"Fill my heart
with song
And let me sing for ever more
You are all I long for
All I worship and adore
In other words, please be true."
Fly
Me to the Moon- Frank Sinatra
6. Fly Me to the Moon
Jay
portò Chaz al suo bar di fiducia, sperando potesse
diventare un posto speciale anche per lui. Era come se volesse
rinchiudere nello stesso spazio tutto ciò che gli era
più caro: persone, cose, sorrisi. Voleva tenere tutto
stretto al petto, con tutte le sue forze, per questo sperò
di poter fare conoscere e apprezzare quel piccolo mondo a Chaz che,
guardandosi intorno, constatando la semplicità e
l’adorabile trasandatezza di quel luogo, non poté
fare altro che intenerirsi come se avesse davanti una nonnetta
abbandonata. Dopo il primo impatto spostò l'attenzione su
Jay,
osservandolo di sottecchi per afferrare e
comprendere il suo stato d’animo: era felice e cercava Lizzie
con gli occhi impazienti, come un bambino davanti ad una giostra in
attesa del proprio turno. I lineamenti del viso erano rilassati e gli
occhi vivacizzati dalla trepida attesa, le mani si incastravano tra
loro
tormentandosi a vicenda: ciò che l’aveva
tormentato per tutti quei giorni, rendendolo cupo e costantemente
nevrotico e triste, sparì in un attimo, ed era bastato
entrare
nel locale perché quella magia avvenisse. Chaz
capì che l’amico aveva trovato un rifugio ma
ciò
non lo sollevò, anzi accrebbe la gelosia che si
accanì
contro le
mura imbiancate di quel bar da quattro soldi che insieme ad una totale
sconosciuta erano riusciti, più di quanto avesse fatto lui,
a rendere Jay davvero felice. Il suo letto non era più
l’unico luogo nel quale il ragazzo che amava si sarebbe
sentito protetto.
«Lizzie!»
«Il mio adorato Hahn».
Chaz dovette fare da spettatore ad una scena che sentiva di odiare a
prescindere: la ragazza abbracciava Jay stringendolo a sé
con una confidenza insopportabile, quasi invasiva, e la cosa peggiore
era proprio il fatto che entrambi sembravano bearsi di quel contatto
familiare ed intimo con una soddisfazione così evidente da
stizzirlo.
Lizzie fu attirata dalla presenza insolita e silenziosa che li
osservava furtivamente e liberando Jay dalla stretta si
avvicinò a Chaz, squadrandolo.
«Benvenuto.»
«Grazie».
Finiti i convenevoli si scostò da lui, si
avvicinò ancora
al suo amico e dopo avergli rimosso il ciuffo dagli occhi
affermò con tono sicuro, dando forma alle sue supposizioni:
«Quindi, questo è il tuo ragazzo». Si
allontanò dirigendosi ad un tavolo vuoto e Chaz, perplesso,
chiese a denti stretti: «Le hai detto che sono il tuo
ragazzo?»
«Veramente, no! Le ho detto che sei il mio migliore amico.
Temo si sia fatta un film» rispose candidamente,
inconsapevole della delusione di Chaz che, ingenuamente, aveva sperato
che Jay le avesse parlato di lui in quei termini. La cruda
verità si ripresentò, facendo soccombere
una vana speranza appena nata.
Si diressero entrambi al tavolo che Lizzie aveva offerto loro e Chaz,
posando gli occhi su ogni singolo particolare di quel luogo,
sentì di non amarlo tanto quanto Jay che, eccitato come
poche volte nella vita, si accomodò accanto alla ragazza.
«Lizzie, non è il mio ragazzo. Io non ho un
ragazzo, ricordi?»
«Ah, già, che stupida!».
Le carezze continue di lei si imposero come un terzo incomodo,
infastidendo il nuovo arrivato che se avesse potuto avrebbe dato corpo
alla sua
gelosia, levando le mani di quella sprovveduta dal viso di Jay.
