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Autore: Terre_del_Nord    08/11/2013    4 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.021 - La Scacchiera

IV.021


Rigel Sherton

Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

Ero sdraiato nel letto dell'infermeria, ancora molto debole per l'incidente nel bosco, la mente turbata da quella rivelazione spaventosa eppure troppe volte intuita: a quanto pareva, di tanti fratelli che eravamo, Habarcat aveva deciso di rovinare la vita proprio a me. Ero io l'erede di Hifrig.
Ghignai amareggiato per quello scherzo della sorte, mentre guardavo fuori dalla finestra senza vedere niente, un po' perché la testa sembrava vuota, un po' perché l'oscurità aveva celato tutto. C'era solo il riflesso del mio volto, reso più pallido dalla paura e dalle luci tremule delle candele. Continuavo a pensare che ci fosse un errore: al contrario di Mirzam, ossessionato dalla politica, per me il mondo delle Terre del Nord non aveva attrattive, consideravo il Cammino un’accozzaglia di regole fuori dal tempo e la Confraternita una masnada di eccentrici, fissati su cose prive di valore. Tra le cose che più m’indisponevano c'erano alcuni dannati Maghi che, fin da piccolo, avevano posto l’accento su quanto fossi simile a mio padre e avevano tratto dal mio aspetto vaticini sul mio destino, come se avere lo stesso colore degli occhi e dei capelli implicasse che non avessi diritto a un'identità solo mia. Ero disgustato per l'aria tronfia che avrebbero assunto, appena la verità fosse saltata fuori, e soprattutto, orrore aggiunto a orrore, per il tedio che avrei patito sprecando la mia vita con loro. Era anche per questo, per ribellarmi alle loro aspettative che, giorno dopo giorno, facevo stupidaggini sempre più grandi, facendo incazzare mio padre, come a voler dire a tutti:

    “Vedete? Sono un moccioso stupido e ribelle, inadatto ai vostri alti e barbosissimi scopi!”

Per quanto gli volessi bene e lo ammirassi, io non volevo essere il nuovo Alshain Sherton, l'uomo che aveva rinunciato addirittura al Quidditch per una dannata congrega di barbagianni. Mugugnai, il cuore che batteva furioso, più di quando avevo agguantato il primo boccino davanti a tutta la scuola.

    … Più di quando, in sella alla mia scopa, ho risalito il crinale ventoso… ho raccolto un fiore meraviglioso... l'ho donato a Narcissa e lei… lei mi ha sorriso, compiaciuta...

Mi morsi un labbro, fino a sentire il sapore metallico del sangue, non potevo permettermi di pensare anche a lei, non in quel momento. Erano settimane che provavo a soffocare la mia fissazione: dopo la delusione per quanto avevo visto a Herrengton e la rabbia per il suo fidanzamento con Malfoy il “Viscido”, credevo mi sarebbe passata, se non altro per orgoglio, invece ogni volta che la vedevo…

    Basta!

Dovevo uscire, fuggire via, stare solo, rimuginare in pace, piangere, spaccare tutto, urlare. Trovare una via d'uscita... Una via che non c'era: non era mai esistito, in mille anni di storia, uno Sherton capace di sottrarsi alla chiamata di Salazar. Mai. Non si trattava di scappare tra i Babbani, di dare scandalo con un matrimonio misto, di farsi diseredare e cancellare da un arazzo, come avevano fatto quei Black più fuori di testa degli altri. C'era qualcosa che ci perseguitava e rendeva persino quei gesti estremi del tutto inutili. Qualcosa che avevamo dentro. Qualcosa di cui non potevo liberarmi.

    Il Sangue... il mio maledetto Sangue... il Sangue toccato da Salazar...

Affondai la testa nel cuscino, prendendomela con il mio miserabile corpo, debole e traditore, che mi costringeva lì. Ero stanco di essere malato e trattato come tale, non ne potevo più dell'infermiera che si occupava di me, che mi controllava ogni due secondi. Strinsi i pugni, serrando forte le coperte tra le dita, cercando di riprendermi: ci mancava solo che qualcuno entrasse e si accorgesse delle mie lacrime trattenute a stento. E che mi consolasse come si fa con i bambini.
La rabbia, il fastidio, l'insofferenza che provavo erano, però, solo la superficie crespa del magma che avevo dentro: sotto, pronta a emergere, c'era la paura. Paura per tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi, paura di non tornare più com’ero prima, paura per quelle immagini di lupi e aquile che si sbranavano. E di me incapace di urlare e di difendermi. Si era trattato non di un sogno ma di una visione, una premonizione, l'avvisaglia che i miei fossero in pericolo? Visti i tempi e i recenti avvenimenti, non era un’idea campata in aria: per fortuna Dumbledore, prima di andarsene, mi aveva confidato che mio fratello era stato prosciolto da ogni accusa dal Wizengamot, altrimenti avrei pensato che gli Aurors l’avessero catturato e gli avessero imposto il Bacio del Dissennatore. Sentii un brivido lungo la schiena. Rividi gli occhi del lupo rosso: non mi ricordavo molti dettagli, ma sapevo di averne riconosciuto la voce, durante il delirio. Ripensai al Mangiamorte con il quale mi ero scontrato ai piedi della torre, a Herrengton: avevano occhi diversi, ma avevo provato lo stesso presentimento di morte. Non sapevo chi fossero, ma la minaccia era la stessa.

    Salazar, ti prego… fai che il Signore Oscuro non abbia catturato mio fratello...

*

Ero rimasto ammutolito da quel pensiero, inerte, per pochi istanti o forse per ore, finché la porta dell'infermeria si era aperta con un calcio violento ed Evan Rosier, più scarmigliato e sconvolto di quanto l'avessi mai visto, aveva fatto irruzione tra le file ordinate di letti, diretto all’ambulatorio in cui la Pomfrey prestava le prime cure agli studenti. Il mio compagno di Casa non era ferito, tra le braccia, però, stretta al petto, sorreggeva una ragazzina Slytherin che sembrava svenuta: non riuscivo a vederne il volto, ma non mi fu necessario, mi bastò, infatti, osservarne i lunghi capelli corvini che ondeggiavano oltre la spalla del mio amico, al ritmo del suo passo, per iniziare a urlare.

    «Che cosa è successo a mia sorella, Evan? Rispondimi!»

Non lo persi di vista mentre, con la coda dell'occhio, notavo che anche altri compagni di Casa premevano sull'uscio per entrare e che i ragazzi della squadra cercavano di trattenerli per non far indispettire di nuovo la Pomfrey. Provai a tirarmi su dal letto, per rincorrere Rosier, fermarlo, chiedere spiegazioni, Evan però era già entrato nello studiolo; come misi i piedi a terra, inoltre, iniziò a girarmi la testa e le gambe tremarono: stavo per svenire di nuovo, davanti a tutti, ma per mia fortuna Anthony Cox, il portiere della nostra squadra, era già vicino a me, pronto a sorreggermi.

    «Stai calmo, Rigel, non ti agitare! Non è successo... niente... »
    «Come non è successo niente? Quella è mia sorella! Ed io l'ho vista! È priva di sensi!»

Sentivo la faccia prendere fuoco, avevo in testa mille domande, mille pensieri spaventosi. E mi sentivo in colpa, perché non avevo rispettato l’impegno di occuparmi di Meissa, fatto a lei e a nostro padre, solo per cacciarmi nei guai, come un idiota, andando nel bosco, benché stessi male.

    «Fatemi passare! Largo! Largo! Fatemi passare! E tornate tutti in Sala Comune! Svelti!»

