che andavamo via
da lì, poi m'inoltrai nella boscaglia, ricompattando via via
la neve intorno alla costruzione e dietro di me e imprimendo qua e
là orme di animali, perché tutto sembrasse da
tempo dominio incontrastato della natura.
Gli
insegnamenti di quel vecchio caprone di Fear, a volte, possono tornare
utili… ha ragione Alshain…
Mi muovevo con cautela, sobbalzando a ogni rumore, dirigendomi verso il
buio più fitto, che si diffondeva lento e greve e dava alle
ombre intorno a me spaventose sembianze maligne: accelerai il passo,
mentre sentivo il cuore pompare veloce e la gola inaridirsi. Per quanto
mi ripetessi di stare calmo e non cedere alla paura, mi si stava
fissando nel cervello l'idea che qualcuno mi stesse seguendo, ma tutto
ciò che vidi, quando mi voltai di scatto, fu una civetta che
planava sul ramo di un albero di noce, a qualche metro da me.
Proseguii, mantenendomi circospetto, solo quando giunsi ai piedi di
un'antica quercia, schiantata da un fulmine, sospirai sollevato, il
sangue che riprendeva a circolarmi in corpo. Mi chinai, mossi la neve
con la mano inguantata, osservai il legname caduto finché
non riconobbi il ramo ritorto che cercavo, lo toccai: rapida, una
sensazione di calore risalì la mia mano e il mio braccio,
mentre una forza invisibile mi arpionava allo stomaco. Il mondo
iniziò a vorticare furioso intorno a me, tutto divenne
indistinguibile, il bosco, il buio, le paure irrazionali si fusero in
un unico senso di nausea: la Passaporta mi strappò via, mi
trascinò lontano, per lasciarmi stordito, al buio, presso il
pilone di un ponte sul Tamigi, poco lontano da Grimmauld Place.
Fu tutto così rapido che non riuscii a vedere la civetta,
che mi aveva individuato fin da prima che raggiungessi il capanno,
riprendere le proprie sembianze umane e Smaterializzarsi via.
*
Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 15 gennaio 1972
Il
Salone dell'Arazzo mi accolse, carico della sua magnificenza gelida
e distaccata, in un turbinio di fiamme verdi. Tutto era immerso nella
penombra pallida delle candele e nel silenzio solenne: tirai un sospiro
di sollievo, Walburga e Regulus dovevano essere ancora a casa di Pollux
e, benché dopo tutti gli sconvolgimenti di quella giornata
avessi desiderio di rivedere mio figlio al più presto, fui
grato di essere solo, per avere il tempo di recuperare un po’
della mia impassibilità.
Non ero andato subito a casa, dal fiume: con il cappuccio calato sugli
occhi e il bavero rialzato a coprirmi la bocca, mi ero diretto al Leaky
Cauldron e da lì avevo raggiunto Knockturn Alley, per una
visita alla bottega di Borgin e un'altra commissione, più
discreta, per conto di Alshain. Con un colpetto impercettibile delle
dita, controllai la consistenza della tasca interna del mio mantello.
Kreacher mi raggiunse per confermarmi che la padrona non era ancora
rincasata e per ricordarmi che avevamo ospiti a cena, io gli ordinai di
prepararmi la più austera delle mie toghe e di avvertire
Walburga che sarei ritornato tardi, senza lasciar detto nulla circa i
miei impegni. Prima di entrare nel mio studio, mi guardai allo specchio
del corridoio: vi trovai riflesso uno sconosciuto, il volto segnato
dalla pesante giornata, gli abiti ormai privi
dell'impeccabilità che sempre mi caratterizzava; avevo
bisogno di ritrovare me stesso, un uomo impassibile e indifferente,
perché solo dietro la mia maschera, sarei stato in grado di
riprendere il pieno controllo dei miei pensieri e della situazione.
Appena l'Elfo si allontanò abbastanza da non poter riferire
nulla a Walburga, raggiunsi la mia scrivania e con un incantesimo
silenzioso aprii il cassetto segreto, presi il documento che vi era
custodito e depositai la pergamena nascosta nel mantello, come mi era
stato chiesto da Alshain. Prima di richiudere, guardai il timbro del
MagiNotaio, ricordai il giorno in cui avevamo fatto redigere l'atto, la
settimana stessa dello Smistamento dei ragazzi: erano trascorsi pochi
mesi da allora, ma sembrava passata una vita intera. Feci sparire il
cassetto, applicai tutti gli incantesimi di Difesa che conoscevo,
sistemai la scrivania come se avessi letto una missiva insignificante
che mi era stata recapitata al mattino, chiusi a chiave lo studiolo e
salii le scale, per raggiungere il ritratto di Phineas. Volevo che il
vecchio avo avvertisse Dumbledore del mio arrivo ma, soprattutto,
volevo capire dalle sue parole se la notizia dell'attacco a Essex
Street fosse giunta a scuola: il silenzio e la consueta espressione
insondabile del burbero capostipite, però, non mi furono di
alcun aiuto.
Salii infine in camera mia, trovai la veste già appoggiata
sul letto, mi tolsi la toga e allentai la cravatta, slacciai i polsini
e andai a versarmi una generosa dose di Firewhisky, senza avere, a dire
il vero, alcuna intenzione di scolarmela: mi sentivo di colpo svuotato,
inerte, sfiduciato. Andai al caminetto, le mani appoggiate sulla
mensola, gli occhi persi nelle fiamme. Sospirai.
Sei
un essere umano, Orion, come puoi pensare di restare impassibile, dopo
tutto questo?
Uscito dall'ombra del ponte, diretto a Diagon Alley, avevo cercato in
cielo il Marchio del Signore Oscuro, il cuore livido di paura,
aspettandomi che incombesse ancora, minaccia carica di morte, sulla
città inconsapevole. Camminando nel bosco e, di nuovo, sulla
strada per il Leaky Cauldron, avevo dubitato su ciò che
fosse giusto fare, sulle fedeltà da rispettare,
sull'opportunità di mandare tutto alla malora e rintanarmi
in casa, sbronzarmi e dimenticare, finché la situazione non
si fosse risolta da sola. Mi ero persino chiesto se avesse senso
restare sordi al richiamo di Lord Voldemort, arrivati a quel punto,
considerati i rischi cui sarei andato incontro anch'io, con la mia
ostinazione...
Che
importanza ha chi prenderà le redini del Ministero?
Ciò che conta è eliminare Sanguesporco e
Babbanofili e impedire che continui la contaminazione del nostro mondo.
