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Autore: CreAttiva    01/12/2013    1 recensioni
Runne è una bambina di undici anni dal temperamento ribelle, lunghe orecchie ripiegate sui capelli dorati e un paio di enigmatici occhi rossi. Occhi che sollevano domande alle quali non sa rispondere; perché sono gli stessi di suo padre, di cui non sa praticamente nulla.
Ma Runne guarda al futuro, e insegue il suo sogno di diventare una guerriera per combattere il famigerato Endrun, spietato re del Mondo dell'Avvento. Ancora non sa quanto il suo passato e il suo destino siano intrecciati alla sete di potere del tiranno.
La sua vita e quelle di tutto il mondo dipendono dalle scelte di Runne; e quelle più giuste per il bene comune potrebbero richiedere dolorosi sacrifici.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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2 - Un nuovo amico

Il fiore che Guida lungo il Sentiero


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il giorno dopo né quello successivo la gemma in cima alla torre smise di brillare. E dopo altri quattro giorni di luce smeraldina la gente di Fiandher cominciò a calmarsi. Le persone cercavano di reperire informazioni sulle città vicine tramite gli ambulanti, ma lo facevano con scarso interesse. Credevano di essere al sicuro; in fondo in quei lunghi anni il re non si era mai interessato al Graäm. Tuttavia nelle locande nessuno aveva il coraggio di nominare Endrun; se ne facevano vaghi accenni, ma nessuno osava pronunciare ad alta voce il suo nome, quasi temessero che li udisse. Fortunatamente non era accaduto ancora nulla: checché si dicesse, non c’erano in giro soldati di Endrun; nessun villaggio saccheggiato o distrutto; nessuna persona scomparsa o morta misteriosamente. Gli abitanti di Fiandher seguivano la solita routine e attribuivano la colpa del fenomeno luminescente alle interpretazioni più svariate: da un presunto “guasto” dello smeraldo, allo scherzo di qualche stupido che l’avesse attivato per divertimento fino anche alla credenza che in realtà tutto fosse verde da sempre e che semplicemente una mattina si fossero svegliati rendendosi conto della verità. Eppure Runne sapeva che c’era qualcosa che non andava.

La sera del sesto giorno dal suo incontro con gli Scindri non fu diverso: la luce dello smeraldo splendeva come sempre. La bambina osservava Lup e Nap, le lune gemelle, dalla finestra della sua camera. Assumevano una tonalità sinistra alla luce della gemma. Si spettinò la frangia. Aveva pensato per tutta la settimana alla proposta di Arlenan. E non aveva ancora deciso. D’altronde, come poteva fidarsi di un reptile? Ecco, lo aveva pensato. Sogghignò. Nonostante suo padre fosse un reptile e lei lo fosse suo malgrado, non riusciva a togliersi dalla testa quell’immagine di distruzione che da sempre aveva imparato ad associare ai reptili. Le venne in mente anche Arghenteo. Dopo la storia raccontata da sua madre, poteva ben capire quanto i feliani sopravvissuti potessero odiare i reptili e il loro emissario. Nondimeno Arghenteo era un sottoposto di Arlenan e aveva notato una sorta di profondo rispetto fra i due. Scosse la testa con veemenza, fin quando non sentì che le girava, poi si fermò. Fece un largo sbadiglio e si alzò dal letto.

«Ehi pigrona!» esclamò Daeb, sbucando dal nulla «Cosa fai ancora qui? Forza, andiamo!»

A Fiandher era tradizione recarsi dal cantastorie ogni giovedì per apprendere del passato e del presente. La carriera passava di padre in figlio, che aveva il dovere di viaggiare in gioventù per accrescere le conoscenze della propria famiglia. Daeb aveva scoperto questa usanza accompagnando Runne e vi si era appassionato.

«Non ho molta voglia di uscire... Non puoi andarci da solo?»

«Scordatelo!» disse il sinhilare, irremovibile «Non è divertente senza di te.»

