« Once Upon A Time »
Pictures presents...
Aquarius Camus & Scorpio
Milo in
« La bella
addormentata nel bosco »
Introdotte da una lunga strada,
una diramazione di quella via polverosa che solca la campagna, eccole
stagliarsi, le mura, contro cieli azzurri e bigi. Giù, più giù, seguendo boschi
che si diradano ai piedi delle torri, alti pini silvestri sino alla superba
cancellata che racchiude giardini più preziosi. È suggestivo, lo scenario che
lo contorna. Si dice esso sia il maniero della bella addormentata.
Ora, diciamocelo. Sua regia
maestà o meno, il principe Aioria sentiva l’urgente bisogno di una vacanza. Non
che avesse dovuto sopportare poco, durante il corso di quell’anno, comunque, a
farci due conti: in autunno, le nozze di uno dei suoi conti. E non erano le
nozze in sé a turbarlo, quanto piuttosto il fatto che la sposa in questione si
trattasse di un uomo. Un uomo, da qualsiasi parte lo si guardasse, rimaneva
decisamente un uomo. Durante l’inverno, ad ogni modo, le attenzioni della corte
avevano dovuto spostarsi sulla minaccia del condottiero Arles, in un assedio
che aveva dovuto essere seguito passo passo, dato l’anormale e imprevedibile
susseguirsi delle sue vicende. Il fatto che Arles, in quel momento, si
aggirasse tranquillamente per le stanze del palazzo al fianco del suo nobile
fratello, poi, non aiutava a chiarire la faccenda (anzi, il giovane principe
trovava ancora più inquietante il fatto che il generale gli sorridesse, bello e
invincibile, sfoggiando con naturalezza il suo aspetto identico a quello
dell’altra… stramberia che nel mentre sorbiva beatamente il tè nel
palazzo di Lord Rhadamantis). E ora, come se non bastasse, dall’inizio della
primavera il capitano Shura impegolato in quella missione senza capo né coda,
per la quale ogni settimana partiva ed ogni settimana ritornava, in un
inspiegabile gioco dell’oca…
“C’è abbastanza di che farsi
venire un esaurimento nervoso” stava appunto spiegando il principino al suo
giovane amico d’infanzia. Milo ridacchiò, e gli lanciò due solide pacche alla schiena
come si fa con gli amici, principi reali o meno. Nobili di grande origine, di
grande stirpe, da sempre diretti vassalli del re, il riflesso naturale era
trattare l’amico coetaneo da pari a pari:
“Te l’ho detto, io. Ti ci vuole
una bella vacanza, ecco cosa.”
“E tu te ne vuoi approfittare per
fare baldoria.”
Milo scosse le spalle. Il sorriso
malizioso di qualche secondo dopo probabilmente stava a significare: e se
anche fosse? Aioria, il serio Aioria, sospirò, dandosi un contegno.
“È solo un vecchio castello di
famiglia.”
Inarcava le sopracciglia bionde,
tornando al discorso intavolato dal giovane atletico che gli sedeva di fronte
giocherellando distrattamente con un prezioso tagliacarte.
“Ebbene? Non è forse il luogo di
villeggiatura estivo prediletto dalla tua famiglia? Non puoi aver dimenticato i
giorni felici che vi passammo assieme da bambini, Aioria. Fu lì che ci
conoscemmo, appena ragazzini. Non vedo posto più adatto.”
“D’accordo, d’accordo. Alla prima
occasione buona…”
“Che devi fare ancora?”
“Presenziare ad una cerimonia.”
Tentò di togliergli di mano il tagliacarte, ma Milo non ne voleva sapere. Si
allungò sul tavolo, deciso a riprendersi ciò che era suo, sbuffando:
“Onorificenze per merito. Dammi qua.”
“Per merito, eh?” L’altro si
tirava all’indietro, dondolandosi sulla sedia. Il tagliacarte gli piaceva. Mano
a mano che si tirava indietro, si allungava verso la porta semichiusa, e gli
capitò di buttare uno sguardo fuori. Una figura attendeva nei corridoi, che il
giovane nobile poteva bene intravedere dalla porta aperta dello studio.
“E dimmi…” distrattamente,
soggiunse, allungando di più il capo, curioso. C’era qualcosa di famigliare in
quelle lunghe chiome. “Per caso è una nostra conoscenza?”
