CAPITOLO
DODICI – UN COLPO
Ti
vorrei, ti
vorrei rivivere anche solo per un attimo,
io vorrei rivivere quella prima volta io e te.
(Ti vorrei rivivere, E.Ramazzotti)
Quando
Ianto Jones si svegliò quella notte, circa
alle due e un quarto, e tastò la parte del letto accanto a
quella dove dormiva
lui, la trovò vuota. Eppure si ricordava benissimo di
essersi coricato insieme
a Jack; avevano fatto sesso come al solito e lui si era addormentato
tra le
braccia del Capitano.
Buttò i piedi fuori dal letto e si stropicciò gli
occhi. Nell’appartamento
regnava il silenzio.
A fatica si alzò, per poi trascinarsi pesantemente verso il
bagno. Fece tutto
con estrema calma: svuotò la vescica, tirando qualche
sbadiglio, si rialzò i
pantaloni e si avvicinò al lavandino per lavarsi le mani,
contemplando con
sguardo un po’ schifato la propria immagine riflessa nello
specchio. Aveva
delle belle occhiaie ed era piuttosto pallido; sarebbe potuto andare
bene per
fare uno degli zombie nel video di Thriller. A quel pensiero,
ridacchiò tra sé
e sé. La verità era che aveva solo bisogno di
dormire un po’ di più.
E aveva anche l’intenzione di tornare a letto, se non che un
rumorino
proveniente dal suo stomaco lo fece desistere. Solo in quel momento si
accorse
di avere fame e di avere voglia di cibo. Il letto avrebbe dovuto
aspettare
ancora un po’.
Si trascinò questa volta in cucina e guardò nella
dispensa: c’era un pacco di
cereali al cioccolato quasi vuoto. Sarebbe stato meglio finirlo. Ma poi
vide
anche un sacchetto di patatine ancora pieno e gli venne la tentazione
di
mangiare pure quelle. E, siccome non sapeva decidersi, li prese tutti e
due,
mangiando i cereali e le patatine insieme. Nel frattempo
lanciò un’occhiata al
salotto, guardando se tutto fosse in ordine. Il capotto di Jack non era
appeso
al solito posto, questo significava che era uscito. Be’, non
era la prima volta
che usciva nel cuore della notte, gli bastava che tornasse presto a
scaldargli
il letto.
Mise
in bocca l’ultimo cereale rimasto, insieme a
due o tre patatine, quando constatò che quelle schifezze non
lo riempivano
affatto.
Strano, ho cenato solo poche ore fa, si
disse, aprendo il frigorifero e guardando che cosa c’era
dentro. Purtroppo non
era pieno come il suo stomaco avrebbe voluto, in quei giorni non aveva
certo
avuto il tempo di andare a fare la spesa, ma c’era della
pancetta e della sua
marca preferita.
Tirò fuori una padella e un po’ di olio da
frittura, buttandoci dentro la
pancetta e accendendo il fuoco. Non ci mise molto a prepararla e quando
ebbe
finito la mangiò direttamente dal forno, appoggiato al piano
da lavoro. Ora il
suo stomaco sembrava decisamente più soddisfatto.
Sentì
qualcuno che girava la chiave nella serratura,
seguito dal rumore delle scarpe di Jack sul pavimento
dell’ingresso.
“Dove
sei stato?” gli chiese quando lo vide
affiorare sulla soglia della cucina.
“A
fare un giro. Avevo bisogno di un po’ d’aria
fresca”, rispose il Capitano guardandolo in modo strano.
“Che stai facendo?”
“Mangio”,
rispose Ianto, come se mangiare pancetta
fritta alle due di notte fosse la cosa più normale del mondo.
“Pancetta
a quest’ora?”
“Sì,
ne vuoi un po’?”
“No,
grazie”.
Il
ragazzo mise in bocca l’ultimo boccone rimasto e
si pulì le mani con uno straccio.
“Allora
torno a letto”. Nel passargli accanto, però,
venne bloccato da un braccio del Capitano che lo cinse per la vita.
“Stai
bene?” gli chiese.
Ianto
lo guardò con un’espressione confusa.
“Certo.
Perché non dovrei stare bene?”
Jack
gli sorrise dolcemente. “Chiedevo solo”. Gli
diede un veloce bacio sulle labbra e lo lasciò andare.
Quando il compagno si fu
allontanato, prese un po’ d’acqua dal frigo e
guardò la padella e il pacco
vuoto di cereali.
