Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Bloomsbury    30/01/2014    18 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Capitolo 5
"Gatsby believed in the green light, the orgastic future
that year by year recedes before us. It eluded us then, but
that’s no matter – tomorrow we will run faster, stretch out
our arms farther… And one fine morning.
So we beat on, boats against the current, borne back
ceaselessly into the past."

Gatsby Believed in the Green Light - Craig Armstrong & Tobey Maguire







5. Green Light


«Quindi, tuo padre è un barrister?» chiese Lizzie sistemando i tovaglioli nei dispenser posizionati sul bancone, mentre Jay – adagiato su un tavolino con l’aria imbronciata – giocava con la cannuccia disfacendo gli ultimi residui di frappè lasciati nella coppa. «Sì, è un barrister della Gray’s Inn. Per questo è un grandissimo rompi coglioni!»
«Jay, hai la faccia da angioletto ma a volte ti lasci andare ad un linguaggio che non ti si addice proprio… mio caro figlio di un barrister!».Al ragazzo suonò come un’offesa quel “caro figlio di un barrister”, ma preferì non dare forma a quell’impressione. Alzò lo sguardo e tutto ciò che vide fu il tepore di un luogo non suo, ma che si rivelava in tutto il suo accogliente calore. L’ora tarda conferiva al locale un aspetto meno allegro, ma certamente più intimo. Sorrise nel sentire di essersi lasciato alle spalle un piccolo peso. Il bar sembrava differente nel suo aspetto o, forse, erano stati i suoi occhi a cambiare: ciò che prima sembravano tavolini afflitti sui quali piangere adesso parevano piccole isole pronte ad accogliere sorrisi, magari nuovi incontri. Osservò ogni particolare ed estese lo sguardo sul jukebox sfiancato dai troppi anni di servizio. «Non sarebbe ora di comprarne uno nuovo?».
Lizzie lo fissò stupita – sapeva che si stava riferendo al jukebox – e con finto sdegno lo rimproverò: «Trovo che sia un gesto riprovevole sbarazzarsi delle cose inutilizzabili che sono care al nostro cuore e, ancora peggio, se dimostrano di essere perfettamente in grado di adempiere ai propri doveri nonostante tutto. Ora, mio caro Hahn, Jay Hahn, scegli una canzone e balliamo!»
«Ma no…» protrasse quella “O” per tutto il tragitto fino al jukebox lasciandosi trascinare da una Lizzie decisa a dimostrargli l’incerta funzionalità di quel gracchiante dispensatore di musica e di intrattenimento del dopoguerra. Jay, trovandosi davanti agli occhi il gettone offertogli, rispose all’invito rassegnato, cedendo al volere della ragazza. Sbuffò stancamente per un istante e afferrò la moneta. «E va bene! Un lento, Miss?» Lizzie non nascose neanche per un istante l’entusiasmo e poggiando la testa sulla sua spalla dichiarò con tono seducente le sue reali intenzioni: «Certo che sì! Come potremmo stare stretti senza un lento?». Il giovane sorrise, lasciandosi trascinare dal neanche troppo velato corteggiamento.
«Direi: La vie en rose?» Lizzie si accostò languida per leggere il titolo che l'altro stava indicando con il dito e appoggiandosi ancora a lui acconsentì.
Il gettone venne inghiottito dalla fessura un po’ arrugginita del jukebox che rumoreggiava come se stesse per sfasciarsi in quel preciso istante, tuttavia – contro ogni pronostico – lo stridente rumore della puntina si trasformò nelle prime note inconfondibili sgorgate dalla tromba di Louis Armstrong; quindi offrì la mano alla ragazza che con una piroette si ritrovò stretta tra le sue braccia.
Un anziano, Charles, – l’unico ad essere in quel bar oltre a loro – li osservò con silenziosa malinconia, con lo sguardo aggrappato a chissà quale ricordo. Stava stretto al suo bastone, gustandosi la danza con gli occhi addolciti dal tempo.
«Balli bene, Hahn, Jay Hahn» bisbigliò, aggrappandosi alle sue spalle. Lui si lasciò trasportare dalla musica e dall’abbraccio caldo e rassicurante di Lizzie. Chiuse gli occhi conducendo il ballo senza pensare a niente finché una carezza abbastanza eloquente gli fece capire che, forse, era arrivato il momento di mettere in chiaro alcune cose. Perciò, imbarazzato, aprì gli occhi, sorrise brevemente e tentennando tra una parola e l’altra provò a spiegarle come stavano le cose. Il corteggiamento di Lizzie non gli dispiaceva ma era certo che se lei avesse saputo, le cose sarebbero state diverse. Sarebbero cambiate.