“La è.” Con uno scatto felino,
Aioria ne approfittò per riprendersi l’ambito tagliacarte. “Te lo ricordi,
Camus?” Ne saggiò la punta con l’indice. Il sorriso sulla bocca di Milo si
allargò, sino a scoprire i denti bianchi. Un ghigno più marcato, o
l’illuminarsi degli occhi?
“Certo che me lo ricordo.”
Camus si guardava attorno,
sbattendo gli occhi, senza insistere per non apparire maleducato.
Non riusciva esattamente a capire
come avesse fatto ad ottenere un invito tanto prestigioso, pur tenendo conto
delle onorificenze di grande merito che gli erano state conferite – assieme ad
un titolo nobiliare che l’avrebbe senz’altro elevato di condizione sociale.
Sicuramente i suoi studi avevano attirato parecchio interesse da numerose
istituzioni ed accademie, ma non riusciva a spiegarsi quest’episodio in
particolare sino in fondo. Erano stati giorni piacevoli, comunque, passati a
rievocare. Sedeva a tavola in compagnia di giovani uomini con cui aveva
trascorso parte dell’infanzia in quel vecchio maniero, in onore dei vecchi
tempi, ed ora stava ascoltando per l’ennesima volta la vecchia favola della
bella addormentata.
“Ancora con questa storia, Milo!
Quante volte devo ripetere che è solo un vecchio castello di famiglia?”
“Perché non ci racconti la
storia?”
“Eh?” sospirò sconsolato, il
giovane principe. Guardò interrogativo la dama al suo fianco, che non gli
sorrise direttamente, ma gli fece capire con gli occhi che a lei sarebbe
piaciuto ascoltarla. Si trovò così in preda ad un grosso dilemma: “Di nuovo?”
Ogni volta che riceveva ospiti
nell’antico castello, il quale era considerato popolarmente il palazzo colpito
dalla maledizione della strega trecento anni addietro, era di rito raccontare
la leggenda della bella addormentata. Tutti, senza esclusione, gliela
chiedevano. Non la si scampava. Sospirò di nuovo, per prendere tempo.
“Dai, Aioria, per piacere! Non ce
la racconti da quando eravamo bambini!”
“Sarebbe carino” suggerì per la
prima volta la giovane, tirandosi discretamente indietro una delle ribelli
ciocche fulve dietro l’orecchio. Aioria si rivolse di nuovo a lei, consapevole
di essere sul punto di cedere. Cedette.
“D’accordo, d’accordo.”
Milo lanciò un’occhiata
vittoriosa a Camus. Camus gliela restituì, perplessa, per tornare ad ascoltare
il padrone di casa. Milo non si diede per vinto. Da una settimana non faceva che
gironzolare attorno all’amico ritrovato. Era più forte di lui, e gliel’aveva
detto. Non ci era voluto nulla a ritornare in confidenza, nemmeno per Camus,
Camus dai tranquilli occhi chiari. E il confine per passare dalla confidenza
all’intimità per Milo era molto sottile. Per esempio aveva recentemente
scoperto, negli ultimi tre giorni, quanto amasse ripetergli di essere felice di
averlo di nuovo al suo fianco. E lo sentiva, Milo. Era una dolce primavera, per
lui. Niente era più bello di seguire Camus lungo i viali alberati, lasciandosi
prendere dai ricordi e considerare quanto elegante fosse diventata la sua
figura, i suoi modi, quanto fosse adorabile il suo modo di sbuffare e altre
mille piccole scemenze che Aioria (costretto ad ascoltarle) non poteva assolutamente
tollerare. Milo non capiva perché. In soldoni, era innamorato. Non capiva
perché la gente non ne fosse felice.
“C’era una volta un Re e una
Regina che erano disperati di non aver figli, ma tanto disperati, da non
potersi dir quanto. Voti, pellegrinaggi, le provarono tutte, ma nulla giovava.
Dopo tanto penare alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina. Fu
fatto un battesimo di gala: si diedero per madrine alla Principessina tutte le
fate che si poterono trovare nel paese, perché ciascuna di esse le facesse un
regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di
questo mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo
reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna di
esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d’oro massiccio, dove c’era
dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d’oro finissimo, tutti
guarniti di diamanti e di rubini. Ma in quel mentre stavano per prendere il
loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata
invitata con le altre, perché da cinquant’anni non usciva più dalla sua torre e
tutti la credevano morta…”
“E vi pare che sia questo il
modo? Fare sì che non ricevessi neppure un invito!”