Doveva confessare che era un po’ preoccupato per Ianto. Non
era del tutto
sicuro che avesse superato il trauma della violenza del padre; dopo
quella
volta non ne hanno più parlato e lui si ostinava a non
volerlo dire a sua
sorella. Avrebbe dovuto accorgersi prima che c’era qualcosa
che lo tormentava;
ogni volta che lo guardava negli occhi vi trovava tanta sofferenza, ma
non ci
aveva mai fatto molto caso e comunque lo aveva sempre attribuito alla
perdita
di Lisa. E non l’aveva mai visto ridere, nemmeno un sorriso.
Ora si sentiva in
colpa per non averlo capito prima e per non aver nemmeno tentato di
capirlo.
Non l’aveva mai visto ridere, nemmeno un sorriso.
Ma soprattutto, si sentiva impotente perché questa era una
di quelle situazioni
in cui non poteva fare niente per aiutare.
E
perché diamine mangiava così tanto in quel
periodo? Forse era solo un modo per sfogare il dolore.
Quella
mattina la sveglia suonò alle sei e mezzo
precise. Jack la spense con un colpo secco e mugolò qualcosa
di
incomprensibile.
Ianto si girò a pancia in su e rimase a fissare il soffitto,
quando sentì
qualcosa spingergli sulla bocca dello stomaco e dovette correre in
bagno. Si
abbassò sulla tazza del water e vomitò tutto
quello che aveva mangiato quella
notte.
“Ianto?”
chiamò Jack dalla stanza accanto,
insospettito dalla sua improvvisa fuga. Lo raggiunse in bagno,
trovandolo
abbracciato alla tazza. Si sedette sul bordo della vasca e gli
passò un
asciugamano per pulirsi. Rimase a guardarlo per qualche attimo,
pensando a
quanto fosse sexy anche quando vomitava, poi assunse la sua espressione
seria e
preoccupata. “Che succede?”
“Forse
non era una buona idea mangiare pancetta alle
due di notte”.
“Sarà
solo un’influenza”, lo rassicurò il
Capitano.
“Perché non resti a casa oggi?”
“No,
no. Sto bene”.
“Sicuro?”
“Sì,
non ce la farei a restare a casa”.
Ianto
si rialzò e, senza fare caso a Jack, ritornò
in camera per vestirsi.
“Sei
sicuro di stare bene?” gli chiese il Capitano,
chiaramente preoccupato.
“Sì,
certo!”
Ed era vero, non gli stava mentendo. Doveva essere stato
un malessere
momentaneo perché si sentiva benissimo. Aveva solo un
po’ di fame.
“Stanotte
la Fessura ha registrato un picco di
energia”, disse Tosh leggendo dei fogli che aveva davanti a
sé. Lei e gli altri
membri della squadra si erano riuniti quella mattina nella sala delle
riunioni
e studiavano i movimenti della Fessura di quella notte.
“Sappiamo
che cosa può essere passato?” chiese Jack,
in piedi con le mani poggiate sul tavolo.
“No,
ma è sicuramente qualcosa passato in entrata.
Farò una ricerca su tutta la città per vedere se
ci sono tracce aliene o di
altri tempi”.
“D’accordo,
Owen, hai…”.
“Jack!”
Gli
sguardi di tutti si spostarono su Ianto che non
sembrava avere per niente una bella cera.
“Credo
che… credo che sto per vomitare”.
Fu
una questione di secondi: Jack afferrò
velocemente il cestino più vicino e lo passò a
Ianto che vomitò dentro l’intera
colazione.
“Dannazione,
Ianto!” esclamò il Capitano.
“E’ la
seconda volta questa mattina! E poi mi dici che stai bene?”
“Che
cosa?!” aggiunse Gwen.
Toshiko
passò un fazzoletto a Ianto che si pulì e
cercò di darsi un contegno. Se non ci fosse stato tutto
quell’odore di caffè
probabilmente il cibo non gli sarebbe tornato su. Ma da quando
l’odore di caffè
gli dava fastidio?
“Owen,
fagli qualche controllo”, ordinò Jack in tono
perentorio, portando via il cestino.
“Jack,
io…”, tentò Ianto, ma fu interrotto
bruscamente da un’occhiata torva del Capitano. “Non
dire che stai bene perché
non stai bene”.
Il
ragazzo esalò un sospiro e seguì Owen senza
protestare.
“Da
quanto tempo hai queste nausee?”
“Da
qualche giorno. Solo la mattina, poi all’ora di
pranzo passano. Solo oggi mi è capitato di…
vomitare”.
Owen
infilò un ago nella vena di Ianto e gli fece un
rapido prelievo di sangue.
“E
hai qualche altro sintomo? Mal di stomaco?
Diarrea? Stanchezza?”
