2 - Un nuovo amico
Il
fiore che Guida lungo il Sentiero
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Né
il giorno dopo né quello successivo la gemma in cima alla torre
smise di brillare. E dopo altri quattro giorni di luce smeraldina la
gente di Fiandher cominciò a calmarsi. Le persone cercavano di
reperire informazioni sulle città vicine tramite gli ambulanti, ma
lo facevano con scarso interesse. Credevano di essere al sicuro; in
fondo in quei lunghi anni il re non si era mai interessato al Graäm.
Tuttavia nelle locande nessuno aveva il coraggio di nominare Endrun;
se ne facevano vaghi accenni, ma nessuno osava pronunciare ad alta
voce il suo nome, quasi temessero che li udisse. Fortunatamente non
era accaduto ancora nulla: checché si dicesse, non c’erano in giro
soldati di Endrun; nessun villaggio saccheggiato o distrutto; nessuna
persona scomparsa o morta misteriosamente. Gli abitanti di Fiandher
seguivano la solita routine e attribuivano la colpa del fenomeno
luminescente alle interpretazioni più svariate: da un presunto
“guasto” dello smeraldo, allo scherzo di qualche stupido che
l’avesse attivato per divertimento fino anche alla credenza che in
realtà tutto fosse verde da sempre e che semplicemente una mattina
si fossero svegliati rendendosi conto della verità. Eppure Runne
sapeva che c’era qualcosa che non andava.
La
sera del sesto giorno dal suo incontro con gli Scindri non fu
diverso: la luce dello smeraldo splendeva come sempre. La bambina
osservava Lup e Nap, le lune gemelle, dalla finestra della sua
camera. Assumevano una tonalità sinistra alla luce della gemma. Si
spettinò la frangia. Aveva pensato per tutta la settimana alla
proposta di Arlenan. E non aveva ancora deciso. D’altronde, come
poteva fidarsi di un reptile? Ecco, lo aveva pensato. Sogghignò.
Nonostante suo padre fosse un reptile e lei lo fosse suo malgrado,
non riusciva a togliersi dalla testa quell’immagine di distruzione
che da sempre aveva imparato ad associare ai reptili. Le venne in
mente anche Arghenteo. Dopo la storia raccontata da sua madre, poteva
ben capire quanto i feliani sopravvissuti potessero odiare i reptili
e il loro emissario. Nondimeno Arghenteo era un sottoposto di Arlenan
e aveva notato una sorta di profondo rispetto fra i due. Scosse la
testa con veemenza, fin quando non sentì che le girava, poi si
fermò. Fece un largo sbadiglio e si alzò dal letto.
«Ehi
pigrona!» esclamò Daeb, sbucando dal nulla «Cosa fai ancora qui?
Forza, andiamo!»
A
Fiandher era tradizione recarsi dal cantastorie ogni giovedì per
apprendere del passato e del presente. La carriera passava di padre
in figlio, che aveva il dovere di viaggiare in gioventù per
accrescere le conoscenze della propria famiglia. Daeb aveva scoperto
questa usanza accompagnando Runne e vi si era appassionato.
«Non
ho molta voglia di uscire... Non puoi andarci da solo?»
«Scordatelo!»
disse il sinhilare, irremovibile «Non è divertente senza di te.»
Runne
sbuffò e decise di assecondarlo. Judith rimase a casa, stanca dopo
una giornata di rammendi e ricami. Si incamminarono di buon passo
verso l'estremità meridionale della città. Un gruppo di giovanotti
li fiancheggiò lungo la strada. Il cantastorie attirava soprattutto
un pubblico infantile, ma anche molti adulti erano curiosi di
ascoltare il vecchio. A Runne piacevano i suoi racconti, da cui aveva
appreso parecchio, ma da quando sapeva di essere un reptile temeva di
essere smascherata. Stranamente, il cantastorie non aveva mai
mostrato di riconoscere la sua natura. A ben pensarci, non aveva
neanche mai dato una descrizione fisica dei reptili. Ma il vecchio
cantastorie era sempre stato cieco, da quel che si sapeva di lui.