Sperando di poter mettere fine a quel continuo scambio di tenerezze,
incrociò le braccia poggiandosi allo schienale, fingendo
rilassatezza e interesse. «Come si chiama questo
posto?»
«Non ha un nome. Non è un gatto o un bambino,
è solo un bar! Perciò, il suo nome è bar».
Chaz alzò gli occhi al cielo disgustato
dalla stranezza di quella donna, si chiese cosa avesse di
così speciale.
Vedere Jay accaparrarsi tutte quelle coccole da una sconosciuta lo
faceva impazzire, voleva essere l’unico ed il solo, come era
sempre stato.
“Un bambino capriccioso… sei questo,
Chaz!” se lo disse più e più
volte mentre assisteva
inerme alle tenerezze che Lizzie donava disinteressatamente
all’unico ragazzo che amava e che sentiva solo suo ma che, in
realtà, non lo era affatto.
La sera prima era stato ad un passo dalla confessione, tuttavia aveva
scelto
di tacere per l’ennesima volta, eppure di occasioni ne aveva
avute: tutte sprecate.
Avrebbe tentato ancora, non se ne sarebbe lasciato sfuggire delle altre.
Strinse i denti in attesa che quella maledetta ragazza togliesse il
disturbo per potergliene parlare, per capire se l’ardito
gesto della notte prima avesse acceso qualche lampadina nel cervello
dell'altro.
«Jay, caro! Come è andata la prima notte a
casa?»
«Non è andata in nessuno modo, Lizzie. Non ci sono
mai tornato» rispose con un sorriso compiaciuto stampato
in faccia.
«Ci dovrai tornare, prima o poi.»
«Perché dovrebbe tornare da chi lo
rifiuta?» Chaz si intrufolò nel discorso, ponendo
la domanda con
stizza. Il fatto che una sconosciuta si prendesse il lusso di dare
arbitrariamente dei consigli era oltremodo intollerabile per lui.
«Perché credo che la sua assenza da casa non
faccia altro che rafforzare le loro stupide ragioni e così
facendo alimenterà solo un silenzio sciocco e senza senso,
rendendo il rifiuto ancora più facile. Lui, invece, si deve
imporre! Quella è casa sua, devono capirlo e
accettarlo… devono.»
«Dovrebbero, ma non lo faranno. Non conosci i suoi genitori,
non sai quanto ha patito con loro…»
«Lo so, invece! L’ho visto con i miei occhi quel
giorno…»
«Perché parlate come se io non ci
fossi?» chiese il soggetto della discussione tentando di
alleggerire i toni. Vederli
battibeccarsi era surreale quanto fastidioso. Parlavano di lui in sua
presenza, facendo a gara su chi ne aveva più diritto,
esprimendo punti di vista non richiesti, avrebbe voluto lasciare fuori
dalla porta quei discorsi, ma sembrava che i suoi amici non ne avessero
alcuna intenzione. Si chiedeva perché Chaz fosse
così antipatico nei confronti di Lizzie, perciò,
volendo tagliare il discorso di proposito, chiese con un sorriso amaro:
«Vorrei un caffè caldo. Potresti portarci due
caffè, Lizzie?».
Lei lesse sul viso tirato di Jay la sua sacrosanta richiesta di
tranquillità, non voleva discussioni, non voleva altri
pensieri. Cedette alla silenziosa supplica sentendosi in colpa, sorrise
intenerita e si alzò. «Sarà fatto,
Hahn!»
Si allontanò sorridendo anche a Chaz che, imbarazzato,
abbassò la testa ringraziandola.
«Perché ti sei messo a discutere con
Lizzie?» lo chiese con gli occhi puntati sul tavolo, irritato
e deluso. Aveva desiderato poter condividere con lui quella nuova
conoscenza che tanto l’aveva sollevato. Non si sarebbe mai
aspettato la nascita di una simpatia improvvisa e reciproca, ma neanche
la scena di due cani rabbiosi pronti a contendersi l’osso.