«Lizzie, io… avrei un paio di cose da dirti.»
«Lo so già che sei omosessuale».
Con uno scatto si staccò da lei: era incredulo. La fissò cercando di capire come potesse essere a conoscenza della cosa, non credeva di essere così indovinabile, così trasparente.
«Ti chiedi, come lo so?!» una sottile nota di sarcasmo sibilò nel tono di voce di Lizzie.
Jay le prese le mani e l’allontanò da sé per osservarla al meglio, corrucciò la fronte fino a fare arricciare il naso e con espressione scherzosa chiese incuriosito: «Ma, per caso, sculetto quando cammino?».
Lizzie si lasciò andare ad una fragorosa risata, eccessiva ma trascinante e così scrosciante da essere contagiosa. Dopo essersi concesso un attimo di ilarità, tornò sul punto liberandola dalla presa: «Adesso» cominciò incrociando le braccia, rivolgendosi a lei con falsa arroganza: «Spiegami come lo sai!»
«Calma, Jay Hahn! Lo so perché, esattamente come io guardavo te – presa dalle tue meravigliose labbra– tu guardavi Izaya… con la stessa mia espressione».
Divenne paonazzo come un bollitore pronto ad esplodere e lei, puntandolo con il dito, lo canzonò: «Sei un libro aperto Hahn, Jay Hahn!»
«Puoi chiamarmi Jay, non c’è bisogno di sottolineare continuamente il fatto che io mi presenti come un babbeo.» Sorrise: «Si chiama Izaya, quindi?»
Lizzie, gettandogli le braccia al collo, avvicinò le proprie labbra a quelle di Jay, saggiandone lievissimamente la morbidezza. «Già! E puoi stare tranquillo, tesoro: Izaya è qui ogni santo giorno, quindi lo rivedrai sicuramente molto presto».
Sorrise impercettibilmente accogliendo con soddisfazione la lieta notizia. Era felice, ma di fatto non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, non aveva mai avvicinato un uomo in vita sua, tanto meno uno come Izaya. I dubbi lo assalirono, costringendolo a farsi mille domande: si chiese se fosse omosessuale e si disse che una fortuna così sfacciata non poteva fare parte della sua vita, soprattutto in quel momento.
La nuvola nera e minacciosa della sfortuna, accompagnata al suo pessimismo cosmico, gli diceva che quel ragazzo non solo era etero, ma anche sposato, con dieci figli al seguito. Un uomo così non poteva essere solo e sapeva di non possedere le carte giuste per attirarlo a sé.
«Che tu sappia, lui ha una ragazza?» chiese spostando gli occhi fuori dalla porta del bar – come se stesse chiamandolo disperatamente – e lei, abbandonata sulla sua spalla, ancora intenta a dondolarsi sulle ultime note de La vie en rose, rispose con tono rilassato: «L’ho visto spesso con ragazze, ragazzi, non ti so dire in che rapporti fosse con ognuno di loro. Non so molto di lui. È una di quelle persone che ho conosciuto qui e ho continuato a frequentare qui, di conseguenza so veramente poco di lui. Non abbiamo mai parlato di cose personali, ecco»
«Quante probabilità ci sono che lui possa essere… beh…»
«Omosessuale?» lo precedette sognante – nascondeva gli occhi nell’incavo tra la spalla ed il collo di lui, respirando il suo profumo. «Una probabilità su cento se sei uno sfigato, novantanove possibilità su cento se sei uno fortunato!»
«Andiamo bene!» esclamò alzando gli occhi al cielo, cosciente del fatto che la fortuna, nell’ultimo periodo, aveva scelto di esplorare altri lidi e tutti incredibilmente lontani da lui.
La strinse tra le braccia e si accorse solo in quel momento quanto avesse desiderato farsi abbracciare da qualcuno.
Chaz l’aveva fatto, ma non era riuscito a farselo bastare. La tensione di quel momento, dopo l’incontro con suo padre, non gli aveva permesso di godere appieno delle sue attenzioni, eppure lui c’era stato. Si sentì in colpa a pensarlo inerme dietro di sé mentre scappava a gambe levate, estromettendolo da quel momento della sua vita. Pensò a lui incessantemente, a come si erano lasciati, e riflettendo sul loro rapporto cercò di tranquillizzarsi: avevano sempre litigato furiosamente per poi fare pace come se nulla fosse, quello era il caso, – avrebbero sicuramente chiarito – ciò nonostante il mancato ottimismo gli accartocciò il cuore al solo pensiero di perderlo, tuttavia rinsavì in fretta nel momento in cui Lizzie concluse una frase: «Che buon profumo hai, Hahn. È uno di quei profumi che rimangono impressi nella mente. È come una droga e invidio l’uomo che avrà la possibilità di averti, con tutto il tuo odore».