Raggiunsero
la locanda della Favella, dove erano soliti raggrupparsi. Grazie
all'impazienza di Daeb, erano arrivati abbastanza presto da
assicurarsi un posto in quarta fila... o addirittura terza? Non era
facile trovare un ordine in quell'ammasso di sedie che si stringevano
intorno a quella più comoda e robusta del cantastorie, che dormiva
profondamente. Mentre attendevano che la locanda si riempisse, con
Daeb che volteggiava sulla sua spalla, Runne vide appeso a una parete
il calendario con cui si insegnavano ai bambini i mesi dell'anno.
Si
apriva con Destante, il mese in cui arrivava la primavera. Seguivano
Florea e Paiato, con i suoi frequenti matrimoni. L'estate era portata
da Eliume e continuava con Caldeggio e Granetto, in cui avveniva la
trebbiatura. Rallegrato dal buon vino, Bevazzo era il mese corrente;
presto avrebbero attraversato Foliume e Pluvio. Dopo sarebbe giunto
l'inverno, con Gelante e Nevone. Sopiquo avrebbe segnato la fine
della stagione fredda e il termine dell'anno. Ogni mese contava 31
giorni; solo Destante e Granetto avevano un dì aggiunto: il primo
giorno dell’anno era dedicato agli dei e alla natura, mentre
l’ultimo giorno del mese estivo era festeggiato in vario modo a
seconda della razza e del popolo. Tra gli uomini venivano ricordati
gli antenati, a differenza dei feliani che celebravano la sacralità
della poesia e della musica.
L'oste
passò a distribuire bevande e vettovaglie e la locanda si riempì
del tintinnio di monete. In breve una discreta folla si sistemò
sulle sedie disponibili; altri rimasero in piedi o si spostarono
leggermente in disparte, addossati al bancone. Un silenzio di attesa
calò sul pubblico e il cantastorie si svegliò all'improvviso, come
gli succedeva sempre.
«C'era
un tempo...!» esordì. La smania di scoprire l'argomento della
serata percorse tutti gli ascoltatori. «C'era un tempo in cui gli
dei calcavano queste terre e nessuna forma di vita poteva
manifestarsi dinanzi ai loro occhi.»
Oh.
La storia della genesi l'aveva già sentita. Runne fece un enorme e
poco elegante sbadiglio, regalando a Daeb l'opportunità di lanciarle
in gola un tocco di pane. La ragazzina quasi si strozzò e tossì con
forza, richiamando involontariamente l'attenzione del cantastorie.
«Tu sei la figlia di Judith.» Non era una domanda. Non si sapeva
come facesse, ma nonostante la cecità il vecchio riusciva a
distinguere le persone senza fallo. E sembrava conoscere tutti.
«Sì,
signore.» confermò l'interpellata cercando di acchiappare Daeb per
fargliela pagare «Mi chiamo Runne.»
«Un
nome molto importante.»
«Davvero?»
«Oggi
la durata della vita dei feliani è come la nostra,» riprese il
cantastorie «ma c'era un tempo in cui vivevano molto più a lungo.
Secondo le leggende la Prima Stirpe viveva fino a “sette volte la
vita del mondo”.»
«Signore!
Quanto dura la vita del mondo?» chiese un bimbo dallo sguardo
curioso.
«Il
mondo è in continuo mutamento e rinasce a ogni millennio.» spiegò
il vecchio «I feliani avevano una prospettiva di vita di settemila
anni, donata loro dagli dei.»
Un
coro di stupore riempì la sala. Qualcuno sputacchiò dalla propria
pinta.
«Un
giorno i feliani scoprirono i nostri antenati, confinati nelle
regioni più aride del Mondo dell’Avvento. Gli offrirono una dimora
più agevole e condivisero la loro sapienza con gli uomini; ma il
divario tra le due razze alimentò la discordia. Alcuni feliani si
consideravano superiori agli umani e li volevano soggiogare; dal
canto loro gli uomini erano invidiosi della longevità feliana. In
questo spiacevole clima salì al trono Denowil, la “sovrana
guerriera”. Il suo operato di pace parve quietare gli animi, eppure
non impedì lo scoppio di una tremenda guerra tra le due razze.»
«Dobbiamo
dunque vergognarci dei nostri antenati?» chiese l'oste mentre
serviva polpette e altro pane bruciacchiato «Come hanno potuto dare
inizio a una guerra contro i loro benefattori?»