Che senso ha opporsi, contrastare, restare indifferenti a chi vuole
liberarci dalla feccia? Anche se Alshain avesse ragione, anche se
Voldemort fosse un Mezzosangue, che importanza avrebbe?
Non si trattava di intaccare la purezza delle nostre Famiglie con un
matrimonio scellerato ma di sostenere un uomo, pur dalle origini
dubbie, in grado di rovesciare un governo di pusillanimi e di
restaurare il dominio assoluto della Magia sul nostro Mondo…
Tutto ciò che volevo anch’io.
Quale
folle arroganza c’impone di non scendere a compromessi, di
rinunciare a occasioni favorevoli mentre si aggrava la nostra
condizione e si protrae l'agonia del Mondo Magico?
La mia ostinazione nel rifiutare il Lord andava contro i miei stessi
interessi, era immotivata e insensata, più insensata di
quella di Alshain, che aveva sulle spalle il destino delle Terre e
doveva perciò vagliare con attenzione, per il bene della
Confraternita, le conseguenze di ogni sua mossa.
Che motivi seri avrei
io, invece, per oppormi al Signore Oscuro?
Nessuna!
... a parte quel
dannato, testardo, scozzese... il mio migliore
amico... mio… fratello...
Sentii la bile risalirmi in gola. Mi guardai attorno preoccupato: avevo
rafforzato e protetto quella casa con ogni Incantesimo Oscuro che
conoscessi, perché lì custodivo ciò
che avevo di più sacro, il mio Sangue, il futuro stesso
della mia famiglia. Dopo quanto avevo visto a Essex Street,
però, non potevo più illudermi di riuscire a
salvare la mia famiglia dalla furia del Lord solo con le mie stupide
Magie. Allo stesso modo, era assurdo pensare ai documenti, affidati ad
Alphard, come a un’assicurazione sufficiente contro la follia
di Bellatrix e di suo marito, Rodolphus Lestrange.
Maledetto
me, invece di farti ragionare, stupido scozzese, ti ho seguito... Se
solo non fossimo stati così arroganti e
ostinati... ora invece di temere per le nostre vite saremmo
al fianco del Signore Oscuro, brindando ai suoi successi e progettando
la spartizione di onori e cariche...
Sentii la vena della tempia pulsarmi dolorosa e il sangue far tremare
furiosamente l'occhio sinistro...
Vedi
come si ribella il tuo corpo a sentirti parlare così, Orion?
Sembri uno di quegli individui che conosciamo bene, privi di morale,
disposti a ogni bassezza, a ogni compromesso per il loro tornaconto...
Tempi oscuri, vecchio mio, se ragionassimo come il cugino Malfoy...
ahahahah...
Nonostante tutto, il mio viso si era deformato in un ghigno sghembo,
mentre nella testa rimbombava la risata sguaiata di Alshain
all'indirizzo di Malfoy. Eppure non c’era di che sorridere,
non vedevo una via d’uscita e questo era la prima volta che
mi accadeva. Presi il bicchiere, trangugiai il liquido, sentendo il
fuoco attraversarmi il corpo e intorpidirmi. La testa stava per
esplodermi. Me ne versai ancora. Bevvi ancora. Temevo la reazione del
Lord, tremavo al pensiero di cosa mi sarebbe successo quando avesse
compreso che avrei aiutato Sherton, invece di tradirlo, ma al tempo
stesso non m’illudevo, perché il Lord ormai ci
conosceva da anni e doveva aver già messo in conto ogni mia
mossa, trovando un modo per sfruttarla a proprio vantaggio.
Tutto
è già stato considerato, Orion, dall'aiuto, alla
fuga, al tradimento: a ogni tua scelta, seguirà una
contromossa del Lord. Che tu lo voglia o no, sei una pedina sulla sua
scacchiera.
Rabbrividii, poi, cercando in fondo all'anima la determinazione
sufficiente a reagire, andai a lavarmi, con la Magia cancellai i segni
della giornata sul mio corpo, quindi mi rivestii: allo specchio, vidi
la mia sicurezza ricompattarsi in una maschera, via via che gli strati
di seta e d'argento Slytherin si sovrapponevano e si fondevano, facendo
riemergere l'impassibile e gelido Orion Arcturus Black.
*
«Cambiati quella camicia,
Orion, non ti dona! E sbrigati, abbiamo ospiti a cena, lo
sai!»
La voce di Walburga mi colse di sorpresa, alle spalle, ma riuscii a
restare impassibile, continuai ad allacciarmi gli ultimi bottoni,
osservandola riflessa nello specchio di fronte a me: imperiosa,
emergeva dal buio del corridoio, stretta in una toga nera, semplice,
che ne esaltava la figura slanciata e nivea, mentre i suoi gioielli
riflettevano la luce rossastra delle candele della mia stanza e
sembravano prendere fuoco, vestendola di tonalità sulfuree.
Con stupore, la vidi entrare nella mia stanza, il mantello che doveva
portarmi Kreacher stretto in mano: non fiatai, mentre si avvicinava,
tanto da percepire il calore della sua pelle, che s’irradiava
dal tessuto sottile e pregiato che la fasciava. La notizia
dell’agguato agli Sherton doveva averla sconvolta, non
c’era altra spiegazione a un comportamento simile, a un gesto
che sottintendeva un’intimità tra noi ormai morta
e sepolta.
Non è
più accaduto nulla dopo che...
Il pensiero mi si bloccò in testa quando la sua sinistra si
chiuse attorno alla mia mano e, gettato il mantello sulla poltrona,
l'altra si appoggiò sul mio petto, sul mio cuore. Guardai la
mano, guardai lei.
…
così vicina, così
pericolosa… così… desiderabile...
Distolsi lo sguardo, turbato, e arretrai, sottraendomi al suo tocco,
poi mi mossi rapido, così da mettere tutta la cassapanca tra
noi. Non sapevo cosa volesse, come sperasse di manipolarmi, ma la
conoscevo e sentivo l'urgenza di andarmene, di eclissarmi persino dalla
sua vista. Lanciai un Muffliato silenzioso, per sicurezza: qualsiasi
cosa fosse successa, non volevo che Regulus sentisse una parola o un
rumore di troppo. Ripresi a vestirmi, come niente fosse, la migliore
aria di pacata sufficienza stampata in volto, sperando che le mie
occhiatacce inquiete valessero più delle parole.
«Allora? Che cosa vuoi fare?
Farmi sfigurare presentandoti con una toga da pomeriggio?»
