Capitolo 5
"Gatsby believed in the
green light, the orgastic future
that year by year recedes before us. It eluded us then, but
that’s no matter – tomorrow we will run faster,
stretch out
our arms farther… And one fine morning.
So we beat on, boats against the current, borne back
ceaselessly into the past."
Gatsby
Believed in the Green Light - Craig Armstrong & Tobey Maguire
5. Green Light
«Quindi, tuo
padre è un barrister?»
chiese Lizzie sistemando i tovaglioli nei dispenser posizionati sul
bancone, mentre Jay – adagiato su un tavolino con
l’aria imbronciata – giocava con la cannuccia
disfacendo gli ultimi residui di frappè lasciati nella
coppa. «Sì, è un barrister della Gray’s
Inn. Per questo è un grandissimo rompi
coglioni!»
«Jay, hai la
faccia da angioletto ma a volte ti lasci andare ad un linguaggio che
non ti si addice proprio… mio caro figlio di un barrister!».Al ragazzo
suonò come un’offesa quel “caro figlio
di un barrister”,
ma preferì non dare forma a quell’impressione.
Alzò lo sguardo e tutto ciò che vide fu il tepore
di un luogo non suo, ma che si rivelava in tutto il suo accogliente
calore. L’ora tarda conferiva al locale un aspetto meno
allegro, ma certamente più intimo. Sorrise nel sentire di
essersi lasciato alle spalle un piccolo peso. Il bar sembrava
differente nel suo aspetto o, forse, erano stati i suoi occhi a
cambiare: ciò che prima sembravano tavolini afflitti sui
quali piangere adesso parevano piccole isole pronte ad accogliere
sorrisi, magari nuovi incontri. Osservò ogni particolare ed
estese lo sguardo sul jukebox sfiancato dai troppi anni di servizio.
«Non sarebbe ora di comprarne uno nuovo?».
Lizzie lo
fissò stupita – sapeva che si stava riferendo al
jukebox – e con finto sdegno lo rimproverò:
«Trovo che sia un gesto riprovevole sbarazzarsi delle cose
inutilizzabili che sono care al nostro cuore e, ancora peggio, se
dimostrano di essere perfettamente in grado di adempiere ai propri
doveri nonostante tutto. Ora, mio caro Hahn, Jay Hahn, scegli una
canzone e balliamo!»
«Ma
no…» protrasse quella “O” per
tutto il tragitto fino al jukebox lasciandosi trascinare da una Lizzie
decisa a dimostrargli l’incerta funzionalità di
quel gracchiante dispensatore di musica e di intrattenimento del
dopoguerra. Jay, trovandosi davanti agli occhi il gettone offertogli,
rispose all’invito rassegnato, cedendo al volere della
ragazza. Sbuffò stancamente per un istante e
afferrò la moneta. «E va bene! Un lento, Miss?»
Lizzie non nascose neanche per un istante l’entusiasmo e
poggiando la testa sulla sua spalla dichiarò con tono
seducente le sue reali intenzioni: «Certo che sì!
Come potremmo stare stretti senza un lento?». Il giovane
sorrise, lasciandosi trascinare dal neanche troppo velato
corteggiamento.
«Direi: La
vie en rose?» Lizzie si accostò languida
per leggere il titolo che l'altro stava indicando con il dito e
appoggiandosi ancora a lui acconsentì.
Il gettone venne
inghiottito dalla fessura un po’ arrugginita del jukebox che
rumoreggiava come se stesse per sfasciarsi in quel preciso istante,
tuttavia – contro ogni pronostico – lo stridente
rumore della puntina si trasformò nelle prime note
inconfondibili sgorgate dalla tromba di Louis
Armstrong; quindi offrì la mano alla ragazza che
con una piroette si ritrovò stretta tra le sue braccia.