“No”.
“Potrebbe
essere una semplice influenza
intestinale”.
Ianto
guardò Jack con un’occhiata che sembrava dire:
“Visto? Te l’avevo detto”.
“Non
gli hai detto dell’appetito?” sbottò
Jack in
quel momento, appoggiato alla ringhiera sopra alla sala delle autopsie.
“Che
cosa?”
“Ho
notato che mangi molto ultimamente, anche a
orari strani, come ieri notte”.
“E’
vero, l’ho notato pure io”, aggiunse Gwen.
“Interessante”,
commentò Owen. “Quindi, nausee mattutine,
appetito… sembrano i sintomi di una gravidanza”.
“Ma
non dire idiozie!” sbottò Ianto, guardando il
dottore come avesse detto la cosa più brutta del mondo. Jack
e Gwen, invece,
scoppiarono a ridere.
“Era
una battuta. Comunque, controllerò il tuo sangue
e cercherò di vedere che cos’hai che non va. Ma mi
sembra il sintomo di una
normale influenza, quindi ti consiglierei di andare in un
ospedale”.
Ianto
scese dal tavolo delle autopsie con uno sbuffo
irritato; da quando in qua a loro accadeva qualcosa di normale. Sperava
solo di
non avere nulla di grave.
Si diresse verso le scalette, ma un tremendo capogiro lo colse e
dovette
appoggiarsi sulla prima cosa che trovò. Improvvisamente, sul
muro di fronte
comparve l’immagine del suo scheletro con un puntino verde
proprio al centro
del ventre.
“Che…
che cosa?!” esclamò il giovane, guardando
quell’immagine, sconvolto.
“Oh
mio Dio!”
Jack
gli si avvicinò cautamente e poggiò una mano
sulla sua per impedirgli che la spostasse.
“Forse
dovremmo riconsiderare la mia battuta”, disse
Owen.
“Oh
no!” fece Ianto, districandosi dalla presa di
Jack e lasciando scomparire l’immagine “No, no, no,
no!”
“Quella
è una macchina della gravidanza”, gli fece
notare il dottore.
“Stai
insinuando che…”.
“Non
sto insinuando niente. Sto cercando di capire!”
“Ianto!”
Ianto
si girò verso Jack che con lo sguardo cercò di
tranquillizzarlo. “Andrà tutto bene”.
“No!
Non andrà bene”.
“Potresti
avere qualsiasi cosa lì dentro”, riprese
Owen. “Lasciami controllare”.
Il
Capitano fece un cenno col capo e Ianto
immediatamente si convinse.
Si
sedette di nuovo sul lettino e aspettò che Owen
tornasse dai sotterranei.
“Ok,
questo è un classico e normalissimo ecografo”,
spiegò, portandosi appresso un macchinario.
“Sdraiati sul lettino e apri la
camicia”.
Ianto
obbedì, ma guardò Jack come se stesse andando
sul patibolo.
Il
dottore accese il macchinario e gli spalmò sulla
pancia una specie di crema trasparente e fredda. Poi
cominciò a passarci sopra
uno strumento che somiglia a una specie di piccolo aspirapolvere. La
macchina a
cui era attaccato cominciò subito a mostrare delle immagini
confuse.
“Accidenti!
Eccolo!” esclamò Owen.
“Che
cosa?”
“Il
feto!”
“Che?!”
gridò Ianto istericamente. Anche Jack
guardava l’ecografo con un’espressione sconcertata.
“Eccolo
qui”. Owen indicò qualcosa col dito. “Si
vede molto bene e guarda… c’è pure il
battito. È di quasi otto settimane”.
“E’…
meraviglioso”, sospirò Tosh. Anche lei e Gwen
erano incantate a guardare quelle immagini.
Il
ragazzo steso sul letto era incredulo. Sconvolto
e incredulo. E no, ancora non ci credeva, benché vedesse
anche lui l’immagine
di quel feto e gli pareva pure di distinguere un certo battito
cardiaco, ma…
non era possibile. Non era fisicamente possibile.
“Spegni
quel coso”, disse.
“Che
cosa?”
“Spegni
quel coso!”
Owen
obbedì e spense tutto. Ianto si rialzò e
richiuse la camicia. “Ora dimmi che diavolo
c’è nel mio stomaco”.
Il
dottore si guardò intorno come in cerca d’aiuto.
“E’ un feto. Un bambino. Chiamalo come
vuoi”.
“Non
può essere!”
“Ianto,
lavoriamo con gli alieni, tutto è possibile!
Persino Gwen è rimasta incinta dopo essere stata morsa da un
alieno”.