«No, non temere, Walburga,
neanche mi vedrete, stasera... Goditi i tuoi preziosi ospiti senza
timori, non sfigurerai con loro a causa di un marito
inadeguato… Dopo la giornata che ho passato, non ho lo
spirito per sopportare le ciance di chicchessia... ora scusami ma devo
proprio andare… »
I nostri sguardi s’incrociarono, Walburga sembrava
interdetta: da anni non si avvicinava più alla mia stanza,
nemmeno quando ero malato si preoccupava di controllare di persona le
mie condizioni, se in quel momento si trovava lì era per
assicurarsi che non la mettessi in imbarazzo con i suoi ospiti o
perché stava architettando qualcosa ed io le ero, per
qualche motivo, necessario. Sistemai il medaglione dei Black sopra la
toga e mi pettinai i capelli e la barba, fingendomi indifferente.
«Non asseconderò le
tue intemperanze, Orion, lo sai! Ora ti cambierai, scenderai di sotto
con me e accoglierai gli ospiti come si conviene a un Black, abbiamo
una reputazione da mantenere, o te lo sei scordato? Kreacher, porta via
il mantello, il tuo padrone non uscirà più, per
stasera!»
Intemperanze?
Non uscirò più? Ho forse undici anni, Walburga? E
tu sei forse mia madre? Ho sopportato le insulse stronzate dei nostri
inutili ospiti per decenni… puoi scordartelo, stasera!
«Mi dispiace, ma, ripeto,
questa sera non posso, sono atteso con urgenza... »
«Non credo proprio…
Ho organizzato in ogni dettaglio questa cena da mesi! E tu ci
sarai!»
Impettita, sulla porta, decisa a non farmi passare, mi fissava con
sdegno mentre strappavo il mantello dalle mani di Kreacher, lo
indossavo e mi preparavo a calarmi anche il cappuccio sulla testa:
aveva capito che in me non c'era più alcun segno del timore,
del desiderio e della supplica che mi aveva visto in quegli anni ed era
confusa dalla mia determinazione. Oltre che offesa e arrabbiata, come
al solito.
Se
qualcuno è impazzito, non sono certo io! Pensare a stupidi
discorsi da salotto, mentre…
«Mi dispiace, Walburga, so che
ci tieni e che ti sei impegnata ma se anche fossi presente, non ci
sarei con la testa, non finché non si saprà
qualcosa almeno dei bambini. Sarebbe peggio, fidati.»
«Di cosa stai blaterando,
Orion? Quali bambini?»
«Quali bambini? È
la notizia del giorno in tutto il Mondo Magico, Walburga! Per
favore… »
«Di che cosa parli? Ti
comporti come un pazzo, non ragioni, mi stai mettendo paura!»
«Sul serio non sai che oggi il
Marchio Nero del Signore Oscuro è apparso sopra casa
Sherton? Non sai che l'antica dimora dei Meyer a Essex Street non
esiste più? È esplosa e il Marchio ha campeggiato
sui suoi ruderi per ore. Sono stato fuori tutto il pomeriggio per
aiutare nelle ricerche e ora devo andare a Hogwarts... a dire a quei
due ragazzini, quelli che da piccoli gattonavano di sotto con i nostri
figli... che la loro famiglia non c’è
più!»
«Salazar... che cosa dici?
Quando… Come… Chi è stato?»
Stavo per sbottarle in faccia di chiederlo a sua nipote, chi era stato,
ma riuscii a trattenermi.
«Il Ministero sta ancora
Obliviando i Babbani per cancellare il ricordo del Marchio e
dell'esplosione. Hanno recuperato due corpi, hanno riconosciuto Kenneth
Emerson, dell'altro invece... oggi c'era una riunione di Maghi della
Confraternita, la vittima forse è uno di loro. Degli Sherton
non si sa nulla: o sono stati presi, o sono fuggito. Pensano a Mirzam
come responsabile... »
Walburga andò a sedersi sul letto, a capo chino, si
guardò le mani, mi sembrò sconvolta come non la
vedevo da anni e mi pentii di aver fatto pensieri da pazzo, per fortuna
ero stato capace di contenermi o mi sarei sfogato ingiustamente,
accecato com’ero dal dolore. Mi avvicinai, le accarezzai la
spalla per rassicurarla: per un istante il vecchio me, quello che per
anni aveva sperato e creduto in noi, cercò sul suo viso una
nota di sincerità, di preoccupazione vera, qualcosa che mi
desse un motivo per fare un passo indietro e restare al suo fianco.
Appena iniziò a parlare, però, la bile mi
risalì di nuovo in gola e il sangue mi andò alla
testa: di fronte a me, c'era solo l'infinito vuoto fatto di rabbia e
vendetta, da cui dovevo allontanarmi, prima che fagocitasse anche me.
«Non devi andare a Hogwarts,
Orion, non c’è nessuna ragione per cui tu debba
impicciarti!»
«Nessuna ragione? Sono i miei
figliocci, Walburga!»
«Non sono la nostra famiglia!
Vuoi coinvolgerci com’è successo a
Herrengton?»
«Che cosa ti passa per la
testa? Non ricordi gli impegni che abbiamo preso? Ragiona: se ci
capitasse qualcosa, vorresti che Alshain, al mio posto, se ne lavasse
le mani?»
Lo sguardo che mi rivolse mi fece sbiancare tanto era intriso
d’odio nella sua più pura essenza.
«Sì... Salazar,
sì! Se solo potessi tornare indietro… per nessuna
ragione al mondo farei avvicinare quell'uomo a mio figlio! Mio padre
aveva ragione, è stato un errore imperdonabile far entrare
Alshain Sherton nella nostra vita! Guarda in quali situazioni ti stai
cacciando a causa sua!»
«Tu non ti rendi conto di
quello che stai dicendo, Walburga… »
«Sei tu che non ti rendi
conto! Te lo dissi la sera del matrimonio: invitare un Ministro
filobabbano, scatenando il sospetto di essere un traditore del
sangue... mettersi contro il Signore Oscuro... per cosa? Ha avuto anni
per fare una mossa chiara e invece? Che senso hanno le azioni di
quell'uomo? È solo un folle vanesio, Orion, e tu ci metti
tutti in pericolo per seguire lui!»
«Vedo che le tue serate a casa
di Pollux stanno dando frutto, Walburga! Non la pensavi come tuo padre,
quando bramavi il sangue della ragazzina per rafforzare il pedigree
della nostra famiglia! O quando sognavi l'oro e il potere e l'influenza
di Herrengton! Non erano gente pericolosa quando premevi su Alshain
perché si prendesse in casa una delle figlie di tuo
fratello!»