Qualcuno anticipava il racconto
del principe. I presenti si voltarono, sorpresi, per un attimo colti in
contropiede. Quasi si aspettavano di trovarvi la vecchia strega, adirata per
l’esclusione alla cerimonia, e invece al suo posto si stagliava composta la
figura di un giovane dai lineamenti d’angelo. Tutto di lui emanava bellezza,
dalle preziose sete indiane dei suoi vestiti all’oro dei suoi capelli. Il suo
viso sarebbe stato capace d’infondere la serenità più pura, insomma, e tuttavia
dalla sua bocca uscivano improperi di una veemenza inaudita:
“Ah, ma quest’affronto non
passerà impunito! Potete starne certi! Nessuno aveva mai osato tanto, e
ora qui, in vostra presenza, vi
maledico!”
“Un momento, prego.” Camus era
stato l’unico ad azzardare una risposta, alzandosi in piedi, composto, tra i
compagni impietriti. “Siete voi che giungete qui senza preavviso, senza
annunciarvi e senza esporre le vostre ragioni prima d’insultarci. Abbiate il
coraggio di esporvi!”
Vi fu un breve silenzio, di una
manciata di secondi, in cui l’improvviso ospite ritrasse appena il capo, come
sconcertato da tanta audacia, ed infine aprì gli occhi, azzurri come il cielo e
affilati come la lama di una scimitarra.
“Bada, Camus. Attento a quello
che fai.” Tese un dito verso il giovane, sforzandosi di mantenere un rigido
tono superiore. Milo si alzò in piedi a sua volta. Si conoscevano? O quel
misterioso giovane aveva indovinato il suo nome per qualche oscura magia?
“In verità ti dico, a te e questa
sciocca compagnia, che non dovrai aspettare né il tuo sedicesimo compleanno, né
pungerti il dito col fuso d’un arcolaio per sprofondare in un sonno profondo!
Ben più profondo della morte. Tu sai bene di cosa parlo” sibilò infine, per poi
lasciare la stanza, misteriosamente come vi era penetrato.
I presenti erano ammutoliti. Che
cosa significava quest’ultima, oscura maledizione?
“Aioria! Aioria, che cosa fai,
presto, fallo inseguire! Ma Aioria! Sai chi è quell’uomo?”
Scosso dalle vivaci proteste
della giovane promessa sposa, Aioria tuttavia non batteva nemmeno le palpebre,
l’aria sconvolta. Milo si unì al coro delle proteste quasi immediatamente.
Maledizione a quel biondino invasato! Aveva la pelle d’oca giù per la schiena!
“Ma Aioria! Chi diavolo era
quello?”
“Fate silenzio” sbottò infine il
principe, riportando la calma. Sembrava molto turbato. Rivolse lo sguardo a
Camus, che gliene restituì uno impassibile.
“Non avrei mai pensato…”
mormorava fra sé e sé intanto il giovane della casa reale. Ma non ci fu verso
di cavargli un’altra parola di bocca. E il pranzo riprese.
Tutto per colpa di quel
cretino di Aioria!, pensava freneticamente Milo riguardo al suo unico
signore e padrone, in sella al suo cavallo. Tutta colpa sua, che non aveva
voluto dirgli da dove era spuntata quella malefica strega… stregone… quello che
era! E ora per colpa sua Camus si trovava in grave pericolo.
Il resto del periodo di svago in
campagna era passato pigramente, tranquillamente, com’era normale aspettarsi.
Niente di niente era successo, ovviamente. E Milo ci aveva fatto una bella
risata sopra. Incosciente! Come un fulmine a ciel sereno, appena rincasato gli
era stata recapitata un’infausta notizia: il nobile Camus, non appena rientrato
nella sua dimora, si era chiuso in camera e da allora era sprofondato in un
sonno innaturale, profondo, dal quale nessuno riusciva a svegliarlo. Lo stato
di catalessi durava ormai da giorni. E lui era su un cavallo, che galoppava a
tutta velocità.
Tuttavia, l’impresa presentava
una lunga lista di ostacoli da superare.
Prima di tutto, trovare il castello
nel quale Camus si trovava in quel momento. Ma era un problema al quale aveva
presto ovviato, chiedendo indicazioni. Era solo stato tanto avventato da urlare
di mettere la sella al cavallo e precipitarsi al salvataggio da non stare a
pensare a dettagli come il luogo in cui si stava effettivamente recando, ma
aveva rimediato a mezza via.
In secondo luogo, lì al galoppo,
i capelli al vento, non riusciva a ricordarsi con esattezza se formalmente egli
si potesse fregiare dei titoli di Principe Azzurro, Primo Amore e via dicendo.