«Nessuno
è a conoscenza della causa scatenante; e potrebbero non essere stati
gli uomini a cominciare quella lotta insensata. È nostro dovere
ricordare e rispettare i nostri antenati, nel bene o nel male.» le
palpebre del cantastorie fremettero sopra ai suoi occhi vuoti
«Riprendiamo ora la nostra storia: per fermare quel bagno di sangue,
Denowil compì un miracolo, privando i feliani del Dono delle Sette
Vite. Per mettere in atto quella magia, ella infisse la sua lama nel
terreno, pagando con la propria vita.»
«Nooo!»
piagnucolò una bambina con la coda di cavallo.
Il
vecchio sorrise. «Il suo spirito vive ancora: la sua spada è
intatta, conficcata nel suolo, esattamente al centro del Mondo
dell’Avvento.»
Un
uomo con la pipa sobbalzò. «Al centro del... cioè a Kradit?»
I
più giovani si innervosirono:«Kradit... la residenza di Endrun?»
«Dove
c'è il re cattivo?»
«Sì.»
confermò il cantastorie «Ovviamente allora non c'era nulla.
Nient'altro che terra bruciata, consumata dalla battaglia. Ma quando
Denowil vi infuse la propria magia il terreno diventò
incredibilmente fertile. Attorno alla sua spada crebbe una pianta
sacra, che non necessita di sole né acqua. Da quel rampicante
sbocciò un fiore più candido della neve e più splendente di Lup e
Nap nelle notti limpide. Nessuno, a quanto si vocifera, vi si può
avvicinare. I re del passato, ammaliati da tanta bellezza e commossi
dal sacrificio della regina feliana, vi costruirono un monumento e
attorno la loro fortezza: così nacque la città. Da quel momento le
due razze convissero in armonia.»
«Ma
come può quello sporco Endrun vivere in un luogo tanto sacro?»
chiese una voce familiare al limitare della folla. Runne notò solo
allora Pylon.
«Suppongo
che non si possa avvicinare al monumento.» sospirò il vecchio
«Certo è che lo spirito di Denowil non glie lo permetterebbe mai.»
Gli
astanti si rilassarono un poco.
«Quel
fiore,» continuò il cantastorie «si dice che cresca spontaneamente
nel Mondo dell'Avvento per indicare ai giusti la strada da seguire. È
considerano tuttora un simbolo di speranza; i feliani lo chiamarono
runne.»
La
locanda al completa si voltò verso Runne, che arrossì. «Non lo
sapevo.»
«Ed
è per questo che io te l'ho raccontato. I tuoi genitori hanno scelto
un nome pregevole di cui non puoi permetterti di ignorare il
significato. Sicuramente ti attende un grande destino.»
Runne
fece una smorfia. «Non mi piace l'idea che il mio destino sia
scritto dal nome che porto. Non significa nulla. La mia vita
appartiene soltanto a me.»
Una
risata generale scosse la sala.
«Avete
sentito la piccola?»
«Che
caratterino!»
«Vai,
Runne! Digliene quattro!»
Il
cantastorie batté il bastone sul pavimento, piuttosto irritato:«I
vostri scherni mi riportano alla mente la storia del Talpone
citrullo. Volete ascoltarla?»
Alcuni
“sì” e altri “no” investirono le orecchie del vecchio,
mentre Runne si alzava per uscire dalla locanda. Si allontanò da
risate e frastuono e prese la via del ritorno. Forse la sua reazione
era stata eccessiva, ma non poteva fare a meno di essere turbata
dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Aveva scoperto di essere figlia
di un reptile, la gemma in cima alla torre si era accesa e un gruppo
di sconosciuti la voleva reclutare. Ah, e dei sinhilari furiosi
l'avevano attaccata con degli alberi animati. A proposito, perché
c'era tutto quel silenzio?
Daeb
sedeva ancora sulla sua spalla, ma era insolitamente taciturno. La
bambina lo scrutò: le lacrime scendevano le guance del sinhilare,
lasciando solchi azzurri sulla pelle perlata. Daeb si accorse di
essere osservato e si asciugò in fretta il volto, recuperando il
sorriso e domandandole:«Stai bene?»