Jay sorrise della spontanea schiettezza di Lizzie e pensò che, in qualche modo, l’uomo al quale aveva dato tutto se stesso – con tutto il suo profumo – era proprio Chaz. Non credette totalmente a quello che aveva appena detto la ragazza, ma rammentò con chiarezza la bellezza e la forza innata del rapporto che era riuscito a costruire con il suo migliore amico.
Non l’avrebbe mai abbandonato per una discussione sciocca, Chaz sarebbe sempre stato presente nella sua vita, adesso lo sapeva.
Il loro legame non poteva essere disciolto nell’acqua come una stupida aspirina, era un dare e avere eterno, un equilibrio sottile ma ben saldo.
Strinse ancora Lizzie benché la musica fosse finita. I pensieri negativi volarono via, uscendo dalle vetrate di quel bar che ormai era diventato un piccolo universo sospeso nel tempo. 
  
***
 
«Non avevi detto che non avresti più dormito nel mio letto?» chiese Chaz con tono ironico, mentre Jay si rintanava tra le lenzuola calde dell’amico. Non appena trovò una posizione accettabile puntò gli occhi sul lampadario tondo che raffigurava l’abbraccio impossibile tra il sole e la luna e pensò ad una risposta che potesse essere soddisfacente, così cercò di essere sincero il più possibile.
Non fu difficile esserlo, poiché la vicinanza di Chaz lo ricostituì, tanto da conferirgli una serenità tale da infondergli il coraggio giusto per poter riprendere il discorso. Non aveva più paura della risposta che avrebbe ricevuto. «Sono qui per diversi motivi: il primo è che non mi piace come ci siamo lasciati oggi, e lo so che sei incazzato, che ce l’hai con me, ma voglio chiederti scusa.» Abbassò la testa, pronto ad incassare.
Chaz lo fissò intenerito – non credeva che i tumulti potessero alimentare tale insicurezza, soprattutto sul loro rapporto – così decise di essere paziente, e stringendolo a sé lo rassicurò: «Sai che non me la sono presa. Sarei uno stronzo se infierissi ancora, ho capito che eri scosso».
Jay spostò lo sguardo su Chaz: come al solito, era stato comprensivo e attento. Sorrise, ritrovando ancora gli occhi rassicuranti di colui che aveva invaso i suoi preoccupati pensieri. Si rese conto di essersi messo in allarme inutilmente, lui non l’avrebbe mai abbandonato.
«Quali sono gli altri motivi?». 
Titubò per un istante, insicuro sul da farsi. Sapeva che avrebbero ancora parlato dei suoi genitori e sentiva di non averne voglia. «Altri motivi!»
«Chiaro! Jay, tu puoi venire qui tutte le volte che vuoi, non farti problemi, qualsiasi sia il motivo».
Anche Lizzie gli aveva detto quelle parole e si sentì fortunato. Nella sfortuna di quegli eventi aveva trovato chi volesse prendersi cura di lui.
Chaz si distese definitivamente sul letto, spalla a spalla con il suo più caro amico e incrociando le mani dietro la nuca chiarì la sua posizione: «Io non condivido la tua scelta. Avresti potuto vivere la tua vita senza dover dire tutto ai tuoi, però ti capisco e non posso giudicarti, tuttavia credo che tu sia troppo dipendente dall’approvazione dei tuoi genitori. Hai riposto troppa fiducia nel loro giudizio, sei sempre alla ricerca del loro parere e questo ti ha spinto a fare l’errore più grande della tua vita…»
«Non rinnego niente di quello che ho fatto. Chaz, io lo rifarei. Chiamami masochista se vuoi, ma questo mi ha aiutato a capire me stesso e a vedere in modo obiettivo i miei genitori. Stai certo che non commetterò più l’errore di cercare la loro approvazione. Adesso la mia vita è davvero mia».
Chaz non seppe più cosa dire, ma avrebbe voluto trovare una spugna per cancellare i giorni passati.
