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Autore: Bloomsbury    04/02/2014    18 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Sesto capitolo
"Fill my heart with song
And let me sing for ever more
You are all I long for
All I worship and adore
In other words, please be true."

Fly Me to the Moon- Frank Sinatra








6. Fly Me to the Moon




Jay portò Chaz al suo bar di fiducia, sperando potesse diventare un posto speciale anche per lui. Era come se volesse rinchiudere nello stesso spazio tutto ciò che gli era più caro: persone, cose, sorrisi. Voleva tenere tutto stretto al petto, con tutte le sue forze, per questo sperò di poter fare conoscere e apprezzare quel piccolo mondo a Chaz che, guardandosi intorno, constatando la semplicità e l’adorabile trasandatezza di quel luogo, non poté fare altro che intenerirsi come se avesse davanti una nonnetta abbandonata. Dopo il primo impatto spostò l'attenzione su Jay, osservandolo di sottecchi per afferrare e comprendere il suo stato d’animo: era felice e cercava Lizzie con gli occhi impazienti, come un bambino davanti ad una giostra in attesa del proprio turno. I lineamenti del viso erano rilassati e gli occhi vivacizzati dalla trepida attesa, le mani si incastravano tra loro tormentandosi a vicenda: ciò che l’aveva tormentato per tutti quei giorni, rendendolo cupo e costantemente nevrotico e triste, sparì in un attimo, ed era bastato entrare nel locale perché quella magia avvenisse. Chaz capì che l’amico aveva trovato un rifugio ma ciò non lo sollevò, anzi accrebbe la gelosia che si accanì contro le mura imbiancate di quel bar da quattro soldi che insieme ad una totale sconosciuta erano riusciti, più di quanto avesse fatto lui, a rendere Jay davvero felice. Il suo letto non era più l’unico luogo nel quale il ragazzo che amava si sarebbe sentito protetto.
«Lizzie!»
«Il mio adorato Hahn».
Chaz dovette fare da spettatore ad una scena che sentiva di odiare a prescindere: la ragazza abbracciava Jay stringendolo a sé con una confidenza insopportabile, quasi invasiva, e la cosa peggiore era proprio il fatto che entrambi sembravano bearsi di quel contatto familiare ed intimo con una soddisfazione così evidente da stizzirlo.
Lizzie fu attirata dalla presenza insolita e silenziosa che li osservava furtivamente e liberando Jay dalla stretta si avvicinò a Chaz, squadrandolo. «Benvenuto.»
«Grazie».
Finiti i convenevoli si scostò da lui, si avvicinò ancora al suo amico e dopo avergli rimosso il ciuffo dagli occhi affermò con tono sicuro, dando forma alle sue supposizioni: «Quindi, questo è il tuo ragazzo». Si allontanò dirigendosi ad un tavolo vuoto e Chaz, perplesso, chiese a denti stretti: «Le hai detto che sono il tuo ragazzo?»
«Veramente, no! Le ho detto che sei il mio migliore amico. Temo si sia fatta un film» rispose candidamente, inconsapevole della delusione di Chaz che, ingenuamente, aveva sperato che Jay le avesse parlato di lui in quei termini. La cruda verità si ripresentò, facendo soccombere una vana speranza appena nata.
Si diressero entrambi al tavolo che Lizzie aveva offerto loro e Chaz, posando gli occhi su ogni singolo particolare di quel luogo, sentì di non amarlo tanto quanto Jay che, eccitato come poche volte nella vita, si accomodò accanto alla ragazza. «Lizzie, non è il mio ragazzo. Io non ho un ragazzo, ricordi?»
«Ah, già, che stupida!».
Le carezze continue di lei si imposero come un terzo incomodo, infastidendo il nuovo arrivato che se avesse potuto avrebbe dato corpo alla sua gelosia, levando le mani di quella sprovveduta dal viso di Jay.
Sperando di poter mettere fine a quel continuo scambio di tenerezze, incrociò le braccia poggiandosi allo schienale, fingendo rilassatezza e interesse. «Come si chiama questo posto?»
«Non ha un nome. Non è un gatto o un bambino, è solo un bar! Perciò, il suo nome è bar». Chaz alzò gli occhi al cielo disgustato dalla stranezza di quella donna, si chiese cosa avesse di così speciale.
Vedere Jay accaparrarsi tutte quelle coccole da una sconosciuta lo faceva impazzire, voleva essere l’unico ed il solo, come era sempre stato.
Un bambino capriccioso… sei questo, Chaz!” se lo disse più e più volte mentre assisteva inerme alle tenerezze che Lizzie donava disinteressatamente all’unico ragazzo che amava e che sentiva solo suo ma che, in realtà, non lo era affatto.
La sera prima era stato ad un passo dalla confessione, tuttavia aveva scelto di tacere per l’ennesima volta, eppure di occasioni ne aveva avute: tutte sprecate.
Avrebbe tentato ancora, non se ne sarebbe lasciato sfuggire delle altre.
Strinse i denti in attesa che quella maledetta ragazza togliesse il disturbo per potergliene parlare, per capire se l’ardito gesto della notte prima avesse acceso qualche lampadina nel cervello dell'altro.