“Ma
lui non è una donna”, fece notare Tosh.
Owen
scrollò le spalle. “Probabilmente è
successo
qualcosa che ha fatto sì che… il suo organismo
potesse… attuare una
gravidanza”.
“Jack?”
chiamò Ianto in un ultimo vano tentativo di
ottenere la risposta che voleva.
“Owen
ha ragione”, disse il Capitano, facendo
spalancare gli occhi al compagni. “Però
c’è un ultima cosa che possiamo fare
per essere sicuri”.
“Cioè?”
“Fai
un test”.
“Un
test?”
“Di
gravidanza”.
Ianto
lo guardò come se stesse dicendo la cosa più
assurda del mondo. Ed effettivamente tutta la situazione suonava
assurda.
“Non
abbiamo un test di gravidanza”, ricordò Owen.
“Te lo vado a
comprare. Non
ci metterò molto”. E detto quello, con uno
svolazzo del cappotto, Jack uscì dalla base, come se volesse
scappare.
“Allora?”
sbottò Gwen appena vide uscire Ianto dal
bagno.
“Non
lo so. Non sono ancora passati due minuti”.
Il
ragazzo si sedette sul divano accanto a Gwen,
reggendo il bastoncino in mano. Jack continuava a guardare
all’orologio.
“Guarda adesso”.
Ianto
ci mise un po’ a inquadrare il segno sul
bastoncino, ma appena lo vide il suo cuore perse un battito.
“Oh no!”
“Allora?!”
ripeté Gwen, avvicinandosi all’amico.
“Oh
mio Dio! E’ positivo!”
“Ditemi
che è uno scherzo!”
“Ma
com’è possibile?” chiese Toshiko.
Owen
scosse il capo come per dire che lui non ne
aveva la più pallida idea.
“Forse
è stato quando sei venuto a contatto con
qualcosa di alieno come è successo a me”,
tentò Gwen, voltandosi a guardare
Ianto. “Ti ricordi se è successo qualcosa del
genere?”
Il
ragazzo rimase a pensarci per qualche secondo,
poi tirò su la manica scoprendo l’avambraccio dove
una piccola cicatrice bianca
faceva ancora mostra di sé. “Quando siamo andati
in quell’orfanotrofio”,
iniziò. “una specie di verme mi ha
morso”.
“I
Callaryani!” esclamò Gwen.
“Ma
certo!” aggiunse Jack. Ora finalmente tutto gli
era chiaro. “Quel verme che ti ha morso era un verme della
fecondazione. Gli
basta un morso per rendere qualsiasi tipo di organismo favorevole a una
gravidanza. Basta che quella persona faccia sesso, non importa come, e
il gioco
è fatto”.
“Quindi
anche due uomini o due donne possono avere
figli loro?” osservò Gwen.
“Sì”.
“Aspettate
un attimo!” proferì Ianto in quel
momento, scattando in piedi. “Quindi c’è
una specie di alieno dentro di me?”
Il
Capitano ridacchiò. “No, non proprio. In parte
avrà le sembianze di un Callaryano, ma perlopiù
sarà umano perché uscirà dal
tuo grembo”.
“Vi
rendete conto che questo potrebbe rivoluzionare
la medicina?” fece Gwen allora. “Anche chi
è sterile con questo può sperare di
avere figli. E gli uomini che…”.
“No”,
la interruppe Jack. “Non sappiamo come
funziona e potrebbe essere rischioso”. Si avvicinò
a Ianto guardandolo dritto
negli occhi. “Devi abortire. Non voglio che tu corra
pericoli, non sappiamo se
questo… bambino possa nuocerti”.
Ianto
annuì mestamente.
Gwen
osservò Jack seduto nel suo ufficio con lo
sguardo perso a contemplare un innocuo oggetto alieno e poi
spostò lo sguardo
su Ianto seduto sulle scale. Mise via il cellulare con cui aveva appena
mandato
un messaggio a Rhys e lo raggiunse con passo felpato. Gli si sedette
accanto e
gli prese una mano.
“Tutto
bene?”
Lui
si girò a guardarla con un’occhiata vagamente
torva. “Tu che dici?”
La
ragazza scoppiò a ridere. “Dai, non è
poi così
terribile”.
Lui
riportò lo sguardo di fronte a sé.
“Forse no”.
“Deduco
che il bambino sia di Jack”.
“Già”.
Calò
qualche secondo di silenzio tra i due, poi Gwen
riprese. “Avere un bambino è una cosa…
incredibile. È qualcosa che cambia il
tuo modo di vedere le cose, è… spaventoso, ma al
tempo stesso meraviglioso”.