Un anziano, Charles,
– l’unico ad essere in quel bar oltre a loro
– li osservò con silenziosa malinconia, con lo
sguardo aggrappato a chissà quale ricordo. Stava stretto al
suo bastone, gustandosi la danza con gli occhi addolciti dal tempo.
«Balli bene,
Hahn, Jay Hahn» bisbigliò, aggrappandosi alle sue
spalle. Lui si lasciò trasportare dalla musica e
dall’abbraccio caldo e rassicurante di Lizzie. Chiuse gli
occhi conducendo il ballo senza pensare a niente finché una
carezza abbastanza eloquente gli fece capire che, forse, era arrivato
il momento di mettere in chiaro alcune cose. Perciò,
imbarazzato, aprì gli occhi, sorrise brevemente e
tentennando tra una parola e l’altra provò a
spiegarle come stavano le cose. Il corteggiamento di Lizzie non gli
dispiaceva ma era certo che se lei avesse saputo, le cose sarebbero
state diverse. Sarebbero cambiate.
«Lizzie,
io… avrei un paio di cose da dirti.»
«Lo so
già che sei omosessuale».
Con uno scatto si
staccò da lei: era incredulo. La fissò cercando
di capire come potesse essere a conoscenza della cosa, non credeva di
essere così indovinabile, così trasparente.
«Ti chiedi,
come lo so?!» una sottile nota di sarcasmo sibilò
nel tono di voce di Lizzie.
Jay le prese le mani e
l’allontanò da sé per osservarla al
meglio, corrucciò la fronte fino a fare arricciare il naso e
con espressione scherzosa chiese incuriosito: «Ma, per caso,
sculetto quando cammino?».
Lizzie si
lasciò andare ad una fragorosa risata, eccessiva ma
trascinante e così scrosciante da essere contagiosa. Dopo
essersi concesso un attimo di ilarità, tornò sul
punto liberandola dalla presa: «Adesso»
cominciò incrociando le braccia, rivolgendosi a lei con
falsa arroganza: «Spiegami come lo sai!»
«Calma, Jay
Hahn! Lo so perché, esattamente come io guardavo te
– presa dalle tue meravigliose labbra– tu guardavi
Izaya… con la stessa mia espressione».
Divenne paonazzo come un
bollitore pronto ad esplodere e lei, puntandolo con il dito, lo
canzonò: «Sei un libro aperto Hahn, Jay
Hahn!»
«Puoi
chiamarmi Jay, non c’è bisogno di sottolineare
continuamente il fatto che io mi presenti come un babbeo.»
Sorrise: «Si chiama Izaya, quindi?»
Lizzie, gettandogli le
braccia al collo, avvicinò le proprie labbra a quelle di
Jay, saggiandone lievissimamente la morbidezza.
«Già! E puoi stare tranquillo, tesoro: Izaya
è qui ogni santo giorno, quindi lo rivedrai sicuramente
molto presto».
Sorrise
impercettibilmente accogliendo con soddisfazione la lieta notizia. Era
felice, ma di fatto non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, non aveva mai
avvicinato un uomo in vita sua, tanto meno uno come Izaya. I dubbi lo
assalirono, costringendolo a farsi mille domande: si chiese se fosse
omosessuale e si disse che una fortuna così sfacciata non
poteva fare parte della sua vita, soprattutto in quel momento.
La nuvola nera e
minacciosa della sfortuna, accompagnata al suo pessimismo cosmico, gli
diceva che quel ragazzo non solo era etero, ma anche sposato, con dieci
figli al seguito. Un uomo così non poteva essere solo e
sapeva di non possedere le carte giuste per attirarlo a sé.
«Che tu
sappia, lui ha una ragazza?» chiese spostando gli occhi fuori
dalla porta del bar – come se stesse chiamandolo
disperatamente – e lei, abbandonata sulla sua spalla, ancora
intenta a dondolarsi sulle ultime note de La
vie en rose, rispose con tono rilassato:
«L’ho visto spesso con ragazze, ragazzi, non ti so
dire in che rapporti fosse con ognuno di loro. Non so molto di lui.