C'era sempre più agitazione. Un professore, da fuori, insisteva per entrare, ma non capii chi fosse finché, tra i miei compagni serrati sulla porta, vidi emergere Slughorn: si diresse senza una parola nello studio di Madame Pomfrey, aveva il volto pallido e tirato, teneva gli occhi fissi a terra e sembrò impegnarsi molto per non guardare mai verso di me, facendo così aumentare la tensione che già mi stringeva lo stomaco. Dietro di lui entrò anche Narcissa che, al contrario, si guardò intorno finché i nostri sguardi s'incrociarono: voleva dirmi qualcosa, lo leggevo nei suoi occhi di quel meraviglioso blu che mi faceva ammattire, ma, per qualche motivo, non ne aveva il coraggio così finì col tenersi anche lei a distanza. Tutti parlavano a mezza bocca, chi mi rivolgeva la parola ripeteva solo di stare tranquillo: i loro volti tirati e i loro sguardi sfuggenti, però, raccontavano tutt'altra verità ed io, già preoccupato di mio, mi misi sulla difensiva. Se solo le forze me l’avessero consentito, anzi, li avrei presi per il bavero uno a uno e preteso una risposta sincera.
Dei miei amici mancava solo Rabastan e pure questo era strano: di solito era il primo a comparire, quando c'era da fare colpo su qualcuno, soprattutto se quel qualcuno eravamo io o mia sorella. Ricordai con un certo disagio le sue visite e i suoi doni, all'ospedale di Inverness, e quella strana storia su come avesse ritrovato Meissa nel maniero, dopo l’attacco dei Mangiamorte. Sentii l'ennesimo brivido lungo la schiena e mi trovai a chiedermi se fosse assente perché responsabile di quanto accaduto a Meissa: non giravano belle storie su Lestrange, io stesso, pur apprezzando la sua compagnia, non mi fidavo di lui e avevo messo in guardia mia sorella sul mio “amico”.
Madama Pomfrey uscì dal suo studiolo, indicò il letto più vicino al suo ufficio e invitò Evan a stenderci sopra mia sorella poi, con il solito cipiglio severo, ordinò ai ragazzi che assediavano l’infermeria di andarsene, pena una pioggia di punizioni su tutta la Casa, chiese a Cox di assicurarsi che rimanessi a letto, poi, tampinata da uno Slughorn ormai violaceo in volto, si chinò su Meissa, continuando a parlare fitto fitto, a bassa voce, con Evan e Narcissa, per capire cosa fosse successo.
La ressa in corridoio si stava finalmente disperdendo quando anche l'odiato cugino Malfoy fece il suo ingresso trionfale, da bravo pallone gonfiato: era strano che fosse così in ritardo, di solito, come una vecchia comare pettegola, era sempre in mezzo, per sapere gli affari di tutti. Lo guardai percorrere la stanza con passo altezzoso, allontanare Evan di malagrazia, avvicinarsi mellifluo alla Pomfrey e bisbigliarle qualcosa all'orecchio, a lungo, con fare circospetto, balenando ogni tanto, verso di me, sopra la spalla, occhiatacce inquietanti, che non seppi decifrare. A poco a poco, notai che la donna sbiancava, finché, inorridita, si portò la mano alla bocca trattenendo a stento un gemito. Non riuscii a pazientare oltre, mi rivoltai sul letto rischiando di cadere, deciso a far sentire le mie ragioni: strattonai Anthony, gli chiesi di rispondermi, lui farfugliò poche parole incomprensibili, allora, esasperato, tentai un rocambolesco tentativo di sfuggirgli, mi misi a terra e provai a raggiungere Evan. Cox cercò di riagguantarmi, io gli sgusciai lontano, feci qualche stentato passo riuscendo persino a non inciampare, nonostante le gambe tremassero, Rosier, però, aveva già raggiunto la porta e lì si era fermato, per far passare un Rabastan Lestrange zoppicante e provato, che esibiva un occhio nero, la bocca insanguinata e l'aria soddisfatta di chi ha vinto una battaglia.

    Salazar... ma cosa diavolo sta succedendo oggi ai miei compagni?

Lo fissai cercando di immaginare con chi si fosse azzuffato e capire se c'entrasse qualcosa con Meissa, quando Anthony e Slughorn mi presero uno per parte e mi riportarono di peso sulla branda.

    «Qualcuno mi risponda, voglio sapere che cosa è successo a mia sorella! Lo pretendo!»
    «Signor Sherton, stia buono a letto o sarò costretta a darle una Pozione sedativa... tutti voi, grazie per l'aiuto, ora potete andare... i ragazzi devono riposare, perciò dite ai vostri amici di non salire a disturbare o chiederò al preside e al professor Slughorn di togliere punti alla vostra Casa.»

Slughorn invitò gli ultimi rimasti a uscire, Evan mi fece un lieve cenno di saluto, prese per la manica Anthony ed entrambi si allontanarono, poco convinti. Narcissa fece finta di non sentire, restò accanto a mia sorella, seduta sul letto, tenendole una mano mentre con l’altra le sistemava i capelli dietro l'orecchio: quel gesto familiare e delicato mi fece preoccupare ancora di più, oltre a farmi battere il cuore così velocemente che pensai mi stesse per esplodere in migliaia di coriandoli.

    «Signorina Black, se vuole… lei può restare... dico bene Poppy?»
    «D'accordo, ma solo lei, Horace… Signor Lestrange, mi preceda nell'ambulatorio, le sistemerò quei denti appena avrò finito qui. Quanto a lei, signor Malfoy, ora può andare, grazie.»

Lucius non le prestò ascolto, tutto preso com'era dai suoi pensieri: al contrario degli altri, preoccupati per Meissa, sembrava essere lì per me, mi guardava insistente, la stessa espressione combattuta che aveva Narcissa appena entrata. Mi faceva ribrezzo l’idea di chiedergli qualcosa e trovarmi in debito con lui, però decisi di rivolgergli la parola, sforzandomi pure di essere gentile.

    «Lucius… per favore... dimmi quello che devo sapere... »
    «Signor Malfoy, per favore, vada… il signor Sherton si è agitato a sufficienza, per oggi!»
    «Senza offesa, Madame... credo che Rigel dovrebbe sapere quanto prima… »
    «Sì! Ha ragione! Devo sapere! Ho il diritto di sapere! Adesso!»

Ero ingestibile, Slughorn con difficoltà riuscì a trattenermi sul letto, cercava di essere rassicurante e convincermi, ma io non lo ascoltavo, scalciavo per liberarmi, lo vidi scambiarsi un'occhiata con la Pomfrey, la Magia era diventato l'unico modo per tenermi tranquillo, perciò la Guaritrice prese dall'armadietto una pozione sedativa e si avvicinò al mio letto armata di boccetta e con la bacchetta sguainata; Lucius, a pochi passi, allungò la mano sul braccio della Strega, invitandola a fermarsi.

    «Per favore, Madame, sono i miei cugini… e noi Malfoy siamo tutto ciò che ormai resta... »
    «Signor Malfoy... »

La voce di Dumbledore, dal fondo dell’Infermeria, bloccò il discorso a metà; Lucius, che aveva appena messo mano nella tasca interna della giacca e stava tirando fuori un giornale, si voltò verso la porta, la stessa espressione interdetta di quando lo beccavano a fare qualcosa che non doveva. Non si allontanò troppo da me, tuttavia, così riuscii a prendergli la mano, sperando che continuasse a parlarmi, il bastardo invece la ritrasse, guardandomi con disprezzo, come fossi un cane rabbioso che aveva appena tentato di morderlo. Mi scrutava con gli occhi socchiusi, sulla faccia da sfinge aleggiava un'espressione beffarda celata a stento, la stessa che gli avevo visto ogni volta che mi aveva provocato guai, la stessa che aveva quando faceva la persona gentile con qualcuno, solo per poi pugnalarlo alle spalle. Conoscevo Lucius, sapevo che farabutto fosse, per questo avevo imparato a non dare troppo peso alle sue parole, stavolta però avevo bisogno che finisse quella frase perché ero certo mi avrebbe detto la verità. Una verità supportata persino dalle pagine di un giornale.
Guardai Meissa: da quanto avevo capito dal discorso di Malfoy, non era stata aggredita, era svenuta per una verità di cui era venuta a conoscenza, ma non c’entrava l’emozione per il proscioglimento di Mirzam, perché era stato Dumbledore a parlargliene, prima che io mi riprendessi. Che cos’altro poteva essere accaduto quel giorno che ci riguardasse e che fosse così importante da finire sulle pagine di un giornale? E di così tremendo da far svenire mia sorella e spaventare i miei amici tanto da nascondermelo? Tornai a fissare Lucius: no, non aveva senso, per lui, mentire, nessuna bugia, per quanto terribile, sarebbe stata capace di ferirmi come la verità misteriosa che tutti mi celavano.

    «... signor Malfoy può andare... ci pensiamo noi... »

    Noi? Noi chi? È forse arrivato mio padre? È già qui? Salazar, finalmente una buona notizia!

Dumbledore si era congedato da me, dopo avermi mostrato le mie mani prive di ferite e avermi ricordato l'incidente occorso a papà alla mia età, dicendo che per guarirmi era necessario convocare mio padre o qualcuno altrettanto importante della Confraternita. L’idea di riabbracciare mio padre, essere rassicurato da lui, persino essere punito per la mia incoscienza, spazzò via tutto il turbamento e mi diede forza, riempiendomi di speranza. Fissai la porta, impaziente di vedere il volto di papà, quando, però, il Preside fece un passo avanti, lasciando libera la visuale sul suo ospite, restai deluso.

    Non è possibile! Mio padre non può aver mandato “lui”, da me, invece di venire di persona!