Runne sbuffò e decise di assecondarlo. Judith rimase a casa, stanca dopo una giornata di rammendi e ricami. Si incamminarono di buon passo verso l'estremità meridionale della città. Un gruppo di giovanotti li fiancheggiò lungo la strada. Il cantastorie attirava soprattutto un pubblico infantile, ma anche molti adulti erano curiosi di ascoltare il vecchio. A Runne piacevano i suoi racconti, da cui aveva appreso parecchio, ma da quando sapeva di essere un reptile temeva di essere smascherata. Stranamente, il cantastorie non aveva mai mostrato di riconoscere la sua natura. A ben pensarci, non aveva neanche mai dato una descrizione fisica dei reptili. Ma il vecchio cantastorie era sempre stato cieco, da quel che si sapeva di lui.

Raggiunsero la locanda della Favella, dove erano soliti raggrupparsi. Grazie all'impazienza di Daeb, erano arrivati abbastanza presto da assicurarsi un posto in quarta fila... o addirittura terza? Non era facile trovare un ordine in quell'ammasso di sedie che si stringevano intorno a quella più comoda e robusta del cantastorie, che dormiva profondamente. Mentre attendevano che la locanda si riempisse, con Daeb che volteggiava sulla sua spalla, Runne vide appeso a una parete il calendario con cui si insegnavano ai bambini i mesi dell'anno.

Si apriva con Destante, il mese in cui arrivava la primavera. Seguivano Florea e Paiato, con i suoi frequenti matrimoni. L'estate era portata da Eliume e continuava con Caldeggio e Granetto, in cui avveniva la trebbiatura. Rallegrato dal buon vino, Bevazzo era il mese corrente; presto avrebbero attraversato Foliume e Pluvio. Dopo sarebbe giunto l'inverno, con Gelante e Nevone. Sopiquo avrebbe segnato la fine della stagione fredda e il termine dell'anno. Ogni mese contava 31 giorni; solo Destante e Granetto avevano un dì aggiunto: il primo giorno dell’anno era dedicato agli dei e alla natura, mentre l’ultimo giorno del mese estivo era festeggiato in vario modo a seconda della razza e del popolo. Tra gli uomini venivano ricordati gli antenati, a differenza dei feliani che celebravano la sacralità della poesia e della musica.

L'oste passò a distribuire bevande e vettovaglie e la locanda si riempì del tintinnio di monete. In breve una discreta folla si sistemò sulle sedie disponibili; altri rimasero in piedi o si spostarono leggermente in disparte, addossati al bancone. Un silenzio di attesa calò sul pubblico e il cantastorie si svegliò all'improvviso, come gli succedeva sempre.

«C'era un tempo...!» esordì. La smania di scoprire l'argomento della serata percorse tutti gli ascoltatori. «C'era un tempo in cui gli dei calcavano queste terre e nessuna forma di vita poteva manifestarsi dinanzi ai loro occhi.»

Oh. La storia della genesi l'aveva già sentita. Runne fece un enorme e poco elegante sbadiglio, regalando a Daeb l'opportunità di lanciarle in gola un tocco di pane. La ragazzina quasi si strozzò e tossì con forza, richiamando involontariamente l'attenzione del cantastorie. «Tu sei la figlia di Judith.» Non era una domanda. Non si sapeva come facesse, ma nonostante la cecità il vecchio riusciva a distinguere le persone senza fallo. E sembrava conoscere tutti.

«Sì, signore.» confermò l'interpellata cercando di acchiappare Daeb per fargliela pagare «Mi chiamo Runne.»

«Un nome molto importante.»

«Davvero?»

«Oggi la durata della vita dei feliani è come la nostra,» riprese il cantastorie «ma c'era un tempo in cui vivevano molto più a lungo. Secondo le leggende la Prima Stirpe viveva fino a “sette volte la vita del mondo”.»

«Signore! Quanto dura la vita del mondo?» chiese un bimbo dallo sguardo curioso.

«Il mondo è in continuo mutamento e rinasce a ogni millennio.» spiegò il vecchio «I feliani avevano una prospettiva di vita di settemila anni, donata loro dagli dei.»

Un coro di stupore riempì la sala. Qualcuno sputacchiò dalla propria pinta.