Il titolo nobiliare era di un gradino più sotto. E non avrebbe mai ceduto il
posto ad Aioria. Aioria aveva la morosa. Per quanto riguardava il Primo Amore…
Tirò tanto bruscamente le redini
al cavallo che questi ad avere la parola avrebbe volentieri imprecato e
bestemmiato contro il suo padrone – probabilmente la giusta traduzione del suo
nitrire, sbuffare e fermarsi con stizza puntando gli zoccoli infangati al
suolo, più volte, a passetti nervosi, per fermare il proprio moto precipitoso.
Uno sconvoltissimo Milo, nel frattempo, era in preda ai flashback più scomodi
che la narrazione potesse regalargli in un momento come quello…
“Smettetela di prendermi in
giro!”
“Perché? Solo perché sei il
principino?”
“Smettila, Milo!”
La vocetta acuta ma decisa di
Aioria era petulante, e tuttavia divertente. Milo rideva, rideva.
Com’era presuntuoso, quel
bambino dai lunghi ricci. Camus se ne stava in disparte, senza parlare. Poi lo
rimproverò:
“Milo, smettila. Non sta
bene.”
“Ma dai, non è buffo? Aioria
ha già la fidanzata!”
“Smettila!
“Ma è piccolo!”
“Smettetela!”
“Io non ho detto niente” fece
notare il bambino dai capelli dai riflessi turchesi, con aria distaccata.
Fissava Aioria in un modo che poteva sembrare perlopiù impassibile, ma in
verità era sempre molto gentile con lui. Aioria era semplicemente arrabbiato, i
capelli arruffati come la criniera di un leone. Era anche molto rosso.
“Il fratellone dice che è la
mia promessa sposa! Non dovete permettervi di prendermi in giro!”
“Ma dai, è solo buffo. E poi
Marin è un maschiaccio. Gioca sempre con noi col pallone.”
“Perché è forte e coraggiosa!”
“Aaah, allora ti piace, ti
piace!”
“Sì, mi piace!” Arrossì di
più, Aioria. Poi mandò giù e cominciò a sfregarsi il naso, con aria
compiaciuta. Aveva una bella mossa con cui controbattere al moccioso suo
coetaneo. Gonfiò tutto il petto e gli buttò giù: “Sei solo invidioso!”
“Invidioso?” spalancò la bocca
Milo. “IO? E di che?”
“Perché sono il suo fidanzato
e posso darle i bacini. E tu non puoi. Lo so che sei invidioso!”
Milo si offese a morte.
“Non c’entra un bel niente!”
Strillò.
“E invece sì!”
“E invece no!”
“E invece sì!”
“Per piacere, calmatevi…”
Camus fece per mettersi in
mezzo. Milo lo abbrancò per un braccio, gelosissimo. Camus era il suo migliore
amico, Aioria lo stava facendo arrabbiare, e lui non si doveva mettere in mezzo!
Doveva stare con lui!
“Sai che me ne importa della
tua fidanzatina!”
“Ahia, Milo, mi fai male.”
“Io tanto ho Camus!”
“Ma scemo, non è mica la
stessa cosa!”
Milo ringhiò mentre
abbracciava il suo amico fin quasi a soffocarlo, e poi, presogli il viso con le
manine, gli stampò sulla bocca un bacio maldestro, frettoloso, che servì solo
per rivolgersi ad Aioria e fargli la linguaccia:
“Invece sì! Visto!”
“Ma Milo, che schifo! Siete
due ragazzi!”
Aioria era affascinato e
scandalizzato al tempo stesso. Era assolutamente, moralmente convinto che c’era
qualcosa sotto e non era la stessa cosa. La sua faccia era molto dubbiosa. Milo
gli fece un’altra linguaccia. E Camus si divincolava.
“Non c’entra niente!”
“E invece sì!”
“E invece no!”
“E invece sì!”
E invece sì, diede ragione Milo
ad Aioria, oh, sì. Quella cosa faceva la differenza. Non poteva crederci.
Rimase cinque minuti buoni barcollante in sella al cavallo fermo, come
inebetito. Possibile che fosse stato un moccioso tanto imbecille?
“Non c’è tempo da perdere, su,
su, al galoppo, al galoppo! Hah!”
Incitò di colpo il proprio
destriero, che partì di buona lena, con uno scatto sorpreso. Il padrone quel
giorno era particolarmente nervoso. Sperava almeno di ricavarci qualcosa in
biada e carote una volta rientrato in scuderia.