***

Orion Black

Amesbury, Wiltshire - sab. 15 gennaio 1972

Doimòs non aveva aspettato che mi congedassi dai suoi padroni per Smaterializzarli con sé: stavo parlando con Deidra, prendendo accordi con lei, quando avevo percepito un'occhiata in tralice di Alshain al suo Elfo, cui non avevo dato peso. Poco dopo la creaturina, lesta nonostante l'età, si era avvicinata ai miei amici, seduti sul divano con i bambini tra le braccia, aveva appoggiato le manine ossute sulle loro spalle e, con un “bop” improvviso, li aveva portati via, cogliendomi di sorpresa. Ero rimasto interdetto alcuni istanti: io stesso li avevo esortati ad andarsene al più presto, perché Alshain aveva bisogno di aiuto e nessun luogo, oltre Herrengton, era sicuro per loro; nei miei confronti, però, quei modi apparivano furtivi e incomprensibili, ulteriore conferma ai miei sospetti.
Erano molti gli eventi di quella giornata che non capivo e che, messi insieme, riempivano la mia mente d'incertezza, al punto che anche il sollievo per aver ritrovato il mio amico e i suoi figli vivi in mezzo alla neve era durato poco: a parte il suo comportamento illogico, infatti, erano le condizioni stesse di Alshain a sembrarmi incompatibili con una fuga volontaria. Temevo fosse stato liberato dai suoi carcerieri, al termine di quella lunga sequela di torture, solo perché il Lord aveva ottenuto da lui la collaborazione che cercava, assoggettandolo con la Magia, la violenza o le minacce. Io, che conoscevo Alshain ormai da trent’anni, sapevo che l'integrità era per lui un valore secondo solo all'amore che nutriva per Deidra e per il quale era disposto a morire, se avesse ceduto, perciò, sarebbe stato solo per un motivo sacrosanto come la salvezza dei propri figli e, nonostante questo, non sarebbe riuscito a perdonarselo, sarebbe stato tormentato dal senso di colpa e dalla vergogna.

    Vergogna e colpa… spiegherebbero l'ostinazione nel tentare di fermarmi e d’incolpare Mirzam...

Il Lord forse aveva deciso di lasciarlo in vita perché aveva ancora bisogno di lui e, visto che non mi sembrava l’avesse posto sotto Imperius, doveva aver trovato un altro modo per legarlo a sé, qualcosa che impedisse ad Alshain di fuggire con la famiglia, una volta libero, qualcosa che rendesse superfluo persino il sequestro dei figli più piccoli. Non avevo idea di cosa potesse essere.
Solo, scosso dai brividi, in piedi al centro della stanza fredda e vuota, mi sentii soffocare. M'imposi di calmarmi, non era il momento di perdere la testa, non per quelle che fino a prova contraria erano solo mie congetture: le confidenze e le richieste di Alshain, quando la moglie si era allontanata, mi erano apparse quelle di un uomo padrone di se stesso, nonostante la sofferenza fisica, certo, eppure non potevo escludere che fosse stato Affatturato. D'altra parte, conoscendo le abilità dei Maghi del Nord, non era neanche del tutto impossibile che fosse riuscito a farla in barba ai Mangiamorte da solo. C'erano, insomma, ampi margini per sperare che le mie fossero conclusioni sbagliate. Tra l’altro, era stata una giornata densa di avvenimenti e preoccupazioni, al termine della quale persino una persona controllata come me poteva essere colta dall'inquietudine e valutare la situazione con scarsa obiettività. Era vitale liberare la mente dalle fantasie e concentrarmi su fatti concreti, anche perché quel giorno maledetto non era ancora finito, c'erano cose da sistemare, persone da vedere, i ragazzi da informare, non potevo mostrarmi debole e incapace di reagire, né troppo determinato e sicuro di me, o mi sarei tradito.

    Penserò ad Alshain affrontati i problemi più immediati… spero solo di non aver appena commesso un madornale errore di valutazione, fidandomi delle sue parole, altrimenti Deidra…

Agguantai il mantello e me lo gettai sulle spalle; con la bacchetta stretta nella sinistra, raggiunsi la porta e mi fermai, mi guardai intorno con attenzione, puntai e, con un paio di colpi risoluti, feci sparire le tracce della nostra presenza dentro e fuori il rifugio, avendo cura di depositare una leggera coltre di polvere su tutte le superfici. Non sapevo se l'esistenza del covo fosse ancora segreta o se Alshain ne avesse dovuto parlare, nessuno, però, doveva intuire che avessi visto gli Sherton vivi.

    E se anche questo, il tuo coinvolgimento, facesse parte del piano del Lord?

Scossi la testa per cacciare indietro quel pensiero; soddisfatto, mi richiusi la porta alle spalle, recitando tutti gli incantesimi di Disillusione e Difesa che Alshain ed io avevamo ideato anni prima per il nascondiglio, gli stessi che ripetevamo ogni volta che andavamo via da lì, poi m'inoltrai nella boscaglia, ricompattando via via la neve intorno alla costruzione e dietro di me e imprimendo qua e là orme di animali, perché tutto sembrasse da tempo dominio incontrastato della natura.

    Gli insegnamenti di quel vecchio caprone di Fear, a volte, possono tornare utili… ha ragione Alshain…

Mi muovevo con cautela, sobbalzando a ogni rumore, dirigendomi verso il buio più fitto, che si diffondeva lento e greve e dava alle ombre intorno a me spaventose sembianze maligne: accelerai il passo, mentre sentivo il cuore pompare veloce e la gola inaridirsi. Per quanto mi ripetessi di stare calmo e non cedere alla paura, mi si stava fissando nel cervello l'idea che qualcuno mi stesse seguendo, ma tutto ciò che vidi, quando mi voltai di scatto, fu una civetta che planava sul ramo di un albero di noce, a qualche metro da me. Proseguii, mantenendomi circospetto, solo quando giunsi ai piedi di un'antica quercia, schiantata da un fulmine, sospirai sollevato, il sangue che riprendeva a circolarmi in corpo. Mi chinai, mossi la neve con la mano inguantata, osservai il legname caduto finché non riconobbi il ramo ritorto che cercavo, lo toccai: rapida, una sensazione di calore risalì la mia mano e il mio braccio, mentre una forza invisibile mi arpionava allo stomaco. Il mondo iniziò a vorticare furioso intorno a me, tutto divenne indistinguibile, il bosco, il buio, le paure irrazionali si fusero in un unico senso di nausea: la Passaporta mi strappò via, mi trascinò lontano, per lasciarmi stordito, al buio, presso il pilone di un ponte sul Tamigi, poco lontano da Grimmauld Place.
Fu tutto così rapido che non riuscii a vedere la civetta, che mi aveva individuato fin da prima che raggiungessi il capanno, riprendere le proprie sembianze umane e Smaterializzarsi via.

*

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 15 gennaio 1972

Il Salone dell'Arazzo mi accolse, carico della sua magnificenza gelida e distaccata, in un turbinio di fiamme verdi. Tutto era immerso nella penombra pallida delle candele e nel silenzio solenne: tirai un sospiro di sollievo, Walburga e Regulus dovevano essere ancora a casa di Pollux e, benché dopo tutti gli sconvolgimenti di quella giornata avessi desiderio di rivedere mio figlio al più presto, fui grato di essere solo, per avere il tempo di recuperare un po’ della mia impassibilità.
Non ero andato subito a casa, dal fiume: con il cappuccio calato sugli occhi e il bavero rialzato a coprirmi la bocca, mi ero diretto al Leaky Cauldron e da lì avevo raggiunto Knockturn Alley, per una visita alla bottega di Borgin e un'altra commissione, più discreta, per conto di Alshain. Con un colpetto impercettibile delle dita, controllai la consistenza della tasca interna del mio mantello.
Kreacher mi raggiunse per confermarmi che la padrona non era ancora rincasata e per ricordarmi che avevamo ospiti a cena, io gli ordinai di prepararmi la più austera delle mie toghe e di avvertire Walburga che sarei ritornato tardi, senza lasciar detto nulla circa i miei impegni. Prima di entrare nel mio studio, mi guardai allo specchio del corridoio: vi trovai riflesso uno sconosciuto, il volto segnato dalla pesante giornata, gli abiti ormai privi dell'impeccabilità che sempre mi caratterizzava; avevo bisogno di ritrovare me stesso, un uomo impassibile e indifferente, perché solo dietro la mia maschera, sarei stato in grado di riprendere il pieno controllo dei miei pensieri e della situazione.
Appena l'Elfo si allontanò abbastanza da non poter riferire nulla a Walburga, raggiunsi la mia scrivania e con un incantesimo silenzioso aprii il cassetto segreto, presi il documento che vi era custodito e depositai la pergamena nascosta nel mantello, come mi era stato chiesto da Alshain. Prima di richiudere, guardai il timbro del MagiNotaio, ricordai il giorno in cui avevamo fatto redigere l'atto, la settimana stessa dello Smistamento dei ragazzi: erano trascorsi pochi mesi da allora, ma sembrava passata una vita intera. Feci sparire il cassetto, applicai tutti gli incantesimi di Difesa che conoscevo, sistemai la scrivania come se avessi letto una missiva insignificante che mi era stata recapitata al mattino, chiusi a chiave lo studiolo e salii le scale, per raggiungere il ritratto di Phineas. Volevo che il vecchio avo avvertisse Dumbledore del mio arrivo ma, soprattutto, volevo capire dalle sue parole se la notizia dell'attacco a Essex Street fosse giunta a scuola: il silenzio e la consueta espressione insondabile del burbero capostipite, però, non mi furono di alcun aiuto.
Salii infine in camera mia, trovai la veste già appoggiata sul letto, mi tolsi la toga e allentai la cravatta, slacciai i polsini e andai a versarmi una generosa dose di Firewhisky, senza avere, a dire il vero, alcuna intenzione di scolarmela: mi sentivo di colpo svuotato, inerte, sfiduciato. Andai al caminetto, le mani appoggiate sulla mensola, gli occhi persi nelle fiamme. Sospirai.