«Io?»
fece Runne dubbiosa.
«Non
badare a me. Ho provato solo un po' di nostalgia... Il Piccolo Popolo
è sensibile alle storie che narrano dei figli del bosco.»
«Sarà...»
Plic.
Plic. Plic.
La pioggia li sorprese lungo il tragitto. Gocce fredde cadevano dal
cielo color muschio. Runne accelerò il passo prima che l'acqua
scendesse più violenta e rientrò in casa appena in tempo. La mamma
parve rincuorata dal suo ritorno anticipato. Quella storia dello
smeraldo l'aveva riempita d'ansia. Runne e Daeb le augurarono la
buonanotte e salirono in camera.
Nel
buio della notte, il bagliore della gemma filtrava appena dalla tenda
della finestra. Runne si era coricata da qualche minuto, ma faticava
a prendere sonno. La voce di Daeb la fece sobbalzare:«Non hai ancora
deciso?»
«Cosa?»
«Se
accettare la proposta di Arlenan.»
Runne
si rigirò nel letto e assottigliò la pupilla per scrutare meglio il
sinhilare, che era appoggiato sul bordo della sua scatola. «Come fai
a saperlo? Mi hai seguita? No, aspetta; tu stavi dormendo!»
«Mi
pare ovvio, proprio così e no, stavo fingendo.» rispose Daeb con
ordine. «Non fare quella faccia indignata: lo smeraldo mi ha messo
in allarme ed ero preoccupato per te. Soprattutto perché l'angolo di
foresta vicino ai campi del signor Koremore è disabitato da decenni.
In quel luogo è stata lanciata la maledizione sul signore del
castello e nessuno osa metterci piede... o zampa.»
«Perché
non me l'hai detto quando ti ho parlato di quel rumore?»
Daeb
assunse un'aria di rimprovero:«Volevo indagare per conto mio ma tu,
impaziente come al solito, ti sei avventurata da sola nella foresta.
Senza avvertire nessuno.»
«Mi
dispiace.» Runne era sinceramente mortificata. Quando era stata
circondata da quegli stranieri aveva provato davvero paura.
«Dopo
il vostro incontro sono tornato nella foresta e ho parlato con gli
Scindri.» fece una pausa, quindi continuò con voce piatta:«Sembra
che siano qui per proteggere il Graäm dalla minaccia di Endrun. Non
mi convincono del tutto, ma devo ammettere che sono in gamba:
sapevano che ti avevo seguita. E condivido il loro interesse per te.»
«In
che senso?»
Daeb
recuperò la sua espressione allegra, a cui solo lui riusciva ad
accostare una nota di solennità:«Sei una creatura unica, Runne. I
tuoi genitori hanno fatto bene a rifugiarsi in questa piccola città,
lontano dagli occhi della Resistenza e dell'armata di Endrun; ti
hanno protetta fino ad ora, ma presto o tardi dovrai fare una scelta.
Dovrai continuare a nasconderti, magari con l'aiuto dei popoli
liberi, o entrare nell'esercito.»
«Io
voglio combattere contro Endrun!» esclamò la ragazzina.
«Allora
è meglio che impari a difenderti. Perché se il nemico viene a
sapere della tua esistenza ti obbligherà a servirlo. O ti ucciderà,
se ti ritiene una minaccia.»
Runne
giunse di fronte alla Foresta Dipinta. Era arrivato il momento e lei
esitava. Strinse le braccia al petto, prese un bel respiro ed entrò,
facendosi largo tra i cespugli. Non sapeva già più dov’era, ma
non aveva importanza: a trovarla ci avrebbero pensato loro. Era un
po' in anticipo; poggiò la schiena contro un albero e attese. Gli
uomini, come la settimana prima, sembrarono uscire dai tronchi. Runne
non poté fare a meno di meravigliarsi a quello spettacolo ripetuto.
Arlenan comparì sul ramo sopra la sua testa. Atterrò con eleganza
davanti a lei. Il mantello si posò fluido sull’erba, senza
muoverne un filo.
Si
calò lentamente il cappuccio:«Arriverò subito al sodo: qual è la
tua decisione?»