«E in quell'occasione quel
bastardo ha dimostrato quanto tiene alla tua amicizia! È un
uomo senza onore! Non gli devi niente! Nessuno di noi gli deve niente!
Ti usa, non fa nulla per te, per noi, a parte metterci nei guai! Se
fosse l'amico che dici, non avrebbe permesso a suo figlio di
umiliarci!»
Aveva accantonato la maschera, rivedevo la donna che aveva cancellato
ogni traccia d'amore in me quando si era disinteressata a mio figlio,
la notte di Herrengton. Lentamente mi avvicinai, abbassai la testa fino
al suo orecchio e sibilai piano, scandendo bene le parole, nel
più freddo dei miei toni.
«Se fossi stato nei suoi panni
e mio figlio avesse voluto una disgraziata fuggita con un
Sanguesporco… o un’altra che si prostra davanti
un… ti giuro sulla mia vita che l'avrei diseredato! E avrei
ucciso persino un fratello che mi avesse fatto una proposta simile!
Apri gli occhi, Walburga! La nostra famiglia siamo tu, i nostri figli
ed io! Non c’entrano nulla le figlie di Cygnus e gli scandali
che si tirano dietro! Né le idee fuori dal mondo di tuo
padre! Alshain non ha fatto nulla per noi? E il documento, prezioso
più della tua stessa vita, che hai portato di persona alla
Gringott?»
Fu il turno di mia moglie di abbassare la voce tanto da ridurla a un
sibilo e farmi gelare il sangue.
«Brucialo! Capito? Brucialo!
Regulus non si legherà a quella famiglia! Mai! Vuoi
suicidarti? È questo che vuoi? Apri la finestra e gettati di
sotto! Ma non coinvolgere mio figlio e me!»
La guardai con sospetto: che cosa era successo alla donna che aveva
fatto fuoco e fiamme per avere Meissa per il suo Regulus? Era
irriconoscibile, una maschera di pazzia, odio e ferocia. La sorpresa mi
rese ancora più cauto, non avevo mai immaginato che la
situazione evolvesse in quella maniera.
«Molto bene… vado
dai miei figliocci, contano su di me e non intendo deluderli...
»
«Quelli sono i tuoi figliocci
e in questa casa c'è tuo figlio! Ci pensi a lui? Pensi mai a
cosa sia meglio per lui? Sei andato in giro tutto il giorno invece di
correre a casa, da tuo figlio, a dirgli che eri sano e salvo! E se
avesse saputo? Se fosse stato a casa, in vana attesa di tue notizie?
Per ore, preoccupato per te? Hai mai pensato alla
possibilità che tuo figlio fosse spaventato e
sconvolto?»
Fu un colpo basso: era vero, preso com'ero dal processo, da Essex
Street, dai Ministeriali, non avevo pensato un solo istante che anche i
miei figli potessero preoccuparsi e spaventarsi. Conoscevo,
però, quella donna, sapevo quale fosse il vero scopo delle
sue parole. Ed io non intendevo perdere altro tempo con le sue
sceneggiate, false come tutto ciò che la riguardava.
«Per fortuna, come hai detto
tu, non sapeva nulla… ed io ora non intendo fare il gioco
dei se e dei ma con te… Quanto a nostro figlio... ti ricordo
che si tratta dello stesso bambino di cui da anni vuoi che non mi
occupi per la mia inadeguatezza e pericolosità, o sbaglio?
Perciò non fare questi giochetti con me mettendo in mezzo
lui, Walburga! E finiamola con questa sceneggiata patetica!»
«Non arrivi a capire quanto
è pericoloso il tuo comportamento... per tutti
noi?»
«Andare a Hogwarts e parlare
ai ragazzi Sherton è ciò che tutti si aspettano
dal loro padrino... Se mi nascondessi, qualcuno potrebbe
pensare che io sappia e sarebbe capace di fare del male a te o ai
nostri figli per farmi parlare di cose che non so! Non sono
così pazzo da correre un rischio simile perché ho
una moglie che si è fatta plagiare da un padre folle e un
fratello vigliacco!»
«Bada a come parli, questa
è la casa dei miei padri! Sono tua moglie e pretendo
rispetto!»
«Moglie? Rispetto? Parli tu
che… cosa hai detto poco fa? Buttati di sotto? Lasciamo
perdere, Walburga! Bei concetti di cui ti ricordi quando ti fa comodo,
quando hai qualcosa da chiedere o da imporre... parole che da anni non
contano nulla per te... Bene: sappi che nemmeno per me conta
più che tu sia mia moglie, e... no... non
t’illudere, non è il mio patetico amore per te a
farmi straparlare, quello è morto e sepolto…
ciò che parla, ora, è la consapevolezza di un
padre, che ti ha visto lasciare NOSTRO figlio solo, a Herrengton, nel
pericolo... Non te lo perdonerò mai, nemmeno se ti
prostrassi a strisciare ai miei piedi, è bene che tu lo
sappia!»
«Sono stata io a portare
Regulus a casa, quella notte!»
«Certo, peccato che Regulus
non sia l'unico figlio che hai cresciuto nel tuo ventre!»
«Come osi giudicare i miei
comportamenti, quando sei stato tu a... »
«A fare mille errori, primo
tra tutti lasciarti disporre della vita dei miei figli come
volessi… Per te sono arrivato persino a questo…
per te… vedo ora che ne valeva davvero la pena! »
«Sei impazzito! Ed io che non
volevo crederci, quando mio padre mi metteva
sull’avviso!»
«Certo, sarebbe tutto
più semplice se fossi giudicato pazzo, vero? Purtroppo per
lui e per te, ho vagliato anche questa possibilità, ci sono
documenti che attestano che non sono mai stato così in me,
come adesso... e ci sono documenti pronti a finire sulla scrivania di
Crouch, se qualcuno osasse torcere un capello alla mia famiglia,
persino a te... ricordatelo, tu e tuo padre!»
Sorrisi, gelido, lasciandola senza parole, e la superai, evitando
sdegnoso ogni contatto con lei.
«Tu non sei niente per loro!
Sono i Malfoy i loro parenti! Dovrebbe essere Abraxas ad andare a
Hogwarts, non tu, non noi! Lascia che le cose vadano come devono...
Orion!»
Mi voltai di nuovo, c'era qualcosa di strano, Walburga non aveva mai
litigato così, con me: sembrava volesse portarla per le
lunghe, tirando fuori sempre nuovi argomenti, altre farneticazioni,
solo per farmi infuriare e per farmi perdere altro tempo... Era lei si
solito a chiudere subito la partita.