    Sei un essere umano, Orion, come puoi pensare di restare impassibile, dopo tutto questo?

Uscito dall'ombra del ponte, diretto a Diagon Alley, avevo cercato in cielo il Marchio del Signore Oscuro, il cuore livido di paura, aspettandomi che incombesse ancora, minaccia carica di morte, sulla città inconsapevole. Camminando nel bosco e, di nuovo, sulla strada per il Leaky Cauldron, avevo dubitato su ciò che fosse giusto fare, sulle fedeltà da rispettare, sull'opportunità di mandare tutto alla malora e rintanarmi in casa, sbronzarmi e dimenticare, finché la situazione non si fosse risolta da sola. Mi ero persino chiesto se avesse senso restare sordi al richiamo di Lord Voldemort, arrivati a quel punto, considerati i rischi cui sarei andato incontro anch'io, con la mia ostinazione...

    Che importanza ha chi prenderà le redini del Ministero? Ciò che conta è eliminare Sanguesporco e Babbanofili e impedire che continui la contaminazione del nostro mondo. Che senso ha opporsi, contrastare, restare indifferenti a chi vuole liberarci dalla feccia? Anche se Alshain avesse ragione, anche se Voldemort fosse un Mezzosangue, che importanza avrebbe?

Non si trattava di intaccare la purezza delle nostre Famiglie con un matrimonio scellerato ma di sostenere un uomo, pur dalle origini dubbie, in grado di rovesciare un governo di pusillanimi e di restaurare il dominio assoluto della Magia sul nostro Mondo… Tutto ciò che volevo anch’io.

    Quale folle arroganza c’impone di non scendere a compromessi, di rinunciare a occasioni favorevoli mentre si aggrava la nostra condizione e si protrae l'agonia del Mondo Magico?

La mia ostinazione nel rifiutare il Lord andava contro i miei stessi interessi, era immotivata e insensata, più insensata di quella di Alshain, che aveva sulle spalle il destino delle Terre e doveva perciò vagliare con attenzione, per il bene della Confraternita, le conseguenze di ogni sua mossa.

    Che motivi seri avrei io, invece, per oppormi al Signore Oscuro? Nessuna!
    ... a parte quel dannato, testardo, scozzese... il mio migliore amico... mio… fratello...

Sentii la bile risalirmi in gola. Mi guardai attorno preoccupato: avevo rafforzato e protetto quella casa con ogni Incantesimo Oscuro che conoscessi, perché lì custodivo ciò che avevo di più sacro, il mio Sangue, il futuro stesso della mia famiglia. Dopo quanto avevo visto a Essex Street, però, non potevo più illudermi di riuscire a salvare la mia famiglia dalla furia del Lord solo con le mie stupide Magie. Allo stesso modo, era assurdo pensare ai documenti, affidati ad Alphard, come a un’assicurazione sufficiente contro la follia di Bellatrix e di suo marito, Rodolphus Lestrange.

    Maledetto me, invece di farti ragionare, stupido scozzese, ti ho seguito... Se solo non fossimo stati così arroganti e ostinati... ora invece di temere per le nostre vite saremmo al fianco del Signore Oscuro, brindando ai suoi successi e progettando la spartizione di onori e cariche...

Sentii la vena della tempia pulsarmi dolorosa e il sangue far tremare furiosamente l'occhio sinistro...

    Vedi come si ribella il tuo corpo a sentirti parlare così, Orion? Sembri uno di quegli individui che conosciamo bene, privi di morale, disposti a ogni bassezza, a ogni compromesso per il loro tornaconto... Tempi oscuri, vecchio mio, se ragionassimo come il cugino Malfoy... ahahahah...

Nonostante tutto, il mio viso si era deformato in un ghigno sghembo, mentre nella testa rimbombava la risata sguaiata di Alshain all'indirizzo di Malfoy. Eppure non c’era di che sorridere, non vedevo una via d’uscita e questo era la prima volta che mi accadeva. Presi il bicchiere, trangugiai il liquido, sentendo il fuoco attraversarmi il corpo e intorpidirmi. La testa stava per esplodermi. Me ne versai ancora. Bevvi ancora. Temevo la reazione del Lord, tremavo al pensiero di cosa mi sarebbe successo quando avesse compreso che avrei aiutato Sherton, invece di tradirlo, ma al tempo stesso non m’illudevo, perché il Lord ormai ci conosceva da anni e doveva aver già messo in conto ogni mia mossa, trovando un modo per sfruttarla a proprio vantaggio.

    Tutto è già stato considerato, Orion, dall'aiuto, alla fuga, al tradimento: a ogni tua scelta, seguirà una contromossa del Lord. Che tu lo voglia o no, sei una pedina sulla sua scacchiera.

Rabbrividii, poi, cercando in fondo all'anima la determinazione sufficiente a reagire, andai a lavarmi, con la Magia cancellai i segni della giornata sul mio corpo, quindi mi rivestii: allo specchio, vidi la mia sicurezza ricompattarsi in una maschera, via via che gli strati di seta e d'argento Slytherin si sovrapponevano e si fondevano, facendo riemergere l'impassibile e gelido Orion Arcturus Black.

*

    «Cambiati quella camicia, Orion, non ti dona! E sbrigati, abbiamo ospiti a cena, lo sai!»

La voce di Walburga mi colse di sorpresa, alle spalle, ma riuscii a restare impassibile, continuai ad allacciarmi gli ultimi bottoni, osservandola riflessa nello specchio di fronte a me: imperiosa, emergeva dal buio del corridoio, stretta in una toga nera, semplice, che ne esaltava la figura slanciata e nivea, mentre i suoi gioielli riflettevano la luce rossastra delle candele della mia stanza e sembravano prendere fuoco, vestendola di tonalità sulfuree. Con stupore, la vidi entrare nella mia stanza, il mantello che doveva portarmi Kreacher stretto in mano: non fiatai, mentre si avvicinava, tanto da percepire il calore della sua pelle, che s’irradiava dal tessuto sottile e pregiato che la fasciava. La notizia dell’agguato agli Sherton doveva averla sconvolta, non c’era altra spiegazione a un comportamento simile, a un gesto che sottintendeva un’intimità tra noi ormai morta e sepolta.

    Non è più accaduto nulla dopo che...

Il pensiero mi si bloccò in testa quando la sua sinistra si chiuse attorno alla mia mano e, gettato il mantello sulla poltrona, l'altra si appoggiò sul mio petto, sul mio cuore. Guardai la mano, guardai lei.

    … così vicina, così pericolosa… così… desiderabile...

Distolsi lo sguardo, turbato, e arretrai, sottraendomi al suo tocco, poi mi mossi rapido, così da mettere tutta la cassapanca tra noi. Non sapevo cosa volesse, come sperasse di manipolarmi, ma la conoscevo e sentivo l'urgenza di andarmene, di eclissarmi persino dalla sua vista. Lanciai un Muffliato silenzioso, per sicurezza: qualsiasi cosa fosse successa, non volevo che Regulus sentisse una parola o un rumore di troppo. Ripresi a vestirmi, come niente fosse, la migliore aria di pacata sufficienza stampata in volto, sperando che le mie occhiatacce inquiete valessero più delle parole.

    «Allora? Che cosa vuoi fare? Farmi sfigurare presentandoti con una toga da pomeriggio?»
    «No, non temere, Walburga, neanche mi vedrete, stasera... Goditi i tuoi preziosi ospiti senza timori, non sfigurerai con loro a causa di un marito inadeguato… Dopo la giornata che ho passato, non ho lo spirito per sopportare le ciance di chicchessia... ora scusami ma devo proprio andare… »

I nostri sguardi s’incrociarono, Walburga sembrava interdetta: da anni non si avvicinava più alla mia stanza, nemmeno quando ero malato si preoccupava di controllare di persona le mie condizioni, se in quel momento si trovava lì era per assicurarsi che non la mettessi in imbarazzo con i suoi ospiti o perché stava architettando qualcosa ed io le ero, per qualche motivo, necessario. Sistemai il medaglione dei Black sopra la toga e mi pettinai i capelli e la barba, fingendomi indifferente.

    «Non asseconderò le tue intemperanze, Orion, lo sai! Ora ti cambierai, scenderai di sotto con me e accoglierai gli ospiti come si conviene a un Black, abbiamo una reputazione da mantenere, o te lo sei scordato? Kreacher, porta via il mantello, il tuo padrone non uscirà più, per stasera!»

    Intemperanze? Non uscirò più? Ho forse undici anni, Walburga? E tu sei forse mia madre? Ho sopportato le insulse stronzate dei nostri inutili ospiti per decenni… puoi scordartelo, stasera!

    «Mi dispiace, ma, ripeto, questa sera non posso, sono atteso con urgenza... »
    «Non credo proprio… Ho organizzato in ogni dettaglio questa cena da mesi! E tu ci sarai!»