“Tu
dici?”
“Sì
e secondo me non dovresti abortire”.
Ianto
sospirò prendendosi la testa tra le mani.
“Jack ha ragione! Potrebbe essere pericoloso
e…”. Si interruppe, consapevole
che non era questa la verità. “Non… non
posso avere un bambino, Gwen. Come
faccio? Questo lavoro e la mia vita… non sono fatti per
avere un bambino”.
La
ragazza gli strinse la mano più forte e lo guardò
in volto. “Ma è pur sempre un bambino.
C’è una vita che sta crescendo dentro di
te ed è… incredibile, in tutti i sensi”.
“Ianto!
Quando vuoi vieni”.
I
due si voltarono verso Owen che armeggiava nel suo
studio. No, Jack aveva ragione, si
disse Ianto. Era sbagliato, tutto quello era sbagliato e qualsiasi cosa
ci
fosse nel suo corpo non doveva esserci.
Si
alzò lentamente e raggiunse il dottore che,
appena lo vide, gli mostrò una piccola pillola rosa.
“Prendi questa pillola.
Induce l’aborto fisiologico, poi ne dovrai prendere
un’altra per espellere il
feto”, spiegò il giovane.
“L’aborto farmacologico mi sembra l’unica
soluzione”.
Ianto
prese la pillola e il bicchiere d’acqua che il
collega gli passò. Si sedette sul tavolo chirurgico e
osservò attentamente la
pillola. Poi guardò la propria pancia e poi di nuovo la
pillola. Era la cosa
giusta da fare, non poteva avere un bambino, non era pronto e non lo
era
nemmeno Jack. Però… però anche Gwen
aveva ragione, c’era una vita che cresceva
dentro di lui e non poteva ucciderla così.
Ma portare avanti una gravidanza non era cosa da poco.
“Owen?
Mi fai rivedere le immagini di prima?”
“Non
posso farlo!” fu la prima cosa che Ianto
pronunciò appena entrato nell’ufficio di Jack. Il
Capitano alzò lo sguardo su
di lui, perplesso. “Non posso farlo”,
ripetè il ragazzo. “Non posso abortire”.
“Che
cosa?”
“Mi
dispiace, Jack, ma non ci riesco. È…”.
Si
avvicinò lentamente alla scrivania dietro la quale sedeva
Jack. “Insomma, Jack,
non ci riesco. Non posso farlo. È un bambino ed è
nostro…”.
Jack
poggiò le mani sulle spalle del compagno e lo
guardò negli occhi. “Lo so, ma non possiamo
rischiare. È pericoloso…”.
“Perché
dovrebbe esserlo? Non è un alieno”.
Tirò
fuori la foto dell’ecografia che gli aveva fatto Ianto e la
mostrò a Jack. Il
capitano la prese in mano e osservò attentamente le linee
confuse che
delineavano quello che doveva esserci nel ventre di Ianto. Si poteva
riconoscere benissimo che era un bambino. Improvvisamente
sentì qualcosa
raddolcirsi nel suo cuore; con un dito tracciò quelle linee
e faticò a
nascondere un sorriso.
“Non
lo so, Ianto”, soffiò infine, riportando lo
sguardo sul ragazzo. “Non sei una donna, le cose potrebbero
andare male, il tuo
corpo potrebbe non sopportarlo”.
“Voglio
correre questo rischio”
Jack
spostò lo sguardo verso il muro di fronte a sé
e poi tornò di nuovo a guardare Ianto. “Non posso
perderti, Ianto. Sei sicuro
che lo vuoi?”
“Sì”.
Il
Capitano si protese verso il compagno e poggiò le
proprie labbra sulle sue. Ianto ricambiò il bacio, ma
proprio quando si
avvicinò di più all’altro e
cercò di averne di più, questi si
staccò e lo
guardò in maniera strana.
Poi
si allontanò bruscamente e afferrò il suo
capotto. “Scusa, devo andare. Torno presto”. E
senza lasciargli nemmeno il
tempo di emanare un sospiro, uscì dall’ufficio e
poi dalla base.
“Dov’è
andato?” chiese Gwen vedendo Ianto tornare
dall’ufficio di Jack.
“Non
ne ho idea”, rispose il ragazzo. Jack faceva
spesso così. Usciva senza dire dove andasse e doveva
ammettere che talvolta gli
dava un po’ fastidio.
Ed
eccolo lì, in tutto il suo splendore nella divisa
napoleonica. John Hart, l’autentica nemesi del Capitano Jack
Harkness.
“Oh,
Jack! Non credevo che avrei mai ricevuto una
tua chiamata”, disse, non appena si materializzò
con il suo manipolatore.