È una di quelle persone che ho conosciuto qui e ho
continuato a frequentare qui, di conseguenza so veramente poco di lui.
Non abbiamo mai parlato di cose personali, ecco»
«Quante
probabilità ci sono che lui possa essere…
beh…»
«Omosessuale?»
lo precedette sognante – nascondeva gli occhi
nell’incavo tra la spalla ed il collo di lui, respirando il
suo profumo. «Una probabilità su cento se sei uno
sfigato, novantanove possibilità su cento se sei uno
fortunato!»
«Andiamo
bene!» esclamò alzando gli occhi al cielo,
cosciente del fatto che la fortuna, nell’ultimo periodo,
aveva scelto di esplorare altri lidi e tutti incredibilmente lontani da
lui.
La strinse tra le
braccia e si accorse solo in quel momento quanto avesse desiderato
farsi abbracciare da qualcuno.
Chaz l’aveva
fatto, ma non era riuscito a farselo bastare. La tensione di quel
momento, dopo l’incontro con suo padre, non gli aveva
permesso di godere appieno delle sue attenzioni, eppure lui
c’era stato. Si sentì in colpa a pensarlo inerme
dietro di sé mentre scappava a gambe levate, estromettendolo
da quel momento della sua vita. Pensò a lui incessantemente,
a come si erano lasciati, e riflettendo sul loro rapporto
cercò di tranquillizzarsi: avevano sempre litigato
furiosamente per poi fare pace come se nulla fosse, quello era il caso,
– avrebbero sicuramente chiarito – ciò
nonostante il mancato ottimismo gli accartocciò il cuore al
solo pensiero di perderlo, tuttavia rinsavì in fretta nel
momento in cui Lizzie concluse una frase: «Che buon profumo
hai, Hahn. È uno di quei profumi che rimangono impressi
nella mente. È come una droga e invidio l’uomo che
avrà la possibilità di averti, con tutto il tuo
odore».
Jay sorrise della
spontanea schiettezza di Lizzie e pensò che, in qualche
modo, l’uomo al quale aveva dato tutto se stesso –
con tutto il suo profumo – era proprio Chaz. Non credette
totalmente a quello che aveva appena detto la ragazza, ma
rammentò con chiarezza la bellezza e la forza innata del
rapporto che era riuscito a costruire con il suo migliore amico.
Non l’avrebbe
mai abbandonato per una discussione sciocca, Chaz sarebbe sempre stato
presente nella sua vita, adesso lo sapeva.
Il loro legame non
poteva essere disciolto nell’acqua come una stupida aspirina,
era un dare e avere eterno, un equilibrio sottile ma ben saldo.
Strinse ancora Lizzie
benché la musica fosse finita. I pensieri negativi volarono
via, uscendo dalle vetrate di quel bar che ormai era diventato un
piccolo universo sospeso nel tempo.
***
«Non avevi
detto che non avresti più dormito nel mio letto?»
chiese Chaz con tono ironico, mentre Jay si rintanava tra le lenzuola
calde dell’amico. Non appena trovò una posizione
accettabile puntò gli occhi sul lampadario tondo che
raffigurava l’abbraccio impossibile tra il sole e la luna e
pensò ad una risposta che potesse essere soddisfacente,
così cercò di essere sincero il più
possibile.
Non fu difficile
esserlo, poiché la vicinanza di Chaz lo
ricostituì, tanto da conferirgli una serenità
tale da infondergli il coraggio giusto per poter riprendere il
discorso. Non aveva più paura della risposta che avrebbe
ricevuto. «Sono qui per diversi motivi: il primo è
che non mi piace come ci siamo lasciati oggi, e lo so che sei
incazzato, che ce l’hai con me, ma voglio chiederti
scusa.» Abbassò la testa, pronto ad incassare.