«Abraxas è giunto a
casa di mio padre con quella notizia… ho fatto in modo che
Regulus non lo sapesse, ma io… mi sono spaventata a morte...
Cygnus e Alphard sono andati a cercarti, Abraxas voleva accompagnarci,
io ho chiesto a mio padre di farlo, ora è di sotto con
Regulus... »
«Bene… Questo
significa che mi hai mentito… ancora una volta... mi hai
mentito!»
«Tu non ti rendi conto della
paura che ho provato... »
«Certo…Immagino il
tuo sgomento, quando Malfoy ti ha portato la lieta novella!»
Scoppiai a ridere. Walburga mi guardò con tutto l'odio di
cui fosse capace, alzò una mano, stravolta dal desiderio di
schiaffeggiarmi, ma si bloccò, il corpo tremante di rabbia.
Il suo sguardo scivolò sul tavolino, mise a fuoco la
bottiglia, il bicchiere, forse percepì l'odore dell'alcool
nel mio respiro.
«Sei ubriaco, ecco cosa sei!
Dovevo capirlo subito, non c'era altra spiegazione... Cos'altro ci si
può aspettare da un uomo che mette a rischio la sua famiglia
per gli orfani di quei pezzenti? Dove vai? Vieni qui! Ci sta pensando
Abraxas, sarà lui ad andare a Hogwarts ad avvisare quei
mocciosi!»
Scesi di corsa le scale, senza prestarle più ascolto, il
cuore in tumulto: avevo fatto il loro gioco, ecco cos’era
appena accaduto, Walburga aveva cercato di trattenermi il
più a lungo possibile mentre Malfoy raggiungeva Hogwarts
prima di me. Pensieri confusi mi sconvolsero la mente…
Ora so perché
il Signore Oscuro ha lasciato andare i
bambini… perché nessuno dei due è
l’erede che sta cercando; l’erede è un
altro, l’erede si trova a Hogwarts, Salazar! Malfoy non sta
andando a scuola per informare i ragazzi... sta andando da Meissa e
Rigel per capire chi dei due…
Entrai nel salone dell'arazzo come una furia, vidi sui cuscini di
broccato del divano un paio di libri che prima non c'erano: mentre ero
di sopra, mio figlio era stato lì e mi si strinse il cuore
perché, anche quella sera, l'avrei lasciato solo, a subire
quel clima pesante, per il momento, però, non potevo fare
altro, dovevo andare, lo facevo anche per lui, per il suo futuro. Per
la sua sicurezza.
Avevo ancora negli occhi l'immagine di Deidra che riabbracciava i suoi
figli e, a contrasto, quella di Walburga che se ne andava da Herrengton
senza curarsi di Sirius… il mio Sirius. Ero sconvolto, per
le sue parole, per le mie, per la disperazione, l'arroganza, la
violenza che le avevo riversato addosso, quella verità che
per anni, per orgoglio, paura, amore, decoro, non avevo avuto il
coraggio di esprimere. E ora era uscito tutto, perché ero
così fuori di me, dopo una giornata simile, da non avere
più alcuna capacità di contenermi,
nessuna… E nonostante la confusione, la vergogna, il
disagio, il dolore, sì, persino il dolore, perché
ormai quella parte della mia vita era finita, riuscivo a sentirmi
più leggero: davanti a me c’era ancora una vita
intera, breve o lunga che fosse, una vita diversa, una vita che avrei
dedicato a correggere gli errori fatti. E quelli con i miei figli erano
i peggiori tra tutti.
Quando
tornerò, sorriderò a Regulus, lo
prenderò sulle ginocchia e gli scompiglierò i
capelli, da oggi sarò per lui e per suo fratello il padre
che non sono stato mai... e non importa se all'inizio mi crederanno
impazzito e avranno paura di me… non voglio più
vederli crescere credendo che non m’importi nulla di loro...
non è così… non è mai stato
così… sono l'unica “cosa”
bella della mia vita. L’unica di cui sono fiero e
orgoglioso... L’unica che dia un senso alla mia esistenza.
Salazar, se solo penso a quanto ho negato loro... e per cosa? Per chi?
Per amore di quella donna? Ho creduto di agire per il loro bene,
è questa la mia sola attenuante… ho creduto che
fossi io quello sbagliato... invece… li stavo condannando
all'infelicità...
«Esci, papà? Non
resti a cena con noi, stasera?»
Mi voltai, pronto a sorridere a mio figlio come non avevo mai fatto. Il
cuore invece mancò un battito, le parole mi morirono sulle
labbra, solo per miracolo riuscii a trattenermi e a non tremare:
Regulus mi fissava con occhi così simili ai miei da farmi
temere che potesse leggermi dentro.
E ciò che c'era dentro di me, in quel preciso istante, era
terrore puro.
*
«Esci, papà? Non
resti a cena con noi, stasera?»
«Oggi c'è stato il
processo, Regulus: Mirzam Sherton è stato scagionato. Tuo
padre sta andando a Hogwarts per portare la notizia ai suoi fratelli,
anche se avrebbe potuto aspettare fino a domani!»
Vidi un lampo di curiosità e speranza negli occhi di
Regulus, sapevo dove era corsa la sua mente, ancora prima di sentire la
risposta. Avrei voluto fare un passo, rassicurarlo, dirgli che
l’avrei portato io stesso a vedere la partita del Puddlemere,
essere finalmente il padre che mi ero ripromesso di diventare, appena
pochi istanti prima. La mia attenzione, però, era catturata
dalla figura pallida, vestita di nero che, ferma alle spalle di Cygnus,
mi sondava famelica come una belva. Con un brivido tornai su mio
figlio, misi a fuoco la mano di Bellatrix appoggiata sulla sua spalla:
una mano pallida, curata, una mano che, lo sapevo, era stata a lungo
lorda di sangue, il sangue di Alshain.
«È magnifico!
Presto tornerà a giocare nel Puddlemere! E noi lo andremo a
vedere, vero?»
«Certo... appena Mirzam
potrà tornare a giocare, lo andremo a vedere... ora,
però... »
Vuoi
andare a Hogwarts mentre questa pazza assassina si trova a casa tua?
Con tuo figlio?