“Ammettilo che non riesci a stare senza di me”.
Jack
gli mostrò un sorriso sghembo. Dopotutto, gli
piacevano il suo modo di flirtare e di pavoneggiarsi.
“Ho
solo bisogno di chiederti una cosa”, specificò
il Capitano, rimanendo ben distante dall’altro.
“Ma
certo che vengo a letto con te”, ghignò John.
“Ti
piacerebbe”.
“Oh
sì, molto”.
Restarono
a fissarsi per qualche tempo, come
sfidandosi in un muto duello di sguardi.
Forse non è stata una buona idea
chiamarlo, pensò Jack.
Se continua a guardarmi in quel modo lo
violento qui sul posto, pensò John.
“Allora,
per quale motivo mi hai fatto correre qui?
Spero ne sia valsa la pena”.
Jack
si avvicinò al bordo del tetto dell’edificio
sul quale si trovavano e aspettò che l’altro lo
raggiunse. “Una volta sei stato
morso da uno di quei vermi della gravidanza di Callary”.
“Devi
per forza ricordarmi quell’orribile
esperienza?”
“E’
importante”.
John
sospirò e incrociò le mani sul parapetto.
“Sì”.
“E
che è successo dopo?”
“Oh,
mi hai visto anche tu! Ero più grosso di una
balena spaziale”.
“No,
intendo… com’era il bambino?
Com’è stata la
gravidanza?”
John
aspettò un attimo prima di rispondere. “Il
bambino era a posto, non aveva due teste o quaranta occhi se
è questo che
intendi. Mi somigliava molto”, l’ultima parte la
disse con una certa vanità,
come suo solito. “Comunque sono andato dalle infermiere
– gatto per farlo
nascere, mi hanno praticamente aperto in due”.
“E
dopo che fine ha fatto?”
“L’ho
lasciato a loro. Di certo non sono la persona
migliore per fare il padre”.
“Non
hai più avuto notizie?”
“No,
ed è meglio così, per lui e per me”.
“Ma
perché non hai abortito?”
“Oh,
l’avrei fatto se avessi potuto”. Si interruppe,
ma vedendo lo sguardo confuso di Jack fu costretto a spiegare.
“Ci ho provato,
in vari modi, ma il bambino sopravviveva sempre. Dopotutto, ha in parte
geni
Callaryani nel suo DNA e loro sono difficili da uccidere”.
Il
Capitano annuì e tornò a guardare il panorama di
fronte a sé. Le parole di John lo rassicuravano, ma non del
tutto.
“Perché
mi stai facendo queste domande?” chiese
John.
“Semplice
curiosità”.
“No!”
L’ex agente del tempo si voltò completamente
verso Jack e lo scrutò attentamente in volto per capire i
suoi pensieri.
“Aspetta! Non mi dirai che tu…”, non
concluse la frase, ma spalancò la bocca in
un moto di pura sorpresa.
“Ma
che ti salta in mente!” gridò Jack, intuendo che
cosa doveva essere saltato nella mente bacata dell’altro.
“No! Non sono
incinto!”
“Allora
qualcuno della tua squadra! Chi?”
“Non
è affar tuo! E la mia squadra non
c’entra!”
Jack cominciò ad allontanarsi con passo deciso, ma
l’altro lo raggiunse di
corsa. “Vattene via, John!”
“Eh
no! Adesso mi hai chiamato e non ti libererai
tanto facilmente di me”.
Quando
Jack rientrò alla base accompagnato da John,
gli altri membri del Torchwood non parvero molto contenti.
“Che
ci fa lui qui?” esclamò Gwen, mettendo mano alla
pistola.
“Oh,
anche io sono contento di vederti”, commentò
l’intruso
mostrando un broncio tenero.
“Mi
serviva per un consulto”, rispose Jack senza
guardare nessuno, ma dirigendosi veloce verso il suo ufficio.
“Ma ora non vuole
più andarsene”.
“Se
tu ti decidessi a passare un po’ di tempo con
me, smetterei di darti fastidio!” gli gridò dietro
John, ma il Capitano fece
finta di non sentirlo e sparì nel suo ufficio. Ne riemerse
però subito dopo,
appoggiandosi alla ringhiera e guardando l’ex compagno con
sguardo minaccioso. “Visto
che ci tieni tanto a passare un po’ di tempo con me,
accompagnami a cacciare i
Weevil”.
L’altro non se lo fece ripetere due volte e fece per seguire
Jack. Quando però
si scontrò con Ianto che lo stava guardando in modo strano.