Chaz lo fissò
intenerito – non credeva che i tumulti potessero alimentare
tale insicurezza, soprattutto sul loro rapporto –
così decise di essere paziente, e stringendolo a
sé lo rassicurò: «Sai che non me la
sono presa. Sarei uno stronzo se infierissi ancora, ho capito che eri
scosso».
Jay spostò lo
sguardo su Chaz: come al solito, era stato comprensivo e attento.
Sorrise, ritrovando ancora gli occhi rassicuranti di colui che aveva
invaso i suoi preoccupati pensieri. Si rese conto di essersi messo in
allarme inutilmente, lui non l’avrebbe mai abbandonato.
«Quali sono
gli altri motivi?».
Titubò per un
istante, insicuro sul da farsi. Sapeva che avrebbero ancora parlato dei
suoi genitori e sentiva di non averne voglia. «Altri
motivi!»
«Chiaro! Jay,
tu puoi venire qui tutte le volte che vuoi, non farti problemi,
qualsiasi sia il motivo».
Anche Lizzie gli aveva
detto quelle parole e si sentì fortunato. Nella sfortuna di
quegli eventi aveva trovato chi volesse prendersi cura di lui.
Chaz si distese
definitivamente sul letto, spalla a spalla con il suo più
caro amico e incrociando le mani dietro la nuca chiarì la
sua posizione: «Io non condivido la tua scelta. Avresti
potuto vivere la tua vita senza dover dire tutto ai tuoi,
però ti capisco e non posso giudicarti, tuttavia credo che
tu sia troppo dipendente dall’approvazione dei tuoi genitori.
Hai riposto troppa fiducia nel loro giudizio, sei sempre alla ricerca
del loro parere e questo ti ha spinto a fare l’errore
più grande della tua vita…»
«Non rinnego
niente di quello che ho fatto. Chaz, io lo rifarei. Chiamami masochista
se vuoi, ma questo mi ha aiutato a capire me stesso e a vedere in modo
obiettivo i miei genitori. Stai certo che non commetterò
più l’errore di cercare la loro approvazione.
Adesso la mia vita è davvero mia».
Chaz non seppe
più cosa dire, ma avrebbe voluto trovare una spugna per
cancellare i giorni passati.
Sapeva che Jay non
sarebbe più andato all’università e che
avrebbe abbozzato una vita disordinata e senza radici: non era questo
ciò che aveva sognato per lui. Pertanto, con tono
rassegnato, concluse ad alta voce i suoi pensieri: «Saresti
potuto diventare qualcuno e mi rode solo a pensare che, invece, ti sei
solo complicato la vita.»
«Pensa a te
una volta tanto. Pensa ai tuoi sogni, alla tua vita, non pensare a me.
Stai sereno, sto bene!».
Se avesse potuto gli
avrebbe confessato tutto il suo amore in quell’istante.
Chaz avrebbe voluto
urlargli che non è possibile pensare a se stessi quando la
persona che ami vive il momento più duro della propria vita,
ma scelse di tacere, spaventato dalle conseguenze che ne sarebbero
scaturite. Non gli andava di dargli altre preoccupazioni, ma
trattenersi stava diventando un vero massacro.
«Ho conosciuto
un ragazzo, sai?».
Le parole inaspettate di
Jay colpirono dritto al punto più indolenzito della sua
anima. Il cuore di Chaz perse un battito, lo lasciò
incollato ai sentimenti che aveva chetato con la forza per tutto quel
tempo. Mille ipotesi si accavallarono nei suoi pensieri: avrebbe potuto
reagire e confessare, urlargli contro quanto quella notizia
l’avesse devastato o fingere di essere felice per lui.
La scelta più
sensata ricadde su ciò che, più di tutto,
l’avrebbe condannato a soffrire ancora: «Ah,
sì?! Sono contento. Chi è?»
«Cioè,
non è che l’ho conosciuto, l’ho visto e
non ci ho neanche parlato. Però vorrei rivederlo.»