Sapeva che Jay non sarebbe più andato all’università e che avrebbe abbozzato una vita disordinata e senza radici: non era questo ciò che aveva sognato per lui. Pertanto, con tono rassegnato, concluse ad alta voce i suoi pensieri: «Saresti potuto diventare qualcuno e mi rode solo a pensare che, invece, ti sei solo complicato la vita.»
«Pensa a te una volta tanto. Pensa ai tuoi sogni, alla tua vita, non pensare a me. Stai sereno, sto bene!».
Se avesse potuto gli avrebbe confessato tutto il suo amore in quell’istante.
Chaz avrebbe voluto urlargli che non è possibile pensare a se stessi quando la persona che ami vive il momento più duro della propria vita, ma scelse di tacere, spaventato dalle conseguenze che ne sarebbero scaturite. Non gli andava di dargli altre preoccupazioni, ma trattenersi stava diventando un vero massacro.
«Ho conosciuto un ragazzo, sai?».
Le parole inaspettate di Jay colpirono dritto al punto più indolenzito della sua anima. Il cuore di Chaz perse un battito, lo lasciò incollato ai sentimenti che aveva chetato con la forza per tutto quel tempo. Mille ipotesi si accavallarono nei suoi pensieri: avrebbe potuto reagire e confessare, urlargli contro quanto quella notizia l’avesse devastato o fingere di essere felice per lui.
La scelta più sensata ricadde su ciò che, più di tutto, l’avrebbe condannato a soffrire ancora: «Ah, sì?! Sono contento. Chi è?»
«Cioè, non è che l’ho conosciuto, l’ho visto e non ci ho neanche parlato. Però vorrei rivederlo.»
«Sono contento, Jay! Vedi?! C’è stato qualcosa di positivo in mezzo a tutto questo sfacelo.» Ipocrita: fu la prima parola che apparì chiara nella sua mente.
«Sarei falso se ti dicessi che c’è stato solo questo di positivo. Mi sono successe un sacco di cose belle: ho conosciuto una ragazza dolcissima, ho trovato un posto bellissimo dove andare a stare quando i miei pensieri decidono di tormentarmi, sto qui con te adesso. Queste, sono tutte cose belle».
Intenerito dal disperato bisogno di Jay di trovare qualcosa di consolante, abbandonò ogni idea di rimuginare troppo su ciò che avrebbe dovuto fare. Avrebbe confessato, ne era certo, ma non in quel momento. «Mi stupisci, come sempre! Nonostante tutto ti appigli alle piccole cose per trovare il lato positivo.»
«Sai perché mi chiamo Jay?»
«No!».
Si alzò dal letto e avvicinandosi alla libreria cercò con gli occhi un libro che aveva prestato a Chaz e che non gli aveva mai restituito.
Passò le dita sui libri leggendo mentalmente ogni titolo, e soffermandosi su uno in particolare lo estrasse per poi raggiungere di nuovo il letto.
«Mia madre amava Il grande Gatsby, nello specifico amava Fiztgerald, però era particolarmente attratta dal personaggio di Jay Gatsby per un motivo, anzi, per un concetto in particolare…».
Sfogliò il libro come se lo sapesse a memoria, infatti, il suo indice fermò lo scorrere delle pagine su ciò che cercava, e con voce pacata lesse: «E mentre meditavo sull'antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde…»
«E con questo… che cazzo vuoi dire?» Cominciò a ridergli in faccia: «Mi spiace, ma non colgo la profondità di questo estratto. Cioè, non trovo il nesso con te.»
«Lei desiderava che io potessi diventare un uomo come Jay Gatsby. Mia madre, dico. La propensione alla speranza, era l’unica cosa che incoraggiava Gatsby a combattere per raggiungere i propri obiettivi. Io ho fatto mia questa cosa, abbracciandola in pieno. Io credo nella luce verde, Chaz!»
L’amico scoppiò ancora a ridere, trovando nella solennità del suo tono di voce una comicità irresistibile. Lo tirò a sé energicamente, costringendolo a distendersi accanto a lui. Il libro cadde e Chaz, guardando il viso imbronciato davanti a sé rispose con tenerezza: «Tu sei malato di testa, però sei simpatico, dai! Mi fai sempre fare un sacco di risate.»
«E tu sei sempre il solito cretino. Comunque: può essere. Sì, può essere che sono malato di testa, ma sperare è l’unica cosa che mi resta. In tutto questo marasma, l’unica cosa che posso fare è questa, cercando di notare solo le cose belle che mi circondano. Se dessi peso solo alle cose brutte rischierei di non avere più il coraggio di sperare.»