«Un giorno i feliani scoprirono i nostri antenati, confinati nelle regioni più aride del Mondo dell’Avvento. Gli offrirono una dimora più agevole e condivisero la loro sapienza con gli uomini; ma il divario tra le due razze alimentò la discordia. Alcuni feliani si consideravano superiori agli umani e li volevano soggiogare; dal canto loro gli uomini erano invidiosi della longevità feliana. In questo spiacevole clima salì al trono Denowil, la “sovrana guerriera”. Il suo operato di pace parve quietare gli animi, eppure non impedì lo scoppio di una tremenda guerra tra le due razze.»

«Dobbiamo dunque vergognarci dei nostri antenati?» chiese l'oste mentre serviva polpette e altro pane bruciacchiato «Come hanno potuto dare inizio a una guerra contro i loro benefattori?»

«Nessuno è a conoscenza della causa scatenante; e potrebbero non essere stati gli uomini a cominciare quella lotta insensata. È nostro dovere ricordare e rispettare i nostri antenati, nel bene o nel male.» le palpebre del cantastorie fremettero sopra ai suoi occhi vuoti «Riprendiamo ora la nostra storia: per fermare quel bagno di sangue, Denowil compì un miracolo, privando i feliani del Dono delle Sette Vite. Per mettere in atto quella magia, ella infisse la sua lama nel terreno, pagando con la propria vita.»

«Nooo!» piagnucolò una bambina con la coda di cavallo.

Il vecchio sorrise. «Il suo spirito vive ancora: la sua spada è intatta, conficcata nel suolo, esattamente al centro del Mondo dell’Avvento.»

Un uomo con la pipa sobbalzò. «Al centro del... cioè a Kradit?»

I più giovani si innervosirono:«Kradit... la residenza di Endrun?»

«Dove c'è il re cattivo?»

«Sì.» confermò il cantastorie «Ovviamente allora non c'era nulla. Nient'altro che terra bruciata, consumata dalla battaglia. Ma quando Denowil vi infuse la propria magia il terreno diventò incredibilmente fertile. Attorno alla sua spada crebbe una pianta sacra, che non necessita di sole né acqua. Da quel rampicante sbocciò un fiore più candido della neve e più splendente di Lup e Nap nelle notti limpide. Nessuno, a quanto si vocifera, vi si può avvicinare. I re del passato, ammaliati da tanta bellezza e commossi dal sacrificio della regina feliana, vi costruirono un monumento e attorno la loro fortezza: così nacque la città. Da quel momento le due razze convissero in armonia.»

«Ma come può quello sporco Endrun vivere in un luogo tanto sacro?» chiese una voce familiare al limitare della folla. Runne notò solo allora Pylon.

«Suppongo che non si possa avvicinare al monumento.» sospirò il vecchio «Certo è che lo spirito di Denowil non glie lo permetterebbe mai.»

Gli astanti si rilassarono un poco.

«Quel fiore,» continuò il cantastorie «si dice che cresca spontaneamente nel Mondo dell'Avvento per indicare ai giusti la strada da seguire. È considerano tuttora un simbolo di speranza; i feliani lo chiamarono runne.»

La locanda al completa si voltò verso Runne, che arrossì. «Non lo sapevo.»

«Ed è per questo che io te l'ho raccontato. I tuoi genitori hanno scelto un nome pregevole di cui non puoi permetterti di ignorare il significato. Sicuramente ti attende un grande destino.»

Runne fece una smorfia. «Non mi piace l'idea che il mio destino sia scritto dal nome che porto. Non significa nulla. La mia vita appartiene soltanto a me.»

Una risata generale scosse la sala.

«Avete sentito la piccola?»

«Che caratterino!»

«Vai, Runne! Digliene quattro!»

Il cantastorie batté il bastone sul pavimento, piuttosto irritato:«I vostri scherni mi riportano alla mente la storia del Talpone citrullo. Volete ascoltarla?»

Alcuni “sì” e altri “no” investirono le orecchie del vecchio, mentre Runne si alzava per uscire dalla locanda. Si allontanò da risate e frastuono e prese la via del ritorno. Forse la sua reazione era stata eccessiva, ma non poteva fare a meno di essere turbata dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Aveva scoperto di essere figlia di un reptile, la gemma in cima alla torre si era accesa e un gruppo di sconosciuti la voleva reclutare. Ah, e dei sinhilari furiosi l'avevano attaccata con degli alberi animati. A proposito, perché c'era tutto quel silenzio?