“Presto, conducetemi da lui”
sillabò, col cuore in gola, mentre consegnava le redini ai servitori in
cortile. Milo salì le scale con la netta sensazione che la terra gli stesse
crollando sotto i piedi. Di tutta la confusione in quell’assurda vicenda, non
riusciva a togliersi dalla testa che Aioria gli aveva raccontato mille volte
che il primo bacio del vero amore avrebbe risvegliato la bella addormentata, ma
qui non c’era nessun primo bacio, e Camus dormiva, bello ed immobile, il viso
pallido, i lineamenti dritti e severi, eppure dolci, come li vedeva dolci, ora
che entrava nella stanza, e l’amico giaceva inerte e composto fra i velluti
color porpora e amaranto. Oh, Camus! Quante cose c’erano ancora da dire! E lui
giaceva, immobile, e chissà se si sarebbe mai svegliato! Camus, che non aveva
fatto in tempo a stringere tra le braccia!
“Camus!” si gettò su di lui,
un’accorata invocazione, sollevandolo e stringendolo a sé, nella perfetta scena
madre di un bacio appassionato e senza speranza.
“Ma che cos-Milo!” soffocò
invece Camus, sulla sua bocca. Si separarono come se avessero preso la scossa
elettrica. Milo finì seduto a terra, con un pesante tonfo.
“Ahia!”
“Ma sei pazzo?! Cosa ti prende?”
Camus, bello, non più algido
Camus, seduto, si sfregava la bocca, guardandolo indignato, i capelli
scomposti. Il giovane a terra boccheggiava.
“Camus… sei sveglio…”
“Certo che lo sono! Grazie a te!
Hai interrotto la mia pratica!” sbuffò, finalmente infastidito.
Borbottò qualche cosa
d’altrettanto oscuro, mentre si alzava da dov’era steso, barcollando un po’.
Faticava a riprendere perfettamente l’equilibrio, abbandonato com’era nel
torpore da giorni.
“Ma io… tu… dormivi da giorni…
erano tutti preoccupati… e… e la strega del castello, voglio dire, lo stregone…
e tu… e io… e…!”
“Strega? Stre… oh, ma no, ma
parli di Shaka? Se ti sentisse ti strapperebbe i capelli.”
“Shaka?”
“Milo.” Si sedette, accavallando
le gambe, un sospiro sconsolato. Il clima era cambiato. Camus aveva preso la
parola. Muto, l’altro ebbe l’ardire di avvicinarsi, quieto quieto, come un
gatto, standosene buono e fermo. “Shaka era l’altro studioso che assieme a me
contendeva il titolo che la famiglia reale mi ha conferito per meriti di
studio, in campo scientifico. Lavoravamo entrambi sullo stato di sonno
apparente” cominciò a spiegare, interrompendosi per sbadigliare. “Shaka
sostiene di essere capace di raggiungere questo stato tramite la meditazione,
io sono capace di ottenerlo per autoibernamento.”
“Autoibernamento.” ripeté Milo.
Camus gli faceva paura. Poco ma
sicuro. Ma era salvo!
“Autoibernamento, sì.”
“Autoibernamento. Ma sei vivo!”
“Sto benissimo.”
“Allora era a quello che si
riferiva con quelle strampalate, ambigue parole! Io credevo ti stesse
maledicendo!”
“Oh, mi stava maledicendo. Non mi
può sopportare. E poi il premio l’ho ottenuto io” considerò l’altro in tono
neutrale.
“Oh, Camus!” lo abbracciò di
slancio, ignorando i suoi commentini acidi. Quant’era bello!
“Milo, mi fai male.”
“Quanto sono stato in pena!”
“Ma non potevi chiedere ad
Aioria?”
“Quanto ho penato, Camus! Tu non
ne hai idea!”
“Davvero, Camus, Aioria lo
conosce, non ti ha spiegato…?”
“Camus, io ti amo!”
“Milo, per l’amor del cielo, sto
bene, ti ho detto.”
Il giovane in ginocchio ai suoi
piedi gli giunse le mani e lo guardò amorevolmente, appassionatamente,
intensamente negli occhi: l’aveva risvegliato dal sonno con un bacio, e ora era
suo. Tutti gli altri dettagli erano quisquilie burocratiche. Camus sospirò.
Poi, incrociando le braccia con uno sbuffo divertito, gli rilanciò indietro un
sorriso e un’occhiata ironica, che diceva: tu non ti arrendi proprio mai,
vero?
Milo incassò, strinse la presa e
ghignò. No. Mai.