«Siamo d’accordo.»
«Credo di potercela fare. Ad uscire illeso da questa storia, intendo. Il primo scoglio è stato superato».
Chaz squadrò Jay con dolcezza: aveva fatto di tutto in pochi giorni per cambiare la propria vita, lottando, soffrendo.
Il ragazzo che amava stava combattendo con coraggio, mentre lui si nascondeva. Nascondeva ciò che era al mondo, celava i suoi sentimenti a chi amava e presto avrebbe dovuto lasciare il passo a qualche stoico stronzo che glielo avrebbe portato via per sempre. Pensò al ragazzo del quale gli aveva parlato e sentì sobbollire il sangue nelle vene. Sarebbe stato questo o un altro, non avrebbe fatto alcuna differenza, ma presto se lo sarebbe visto portare via da qualcuno.
Non poteva più permetterlo. La rabbia e il bisogno di esplodere, lasciando che i pezzi di se stesso si frangessero su ogni cosa, diventarono più forti del giudizio, della paura, dell’insicurezza.
Le guance si colorarono e gli occhi si accesero, mostrando chiaramente un bagliore di risolutezza nel fondo del suo sguardo.
Jay percepì la sfumatura del cambiamento: «Chaz, che ti prende?». La preoccupazione per quella strana espressione lo costrinse ad afferrare le mani dell’amico che con uno scatto lo atterrò sul letto costringendolo sotto il suo peso.
Il calore accrebbe il desiderio di baciarlo, così avvicinò le sue labbra a quelle dell’altro senza sfiorarle.
Jay rimase di sasso.
Altre volte erano stati così, l’uno sull’altro, ma la percezione che ebbe di quel contatto fu del tutto diversa.
L’espressione di Chaz era diversa.
Si lasciò schiacciare da un peso che non sembrava affatto quello che conosceva. Era pressante, incalzante, travolgente.
Le punte delle dita si sfiorarono, provocandogli un brivido insolito lungo la schiena mentre il viso di Chaz, sempre più irriconoscibile, prendeva connotati del tutto diversi. Jay aveva un ragazzo sconosciuto sopra di sé, non il suo amico, il suo solito amico.
La confusione aggiunta al desiderio irrigidì ogni suo muscolo, fino a farlo diventare un fascio di nervi scoperti atto a percepire distintamente ogni cosa: il respiro affannato di colui che lo pressava, le mani incrociate con le sue, il profumo dei due corpi insieme, la pelle liscia e calda.
Lo stordimento prese il sopravvento, lasciando Jay inerme sotto al peso delle intenzioni e del cuore di quello che pareva un estraneo, però, nel momento in cui la sua resistenza pareva indebolirsi, la prepotenza di Chaz mutò, diventando più leggera e controllata: si arrese alla paura che lo rinchiuse in un limbo dove l’incertezza pareva gustarsi sadicamente il resto delle sue intenzioni gettate al vento. In un momento, in un solo istante, l’azione avventata del ragazzo si ritrovò a barcollare su un filo invisibile, in bilico tra il suo precario proposito di uscire allo scoperto e la falsa stabilità che aveva costruito in tutti quegli anni. Jay rimase fermo ad aspettare. Sentiva lottare due lati di Chaz sopra di sé, li percepiva, ma gli serviva una conferma di ciò che pensava. Sentiva desiderio, ma l’amico si staccò, ostentò un sorriso forzato e si sdraiò accanto a lui. Quella conferma non arrivò, lanciando Jay nell’incertezza. Com’era cominciato, tutto era finito: senza preavviso, senza parole. Quello che era appena successo si trasformò in pochi istanti in una specie di sogno, in uno stato di sovrappensiero.
«Jay, Jay…» cantilenò stropicciandosi gli occhi.
«Chaz?» Avrebbe voluto porgli tante domande, ma aspettò che fosse l’amico a parlare. Non avrebbe mai potuto aprire un discorso nel dubbio di essere stato ingannato da un’impressione senza fondamento.
«Tu, sei importante per me, Jay. Sei il mio migliore amico.»
«Anche tu sei importante per me…» rispose bisbigliando, con gli occhi puntati sul soffitto.
Quella frase non concretizzò le sue supposizioni, anzi rese ancora più indistinto il contorno di quell’avvenimento. I comportamenti che si susseguirono non fugarono alcun dubbio, ma portarono Jay a domandarsi se i suoi pensieri non fossero altro che lo specchio dei suoi desideri.
   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Bloomsbury