Gli
occhi di tutti erano puntati sulla bambina. Una leggera brezza le
fece fluttuare i capelli e le fronde degli alberi danzarono al vento;
eppure i mantelli degli uomini rimasero immobili. Quelle figure
sembravano non esistere. Runne ne rimase al contempo intimorita e
affascinata. Ebbe conferma che la sua scelta poteva essere una sola.
S’inginocchiò e disse:«Accetto la tua proposta, maestro.» Un
coro d’entusiasmo emerse dagli Scindri. Qualcuno fischiò.
Arghenteo batté le mani.
«Bene.»
asserì Arlenan tendendo una mano a Runne e aiutandola a rialzarsi.
L'uomo fece un cenno agli altri e la bambina seguì nel bosco la
compagnia, ascoltando attentamente le parole del maestro:«Ci stiamo
dirigendo al nostro nascondiglio. Da domani e per il resto della
settimana ti aspetterò all’entrata della foresta e ti
accompagnerò. Dopo dovrai ricordarti la strada da sola. La parola
d’ordine è...» si abbassò e le mormorò all’orecchio. Il
contatto con le sue labbra la fece avvampare «...CROSTATA DI MELE.»
Si rialzò e sorrise «La mia preferita!»
Arrivarono
ai piedi di un enorme albero secolare. I rami si intrecciavano e si
mescolavano impedendo di mirare il cielo. Le foglie crescevano come
spine, aguzze e taglienti. Poco male: lì almeno non li raggiungeva
quella monotona luce smeraldina. Arlenan avanzò, aprendosi un varco
nel cespuglio che cresceva di fianco all’albero. Si accucciò e
sollevò una zolla di terra, rivelando una buca profonda più di due
metri. Vi entrò. Runne lo seguì, scoprendo che la terra non era
altro che una botola ben camuffata. Scese per una scaletta e con un
balzo si posizionò al fianco di Arlenan. Il resto della compagnia
attese in cima alla buca: lo spazio era troppo angusto. La buca
appariva vuota, e Runne iniziava a essere perplessa. Arlenan disegnò
uno strano simbolo sulla parete e mormorò una formula a bassa voce.
Il muro ebbe un fremito: la terra si rattrappì come una pianta
senz'acqua, scoprendo una porta solida. Runne allungò un braccio
verso la maniglia, incuriosita, ma l’uomo la bloccò:«Se ci tieni
alla vita, non farlo. Ci vuole la chiave.» Arlenan estrasse dal
mantello una piccola chiave nera, proprio come la porta, la
introdusse nella serratura e la fece scattare. La porta si aprì.
L’ambiente
era una stanza di forma irregolare, come lo scavo di una miniera: su
un largo macigno, arrangiato come tavolo, pergamene con strani
ghirigori e piantine di edifici giacevano arrotolate o socchiuse;
boccette con liquidi dei più svariati colori erano accatastate negli
angoli; armi di ogni tipo (asce, spade, pugnali, archi, eccetera)
erano appoggiate ai muri.
Quando
tutti gli Scindri furono entrati Arlenan procedette a presentarle la
compagnia. Conosceva già Arghenteo, quindi vennero introdotti gli
altri sei membri: erano tutti esseri umani, e parevano entusiasti del
nuovo acquisto. Dopo i convenevoli, gli Scindri si sparpagliarono per
il nascondiglio, ognuno preso dal proprio lavoro. Arlenan condusse
Runne lungo il breve corridoio che si affacciava, sulla destra, su
una stanza piena di coperte. Doveva trattarsi di un giaciglio
improvvisato. Sulla sinistra il corridoio si piegava bruscamente
verso il basso fino a un'apertura con scaletta. Runne si stupì di
dover scendere ancora.
Sbucarono
in un ampio spazio buio, illuminato da una piccola torcia appesa al
soffitto. Un tenue fuoco bluastro bruciava silenzioso.
«Questa
è la Sala d’Addestramento.» annunciò Arlenan.
«Non
si vede niente!»
«Fa
parte dell’allenamento. Gli Scindri non sono semplici guerrieri:
sono spie, infiltrati, a volte sicari. Devi abituarti ad agire al
buio.»
«Come
vuoi tu, maestro.» rispose Runne a bassa voce, per nascondere il
fatto che le tremava.