Chaz accarezzò il profilo di Jay con gli occhi e
pensò che, forse, disprezzava la dolcezza di Lizzie
perché, al contrario della sua, era davvero disinteressata.
Desiderava l’amore di Jay, adesso ne era certo, aveva creduto
di volergli stare accanto senza pretendere nulla in cambio, soffocando
l’amore e accontentandosi di un sentimento a metà,
tuttavia dovette ammettere la realtà pura e semplice: non
riusciva
più a trarre appagamento da quella claudicante e forzata
condizione.
Nonostante fosse arrivato a quella conclusione, non riuscì a
non raccontare l’ennesima balla: «Hai ragione.
L’ho fatto solo per accertarmi
che lei ci tenesse sul serio a te».
Jay destò lo sguardo esaminando i tratti del viso di Chaz
con l’intento di appurare la sincerità di quella
dichiarazione. La notte prima era riuscito, attraverso i suoi gesti
avventati, a scorgere i propositi del tutto nuovi
dell’amico. Dapprima aveva pensato fossero solo impressioni
incerte ma, nondimeno, gli sguardi avevano parlato più delle
parole e delle azioni: Chaz voleva di più, ne aveva il
sospetto,
e
la pseudo scenata di poco prima non aveva fatto altro che
confermarglielo.
Si disse che avrebbe dovuto aspettare, attendere che il passo
successivo potesse rivelarsi più deciso, voleva che
l’amico dichiarasse apertamente ciò che provava.
Non era certo se fosse semplice desiderio o amore, ma sapeva che Chaz
nascondeva qualcosa e presto tardi avrebbe dovuto scoprirlo.
Conoscendolo, se l’avesse spronato parlandogli in modo
diretto l'avrebbe solo costretto a mentire ancora senza mai ammetterlo;
metterlo sotto pressione non sarebbe stata la scelta giusta.
Un’ombra si era imposta
sulla loro amicizia e toccava a Chaz fare chiarezza. Jay, dal canto
suo, sapeva già cosa rispondere e sperando che
l’amico non ne uscisse irrimediabilmente ferito decise
comunque di comportarsi come sempre, ribadendo la sua posizione: per
lui sarebbe stato sempre e solo un amico, nulla di più. Non
l’avrebbe illuso dandogli false speranze, sarebbe stato
sincero, a costo di risultare crudo.
Parole inespresse rimasero legate alle labbra serrate di Chaz,
facendole vibrare con incertezza. Jay rimase in silenzio, in attesa.
Il jukebox interruppe il silenzio che, ormai, sembrava pendere sulle
loro teste.
Fly me to the moon
riempì
il vuoto, strappando un sorriso a Chaz che, tamburellando con le dita
sul tavolo, ritrovò un pizzico di buon umore.
Jay sorrise con un sospiro, rilassando i muscoli della mascella e
cercando il benefattore inconsapevole che aveva scelto di rompere la
quiete, come se fosse pesata anche a lui.
Si voltò e lo vide.
Izaya era poggiato con un braccio al jukebox, con il viso illuminato
dalle piccole luci colorate poste sui tasti della lista delle canzoni
da scegliere.
Jay strabuzzò gli occhi e preso da un irragionevole
imbarazzo, si voltò di nuovo di scatto, rigido come un palo
di scopa aggrappato al tavolo, in balia dell’emozione.
«Che ti prende?» chiese l'amico con aria stranita.
«Niente, niente, niente…» rispose a
denti stretti sperando di non farsi notare troppo.
«Allora perché sembra che tu ti stia
nascondendo?»
«Cosa te lo fa credere?» chiese tentando di passare
inosservato.
«Hai qualche conto in sospeso?».
Non ottenendo alcuna risposta, Chaz si voltò verso il
jukebox ma non notando nulla di strano ritornò a guardare
Jay.