Che scelta ho? Se mi
tirassi indietro, ora, ammetterei di sapere che
cosa ha fatto… e potrei saperlo solo se me ne avesse parlato
Alshain, se l’avessi visto… no, non posso, non
devo cedere…
«... devo andare, Regulus...
cercherò di fare presto, così poi parleremo con
calma di quanto è accaduto oggi... potresti aspettarmi in
camera tua, fino al mio ritorno… »
«Che sciocchezze, Orion! Mio
nipote non è più un bambino! E visto che non
t’interessa stare con noi e fare gli onori di casa, come si
conviene a un vero Black, sarà il nostro ometto a fare le
tue veci, stasera, dico bene Regulus? Vai pure dagli Sherton, Orion,
continuerò a prendermi cura io del mio giovanotto! Abbiamo
iniziato a leggere un libro sui grandi Maghi Slytherins del passato.
Ricordati, Regulus: ogni bravo Mago purosangue deve darsi a queste
letture! Non come certi Slytherins da quattro soldi che leggono
robaccia babbana… Inaudito! Indecente!»
«Esatto, nonno:
c’è gente che si professa custode delle
tradizioni, poi declama stupide poesie babbane! Per fortuna Regulus ha
noi, mi ha portato di sopra, prima, a vedere il bel regalo che gli hai
fatto!»
Strinsi i pugni e m’imposi di mantenermi calmo: ero
terrorizzato da mia nipote e non sopportavo la vista di mio suocero,
fin da quando ero un moccioso, da prima ancora che scoprissi che mi
aveva condannato a sposare la sua odiosa primogenita. Certo, non era
facile mantenersi impassibili, non con quegli occhi puntati addosso,
non con quelle parole gentili che celavano minacce, non con quelle
bieche allusioni, non con il ghigno del vecchio sordido che avevo
davanti. Eppure dovevo.
«Si parla di Quidditch o
sbaglio? Verrò anch'io con voi a vedere Mirzam, a te sta
bene, zio?»
Salazar,
no... non lui… anche lui no… lui non
può stare qui...
Prossimo al caminetto, mentre la mano di mio figlio era appoggiata sul
mio braccio in un saluto garbato e formale, udii la voce
dell’odiato Lestrange stridere nell'aria soffocante della
stanza, come unghie che graffiano il vetro. Mi voltai a fissarlo,
impassibile, provando a celare il tremore che sentivo conquistare le
mie membra un pezzo alla volta: stava fermo sull'arco della porta, alle
spalle di Walburga, simile a un demone oscuro che emergeva beffardo
dalle tenebre del corridoio. Vestito di tutto punto per la cena
mondana, che di lì a poco si sarebbe tenuta nel salotto
buono di Grimmauld Place, Rodolphus mi balenava addosso taglienti occhi
da pazzo, il volto in parte celato dalla zazzera spettinata. Mi chiesi
se volesse provocare in me una reazione per scoprire quanto sapessi,
quando vidi che portava i tre anelli, staccati dalle dita di suo padre,
sulla mano destra, quella che teneva appoggiata sull'avambraccio di mia
moglie, nel gesto galante del gentiluomo che lascia il passo a una
nobildonna. Riflettei su quanto quel gesto gentile nascondesse la
violenza di un feroce assassino, il panico vero, però,
dilagò quando riconobbi, arrotolata nella mano sinistra, una
copia dell’edizione serale del Daily Prophet.
«Quante ne abbiamo combinate
insieme Mirzam Sherton ed io... Se solo sapessi dove si trova in questo
momento, pensate che bella sorpresa faremmo Bellatrix ed io a lui e a
sua moglie! Una festa a sorpresa, con tutti i suoi amici di un tempo,
per fargli sapere che è stato scagionato... Tu che ne dici
Regulus? Aiuteresti tua cugina e me a fare una sorpresa al Cercatore
del Puddlemere?»
Il sangue mi divenne ghiaccio. Walburga si ostinava a fissare l'Arazzo,
ma ne percepivo tutto l'odio: mi chiesi se quel suo patetico tentativo
di farmi desistere e restare a cena, degenerato in una lite vergognosa,
non celasse il suo disagio al pensiero di avere in casa, come ospiti,
due assassini.
«Regulus, per cortesia, vai a
prendere il bastone da passeggio di tuo padre! Tua cugina, tuo nonno ed
io andiamo di là, così il signor Lestrange e
papà possono parlare d’affari!»
Walburga lasciò salire Regulus di sopra, poi fece strada a
Bellatrix e a Pollux nell'altra stanza. Io, per assecondare le sue
parole e fingere di non essere a disagio, mi allontanai dal caminetto e
slacciai il mantello. Fu inutile perché, appena mi voltai,
mi ritrovai Rodolphus di fronte: si era mosso rapido e silenzioso come
un felino, fino a arrivare a un passo da me, ed io ora rabbrividivo
ripensando alla scena del patio, a Herrengton. Era lo stesso per lui,
glielo leggevo negli occhi. Non avrei mai dovuto dimenticare, per tutto
il resto della mia vita, che Lestrange, da quella notte, di
là degli ordini del Lord, aveva validi motivi personali cui
attingere per fomentarsi contro di me e farmi del male, per questo non
avrei mai smesso di pentirmi di non essere andato fino in fondo, con
lui e Bellatrix, quando ne avevo avuto l’occasione. Lo
sapevamo entrambi. Gli sorrisi gelido.
«Credevo di averti detto che
non sei gradito in questa casa, Lestrange!»
Rodolphus fece spallucce, mi superò, si mosse come fosse
casa sua, prese una bottiglia di vino elfico, se ne versò
una dose generosa, il tutto continuando a giocherellare con la copia
del Daily.
«Rodolphus Lestrange non
è gradito in questa casa rispettabile, lo so. Il tuo
ostruzionismo, però, non si estende a tutta la mia famiglia,
per esempio non hai mai vietato l'ingresso a Lord Lestrange. So come
vanno le cose tra famiglie come le nostre, Black: i Lestrange sono tra
i pochi pari che avete, per questo motivo, da secoli, ci sono interessi
non di poco conto che legano le nostre famiglie!»
«Conosco la storia,
Rodolphus… e vorrei che arrivassi al punto... ho
fretta!»
«Sto dicendo che sarebbe
assurdo se, per sciocchi screzi tra me e te, due famiglie importanti
come le nostre non mantenessero i cordiali rapporti d'amicizia che ci
hanno sempre legato... »
«Non vedo quale sia il
problema. Non ho mai avuto nulla da ridire con tuo padre e continuo a
non averne: facciamo affari insieme… molti…
affari che non ti riguardano in alcun modo!»
«Lo so… affari che
hanno favorito per decenni entrambe le nostre famiglie, per questo mi
aspetto che continui così, zio. Quanto invece al fatto che
non siano affari che mi riguardino, ti sbagli… »
La stava portando per le lunghe ed io ero impaziente di andarmene,
eppure ero anche curioso di capire che cosa avesse in mente, che cosa
si celasse in quei modi così stranamente diplomatici.