L’uomo
sorrise:«Non preoccuparti. Per ora mi limiterò a insegnarti le
basi. Ma prima pensiamo al tuo abbigliamento.»
«Porterò
anch’io un mantello come il vostro, maestro?» scattò lei
eccitata.
Arlenan
scosse il capo «Lo riceverai all’investitura in qualità di membro
degli Scindri. Per adesso sei solo un’allieva.» Runne sgonfiò
l’entusiasmo, mentre il suo maestro frugava nei sacchi abbandonati
in un angolo.
«Vediamo...
per la tua misura...» e l’uomo si tuffò nella ricerca. Dopo un
po’ ne riemerse reggendo dei pantaloni di pelle, un corpetto, un
mantello e un paio di guanti neri. Studiò con scetticismo le
calzature di Runne e le porse anche un paio di stivaletti neri. La
bambina si cambiò nel bel mezzo della sala, con Arlenan girato di
spalle.
«Questo
posto l'avete creato voi?» chiese Runne per scacciare l'imbarazzo.
«No»
ammise lui «L'abbiamo trovato già così: suppongo fosse un rifugio
segreto del fondatore di Fiandher. Noi abbiamo aggiunto solo le
misure di sicurezza.»
La
bambina ebbe qualche difficoltà ad allacciarsi il corpetto, ma
riuscì comunque nell’impresa. Acciambellò la treccia dietro la
testa, a mo’ di cipolla.
«Sono
pronta.» disse Runne. Il maestro fu povero di commenti. Secondo lui
Runne rifletteva un’immagine di sé già visibile per chi sapeva
riconoscere un guerriero.
Arlenan
si sfilò il mantello e lo appese su una sporgenza della grotta.
Runne rimase a bocca aperta: dai polsi sino alle spalle la pelle era
ricoperta da sottili squame dello stessa tonalità bronzea della
pelle. L’uomo notò il suo stupore e, ammiccando, si tolse la cotta
di maglia. Runne si avvicinò: le squame proseguivano a delineare il
petto, lasciando scoperta la pancia, poi riprendevano sui fianchi; ma
Runne non osò chiedergli di slacciarsi anche i pantaloni... La
bambina girò attorno ad Arlenan e osservò la schiena: le squame
correvano lungo la colonna vertebrale per finire sul retro del collo.
«È
per questo che ci definiamo reptili: tutti i purosangue hanno un
aspetto simile.»
«Quindi
anche mio padre...» ipotizzò Runne, interrompendosi con disagio.
«Se
era un purosangue sì.» Si rivestì e le chiese:«Pronta per la
lezione?»
«Prontissima!»
Arlenan
le fece apprendere la corretta posizione di guardia, poi le spiegò
come poteva piegarsi, abbassarsi, schivare, saltare e muoversi da
tale posa; dopo le intimò di fare qualche capriola e le mostrò in
quanti modi si poteva cadere senza farsi male. Durante una breve
pausa, Runne risolse finalmente il mistero delle movenze silenziose
degli Scindri: risiedeva tutto in una pozione applicata ai loro
mantelli, che ovattava qualunque suono prodotto dai loro possessori.
Arlenan
fece uno sbadiglio contenuto, scrocchiò il collo e disse:«Credo
possa bastare. Per oggi finiamo qui. Dopo i primi giorni, verrai tre
volte a settimana, sempre a quest’ora.»
«E
per le missioni?» chiese speranzosa Runne.
«Per
quelle c’è tempo.» L'uomo si rivestì e intimò a Runne di
indossare i suoi vecchi abiti; quindi le concesse qualche secondo per
salutare la compagnia e la condusse fuori dalla foresta. La felicità
e l'eccitazione colmavano l'animo della bambina, ansiosa di
continuare le lezioni e di imparare cose nuove.
Runne
fece per congedarsi, ma inaspettatamente Arlenan decise di
accompagnarla a casa per parlare con sua madre. Lei rimase
disorientata a quella novità, ed esitò prima di assecondarlo. Era
ormai buio mentre si aggiravano per le strade di Fiandher, e la luce
dello smeraldo donava una strana atmosfera al cielo stellato. Lungo
il tragitto qualcuno salutò Runne, senza dare segno di notare l'uomo
che la seguiva, come se fosse invisibile. Merito delle proprietà di
mimetizzazione del mantello, oltre che delle capacità del suo
possessore. Lei ricambiò con un sorriso, anche se era parecchio
agitata: cosa avrebbe detto Arlenan a sua madre? E lei come avrebbe
reagito?