«Izaya!?» lo chiamò Lizzie sventolando
un fazzoletto come una diva del cinema, dirigendosi verso il tavolo dei
due ragazzi. «Unisciti a noi. Tra poco mangeremo qualcosa
insieme e costringeremo il ragazzino a prendersi una
sbronza!» continuò, indicando Jay che ad occhi
bassi seguiva con l’udito i passi di Izaya che si avvicinava
con crescente curiosità.
Non appena lo sentì vicino, l’impazienza prese il
sopravvento e senza riuscire ad evitarlo i suoi occhi si scontrarono
con prepotenza con quelli del ragazzo appena arrivato che sorrise,
rivelando un’espressione molto più
bambinesca di quella che la sua immagine pareva ostentare.
Jay si intenerì e ricambiò,
dimostrandosi entusiasta. «Ciao!» lo
salutò facendosi scappare un tono un po’ troppo
allegro, tanto da infastidire Chaz che, ormai, aveva intuito pienamente
di chi si trattava.
«Ciao!» rispose il ragazzo, porgendogli la mano che
Jay fissò per qualche secondo senza riuscire e presentarsi.
Lizzie, che ormai era già seduta accanto a lui, con un
calcio ben assestato sotto al tavolo lo risvegliò.
Afferratagli la mano, Jay rimase imbambolato e si accorse di
canticchiare nella mente la canzone romantica di sottofondo. Dopo
essersi
insultato tra sé e sé, prese coscienza di
ciò che stava realmente accadendo: stringeva la mano ad
Izaya, e sembrava non volesse mollargliela.
Lui aveva il naso rosso, segno di un colossale raffreddore, e gli
occhi,
colmi di lacrime, erano arrossati e gonfi.
Finalmente divincolarono le mani dalla stretta, dando ad Izaya la
possibilità di sedersi di fronte a lui. Si grattò
la barba incolta per qualche secondo, fissando i caffè posti
sul tavolo. Sembrava un gesto d’imbarazzo, esattamente come
lo era il suo
di arruffarsi i capelli e rimase stupito giacché non gli era
mai sembrato che
Izaya potesse essere un tipo particolarmente timido.
Sorrise teneramente, osservando ancora i movimenti pacati che il
ragazzo difronte compiva e quando vide i suoi occhi spostarsi su Chaz
sentì un brivido di timore lungo la schiena.
Se l’amico aveva deliberatamente maltrattato Lizzie, come
minimo, avrebbe azzannato al collo il povero malcapitato.
«Piacere, Izaya!» si presentò a Chaz
che, con grande sorpresa di Jay, rispose al saluto con gentilezza ed
esaltazione, porgendogli la mano.
E se si fosse sbagliato? Se avesse sbagliato sul conto di Chaz?
Quella reazione sembrava del tutto cozzare con le sue conclusioni.
Tirò un sospiro di sollievo, dicendosi che avrebbe dovuto
frenare la fantasia e basarsi su dati concreti.
Quello sembrava un dato concreto, appunto.
“Che ingenuo!” avrebbe pensato Chaz se solo fosse
stato nella sua testa. Avrebbe voluto prenderlo a pugni in quel momento
stesso, ma onde evitare di destare troppi sospetti costrinse
se stesso ad una recita ben fatta.
Izaya incrociò le braccia sul tavolo e, finalmente, rivolse
ancora i suoi grandi occhi scuri teneramente attorniati dalle rughe di
espressione che, quasi sempre, avvolgono gli occhi di chi è
abituato a sorridere, su Jay.
Si guardarono per qualche istante.
Gli occhi verdi, quasi trasparenti di uno, si mischiarono a quelli
castani e luminosi dell’altro.
Occhi negli occhi, secondi e secondi, che sembravano ore, sembravano
vite.
Il sorriso accennato del primo giorno ritornò ad illuminare
impercettibilmente il viso di Izaya. Ancora una volta, Jay ebbe la
certezza che quel sorriso fosse riferito a lui, ma non ne capiva il
motivo. Era divertito? Incuriosito? Cosa voleva dire?