Daeb sedeva ancora sulla sua spalla, ma era insolitamente taciturno. La bambina lo scrutò: le lacrime scendevano le guance del sinhilare, lasciando solchi azzurri sulla pelle perlata. Daeb si accorse di essere osservato e si asciugò in fretta il volto, recuperando il sorriso e domandandole:«Stai bene?»

«Io?» fece Runne dubbiosa.

«Non badare a me. Ho provato solo un po' di nostalgia... Il Piccolo Popolo è sensibile alle storie che narrano dei figli del bosco.»

«Sarà...»

Plic. Plic. Plic. La pioggia li sorprese lungo il tragitto. Gocce fredde cadevano dal cielo color muschio. Runne accelerò il passo prima che l'acqua scendesse più violenta e rientrò in casa appena in tempo. La mamma parve rincuorata dal suo ritorno anticipato. Quella storia dello smeraldo l'aveva riempita d'ansia. Runne e Daeb le augurarono la buonanotte e salirono in camera.

Nel buio della notte, il bagliore della gemma filtrava appena dalla tenda della finestra. Runne si era coricata da qualche minuto, ma faticava a prendere sonno. La voce di Daeb la fece sobbalzare:«Non hai ancora deciso?»

«Cosa?»

«Se accettare la proposta di Arlenan.»

Runne si rigirò nel letto e assottigliò la pupilla per scrutare meglio il sinhilare, che era appoggiato sul bordo della sua scatola. «Come fai a saperlo? Mi hai seguita? No, aspetta; tu stavi dormendo!»

«Mi pare ovvio, proprio così e no, stavo fingendo.» rispose Daeb con ordine. «Non fare quella faccia indignata: lo smeraldo mi ha messo in allarme ed ero preoccupato per te. Soprattutto perché l'angolo di foresta vicino ai campi del signor Koremore è disabitato da decenni. In quel luogo è stata lanciata la maledizione sul signore del castello e nessuno osa metterci piede... o zampa.»

«Perché non me l'hai detto quando ti ho parlato di quel rumore?»

Daeb assunse un'aria di rimprovero:«Volevo indagare per conto mio ma tu, impaziente come al solito, ti sei avventurata da sola nella foresta. Senza avvertire nessuno.»

«Mi dispiace.» Runne era sinceramente mortificata. Quando era stata circondata da quegli stranieri aveva provato davvero paura.

«Dopo il vostro incontro sono tornato nella foresta e ho parlato con gli Scindri.» fece una pausa, quindi continuò con voce piatta:«Sembra che siano qui per proteggere il Graäm dalla minaccia di Endrun. Non mi convincono del tutto, ma devo ammettere che sono in gamba: sapevano che ti avevo seguita. E condivido il loro interesse per te.»

«In che senso?»

Daeb recuperò la sua espressione allegra, a cui solo lui riusciva ad accostare una nota di solennità:«Sei una creatura unica, Runne. I tuoi genitori hanno fatto bene a rifugiarsi in questa piccola città, lontano dagli occhi della Resistenza e dell'armata di Endrun; ti hanno protetta fino ad ora, ma presto o tardi dovrai fare una scelta. Dovrai continuare a nasconderti, magari con l'aiuto dei popoli liberi, o entrare nell'esercito.»

«Io voglio combattere contro Endrun!» esclamò la ragazzina.

«Allora è meglio che impari a difenderti. Perché se il nemico viene a sapere della tua esistenza ti obbligherà a servirlo. O ti ucciderà, se ti ritiene una minaccia.»



Runne giunse di fronte alla Foresta Dipinta. Era arrivato il momento e lei esitava. Strinse le braccia al petto, prese un bel respiro ed entrò, facendosi largo tra i cespugli. Non sapeva già più dov’era, ma non aveva importanza: a trovarla ci avrebbero pensato loro. Era un po' in anticipo; poggiò la schiena contro un albero e attese. Gli uomini, come la settimana prima, sembrarono uscire dai tronchi. Runne non poté fare a meno di meravigliarsi a quello spettacolo ripetuto. Arlenan comparì sul ramo sopra la sua testa. Atterrò con eleganza davanti a lei. Il mantello si posò fluido sull’erba, senza muoverne un filo.