“Oh, ciao, Occhi
dolci”, lo salutò John con un sorrisetto
sardonico, per poi allontanarsi
sculettando.
Quando
i due uscirono, gli altri rimasero a guardarsi
l’un l’altro basiti. Ianto non era per niente
contento; di solito Jack andava a
caccia di Weevil con lui o al limite da solo, non l’aveva mai
chiesto a qualcun
altro. E poi… chissà cosa avrebbero fatto. Non
gli era mai piaciuto John, non
gli piaceva il suo flirtare con Jack e quella sua mania di professargli
il
proprio amore, un amore malato secondo lui. Era dura ammetterlo, ma
sentiva il
potente nodo della gelosia stringergli le viscere.
“Ma
perché Jack lo ha fatto venire?” chiese Gwen,
più a se stessa che agli altri.
“Se
guadagnassi una sterlina per ogni sciocchezza
inspiegabile che fa Jack ora sarei ricco”, rispose Owen,
mettendo via il suo
camicie da lavoro.
“Ragazzi!”
chiamò a quel punto Tosh. “La Fessura ha
registrato un eccesso di attività, deve essere passato
qualcosa”.
“Dove?”
“Nella
zona di Wickery Road. Adesso scansiono il
posto”.
“D’accordo!”
concluse Ianto, cercando di prendere in
mano la situazione per non pensare a John e il Capitano. “Ci
dirigiamo verso il
posto e nel frattempo chiamiamo Jack”.
“Tosh,
resta qui per indicarci eventuali spostamenti”,
ordinò Gwen, afferrando il suo cappotto.
“Ma,
Ianto…”, chiamò lei cercando
l’amico con lo
sguardo, ma i tre erano già usciti.
Quando
Ianto, Gwen e Owen arrivarono al posto, una
fabbrica di carta chiusa per motivi di manutenzione, Jack non si vedeva
ancora.
I tre decisero di passare subito all’azione e la prima cosa
contro cui si
scontrarono fu un corpo steso scomposto a terra. Apparteneva ad un uomo
di mezz’età,
un povero malcapitato che si era trovato sulla strada di un
terrificante
alieno, sicuramente. O chissà che altro.
“E’
morto”, sussurrò Owen, inginocchiato accanto al
cadavere.
Gwen
e Ianto strinsero forte le pistole, pronti a
premere il grilletto. “Restiamo uniti”, disse la
ragazza.
Procedettero avanti per un po’, quando sentirono dei rumori
provenire da una
stanza in fondo al corridoio. Owen si avvicinò cercando di
non fare rumore, e
sbirciò dentro. “Guardate un po’ chi si
rivede!” esclamò a bassa voce, seguendo
il profilo di quello che all’apparenza pareva un normale
uomo, con vestiti da
motociclista. Se non fosse per la grossa testa rossa da pesce.
“Di
nuovo quella creatura?” fece Gwen, abbassando la
pistola.
“L’avete
trovato?” chiese la voce di Tosh all’auricolare
del trio.
“Sì,
è il pesce palla”, le rispose Ianto, appoggiato
allo stipite della porta.
“Adesso
ci divertiamo”, concluse Owen, uscendo allo
scoperto.
“Prendilo!
E’ andato di là!” gridò
Ianto, indicando
con un dito la direzione che l’alieno aveva preso. Gwen gli
corse dietro, ma
quello era decisamente più veloce di lei. Allora
sparò un paio di colpi dalla
pistola, colpendo soltanto i muri. “Maledizione!”
imprecò.
Il
pesce palla sbucò in un altro corridoio, ma lì si
scontrò con Owen che gli mollò una gomitata
facendolo voltare su se stesso. Questi
si riprese subito e si vendicò tirando un pugno in faccia al
dottore che quasi
svenne. Riuscì però a riprendersi subito e a
dargli un calcio sulle ginocchia
per farlo cadere a terra.
In quel momento sopraggiunse anche Ianto che cercò di
tramortirlo con la
pistola elettrica, ma quello si rialzò subito e gli
saltò addosso. Ianto cadde
di schiena seguito dalla creatura che cercava di prendergli la pistola.
Owen
cercò di aiutare l’amico, ma l’alieno
gli mollò un altro pugno e il dottore
sbatté contro il muro.
Per una frazione di secondo Ianto pensò di essere
completamente spacciato, ma
improvvisamente qualcuno glielo tolse di dosso e lui poté
tornare a respirare.
Si mise seduto, notando Jack e John che le davano di santa ragione a
quell’alieno.