Considerando la sua scarsissima esperienza con gli uomini non
riuscì a cogliere le sfumature intrappolate dietro a
quell’espressione, poteva significare tutto o niente. La
risposta alle sue domande non tardò ad arrivare:
«Io ti conosco».
Quelle parole, uscite dalla bocca di Izaya, presero di sorpresa Jay.
Era certo di non averlo mai visto, eppure lui diceva il contrario.
Cercò nei suoi ricordi senza trovarvi nulla e
fissò ancora il ragazzo davanti a lui con sguardo
interrogativo, corrucciando le sopracciglia chiedendo
silenziosamente spiegazioni.
«Il giorno della tempesta. Ti ho trascinato dentro mentre tu
stavi impalato sul marciapiede».
Era stato lui. Izaya l’aveva salvato e senza rendersene
conto l’aveva fatto in ogni modo possibile. Grazie a lui, a
quel gesto, il suo cuore era riuscito a sollevarsi da una
disperazione così profonda che l’avrebbe
certamente consumato se non fosse stato per quelle braccia forti.
Ricordò distintamente quel giorno: l’acqua
scrosciante, la strada allagata, le scarpe zuppe, i piedi freddi, le
lacrime…
Quante lacrime quel giorno.
Il mondo gli aveva urlato contro il proprio disappunto ed Izaya,
invece, lo aveva abbracciato e portato in salvo nel luogo
più caro, nel bar dove avrebbe riposto con cura il suo
cuore e avrebbe accomodato i resti della sua anima lacerata, dove
avrebbe curato le proprie ferite.
«Eri chiaramente sconvolto e poi…»
«Aspettate, aspettate…» lo interruppe
Chaz
agitando le mani. «Com’è che io non so
questa storiella?!»
«Perché non c’eri, Chaz!»
puntualizzò Lizzie con una punta di vendetta nella voce,
come a voler sottolineare che anche lui, nonostante si sentisse
l’unico capace di stare accanto a Jay, non c’era
stato in un momento così drammatico. Chaz, di proposito, non
volle cogliere la sottile provocazione della ragazza e, ignorandola,
immobilizzò l’amico con lo sguardo.
«Raccontami, Jay!»
«Non mi va!» rispose rafforzando il diniego con
un movimento della mano che voleva chiaramente comunicare la sua
intenzione di volersi gettare tutto alle spalle.
«Te lo racconto io che è successo»
rispose Izaya divertito, sorseggiando il suo caffè appena
arrivato.
Aveva gli occhi vispi e lucidi: a Jay faceva tenerezza, a Chaz, invece,
scatenava la rabbia.
«Il giorno dell’uragano, il tuo caro amico Jay ha
pensato bene di farsi una piacevole passeggiata, io l’avevo
già visto passare qui davanti, l’avevo
già… notato…»
pronunciò quell’ultima parola osservando la
reazione di Jay che per un istante perse un respiro. L’aveva
visto – ridotto come uno
straccio – camminare come un
povero malato mentale in mezzo
all’uragano.
L’aveva visto, l’aveva notato.
«…insomma, poi l’ho perso di vista,
credevo si fosse messo al sicuro, invece, poco dopo me lo sono visto
davanti al bar mentre io, al calduccio, sorseggiavo il mio
tè. Stava fermo sul marciapiede, speravo decidesse di
entrare, in molti l’avevano già fatto ma
lui… no! Stava sotto la pioggia a fare chissà
che, con l’aria triste. Quando ho capito che lui non si era
reso conto veramente di quello che stava succedendo sono uscito in
strada e l’ho trascinato dentro ma… non ci siamo
mai presentati.» raccontò tutto senza spostargli
gli occhi di dosso.