«Non ho intenzione di snobbare
tuo padre e gli affari che ho concluso con lui, per i nostri dissapori,
Rodolphus. A dire il vero, potrei persino chiudere un occhio sui
problemi che ho con te, se mi facessi il piacere di tenerti alla larga
dalla mia famiglia, come ti ho chiesto. Da parte mia non
c’è altro da aggiungere, perciò ti
saluto... un’ultima cosa… gradirei non ritrovarti
al mio ritorno!»
«Mi dispiace ma non mi trovo
più nelle condizioni di rispettare questo tuo desiderio,
zio... »
«Come scusa? Che cosa vorresti
dire? Guarda che non si trattava di un semplice consiglio!»
«Significa che mi vedrai
più spesso di quanto entrambi vorremmo… significa
che quando avrò bisogno del tuo aiuto, tu me lo darai...
significa che da oggi i tuoi affari li farai con me…
»
Scoppiai a ridere. Era il momento più spaventoso che avessi
mai vissuto ed io scoppiai a ridere.
«Ridi pure, Black, forse al
tuo posto reagirei anch’io così, farei la faccia
disgustata e penserei a una scusa qualsiasi per sottrarmi alle
richieste... poi, però, mi renderei conto che non
c’è molto altro da fare. E te ne renderai conto
anche tu, stanne certo. Sarebbe molto disdicevole, per esempio, se
stasera mi scordassi di affatturare i tuoi ospiti in modo che nessuno
parli di Essex Street, o se lasciassi in giro questo giornale: tuo
figlio potrebbe trovarlo e leggerlo di fronte ai tuoi ospiti. Ritieni
opportuno che i tuoi amici lo vedano sconvolto, o addirittura in
lacrime? Al tuo posto, dopo lo sciagurato Smistamento dell'altro
marmocchio, eviterei chiacchiere imbarazzanti!»
«Non so che cosa tu abbia in
mente, Lestrange, ma ti avverto, non tirare in mezzo i miei
figli… Con questo tipo di argomentazione otterresti al
massimo la mia collera! Non il mio aiuto!»
«Strano… sono
certo, invece, di aver toccato proprio le corde giuste,
Orion… »
«Signor Black, per te,
Rodolphus!»
«Come vuoi, ORION. Tu puoi
tranquillamente chiamarmi Lord
Lestrange!»
«Lord Lestrange? Solo tuo
padre può usare quel titolo, Rodolphus…
»
«Lo sai meglio di me, Orion,
che mio padre se la sta godendo all'inferno! Ti hanno visto a Essex
Street trafficare sul suo corpo, sai già che “il
tuo amico fraterno”, Alshain Sherton, mi ha reso orfano e si
è pure fregato degli anelli che mi appartengono…
Non cadere dalle nuvole… »
Lo fissai, mentre guardava compiaciuto gli anelli sulle sue dita. Mi
chiesi che gioco stesse facendo.
«Anelli di poco conto,
diglielo quando lo rivedi... perché immagino sia corso a
lamentarsi con te, del disordine trovato in casa, dico bene? Sai, a un
certo punto non l’abbiamo più trovato…
»
«Non so di cosa diavolo
farnetichi, né che cosa vuoi da me, a parte farmi perdere
tempo… »
«Hai ragione, devi andare...
è anche interesse mio che tu vada: lo sai, il primo impegno
che si assume come capofamiglia è il bene del Casato, degli
altri parenti... Bellatrix ed io speriamo che ci aiuterai, zio, a fare
il bene di entrambe le nostre famiglie... vero, mia cara?»
Bellatrix era rientrata da sola e si era affiancata a Rodolphus, aveva
preso dalle sue mani la coppa di vino elfico, teatralmente aveva
accarezzato e leccato tutto il bordo, saettando al marito sguardi
maliziosi, poi aveva bevuto il contenuto con avidità, senza
staccarmi un istante gli occhi di dosso, mentre un rivolo rubino le
imporporava l’angolo delle labbra. Sentii pervadermi dalla
nausea.
«Stasera, zio, abbiamo bisogno
che tu faccia una commissione per noi: Rodolphus ed io vorremmo che tu,
in quanto padrino dei giovani Sherton, parlassi con loro e con il
preside e ti assicurassi delle loro condizioni di salute... »
Bellatrix si era versata altro liquore nel bicchiere, poi, gentile, me
l’aveva offerto. Io rabbrividii, ricordando cos’era
successo l’ultima volta che l’avevo vista passare
un suo bicchiere a qualcuno. Rodolphus si avvicinò, mi
sentii preso in una morsa. Negai con la testa, in allerta come non mai.
«… e che poi ci
dicessi chi dei due è stato male, oggi: nulla di
compromettente, insomma… »
«Perché? A cosa vi
serve un’informazione del genere?»
«Non è cosa che ti
riguardi, zio... »
Volevano informazioni con le quali risalire
all’identità dell’Erede: secondo una
diceria, infatti, per costringere Habarcat a svelare i propri piani, si
doveva portare a un passo dalla morte il Signore di Herrengton. Non
avevano ottenuto risultati utili con i bambini e al tempo stesso
credevano che non fosse Mirzam la persona che cercavano. Dovevo fingere
che la diceria fosse vera, mostrarmi preoccupato e prendere tempo, poi,
alla prima occasione, avrei dovuto contattare Fear. A ogni costo.
«Non vi dirò un bel
niente! Informazioni su quei due ragazzini meno di tutto il resto!
L’avete già fatta grossa con loro ed io ho
già fatto fin troppo per togliervi dai pasticci, nascondendo
prove che potevano mettervi in guai seri! E ora, invece di essere grati
dell'aiuto ricevuto, osate minacciare la mia famiglia? La tua famiglia,
Bellatrix? Che cosa diavolo avete in testa? Volete costringermi a far
finire certi documenti compromettenti sulla scrivania di Crouch? Vi
avverto, non esiterei… »
«Ti sei fatto delle idee
sbagliate su di noi, zio, sei stato mal informato e mal consigliato.
Come potrei fare qualcosa di male a un altro Black? Al mio stesso
Sangue? E Rodolphus? Lui che mette sopra ogni altra cosa il Sangue
Puro, come potrebbe commettere un simile spreco? Noi, zio, vogliamo
solo rifondare il nostro Mondo, un mondo basato sulla Purezza del
Sangue: non potremmo mai riuscirci senza il sangue delle famiglie
più fiere e antiche, come le nostre… come gli
stessi Sherton… Per favore… io ti conosco da
tutta la vita, so che è anche il tuo sogno.