Si calò lentamente il cappuccio:«Arriverò subito al sodo: qual è la tua decisione?»

Gli occhi di tutti erano puntati sulla bambina. Una leggera brezza le fece fluttuare i capelli e le fronde degli alberi danzarono al vento; eppure i mantelli degli uomini rimasero immobili. Quelle figure sembravano non esistere. Runne ne rimase al contempo intimorita e affascinata. Ebbe conferma che la sua scelta poteva essere una sola. S’inginocchiò e disse:«Accetto la tua proposta, maestro.» Un coro d’entusiasmo emerse dagli Scindri. Qualcuno fischiò. Arghenteo batté le mani.

«Bene.» asserì Arlenan tendendo una mano a Runne e aiutandola a rialzarsi. L'uomo fece un cenno agli altri e la bambina seguì nel bosco la compagnia, ascoltando attentamente le parole del maestro:«Ci stiamo dirigendo al nostro nascondiglio. Da domani e per il resto della settimana ti aspetterò all’entrata della foresta e ti accompagnerò. Dopo dovrai ricordarti la strada da sola. La parola d’ordine è...» si abbassò e le mormorò all’orecchio. Il contatto con le sue labbra la fece avvampare «...CROSTATA DI MELE.» Si rialzò e sorrise «La mia preferita!»

Arrivarono ai piedi di un enorme albero secolare. I rami si intrecciavano e si mescolavano impedendo di mirare il cielo. Le foglie crescevano come spine, aguzze e taglienti. Poco male: lì almeno non li raggiungeva quella monotona luce smeraldina. Arlenan avanzò, aprendosi un varco nel cespuglio che cresceva di fianco all’albero. Si accucciò e sollevò una zolla di terra, rivelando una buca profonda più di due metri. Vi entrò. Runne lo seguì, scoprendo che la terra non era altro che una botola ben camuffata. Scese per una scaletta e con un balzo si posizionò al fianco di Arlenan. Il resto della compagnia attese in cima alla buca: lo spazio era troppo angusto. La buca appariva vuota, e Runne iniziava a essere perplessa. Arlenan disegnò uno strano simbolo sulla parete e mormorò una formula a bassa voce. Il muro ebbe un fremito: la terra si rattrappì come una pianta senz'acqua, scoprendo una porta solida. Runne allungò un braccio verso la maniglia, incuriosita, ma l’uomo la bloccò:«Se ci tieni alla vita, non farlo. Ci vuole la chiave.» Arlenan estrasse dal mantello una piccola chiave nera, proprio come la porta, la introdusse nella serratura e la fece scattare. La porta si aprì.

L’ambiente era una stanza di forma irregolare, come lo scavo di una miniera: su un largo macigno, arrangiato come tavolo, pergamene con strani ghirigori e piantine di edifici giacevano arrotolate o socchiuse; boccette con liquidi dei più svariati colori erano accatastate negli angoli; armi di ogni tipo (asce, spade, pugnali, archi, eccetera) erano appoggiate ai muri.

Quando tutti gli Scindri furono entrati Arlenan procedette a presentarle la compagnia. Conosceva già Arghenteo, quindi vennero introdotti gli altri sei membri: erano tutti esseri umani, e parevano entusiasti del nuovo acquisto. Dopo i convenevoli, gli Scindri si sparpagliarono per il nascondiglio, ognuno preso dal proprio lavoro. Arlenan condusse Runne lungo il breve corridoio che si affacciava, sulla destra, su una stanza piena di coperte. Doveva trattarsi di un giaciglio improvvisato. Sulla sinistra il corridoio si piegava bruscamente verso il basso fino a un'apertura con scaletta. Runne si stupì di dover scendere ancora.

Sbucarono in un ampio spazio buio, illuminato da una piccola torcia appesa al soffitto. Un tenue fuoco bluastro bruciava silenzioso.

«Questa è la Sala d’Addestramento.» annunciò Arlenan.

«Non si vede niente!»