«Perché non mi hai detto che eri tu?»
chiese Jay a bassa voce, creando un’intimità tale
tra i loro sguardi da lasciare tutto il resto del mondo fuori.
«Perché non ci conoscevamo. Sembravi sconvolto, ho
voluto lasciarti solo».
Si sorrisero, trasmettendosi pace e calma
reciprocamente.
Izaya e Jay erano lì senza esserlo per davvero.
Tutti gli altri erano spariti, nonostante ci fossero.
Il ticchettio della pioggia sulle vetrate scandiva il tempo che
sembrava essersi fermato, il vociare intorno dava loro la prova di
essere in quel bar, ma nessuno dei due pareva avesse la voglia di
ritornare alla realtà. Come inghiottiti da un altro
universo, Izaya e Jay parlavano, si guardavano, vivevano.
«Un giorno mi dirai perché hai deciso di farti
quella passeggiata!»
«Un giorno ti racconterò
tutto».
Persistevano nel crogiolarsi in quella situazione sospesa tra i minuti
che si susseguivano sempre più lentamente, affondando nei
loro sguardi, nei gesti familiari inusualmente percepiti e non
concretamente compiuti. Se avessero potuto si sarebbero sfiorati, anche
solo con un dito.
«Va beh! Mi sa che vado a bere qualcosa al
bancone!» esclamò Chaz seccato, rompendo quello
stato di cose così irritante da costringerlo ad alzarsi con
irruenza. Jay, afferrandogli inaspettatamente la mano, lo
guardò dritto negli occhi chiedendogli tacitamente di non
farlo, di non
andarsene.
Chaz sospirò rassegnato, sentendo la pressione di quella
stretta così forte da non potervisi sottrarre; rimase al
tavolo alla fine, pur sapendo che avrebbe dovuto ancora assistere al
corteggiamento di Izaya nei confronti di Jay senza poter fiatare.
Mentire l’aveva condannato al silenzio, continuare a negare
gli aveva tolto ogni diritto di poter esprimere la delusione. Se avesse
agito d’impulso avrebbe lasciato scorgere una parte di
sé troppo importante perché potesse essere
gettata con noncuranza alla mercé dei totali sconosciuti
che, in quel momento, lo osservavano incuriositi.
Decise di rimanere ancora e di temporeggiare, implorandosi di avere
ancora pazienza: avrebbe parlato a Jay il prima possibile.
L’arrivo di Izaya era stata la ragione scatenante, il motivo
principale che l’aveva convinto ad agire; se non avesse
confessato sarebbe certamente esploso in un modo e nel momento meno
indicati.
Ma non era quello il momento, doveva ancora aspettare, così
si sedette controvoglia ostentando una calma così pacata da
risultare forzata.
I dubbi si scagliarono ancora su Jay che, però, si arrese ai
repentini cambiamenti di umore dell'amico. Sospirò afflitto,
ma
avrebbe continuato a fare finta di niente in attesa di qualcosa che
potesse chiarire i punti oscuri legati a congetture troppo vaghe per
essere prese in considerazione; se c’era una
verità da scoprire sarebbe toccato all'altro lo sgradevole
compito di districare i nodi di quella faccenda.
Così spezzò la magia creata
dall’incontro con Izaya e sperò con tutte le sue
forze di sbagliarsi sul conto di Chaz, si chiese perché
tutta la sua vita e chi l’abitava avevano deciso di
ingarbugliarsi tutti insieme e nello stesso momento, ma si ripromise
che avrebbe affrontato
qualsiasi cosa mantenendo la calma. Le uniche cose ad essere davvero
chiare
erano l’affetto per Lizzie, l’attaccamento a Chaz e
le emozioni che sentiva di provare nei confronti di quel ragazzo che,
ormai, sembrava fosse entrato a pieno diritto nei suoi pensieri,
sollevandolo dal continuo senso di solitudine e di affaticamento
connessi all’impossibilità di poter vivere la
propria vita con serenità, come aveva sempre sognato.
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