Aiutaci!»
Queste
considerazioni sul Sangue, questi lunghi discorsi, che cosa significano?
«Certo che vi aiuterei,
Bellatrix: siete la mia famiglia e condivido la vostra causa, lo
sai… ma voi… dopo quello che è
successo a Herrengton… non capisco più cosa
diavolo avete in mente!»
«Regulus sta scendendo, zio...
Le cose dovranno cambiare per forza, te ne rendi conto da solo. Il
nostro Mondo è un’immensa scacchiera e a ciascuno
di noi compete un ruolo: o sei bianco, zio, o sei nero. E siamo tutti
legati l’uno con l’altro, il nostro destino
determina quello degli altri: per questo è importante poter
contare su chi abbiamo accanto, nella lotta. Giochi a scacchi, zio, sai
che cosa accade alle pedine che non sono utili al gioco…Sono
sacrificate, per lasciare spazio alle manovre dei pezzi importanti,
quelli che rischiano, combattono e vincono le guerre!»
«Papà... il bastone
da passeggio non era in camera tua... »
Guardai Regulus, ero inquieto e spaventato come non mi ero sentito
nemmeno sulla torre di Herrengton, quando avevo rischiato di finire
coinvolto nello scontro tra quei due pazzi e gli Aurors.
«Hai ragione, scusami... devo
averlo lasciato nello studio... non fa niente... »
«Tuo padre ed io stavamo
parlando di andare insieme alla prossima partita, sei
contento?»
Sentii i peli della schiena rizzarsi ancora di più,
accarezzai il capo di mio figlio, protettivo, e lentamente mi frapposi
tra Regulus e i Lestrange.
«Ora devo andare, ne
riparleremo presto… »
«No, no… tu ed io
ne riparleremo più tardi, Orion, al termine della cena!
L’informazione che ti ho chiesto mi serve questa sera stessa.
Lo sai, sono molto impegnato, se ho accettato l’invito,
è stato solo per parlare con te, per questo ti
aspetterò. Passerò il tempo a giocare a Scacchi
Magici con tuo figlio, so che è un giovane campione: lui
sì che sarà un pezzo importante della
scacchiera!»
«Ti aspetterò
anch’io zio: stasera, dopo tanta agitazione, avremo anche
motivo di brindare!»
«Esatto, Bellatrix! Se dovessi
vedere mio fratello, zio, salutamelo: andrò a trovarlo
domani, devo dargli una bella notizia, qualcosa che lo
consolerà un poco. Come Lord Lestrange, infatti, devo
prendermi cura anche di lui e la prima cosa che ho fatto, oggi,
è stata firmare un vantaggioso contratto matrimoniale a suo
nome. Gli ho procurato una fidanzata deliziosa, una che già
gli piace molto: bella, nobile, ricca, purosangue... Giovane fortunato,
proprio come me… A più tardi, Black!»
Tremando, allucinato, con quella voce ridente che mi raschiava la mente
come carta vetrata, li salutai e andai al camino, senza nemmeno
rendermi conto di muovermi, tanto ero confuso e sconvolto; presi una
manciata di Polvere Volante, pronunciai il nome di un noto e malfamato
locale di Hogsmeade e pochi istanti dopo mi Materializzai a centinaia
di kilometri da casa. Respirai a pieni polmoni l'aria gelida delle
strade innevate, illudendomi che servisse a farmi tornare in me, poi,
di buon passo, mi avviai al castello, continuando a sentirmi nauseato e
debole, al punto da non capacitarmi neanche del tragitto che stavo
percorrendo.
Per un istante, mi ero illuso di essere un passo avanti ai Lestrange e
al Signore Oscuro, avevo pensato di avere in mano le carte giuste per
vincere quella partita mortale, ma alla luce delle ultime parole, tutto
assumeva un valore diverso: sapevo che cosa mi era stato chiesto di
fare, e per tutta quella giornata infernale avevo visto con i miei
occhi quale sarebbe stata la pena se non avessi collaborato. Non osavo
neanche pensare alle conseguenze.
Mi sento ciò
che sono. Un uomo Morto.
Raggiunsi miracolosamente i cancelli di Hogwarts ed entrai: non sapevo
ancora come avesse fatto Alshain ad andarsene con i figli, ma era
chiaro che il prezzo pagato era stato tanto, troppo alto.
*continua*
NdA:
Ciao a tutti,
ringrazio chi ha letto il
capitolo, chi ha commentato, chi ancora segue la storia nonostante le
pause eterne, i
nuovi lettori che si sono aggiunti negli ultimi mesi, ecc ecc.
Ho
visto che potrebbe
esserci un dubbio sull’ordine degli eventi e sulle
responsabilità dei Lestrange a proposito della
“fuga” di Alshain. Premesso che i
fatti si svolgono tutti nella stessa
giornata, le azioni si susseguono in questo ordine:
Mattina:
a Londra si tiene il processo a Williamson, a casa Sherton i
Mangiamorte guidati da Abraxas prendono in ostaggio Deidra. A Hogwarts
Rigel si azzuffa con McNair. Meissa e Sirius hanno un
chiarimento, Potter e Black combinano i loro soliti guai a fine lezione
e finiscono in punizione.
Mezzogiorno: Alshain
giunge a Essex Street e poco dopo la casa salta in aria, Deidra
è portata in salvo, i bambini sono presi da Malfoy.
Primo pomeriggio:
Alshain viene catturato e torturato dai Lestrange. Orion parla con
Alastor Moody, a Hogwarts, Rigel ha la sua disavventura nel bosco.
Tardo pomeriggio:
i Lestrange sono convocati dal Lord che affida loro un’altra
missione, Abraxas e Voldemort si occupano di Alshain. Orion giunge nel
capanno e trova Doimòs con Deidra. A scuola, Rigel
è ritrovato e salvato da Hagrid, McNair aggredisce Meissa.
Sera:
Alshain riappare con i bambini e parla con Orion, poi scompare. Orion
torna a casa, si scontra con la moglie e con i Lestrange, riparte per
Hogwarts. Rigel riceve una visita a Hogwarts. Meissa è
curata dalla Pomfrey
Notte:
Mirzam e Margareth sono in missione. Al ritorno, Mirzam vede arrivare
nell’accampamento di Fear un Patronus che conosce.
Per domande, chiarimenti, commenti,
richieste, ecc, sapete dove trovarmi! Un bacione.
Valeria
Scheda
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