Impettita, sulla porta, decisa a non farmi passare, mi fissava con sdegno mentre strappavo il mantello dalle mani di Kreacher, lo indossavo e mi preparavo a calarmi anche il cappuccio sulla testa: aveva capito che in me non c'era più alcun segno del timore, del desiderio e della supplica che mi aveva visto in quegli anni ed era confusa dalla mia determinazione. Oltre che offesa e arrabbiata, come al solito.

    Se qualcuno è impazzito, non sono certo io! Pensare a stupidi discorsi da salotto, mentre…
   
    «Mi dispiace, Walburga, so che ci tieni e che ti sei impegnata ma se anche fossi presente, non ci sarei con la testa, non finché non si saprà qualcosa almeno dei bambini. Sarebbe peggio, fidati.»
    «Di cosa stai blaterando, Orion? Quali bambini?»
    «Quali bambini? È la notizia del giorno in tutto il Mondo Magico, Walburga! Per favore… »
    «Di che cosa parli? Ti comporti come un pazzo, non ragioni, mi stai mettendo paura!»
    «Sul serio non sai che oggi il Marchio Nero del Signore Oscuro è apparso sopra casa Sherton? Non sai che l'antica dimora dei Meyer a Essex Street non esiste più? È esplosa e il Marchio ha campeggiato sui suoi ruderi per ore. Sono stato fuori tutto il pomeriggio per aiutare nelle ricerche e ora devo andare a Hogwarts... a dire a quei due ragazzini, quelli che da piccoli gattonavano di sotto con i nostri figli... che la loro famiglia non c’è più!»
    «Salazar... che cosa dici? Quando… Come… Chi è stato?»

Stavo per sbottarle in faccia di chiederlo a sua nipote, chi era stato, ma riuscii a trattenermi.

    «Il Ministero sta ancora Obliviando i Babbani per cancellare il ricordo del Marchio e dell'esplosione. Hanno recuperato due corpi, hanno riconosciuto Kenneth Emerson, dell'altro invece... oggi c'era una riunione di Maghi della Confraternita, la vittima forse è uno di loro. Degli Sherton non si sa nulla: o sono stati presi, o sono fuggito. Pensano a Mirzam come responsabile... »

Walburga andò a sedersi sul letto, a capo chino, si guardò le mani, mi sembrò sconvolta come non la vedevo da anni e mi pentii di aver fatto pensieri da pazzo, per fortuna ero stato capace di contenermi o mi sarei sfogato ingiustamente, accecato com’ero dal dolore. Mi avvicinai, le accarezzai la spalla per rassicurarla: per un istante il vecchio me, quello che per anni aveva sperato e creduto in noi, cercò sul suo viso una nota di sincerità, di preoccupazione vera, qualcosa che mi desse un motivo per fare un passo indietro e restare al suo fianco. Appena iniziò a parlare, però, la bile mi risalì di nuovo in gola e il sangue mi andò alla testa: di fronte a me, c'era solo l'infinito vuoto fatto di rabbia e vendetta, da cui dovevo allontanarmi, prima che fagocitasse anche me.

    «Non devi andare a Hogwarts, Orion, non c’è nessuna ragione per cui tu debba impicciarti!»
    «Nessuna ragione? Sono i miei figliocci, Walburga!»
    «Non sono la nostra famiglia! Vuoi coinvolgerci com’è successo a Herrengton?»
    «Che cosa ti passa per la testa? Non ricordi gli impegni che abbiamo preso? Ragiona: se ci capitasse qualcosa, vorresti che Alshain, al mio posto, se ne lavasse le mani?»

Lo sguardo che mi rivolse mi fece sbiancare tanto era intriso d’odio nella sua più pura essenza.

    «Sì... Salazar, sì! Se solo potessi tornare indietro… per nessuna ragione al mondo farei avvicinare quell'uomo a mio figlio! Mio padre aveva ragione, è stato un errore imperdonabile far entrare Alshain Sherton nella nostra vita! Guarda in quali situazioni ti stai cacciando a causa sua!»
    «Tu non ti rendi conto di quello che stai dicendo, Walburga… »
    «Sei tu che non ti rendi conto! Te lo dissi la sera del matrimonio: invitare un Ministro filobabbano, scatenando il sospetto di essere un traditore del sangue... mettersi contro il Signore Oscuro... per cosa? Ha avuto anni per fare una mossa chiara e invece? Che senso hanno le azioni di quell'uomo? È solo un folle vanesio, Orion, e tu ci metti tutti in pericolo per seguire lui!»
    «Vedo che le tue serate a casa di Pollux stanno dando frutto, Walburga! Non la pensavi come tuo padre, quando bramavi il sangue della ragazzina per rafforzare il pedigree della nostra famiglia! O quando sognavi l'oro e il potere e l'influenza di Herrengton! Non erano gente pericolosa quando premevi su Alshain perché si prendesse in casa una delle figlie di tuo fratello!»
    «E in quell'occasione quel bastardo ha dimostrato quanto tiene alla tua amicizia! È un uomo senza onore! Non gli devi niente! Nessuno di noi gli deve niente! Ti usa, non fa nulla per te, per noi, a parte metterci nei guai! Se fosse l'amico che dici, non avrebbe permesso a suo figlio di umiliarci!»

Aveva accantonato la maschera, rivedevo la donna che aveva cancellato ogni traccia d'amore in me quando si era disinteressata a mio figlio, la notte di Herrengton. Lentamente mi avvicinai, abbassai la testa fino al suo orecchio e sibilai piano, scandendo bene le parole, nel più freddo dei miei toni.

    «Se fossi stato nei suoi panni e mio figlio avesse voluto una disgraziata fuggita con un Sanguesporco… o un’altra che si prostra davanti un… ti giuro sulla mia vita che l'avrei diseredato! E avrei ucciso persino un fratello che mi avesse fatto una proposta simile! Apri gli occhi, Walburga! La nostra famiglia siamo tu, i nostri figli ed io! Non c’entrano nulla le figlie di Cygnus e gli scandali che si tirano dietro! Né le idee fuori dal mondo di tuo padre! Alshain non ha fatto nulla per noi? E il documento, prezioso più della tua stessa vita, che hai portato di persona alla Gringott?»

Fu il turno di mia moglie di abbassare la voce tanto da ridurla a un sibilo e farmi gelare il sangue.

    «Brucialo! Capito? Brucialo! Regulus non si legherà a quella famiglia! Mai! Vuoi suicidarti? È questo che vuoi? Apri la finestra e gettati di sotto! Ma non coinvolgere mio figlio e me!»

La guardai con sospetto: che cosa era successo alla donna che aveva fatto fuoco e fiamme per avere Meissa per il suo Regulus? Era irriconoscibile, una maschera di pazzia, odio e ferocia. La sorpresa mi rese ancora più cauto, non avevo mai immaginato che la situazione evolvesse in quella maniera.

    «Molto bene… vado dai miei figliocci, contano su di me e non intendo deluderli... »
    «Quelli sono i tuoi figliocci e in questa casa c'è tuo figlio! Ci pensi a lui? Pensi mai a cosa sia meglio per lui? Sei andato in giro tutto il giorno invece di correre a casa, da tuo figlio, a dirgli che eri sano e salvo! E se avesse saputo? Se fosse stato a casa, in vana attesa di tue notizie? Per ore, preoccupato per te? Hai mai pensato alla possibilità che tuo figlio fosse spaventato e sconvolto?»

Fu un colpo basso: era vero, preso com'ero dal processo, da Essex Street, dai Ministeriali, non avevo pensato un solo istante che anche i miei figli potessero preoccuparsi e spaventarsi. Conoscevo, però, quella donna, sapevo quale fosse il vero scopo delle sue parole. Ed io non intendevo perdere altro tempo con le sue sceneggiate, false come tutto ciò che la riguardava.