Quando il pesce palla spinse il Capitano contro il muro, afferrandogli
il collo
con le mani, John gli sparò un proiettile nella schiena e
quello crollò a
terra. E in quel momento li raggiunse anche Gwen. “Ehi!
L’avete sconfitto”.
Jack
corse immediatamente da Ianto, aiutandolo a
rialzarsi. “Stai bene?” gli chiese, controllando
che non fosse ferito. “Sì”,
rispose il ragazzo. “Non saresti dovuto venire”, lo
rimproverò il Capitano. Poi
si voltò verso la sua nemesi. “Grazie per
l’aiuto”.
“Figurati”, fece quello. “Almeno adesso
ti deciderai a passare un po’ di tempo
con me?”
Jack sospirò esasperato. “John, io non voglio
passare del tempo con te!” gli
gridò, a pochi passi da lui. “Non voglio stare con
te né per un giorno né per
un’ora. Non mi interessi, anzi, non voglio più
vederti. Ti ho chiamato solo per
quell’informazione e ora che me l’hai data te ne
puoi anche andare al diavolo!”
Se non fosse stato così presuntuoso e pieno di
sé, qualcuno avrebbe potuto dire
che qualcosa dentro a John si ruppe. Abbassò lo sguardo,
come a voler
nascondere qualcosa, ma subito dopo lo rialzò, guardando il
Capitano con furia
e odio. Alzò la pistola puntandogliela contro.
“Quindi le cose stanno così ora?”
ringhiò. “Ti sei dimenticato quello che eravamo?
Quello che abbiamo fatto
insieme? Non ti importa più nulla?”
“No,
non mi importa. Che vuoi fare? Spararmi?”
“Lo
so che sarebbe inutile ucciderti”, soffiò in
tono sottile. Un sorrisetto sadico gli spuntò sulle labbra.
“Ma posso uccidere
lui”. E prima che qualcuno lo potesse fermare,
spostò la pistola in direzione
di Ianto e sparò un colpo, solo uno, che colpì il
ragazzo dritto nello stomaco.
“Ianto!”
gridò Jack, correndo incontro al compagno
prima che cadesse a terra. “Ianto”.
“Jack”,
soffiò l’altro, una mano poggiata sulla
ferita sanguinante, gli occhi azzurri fissi in quelli del Capitano.
***
MILLY’S
SPACE
Hola!
Speravo di aggiornare prima, ma sono stata impegnata con la stesura di
un’altra
storia per un concorso, quindi non ho avuto molto tempo per dedicarmi
alle
fanfiction.
Avete passato bene le vacanze? Non avete fatto indigestione, vero? In
ogni
caso, vi auguro un buon ritorno a scuola, lavoro e
quant’altro. Io non ne ho
voglia per niente, ma questa è la vita.
Che mi dite? Piaciuto il capitolo?
Una delle mie lettrici aveva ipotizzato che Ianto fosse incinto e a
quanto pare
ha indovinato ^^ ahahaha xD be’ dai, non era difficile.
Penso, almeno.
Moh,
basta con le ciance. Spero di ricevere i vostri
commenti. Purtroppo la pigrizia e la mancanza di tempo mi impediscono
di
rileggere il capitolo, pertanto se ci sono errori, ripetizioni e altri
obbrobri,
perdonatemi.
Un
bacione e buon anno nuovo : )
Milly.
HELLOSWAG:
ehi, mi dispiace averti fatto attendere. Comunque, sono
d’accordo con te,
infatti non sono molto soddisfatta dello scorso capitolo e anche se
avessi
aspettato per farmi venire l’ispirazione, non credo sarebbe
uscito qualcosa di
meglio. Confesso anche che volevo concentrarmi perlopiù su
Ianto e Jack e quello
che è successo a Ianto, quindi il “problema
alieno” era solo un contorno.
Tuttavia, spero di aver rimediato con questo capitolo. Fammi sapere.
Un bacione, M.
AMAYAFOX91:
grazie per i consigli, ho cercato di usarli in questo capitolo. La
verità è che
non cerco mai di far trapelare troppo i sentimenti di Jack
perché neanche nella
serie sono troppo chiari, e cerco anche di mantenere quella patina di
mistero
che lo contraddistingue. Sono contenta comunque che lo scorso capitolo
ti sia
piaciuto. Spero anche questo : )
P.S.
so
che non tutti possono apprezzare una gravidanza maschile e se
così fosse
sentitevi liberi di dirmelo. Se sarete in tanti, vedrò di
fare qualcosa. A me l’idea
piace e scrivo perlopiù per diletto mio, ma se non ci sono i
lettori non
avrebbe neanche molto senso, per cui qualche sacrificio lo faccio
volentieri ^^
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