«Sono
contento, Jay! Vedi?! C’è stato qualcosa di
positivo in mezzo a tutto questo sfacelo.» Ipocrita: fu la
prima parola che apparì chiara nella sua mente.
«Sarei falso
se ti dicessi che c’è stato solo questo di
positivo. Mi sono successe un sacco di cose belle: ho conosciuto una
ragazza dolcissima, ho trovato un posto bellissimo dove andare a stare
quando i miei pensieri decidono di tormentarmi, sto qui con te adesso.
Queste, sono tutte cose belle».
Intenerito dal disperato
bisogno di Jay di trovare qualcosa di consolante, abbandonò
ogni idea di rimuginare troppo su ciò che avrebbe dovuto
fare. Avrebbe confessato, ne era certo, ma non in quel momento.
«Mi stupisci, come sempre! Nonostante tutto ti appigli alle
piccole cose per trovare il lato positivo.»
«Sai
perché mi chiamo Jay?»
«No!».
Si alzò dal
letto e avvicinandosi alla libreria cercò con gli occhi un
libro che aveva prestato a Chaz e che non gli aveva mai restituito.
Passò le dita
sui libri leggendo mentalmente ogni titolo, e soffermandosi su uno in
particolare lo estrasse per poi raggiungere di nuovo il letto.
«Mia madre
amava Il
grande Gatsby, nello specifico amava Fiztgerald,
però era particolarmente attratta dal personaggio di Jay
Gatsby per
un motivo, anzi, per un concetto in particolare…».
Sfogliò il
libro come se lo sapesse a memoria, infatti, il suo indice
fermò lo scorrere delle pagine su ciò che
cercava, e con voce pacata lesse: «E mentre meditavo
sull'antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima
volta che individuò la luce verde all'estremità
del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato
azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino
da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era
già alle sue spalle, in quella vasta oscurità
dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si
stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde…»
«E con
questo… che cazzo vuoi dire?» Cominciò
a ridergli in faccia: «Mi spiace, ma non colgo la
profondità di questo estratto. Cioè, non trovo il
nesso con te.»
«Lei
desiderava che io potessi diventare un uomo come Jay
Gatsby. Mia madre, dico. La propensione
alla speranza, era l’unica cosa che incoraggiava Gatsby a
combattere per raggiungere i propri obiettivi. Io ho fatto mia questa
cosa, abbracciandola in pieno. Io
credo nella luce verde, Chaz!»
L’amico
scoppiò ancora a ridere, trovando nella solennità
del suo tono di voce una comicità irresistibile. Lo
tirò a sé energicamente, costringendolo a
distendersi accanto a lui. Il libro cadde e Chaz, guardando il viso
imbronciato davanti a sé rispose con tenerezza:
«Tu sei malato di testa, però sei simpatico, dai!
Mi fai sempre fare un sacco di risate.»
«E tu sei
sempre il solito cretino. Comunque: può essere.
Sì, può essere che sono malato di testa, ma
sperare è l’unica cosa che mi resta. In tutto
questo marasma, l’unica cosa che posso fare è
questa, cercando di notare solo le cose belle che mi circondano. Se
dessi peso solo alle cose brutte rischierei di non avere più
il coraggio di sperare.»
«Siamo
d’accordo.»
«Credo di
potercela fare. Ad uscire illeso da questa storia, intendo. Il primo
scoglio è stato superato».
Chaz squadrò
Jay con dolcezza: aveva fatto di tutto in pochi giorni per cambiare la
propria vita, lottando, soffrendo.
Il ragazzo che amava
stava combattendo con coraggio, mentre lui si nascondeva. Nascondeva
ciò che era al mondo, celava i suoi sentimenti a chi amava e
presto avrebbe dovuto lasciare il passo a qualche stoico stronzo che
glielo avrebbe portato via per sempre. Pensò al ragazzo del
quale gli aveva parlato e sentì sobbollire il sangue nelle
vene. Sarebbe stato questo o un altro, non avrebbe fatto alcuna
differenza, ma presto se lo sarebbe visto portare via da qualcuno.