«Fa parte dell’allenamento. Gli Scindri non sono semplici guerrieri: sono spie, infiltrati, a volte sicari. Devi abituarti ad agire al buio.»

«Come vuoi tu, maestro.» rispose Runne a bassa voce, per nascondere il fatto che le tremava.

L’uomo sorrise:«Non preoccuparti. Per ora mi limiterò a insegnarti le basi. Ma prima pensiamo al tuo abbigliamento.»

«Porterò anch’io un mantello come il vostro, maestro?» scattò lei eccitata.

Arlenan scosse il capo «Lo riceverai all’investitura in qualità di membro degli Scindri. Per adesso sei solo un’allieva.» Runne sgonfiò l’entusiasmo, mentre il suo maestro frugava nei sacchi abbandonati in un angolo.

«Vediamo... per la tua misura...» e l’uomo si tuffò nella ricerca. Dopo un po’ ne riemerse reggendo dei pantaloni di pelle, un corpetto, un mantello e un paio di guanti neri. Studiò con scetticismo le calzature di Runne e le porse anche un paio di stivaletti neri. La bambina si cambiò nel bel mezzo della sala, con Arlenan girato di spalle.

«Questo posto l'avete creato voi?» chiese Runne per scacciare l'imbarazzo.

«No» ammise lui «L'abbiamo trovato già così: suppongo fosse un rifugio segreto del fondatore di Fiandher. Noi abbiamo aggiunto solo le misure di sicurezza.»

La bambina ebbe qualche difficoltà ad allacciarsi il corpetto, ma riuscì comunque nell’impresa. Acciambellò la treccia dietro la testa, a mo’ di cipolla.

«Sono pronta.» disse Runne. Il maestro fu povero di commenti. Secondo lui Runne rifletteva un’immagine di sé già visibile per chi sapeva riconoscere un guerriero.

Arlenan si sfilò il mantello e lo appese su una sporgenza della grotta. Runne rimase a bocca aperta: dai polsi sino alle spalle la pelle era ricoperta da sottili squame dello stessa tonalità bronzea della pelle. L’uomo notò il suo stupore e, ammiccando, si tolse la cotta di maglia. Runne si avvicinò: le squame proseguivano a delineare il petto, lasciando scoperta la pancia, poi riprendevano sui fianchi; ma Runne non osò chiedergli di slacciarsi anche i pantaloni... La bambina girò attorno ad Arlenan e osservò la schiena: le squame correvano lungo la colonna vertebrale per finire sul retro del collo.

«È per questo che ci definiamo reptili: tutti i purosangue hanno un aspetto simile.»

«Quindi anche mio padre...» ipotizzò Runne, interrompendosi con disagio.

«Se era un purosangue sì.» Si rivestì e le chiese:«Pronta per la lezione?»

«Prontissima!»



Arlenan le fece apprendere la corretta posizione di guardia, poi le spiegò come poteva piegarsi, abbassarsi, schivare, saltare e muoversi da tale posa; dopo le intimò di fare qualche capriola e le mostrò in quanti modi si poteva cadere senza farsi male. Durante una breve pausa, Runne risolse finalmente il mistero delle movenze silenziose degli Scindri: risiedeva tutto in una pozione applicata ai loro mantelli, che ovattava qualunque suono prodotto dai loro possessori.

Arlenan fece uno sbadiglio contenuto, scrocchiò il collo e disse:«Credo possa bastare. Per oggi finiamo qui. Dopo i primi giorni, verrai tre volte a settimana, sempre a quest’ora.»

«E per le missioni?» chiese speranzosa Runne.

«Per quelle c’è tempo.» L'uomo si rivestì e intimò a Runne di indossare i suoi vecchi abiti; quindi le concesse qualche secondo per salutare la compagnia e la condusse fuori dalla foresta. La felicità e l'eccitazione colmavano l'animo della bambina, ansiosa di continuare le lezioni e di imparare cose nuove.