    «Per fortuna, come hai detto tu, non sapeva nulla… ed io ora non intendo fare il gioco dei se e dei ma con te… Quanto a nostro figlio... ti ricordo che si tratta dello stesso bambino di cui da anni vuoi che non mi occupi per la mia inadeguatezza e pericolosità, o sbaglio? Perciò non fare questi giochetti con me mettendo in mezzo lui, Walburga! E finiamola con questa sceneggiata patetica!»
    «Non arrivi a capire quanto è pericoloso il tuo comportamento... per tutti noi?»
    «Andare a Hogwarts e parlare ai ragazzi Sherton è ciò che tutti si aspettano dal loro padrino... Se mi nascondessi, qualcuno potrebbe pensare che io sappia e sarebbe capace di fare del male a te o ai nostri figli per farmi parlare di cose che non so! Non sono così pazzo da correre un rischio simile perché ho una moglie che si è fatta plagiare da un padre folle e un fratello vigliacco!»
    «Bada a come parli, questa è la casa dei miei padri! Sono tua moglie e pretendo rispetto!»
    «Moglie? Rispetto? Parli tu che… cosa hai detto poco fa? Buttati di sotto? Lasciamo perdere, Walburga! Bei concetti di cui ti ricordi quando ti fa comodo, quando hai qualcosa da chiedere o da imporre... parole che da anni non contano nulla per te... Bene: sappi che nemmeno per me conta più che tu sia mia moglie, e... no... non t’illudere, non è il mio patetico amore per te a farmi straparlare, quello è morto e sepolto… ciò che parla, ora, è la consapevolezza di un padre, che ti ha visto lasciare NOSTRO figlio solo, a Herrengton, nel pericolo... Non te lo perdonerò mai, nemmeno se ti prostrassi a strisciare ai miei piedi, è bene che tu lo sappia!»
    «Sono stata io a portare Regulus a casa, quella notte!»
    «Certo, peccato che Regulus non sia l'unico figlio che hai cresciuto nel tuo ventre!»
    «Come osi giudicare i miei comportamenti, quando sei stato tu a... »
    «A fare mille errori, primo tra tutti lasciarti disporre della vita dei miei figli come volessi… Per te sono arrivato persino a questo… per te… vedo ora che ne valeva davvero la pena! »
    «Sei impazzito! Ed io che non volevo crederci, quando mio padre mi metteva sull’avviso!»
    «Certo, sarebbe tutto più semplice se fossi giudicato pazzo, vero? Purtroppo per lui e per te, ho vagliato anche questa possibilità, ci sono documenti che attestano che non sono mai stato così in me, come adesso... e ci sono documenti pronti a finire sulla scrivania di Crouch, se qualcuno osasse torcere un capello alla mia famiglia, persino a te... ricordatelo, tu e tuo padre!»

Sorrisi, gelido, lasciandola senza parole, e la superai, evitando sdegnoso ogni contatto con lei.

    «Tu non sei niente per loro! Sono i Malfoy i loro parenti! Dovrebbe essere Abraxas ad andare a Hogwarts, non tu, non noi! Lascia che le cose vadano come devono... Orion!»

Mi voltai di nuovo, c'era qualcosa di strano, Walburga non aveva mai litigato così, con me: sembrava volesse portarla per le lunghe, tirando fuori sempre nuovi argomenti, altre farneticazioni, solo per farmi infuriare e per farmi perdere altro tempo... Era lei si solito a chiudere subito la partita.

    «Abraxas è giunto a casa di mio padre con quella notizia… ho fatto in modo che Regulus non lo sapesse, ma io… mi sono spaventata a morte... Cygnus e Alphard sono andati a cercarti, Abraxas voleva accompagnarci, io ho chiesto a mio padre di farlo, ora è di sotto con Regulus... »
    «Bene… Questo significa che mi hai mentito… ancora una volta... mi hai mentito!»
    «Tu non ti rendi conto della paura che ho provato... »
    «Certo…Immagino il tuo sgomento, quando Malfoy ti ha portato la lieta novella!»

Scoppiai a ridere. Walburga mi guardò con tutto l'odio di cui fosse capace, alzò una mano, stravolta dal desiderio di schiaffeggiarmi, ma si bloccò, il corpo tremante di rabbia. Il suo sguardo scivolò sul tavolino, mise a fuoco la bottiglia, il bicchiere, forse percepì l'odore dell'alcool nel mio respiro.

    «Sei ubriaco, ecco cosa sei! Dovevo capirlo subito, non c'era altra spiegazione... Cos'altro ci si può aspettare da un uomo che mette a rischio la sua famiglia per gli orfani di quei pezzenti? Dove vai? Vieni qui! Ci sta pensando Abraxas, sarà lui ad andare a Hogwarts ad avvisare quei mocciosi!»

Scesi di corsa le scale, senza prestarle più ascolto, il cuore in tumulto: avevo fatto il loro gioco, ecco cos’era appena accaduto, Walburga aveva cercato di trattenermi il più a lungo possibile mentre Malfoy raggiungeva Hogwarts prima di me. Pensieri confusi mi sconvolsero la mente…

    Ora so perché il Signore Oscuro ha lasciato andare i bambini… perché nessuno dei due è l’erede che sta cercando; l’erede è un altro, l’erede si trova a Hogwarts, Salazar! Malfoy non sta andando a scuola per informare i ragazzi... sta andando da Meissa e Rigel per capire chi dei due…

Entrai nel salone dell'arazzo come una furia, vidi sui cuscini di broccato del divano un paio di libri che prima non c'erano: mentre ero di sopra, mio figlio era stato lì e mi si strinse il cuore perché, anche quella sera, l'avrei lasciato solo, a subire quel clima pesante, per il momento, però, non potevo fare altro, dovevo andare, lo facevo anche per lui, per il suo futuro. Per la sua sicurezza.
Avevo ancora negli occhi l'immagine di Deidra che riabbracciava i suoi figli e, a contrasto, quella di Walburga che se ne andava da Herrengton senza curarsi di Sirius… il mio Sirius. Ero sconvolto, per le sue parole, per le mie, per la disperazione, l'arroganza, la violenza che le avevo riversato addosso, quella verità che per anni, per orgoglio, paura, amore, decoro, non avevo avuto il coraggio di esprimere. E ora era uscito tutto, perché ero così fuori di me, dopo una giornata simile, da non avere più alcuna capacità di contenermi, nessuna… E nonostante la confusione, la vergogna, il disagio, il dolore, sì, persino il dolore, perché ormai quella parte della mia vita era finita, riuscivo a sentirmi più leggero: davanti a me c’era ancora una vita intera, breve o lunga che fosse, una vita diversa, una vita che avrei dedicato a correggere gli errori fatti. E quelli con i miei figli erano i peggiori tra tutti.

    Quando tornerò, sorriderò a Regulus, lo prenderò sulle ginocchia e gli scompiglierò i capelli, da oggi sarò per lui e per suo fratello il padre che non sono stato mai... e non importa se all'inizio mi crederanno impazzito e avranno paura di me… non voglio più vederli crescere credendo che non m’importi nulla di loro... non è così… non è mai stato così… sono l'unica “cosa” bella della mia vita. L’unica di cui sono fiero e orgoglioso... L’unica che dia un senso alla mia esistenza. Salazar, se solo penso a quanto ho negato loro... e per cosa? Per chi? Per amore di quella donna? Ho creduto di agire per il loro bene, è questa la mia sola attenuante… ho creduto che fossi io quello sbagliato... invece… li stavo condannando all'infelicità...

«Esci, papà? Non resti a cena con noi, stasera?»

Mi voltai, pronto a sorridere a mio figlio come non avevo mai fatto. Il cuore invece mancò un battito, le parole mi morirono sulle labbra, solo per miracolo riuscii a trattenermi e a non tremare: Regulus mi fissava con occhi così simili ai miei da farmi temere che potesse leggermi dentro.
E ciò che c'era dentro di me, in quel preciso istante, era terrore puro.

*

    «Esci, papà? Non resti a cena con noi, stasera?»
    «Oggi c'è stato il processo, Regulus: Mirzam Sherton è stato scagionato. Tuo padre sta andando a Hogwarts per portare la notizia ai suoi fratelli, anche se avrebbe potuto aspettare fino a domani!»

Vidi un lampo di curiosità e speranza negli occhi di Regulus, sapevo dove era corsa la sua mente, ancora prima di sentire la risposta. Avrei voluto fare un passo, rassicurarlo, dirgli che l’avrei portato io stesso a vedere la partita del Puddlemere, essere finalmente il padre che mi ero ripromesso di diventare, appena pochi istanti prima. La mia attenzione, però, era catturata dalla figura pallida, vestita di nero che, ferma alle spalle di Cygnus, mi sondava famelica come una belva. Con un brivido tornai su mio figlio, misi a fuoco la mano di Bellatrix appoggiata sulla sua spalla: una mano pallida, curata, una mano che, lo sapevo, era stata a lungo lorda di sangue, il sangue di Alshain.

    «È magnifico! Presto tornerà a giocare nel Puddlemere! E noi lo andremo a vedere, vero?»
    «Certo... appena Mirzam potrà tornare a giocare, lo andremo a vedere... ora, però... »

    Vuoi andare a Hogwarts mentre questa pazza assassina si trova a casa tua? Con tuo figlio?
    Che scelta ho? Se mi tirassi indietro, ora, ammetterei di sapere che cosa ha fatto… e potrei saperlo solo se me ne avesse parlato Alshain, se l’avessi visto… no, non posso, non devo cedere…

    «... devo andare, Regulus... cercherò di fare presto, così poi parleremo con calma di quanto è accaduto oggi... potresti aspettarmi in camera tua, fino al mio ritorno… »
    «Che sciocchezze, Orion! Mio nipote non è più un bambino! E visto che non t’interessa stare con noi e fare gli onori di casa, come si conviene a un vero Black, sarà il nostro ometto a fare le tue veci, stasera, dico bene Regulus? Vai pure dagli Sherton, Orion, continuerò a prendermi cura io del mio giovanotto! Abbiamo iniziato a leggere un libro sui grandi Maghi Slytherins del passato. Ricordati, Regulus: ogni bravo Mago purosangue deve darsi a queste letture! Non come certi Slytherins da quattro soldi che leggono robaccia babbana… Inaudito! Indecente!»
    «Esatto, nonno: c’è gente che si professa custode delle tradizioni, poi declama stupide poesie babbane! Per fortuna Regulus ha noi, mi ha portato di sopra, prima, a vedere il bel regalo che gli hai fatto!»