La
fedele piantina aprì la porta per Daeb, che sgranò gli occhi di
fronte ad Arlenan. Judith sedeva in disparte a lavorare di cucito.
«Bentornata.
Immagino tu non voglia dirmi dove sia stata.» osservò con una punta
di irritazione, rivolgendosi alla figlia.
«Era
con me.» rispose Arlenan. Judith sussultò, notando solo allora la
figura austera dell'uomo.
«Lei
chi sarebbe?»
Runne
richiuse la porta mentre lui si presentava come capo di una compagnia
segreta della Resistenza. La feliana lo squadrò con scetticismo e
preoccupazione.
«Potremmo
parlare da soli?» azzardò Arlenan «Non vorrei disturbarla troppo,
ma preferirei conferire con lei in privato.» Judith acconsentì, ma
date le dimensioni della casa chiese alla figlia e al sinhilare di
aspettare fuori. Runne uscì con Daeb, incamminandosi verso il Lago
Calmo, in modo da concedere ai due abbastanza tempo. Daeb volle
sapere ogni particolare sul suo primo giorno d'addestramento. La
bambina si divertì a raccontargli quello che le era stato insegnato,
ma si mantenne vaga sull'ubicazione del nascondiglio degli Scindri,
in parte perché non se la ricordava affatto. Il sinhilare fu lieto
che andasse d'accordo con il suo nuovo maestro.
Aggiunse
con voce monotona:«Mi sembra un uomo di cui ci si possa fidare. Ti
aiuterà nel tuo percorso di crescita e ti permetterà di combattere
per una giusta causa.»
«Che
paroloni!» rise Runne «Sembra che tu l'abbia letto in un libro!»
Daeb
sbatté le palpebre e aggrottò la fronte:«Può darsi.»
La
bambina fu scossa dalle risate mentre faceva ritorno. Trovò sua
madre da sola, a guardare con occhi lucidi il cielo verdognolo oltre
la finestra. Abbracciò Runne e le sussurrò con calore:«Ti voglio
bene! Avrei voluto per te un futuro diverso, senza battaglie e
lontano dalla guerra. Ma devo rispettare il tuo volere e dentro di me
sento che sarebbe ingiusto ostacolarti nella tua scelta. Sono sicura
che tu sola saprai fare la differenza.» La sciolse dalla presa,
quindi aggiunse più atona:«Arlenan conosceva tuo padre, me ne ha
dato la prova.»
Runne
ne fu sorpresa, ma non così tanto: un po' se l'aspettava.
Judith
continuò, sempre senza lasciare trasparire emozioni:«Purtroppo non
ha più contatti con lui, ma non ha importanza. Ho capito che posso
affidarti a lui.»
Runne
l'abbracciò di nuovo, uno scambio d'affetto a cui si unì anche
Daeb. Era felice: il suo sogno di diventare una guerriera si stava
avverando in modo inatteso, non perché vi era destinata dal suo
stupido nome, ma perché lei era speciale; perché poteva fare la
differenza. Mentre Judith preparava la cena, Runne lanciò uno
sguardo a quel cielo che stava scrutando al loro rientro. Si promise
che un giorno sarebbe riuscita a farlo tornare delle tinte turchine
che gli si addicevano.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Questo
capitolo non era previsto all’inizio. Il precedente si doveva
concludere con la scelta immediata di Runne. Poi però ho preferito
concederle un po’ di tempo, e approfondire la questione del suo
nome (interrogativo rimasto dalla presentazione di Daeb). Una
spiegazione spicciola veniva data alla fine del discorso di Judith
(nel quarto capitolo), ma non mi piaceva. E così ho introdotto il
cantastorie. Ogni villaggio o città che si rispetti dovrebbe averne
uno, non trovate? ;-)
Spero
di non aver allungato troppo la pappa...
Fate
un salto anche sulla mia pagina
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Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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