Runne fece per congedarsi, ma inaspettatamente Arlenan decise di accompagnarla a casa per parlare con sua madre. Lei rimase disorientata a quella novità, ed esitò prima di assecondarlo. Era ormai buio mentre si aggiravano per le strade di Fiandher, e la luce dello smeraldo donava una strana atmosfera al cielo stellato. Lungo il tragitto qualcuno salutò Runne, senza dare segno di notare l'uomo che la seguiva, come se fosse invisibile. Merito delle proprietà di mimetizzazione del mantello, oltre che delle capacità del suo possessore. Lei ricambiò con un sorriso, anche se era parecchio agitata: cosa avrebbe detto Arlenan a sua madre? E lei come avrebbe reagito?

La fedele piantina aprì la porta per Daeb, che sgranò gli occhi di fronte ad Arlenan. Judith sedeva in disparte a lavorare di cucito.

«Bentornata. Immagino tu non voglia dirmi dove sia stata.» osservò con una punta di irritazione, rivolgendosi alla figlia.

«Era con me.» rispose Arlenan. Judith sussultò, notando solo allora la figura austera dell'uomo.

«Lei chi sarebbe?»

Runne richiuse la porta mentre lui si presentava come capo di una compagnia segreta della Resistenza. La feliana lo squadrò con scetticismo e preoccupazione.

«Potremmo parlare da soli?» azzardò Arlenan «Non vorrei disturbarla troppo, ma preferirei conferire con lei in privato.» Judith acconsentì, ma date le dimensioni della casa chiese alla figlia e al sinhilare di aspettare fuori. Runne uscì con Daeb, incamminandosi verso il Lago Calmo, in modo da concedere ai due abbastanza tempo. Daeb volle sapere ogni particolare sul suo primo giorno d'addestramento. La bambina si divertì a raccontargli quello che le era stato insegnato, ma si mantenne vaga sull'ubicazione del nascondiglio degli Scindri, in parte perché non se la ricordava affatto. Il sinhilare fu lieto che andasse d'accordo con il suo nuovo maestro.

Aggiunse con voce monotona:«Mi sembra un uomo di cui ci si possa fidare. Ti aiuterà nel tuo percorso di crescita e ti permetterà di combattere per una giusta causa.»

«Che paroloni!» rise Runne «Sembra che tu l'abbia letto in un libro!»

Daeb sbatté le palpebre e aggrottò la fronte:«Può darsi.»

La bambina fu scossa dalle risate mentre faceva ritorno. Trovò sua madre da sola, a guardare con occhi lucidi il cielo verdognolo oltre la finestra. Abbracciò Runne e le sussurrò con calore:«Ti voglio bene! Avrei voluto per te un futuro diverso, senza battaglie e lontano dalla guerra. Ma devo rispettare il tuo volere e dentro di me sento che sarebbe ingiusto ostacolarti nella tua scelta. Sono sicura che tu sola saprai fare la differenza.» La sciolse dalla presa, quindi aggiunse più atona:«Arlenan conosceva tuo padre, me ne ha dato la prova.»

Runne ne fu sorpresa, ma non così tanto: un po' se l'aspettava.

Judith continuò, sempre senza lasciare trasparire emozioni:«Purtroppo non ha più contatti con lui, ma non ha importanza. Ho capito che posso affidarti a lui.»

Runne l'abbracciò di nuovo, uno scambio d'affetto a cui si unì anche Daeb. Era felice: il suo sogno di diventare una guerriera si stava avverando in modo inatteso, non perché vi era destinata dal suo stupido nome, ma perché lei era speciale; perché poteva fare la differenza. Mentre Judith preparava la cena, Runne lanciò uno sguardo a quel cielo che stava scrutando al loro rientro. Si promise che un giorno sarebbe riuscita a farlo tornare delle tinte turchine che gli si addicevano.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Questo capitolo non era previsto all’inizio. Il precedente si doveva concludere con la scelta immediata di Runne. Poi però ho preferito concederle un po’ di tempo, e approfondire la questione del suo nome (interrogativo rimasto dalla presentazione di Daeb). Una spiegazione spicciola veniva data alla fine del discorso di Judith (nel quarto capitolo), ma non mi piaceva. E così ho introdotto il cantastorie. Ogni villaggio o città che si rispetti dovrebbe averne uno, non trovate? ;-)

Spero di non aver allungato troppo la pappa...


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


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