Non poteva
più permetterlo. La rabbia e il bisogno di esplodere,
lasciando che i pezzi di se stesso si frangessero su ogni cosa,
diventarono più forti del giudizio, della paura,
dell’insicurezza.
Le guance si colorarono
e gli occhi si accesero, mostrando chiaramente un bagliore di
risolutezza nel fondo del suo sguardo.
Jay percepì
la sfumatura del cambiamento: «Chaz, che ti
prende?». La preoccupazione per quella strana espressione lo
costrinse ad afferrare le mani dell’amico che con uno scatto
lo atterrò sul letto costringendolo sotto il suo peso.
Il calore accrebbe il
desiderio di baciarlo, così avvicinò le sue
labbra a quelle dell’altro senza sfiorarle.
Jay rimase di sasso.
Altre volte erano stati
così, l’uno sull’altro, ma la percezione
che ebbe di quel contatto fu del tutto diversa.
L’espressione
di Chaz era diversa.
Si lasciò
schiacciare da un peso che non sembrava affatto quello che conosceva.
Era pressante, incalzante, travolgente.
Le punte delle dita si
sfiorarono, provocandogli un brivido insolito lungo la schiena mentre
il viso di Chaz, sempre più irriconoscibile, prendeva
connotati del tutto diversi. Jay aveva un ragazzo sconosciuto sopra di
sé, non il suo amico, il suo solito amico.
La confusione aggiunta
al desiderio irrigidì ogni suo muscolo, fino a farlo
diventare un fascio di nervi scoperti atto a percepire distintamente
ogni cosa: il respiro affannato di colui che lo pressava, le mani
incrociate con le sue, il profumo dei due corpi insieme, la pelle
liscia e calda.
Lo stordimento prese il
sopravvento, lasciando Jay inerme sotto al peso delle intenzioni e del
cuore di quello che pareva un estraneo, però, nel momento in
cui la sua resistenza pareva indebolirsi, la prepotenza di Chaz
mutò, diventando più leggera e controllata: si
arrese alla paura che lo rinchiuse in un limbo dove
l’incertezza pareva gustarsi sadicamente il resto delle sue
intenzioni gettate al vento. In un momento, in un solo istante,
l’azione avventata del ragazzo si ritrovò a
barcollare su un filo invisibile, in bilico tra il suo precario
proposito di uscire allo scoperto e la falsa stabilità che
aveva costruito in tutti quegli anni. Jay rimase fermo ad aspettare.
Sentiva lottare due lati di Chaz sopra di sé, li percepiva,
ma gli serviva una conferma di ciò che pensava. Sentiva
desiderio, ma l’amico si staccò,
ostentò un sorriso forzato e si sdraiò accanto a
lui. Quella conferma non arrivò, lanciando Jay
nell’incertezza. Com’era cominciato, tutto era
finito: senza preavviso, senza parole. Quello che era appena successo
si trasformò in pochi istanti in una specie di sogno, in uno
stato di sovrappensiero.
«Jay,
Jay…» cantilenò stropicciandosi gli
occhi.
«Chaz?» Avrebbe
voluto porgli tante domande, ma aspettò che fosse
l’amico a parlare. Non avrebbe mai potuto aprire un discorso
nel dubbio di essere stato ingannato da un’impressione senza
fondamento.
«Tu,
sei importante per me, Jay. Sei il mio migliore amico.»
«Anche
tu sei importante per me…» rispose bisbigliando,
con gli occhi puntati sul soffitto.
Quella
frase non concretizzò le sue supposizioni, anzi rese ancora
più indistinto il contorno di quell’avvenimento. I
comportamenti che si susseguirono non fugarono alcun dubbio, ma
portarono Jay a domandarsi se i suoi pensieri non fossero altro che lo
specchio dei suoi desideri.
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