“Voi lo sapete…”
“Ahn?”
“…che tutto ciò… è profondamente
malato, vero?”
“A che ti riferisci, Aioria?”
Il sangue reale del principe gli
permetteva di non scomporsi tanto facilmente. Ma Milo era suo amico. Era quello
che lo prendeva a pacche sulle spalle, gli rubava i tagliacarte e gli lanciava
le nespole dall’altra parte del cortile. Il minimo era mettersi le mani nei
capelli e aspettare che tutto passasse.
“Non hai una buona cera, vecchio
mio. Perché non ti prendi un’altra vacanza? Veniamo anche io e Camus con i
bambini!” propose l’amico in tono innocente.
“Ecco! Ecco! È questo il punto!
Non so se vi rendete conto…”
“Che cosa?”
“Milo, tu lo sai che alla fine
della favola la bella addormentata e il principe hanno due figli?”
“Certo che lo so, sciocco, me
l’hai raccontata tante di quelle volte…”
“Beh, vi sembra forse normale?”
“Oh, dipende dal punto di vista.”
Milo si voltò a rimirare i due ragazzini, alti e forti, che seguivano passo
passo la luce dei suoi occhi, l’elegante maestro che li precedeva ed indicava
loro ogni forma e colore. Presto li avrebbe eruditi sui principi della fisica.
Era già qualche tempo che avevano preso a vivere assieme a loro, per mettersi
sotto l’ala protettiva del mentore di prestigio più alto nel regno, e… beh, il
castello di Milo era grande. “Si chiamavano Aurora e Giorno, nevvero? Beh, un
maschietto e una femminuccia. Che tenerezza. Comunque trovo che anche Isaac e
Hyoga siano due bei nomi.”
Naturalmente Aioria non intendeva
nulla di tutto ciò. Prese un profondo respiro e decise di lasciar correre. Ci
si era tanto abituato, negli ultimi tempi…
“Allora? Un’altra bella
villeggiatura al maniero?”
“Per carità. Shaka l’ha preteso
come laboratorio personale. È ancora oltraggiato dal fatto che l’Accademia
Reale abbia prediletto Camus a lui nell’assegnazione di quel tipo di…”
“E ti fai mettere i piedi in
testa così facilmente?”
“Tu forse non hai capito che
stiamo parlando di un personaggio molto importante, di grande fama, e…”
“Oh, lascia che rosichi ancora un
po’, in questo caso. Bene. Dove potremmo andare per l’estate, allora?”
Gli brillarono gli occhi. E
dietro di lui sfilava con maestà una figura la cui sagoma era impossibile da
confondere, e si avvicinava ai due giovani, e Aioria sapeva che di lì a due
minuti tutto sarebbe stato perduto, e qualche cosa di ancora più assurdo si delineava
all’orizzonte per quell’estate calda e soleggiata, e nemmeno osava immaginare
cosa il destino avrebbe potuto preannunciargli dietro a quelle tonanti, chiare
ed innocenti parole:
“Giovani cavalieri che qui siete
giunti! Sbaglio o vi ho sentito parlare di villeggiatura estiva?”
And they
all lived happily ever after. ~
{
Ever after
}
Vi
confesserò un torbido segreto. All’epoca della stesura di questo capitolo, io
odiavo profondamente Shaka. Non gli ho fatto fare una bruttissima figura, alla
fin fine, cerco di essere imparziale coi personaggi; ma mi stava proprio sul
cazzo. Questa cosa, a distanza di tempo, mi fa lollare tantissimo e progettare
una sua ricomparsata decente. Mica per altro, è che Shaka può essere molto più
antipatico di così. Mi sembra tutto potenziale sprecato.
Il
mio problema più grande, alla fine di questa favola, era che ci tenevo
veramente molto a citare più o meno tutti. Se notate, infatti, anche nei
precedenti capitoli uno dei bronze saint è perlomeno nominato. Solo che a
questo punto, dopo un intermezzo, sceneggiatura voleva che ci fosse una fiaba
molto più lunga delle altre, a chiusa del ciclo di storielle; molto carina, tra
l’altro, e me la serbo proprio per ultima, solo che non mi offriva un cast poi
così ampio di personaggi da sfruttare. Dovete agli imput maledetti di Shinji
e di Stateira se vedrà presto la luce un capitolo in più, che mi ha dato
lo sprono a ripartire. Sempre siano benedetti.
E
con questo, finisco di rivangare nostalgicamente, e passo al nuovo. Ci si vede.
<3