Strinsi i pugni e m’imposi di mantenermi calmo: ero terrorizzato da mia nipote e non sopportavo la vista di mio suocero, fin da quando ero un moccioso, da prima ancora che scoprissi che mi aveva condannato a sposare la sua odiosa primogenita. Certo, non era facile mantenersi impassibili, non con quegli occhi puntati addosso, non con quelle parole gentili che celavano minacce, non con quelle bieche allusioni, non con il ghigno del vecchio sordido che avevo davanti. Eppure dovevo.

    «Si parla di Quidditch o sbaglio? Verrò anch'io con voi a vedere Mirzam, a te sta bene, zio?»

    Salazar, no... non lui… anche lui no… lui non può stare qui...

Prossimo al caminetto, mentre la mano di mio figlio era appoggiata sul mio braccio in un saluto garbato e formale, udii la voce dell’odiato Lestrange stridere nell'aria soffocante della stanza, come unghie che graffiano il vetro. Mi voltai a fissarlo, impassibile, provando a celare il tremore che sentivo conquistare le mie membra un pezzo alla volta: stava fermo sull'arco della porta, alle spalle di Walburga, simile a un demone oscuro che emergeva beffardo dalle tenebre del corridoio. Vestito di tutto punto per la cena mondana, che di lì a poco si sarebbe tenuta nel salotto buono di Grimmauld Place, Rodolphus mi balenava addosso taglienti occhi da pazzo, il volto in parte celato dalla zazzera spettinata. Mi chiesi se volesse provocare in me una reazione per scoprire quanto sapessi, quando vidi che portava i tre anelli, staccati dalle dita di suo padre, sulla mano destra, quella che teneva appoggiata sull'avambraccio di mia moglie, nel gesto galante del gentiluomo che lascia il passo a una nobildonna. Riflettei su quanto quel gesto gentile nascondesse la violenza di un feroce assassino, il panico vero, però, dilagò quando riconobbi, arrotolata nella mano sinistra, una copia dell’edizione serale del Daily Prophet.

    «Quante ne abbiamo combinate insieme Mirzam Sherton ed io... Se solo sapessi dove si trova in questo momento, pensate che bella sorpresa faremmo Bellatrix ed io a lui e a sua moglie! Una festa a sorpresa, con tutti i suoi amici di un tempo, per fargli sapere che è stato scagionato... Tu che ne dici Regulus? Aiuteresti tua cugina e me a fare una sorpresa al Cercatore del Puddlemere?»

Il sangue mi divenne ghiaccio. Walburga si ostinava a fissare l'Arazzo, ma ne percepivo tutto l'odio: mi chiesi se quel suo patetico tentativo di farmi desistere e restare a cena, degenerato in una lite vergognosa, non celasse il suo disagio al pensiero di avere in casa, come ospiti, due assassini.

    «Regulus, per cortesia, vai a prendere il bastone da passeggio di tuo padre! Tua cugina, tuo nonno ed io andiamo di là, così il signor Lestrange e papà possono parlare d’affari!»

Walburga lasciò salire Regulus di sopra, poi fece strada a Bellatrix e a Pollux nell'altra stanza. Io, per assecondare le sue parole e fingere di non essere a disagio, mi allontanai dal caminetto e slacciai il mantello. Fu inutile perché, appena mi voltai, mi ritrovai Rodolphus di fronte: si era mosso rapido e silenzioso come un felino, fino a arrivare a un passo da me, ed io ora rabbrividivo ripensando alla scena del patio, a Herrengton. Era lo stesso per lui, glielo leggevo negli occhi. Non avrei mai dovuto dimenticare, per tutto il resto della mia vita, che Lestrange, da quella notte, di là degli ordini del Lord, aveva validi motivi personali cui attingere per fomentarsi contro di me e farmi del male, per questo non avrei mai smesso di pentirmi di non essere andato fino in fondo, con lui e Bellatrix, quando ne avevo avuto l’occasione. Lo sapevamo entrambi. Gli sorrisi gelido.

    «Credevo di averti detto che non sei gradito in questa casa, Lestrange!»

Rodolphus fece spallucce, mi superò, si mosse come fosse casa sua, prese una bottiglia di vino elfico, se ne versò una dose generosa, il tutto continuando a giocherellare con la copia del Daily.

    «Rodolphus Lestrange non è gradito in questa casa rispettabile, lo so. Il tuo ostruzionismo, però, non si estende a tutta la mia famiglia, per esempio non hai mai vietato l'ingresso a Lord Lestrange. So come vanno le cose tra famiglie come le nostre, Black: i Lestrange sono tra i pochi pari che avete, per questo motivo, da secoli, ci sono interessi non di poco conto che legano le nostre famiglie!»
    «Conosco la storia, Rodolphus… e vorrei che arrivassi al punto... ho fretta!»
    «Sto dicendo che sarebbe assurdo se, per sciocchi screzi tra me e te, due famiglie importanti come le nostre non mantenessero i cordiali rapporti d'amicizia che ci hanno sempre legato... »
    «Non vedo quale sia il problema. Non ho mai avuto nulla da ridire con tuo padre e continuo a non averne: facciamo affari insieme… molti… affari che non ti riguardano in alcun modo!»
    «Lo so… affari che hanno favorito per decenni entrambe le nostre famiglie, per questo mi aspetto che continui così, zio. Quanto invece al fatto che non siano affari che mi riguardino, ti sbagli… »

La stava portando per le lunghe ed io ero impaziente di andarmene, eppure ero anche curioso di capire che cosa avesse in mente, che cosa si celasse in quei modi così stranamente diplomatici.

    «Non ho intenzione di snobbare tuo padre e gli affari che ho concluso con lui, per i nostri dissapori, Rodolphus. A dire il vero, potrei persino chiudere un occhio sui problemi che ho con te, se mi facessi il piacere di tenerti alla larga dalla mia famiglia, come ti ho chiesto. Da parte mia non c’è altro da aggiungere, perciò ti saluto... un’ultima cosa… gradirei non ritrovarti al mio ritorno!»
    «Mi dispiace ma non mi trovo più nelle condizioni di rispettare questo tuo desiderio, zio... »
    «Come scusa? Che cosa vorresti dire? Guarda che non si trattava di un semplice consiglio!»
    «Significa che mi vedrai più spesso di quanto entrambi vorremmo… significa che quando avrò bisogno del tuo aiuto, tu me lo darai... significa che da oggi i tuoi affari li farai con me… »

Scoppiai a ridere. Era il momento più spaventoso che avessi mai vissuto ed io scoppiai a ridere.

    «Ridi pure, Black, forse al tuo posto reagirei anch’io così, farei la faccia disgustata e penserei a una scusa qualsiasi per sottrarmi alle richieste... poi, però, mi renderei conto che non c’è molto altro da fare. E te ne renderai conto anche tu, stanne certo. Sarebbe molto disdicevole, per esempio, se stasera mi scordassi di affatturare i tuoi ospiti in modo che nessuno parli di Essex Street, o se lasciassi in giro questo giornale: tuo figlio potrebbe trovarlo e leggerlo di fronte ai tuoi ospiti. Ritieni opportuno che i tuoi amici lo vedano sconvolto, o addirittura in lacrime? Al tuo posto, dopo lo sciagurato Smistamento dell'altro marmocchio, eviterei chiacchiere imbarazzanti!»
    «Non so che cosa tu abbia in mente, Lestrange, ma ti avverto, non tirare in mezzo i miei figli… Con questo tipo di argomentazione otterresti al massimo la mia collera! Non il mio aiuto!»
    «Strano… sono certo, invece, di aver toccato proprio le corde giuste, Orion… »
    «Signor Black, per te, Rodolphus!»
    «Come vuoi, ORION. Tu puoi tranquillamente chiamarmi Lord Lestrange!»
    «Lord Lestrange? Solo tuo padre può usare quel titolo, Rodolphus… »
    «Lo sai meglio di me, Orion, che mio padre se la sta godendo all'inferno! Ti hanno visto a Essex Street trafficare sul suo corpo, sai già che “il tuo amico fraterno”, Alshain Sherton, mi ha reso orfano e si è pure fregato degli anelli che mi appartengono… Non cadere dalle nuvole… »

Lo fissai, mentre guardava compiaciuto gli anelli sulle sue dita. Mi chiesi che gioco stesse facendo.

    «Anelli di poco conto, diglielo quando lo rivedi... perché immagino sia corso a lamentarsi con te, del disordine trovato in casa, dico bene? Sai, a un certo punto non l’abbiamo più trovato… »
    «Non so di cosa diavolo farnetichi, né che cosa vuoi da me, a parte farmi perdere tempo… »
    «Hai ragione, devi andare... è anche interesse mio che tu vada: lo sai, il primo impegno che si assume come capofamiglia è il bene del Casato, degli altri parenti... Bellatrix ed io speriamo che ci aiuterai, zio, a fare il bene di entrambe le nostre famiglie... vero, mia cara?»

Bellatrix era rientrata da sola e si era affiancata a Rodolphus, aveva preso dalle sue mani la coppa di vino elfico, teatralmente aveva accarezzato e leccato tutto il bordo, saettando al marito sguardi maliziosi, poi aveva bevuto il contenuto con avidità, senza staccarmi un istante gli occhi di dosso, mentre un rivolo rubino le imporporava l’angolo delle labbra. Sentii pervadermi dalla nausea.

    «Stasera, zio, abbiamo bisogno che tu faccia una commissione per noi: Rodolphus ed io vorremmo che tu, in quanto padrino dei giovani Sherton, parlassi con loro e con il preside e ti assicurassi delle loro condizioni di salute... »

Bellatrix si era versata altro liquore nel bicchiere, poi, gentile, me l’aveva offerto. Io rabbrividii, ricordando cos’era successo l’ultima volta che l’avevo vista passare un suo bicchiere a qualcuno. Rodolphus si avvicinò, mi sentii preso in una morsa. Negai con la testa, in allerta come non mai.

    «… e che poi ci dicessi chi dei due è stato male, oggi: nulla di compromettente, insomma… »
    «Perché? A cosa vi serve un’informazione del genere?»
    «Non è cosa che ti riguardi, zio... »

Volevano informazioni con le quali risalire all’identità dell’Erede: secondo una diceria, infatti, per costringere Habarcat a svelare i propri piani, si doveva portare a un passo dalla morte il Signore di Herrengton. Non avevano ottenuto risultati utili con i bambini e al tempo stesso credevano che non fosse Mirzam la persona che cercavano. Dovevo fingere che la diceria fosse vera, mostrarmi preoccupato e prendere tempo, poi, alla prima occasione, avrei dovuto contattare Fear. A ogni costo.

    «Non vi dirò un bel niente! Informazioni su quei due ragazzini meno di tutto il resto! L’avete già fatta grossa con loro ed io ho già fatto fin troppo per togliervi dai pasticci, nascondendo prove che potevano mettervi in guai seri! E ora, invece di essere grati dell'aiuto ricevuto, osate minacciare la mia famiglia? La tua famiglia, Bellatrix? Che cosa diavolo avete in testa? Volete costringermi a far finire certi documenti compromettenti sulla scrivania di Crouch? Vi avverto, non esiterei… »
    «Ti sei fatto delle idee sbagliate su di noi, zio, sei stato mal informato e mal consigliato. Come potrei fare qualcosa di male a un altro Black? Al mio stesso Sangue? E Rodolphus? Lui che mette sopra ogni altra cosa il Sangue Puro, come potrebbe commettere un simile spreco? Noi, zio, vogliamo solo rifondare il nostro Mondo, un mondo basato sulla Purezza del Sangue: non potremmo mai riuscirci senza il sangue delle famiglie più fiere e antiche, come le nostre… come gli stessi Sherton… Per favore… io ti conosco da tutta la vita, so che è anche il tuo sogno. Aiutaci!»

    Queste considerazioni sul Sangue, questi lunghi discorsi, che cosa significano?

    «Certo che vi aiuterei, Bellatrix: siete la mia famiglia e condivido la vostra causa, lo sai… ma voi… dopo quello che è successo a Herrengton… non capisco più cosa diavolo avete in mente!»
    «Regulus sta scendendo, zio... Le cose dovranno cambiare per forza, te ne rendi conto da solo. Il nostro Mondo è un’immensa scacchiera e a ciascuno di noi compete un ruolo: o sei bianco, zio, o sei nero. E siamo tutti legati l’uno con l’altro, il nostro destino determina quello degli altri: per questo è importante poter contare su chi abbiamo accanto, nella lotta. Giochi a scacchi, zio, sai che cosa accade alle pedine che non sono utili al gioco…Sono sacrificate, per lasciare spazio alle manovre dei pezzi importanti, quelli che rischiano, combattono e vincono le guerre!»
    «Papà... il bastone da passeggio non era in camera tua... »

Guardai Regulus, ero inquieto e spaventato come non mi ero sentito nemmeno sulla torre di Herrengton, quando avevo rischiato di finire coinvolto nello scontro tra quei due pazzi e gli Aurors.

    «Hai ragione, scusami... devo averlo lasciato nello studio... non fa niente... »
    «Tuo padre ed io stavamo parlando di andare insieme alla prossima partita, sei contento?»

Sentii i peli della schiena rizzarsi ancora di più, accarezzai il capo di mio figlio, protettivo, e lentamente mi frapposi tra Regulus e i Lestrange.

    «Ora devo andare, ne riparleremo presto… »
    «No, no… tu ed io ne riparleremo più tardi, Orion, al termine della cena! L’informazione che ti ho chiesto mi serve questa sera stessa. Lo sai, sono molto impegnato, se ho accettato l’invito, è stato solo per parlare con te, per questo ti aspetterò. Passerò il tempo a giocare a Scacchi Magici con tuo figlio, so che è un giovane campione: lui sì che sarà un pezzo importante della scacchiera!»
    «Ti aspetterò anch’io zio: stasera, dopo tanta agitazione, avremo anche motivo di brindare!»
    «Esatto, Bellatrix! Se dovessi vedere mio fratello, zio, salutamelo: andrò a trovarlo domani, devo dargli una bella notizia, qualcosa che lo consolerà un poco. Come Lord Lestrange, infatti, devo prendermi cura anche di lui e la prima cosa che ho fatto, oggi, è stata firmare un vantaggioso contratto matrimoniale a suo nome. Gli ho procurato una fidanzata deliziosa, una che già gli piace molto: bella, nobile, ricca, purosangue... Giovane fortunato, proprio come me… A più tardi, Black!»

Tremando, allucinato, con quella voce ridente che mi raschiava la mente come carta vetrata, li salutai e andai al camino, senza nemmeno rendermi conto di muovermi, tanto ero confuso e sconvolto; presi una manciata di Polvere Volante, pronunciai il nome di un noto e malfamato locale di Hogsmeade e pochi istanti dopo mi Materializzai a centinaia di kilometri da casa. Respirai a pieni polmoni l'aria gelida delle strade innevate, illudendomi che servisse a farmi tornare in me, poi, di buon passo, mi avviai al castello, continuando a sentirmi nauseato e debole, al punto da non capacitarmi neanche del tragitto che stavo percorrendo.
Per un istante, mi ero illuso di essere un passo avanti ai Lestrange e al Signore Oscuro, avevo pensato di avere in mano le carte giuste per vincere quella partita mortale, ma alla luce delle ultime parole, tutto assumeva un valore diverso: sapevo che cosa mi era stato chiesto di fare, e per tutta quella giornata infernale avevo visto con i miei occhi quale sarebbe stata la pena se non avessi collaborato. Non osavo neanche pensare alle conseguenze.

    Mi sento ciò che sono. Un uomo Morto.

Raggiunsi miracolosamente i cancelli di Hogwarts ed entrai: non sapevo ancora come avesse fatto Alshain ad andarsene con i figli, ma era chiaro che il prezzo pagato era stato tanto, troppo alto.


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, ringrazio chi ha letto il capitolo, chi ha commentato, chi ancora segue la storia nonostante le pause eterne, i nuovi lettori che si sono aggiunti negli ultimi mesi, ecc ecc.
Ho visto che potrebbe esserci un dubbio sull’ordine degli eventi e sulle responsabilità dei Lestrange a proposito della “fuga” di Alshain. Premesso che i fatti si svolgono tutti nella stessa giornata, le azioni si susseguono in questo ordine:
Mattina: a Londra si tiene il processo a Williamson, a casa Sherton i Mangiamorte guidati da Abraxas prendono in ostaggio Deidra. A Hogwarts Rigel si azzuffa con McNair. Meissa e Sirius hanno un chiarimento, Potter e Black combinano i loro soliti guai a fine lezione e finiscono in punizione.
Mezzogiorno: Alshain giunge a Essex Street e poco dopo la casa salta in aria, Deidra è portata in salvo, i bambini sono presi da Malfoy.
Primo pomeriggio: Alshain viene catturato e torturato dai Lestrange. Orion parla con Alastor Moody, a Hogwarts, Rigel ha la sua disavventura nel bosco.
Tardo pomeriggio: i Lestrange sono convocati dal Lord che affida loro un’altra missione, Abraxas e Voldemort si occupano di Alshain. Orion giunge nel capanno e trova Doimòs con Deidra. A scuola, Rigel è ritrovato e salvato da Hagrid, McNair aggredisce Meissa.
Sera: Alshain riappare con i bambini e parla con Orion, poi scompare. Orion torna a casa, si scontra con la moglie e con i Lestrange, riparte per Hogwarts. Rigel riceve una visita a Hogwarts. Meissa è curata dalla Pomfrey
Notte: Mirzam e Margareth sono in missione. Al ritorno, Mirzam vede arrivare nell’accampamento di Fear un Patronus che conosce.

Per domande, chiarimenti, commenti, richieste, ecc, sapete dove trovarmi! Un bacione.
Valeria


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