«Jay, caro! Come è andata la prima notte a casa?»
«Non è andata in nessuno modo, Lizzie. Non ci sono mai tornato» rispose con un sorriso compiaciuto stampato in faccia.
«Ci dovrai tornare, prima o poi.»
«Perché dovrebbe tornare da chi lo rifiuta?» Chaz si intrufolò nel discorso, ponendo la domanda con stizza. Il fatto che una sconosciuta si prendesse il lusso di dare arbitrariamente dei consigli era oltremodo intollerabile per lui.
«Perché credo che la sua assenza da casa non faccia altro che rafforzare le loro stupide ragioni e così facendo alimenterà solo un silenzio sciocco e senza senso, rendendo il rifiuto ancora più facile. Lui, invece, si deve imporre! Quella è casa sua, devono capirlo e accettarlo… devono.»
«Dovrebbero, ma non lo faranno. Non conosci i suoi genitori, non sai quanto ha patito con loro…»
«Lo so, invece! L’ho visto con i miei occhi quel giorno…»
«Perché parlate come se io non ci fossi?» chiese il soggetto della discussione tentando di alleggerire i toni. Vederli battibeccarsi era surreale quanto fastidioso. Parlavano di lui in sua presenza, facendo a gara su chi ne aveva più diritto, esprimendo punti di vista non richiesti, avrebbe voluto lasciare fuori dalla porta quei discorsi, ma sembrava che i suoi amici non ne avessero alcuna intenzione. Si chiedeva perché Chaz fosse così antipatico nei confronti di Lizzie, perciò, volendo tagliare il discorso di proposito, chiese con un sorriso amaro: «Vorrei un caffè caldo. Potresti portarci due caffè, Lizzie?».
Lei lesse sul viso tirato di Jay la sua sacrosanta richiesta di tranquillità, non voleva discussioni, non voleva altri pensieri. Cedette alla silenziosa supplica sentendosi in colpa, sorrise intenerita e si alzò. «Sarà fatto, Hahn!»
Si allontanò sorridendo anche a Chaz che, imbarazzato, abbassò la testa ringraziandola.
«Perché ti sei messo a discutere con Lizzie?» lo chiese con gli occhi puntati sul tavolo, irritato e deluso. Aveva desiderato poter condividere con lui quella nuova conoscenza che tanto l’aveva sollevato. Non si sarebbe mai aspettato la nascita di una simpatia improvvisa e reciproca, ma neanche la scena di due cani rabbiosi pronti a contendersi l’osso.
Chaz accarezzò il profilo di Jay con gli occhi e pensò che, forse, disprezzava la dolcezza di Lizzie perché, al contrario della sua, era davvero disinteressata.
Desiderava l’amore di Jay, adesso ne era certo, aveva creduto di volergli stare accanto senza pretendere nulla in cambio, soffocando l’amore e accontentandosi di un sentimento a metà, tuttavia dovette ammettere la realtà pura e semplice: non riusciva più a trarre appagamento da quella claudicante e forzata condizione.
Nonostante fosse arrivato a quella conclusione, non riuscì a non raccontare l’ennesima balla: «Hai ragione. L’ho fatto solo per accertarmi che lei ci tenesse sul serio a te».
Jay destò lo sguardo esaminando i tratti del viso di Chaz con l’intento di appurare la sincerità di quella dichiarazione. La notte prima era riuscito, attraverso i suoi gesti avventati, a scorgere i propositi del tutto nuovi dell’amico. Dapprima aveva pensato fossero solo impressioni incerte ma, nondimeno, gli sguardi avevano parlato più delle parole e delle azioni: Chaz voleva di più, ne aveva il sospetto, e la pseudo scenata di poco prima non aveva fatto altro che confermarglielo. Si disse che avrebbe dovuto aspettare, attendere che il passo successivo potesse rivelarsi più deciso, voleva che l’amico dichiarasse apertamente ciò che provava. Non era certo se fosse semplice desiderio o amore, ma sapeva che Chaz nascondeva qualcosa e presto tardi avrebbe dovuto scoprirlo. Conoscendolo, se l’avesse spronato parlandogli in modo diretto l'avrebbe solo costretto a mentire ancora senza mai ammetterlo; metterlo sotto pressione non sarebbe stata la scelta giusta. Un’ombra si era imposta sulla loro amicizia e toccava a Chaz fare chiarezza. Jay, dal canto suo, sapeva già cosa rispondere e sperando che l’amico non ne uscisse irrimediabilmente ferito decise comunque di comportarsi come sempre, ribadendo la sua posizione: per lui sarebbe stato sempre e solo un amico, nulla di più. Non l’avrebbe illuso dandogli false speranze, sarebbe stato sincero, a costo di risultare crudo.
Parole inespresse rimasero legate alle labbra serrate di Chaz, facendole vibrare con incertezza. Jay rimase in silenzio, in attesa.
Il jukebox interruppe il silenzio che, ormai, sembrava pendere sulle loro teste.
Fly me to the moon riempì il vuoto, strappando un sorriso a Chaz che, tamburellando con le dita sul tavolo, ritrovò un pizzico di buon umore.
Jay sorrise con un sospiro, rilassando i muscoli della mascella e cercando il benefattore inconsapevole che aveva scelto di rompere la quiete, come se fosse pesata anche a lui.
Si voltò e lo vide.
Izaya era poggiato con un braccio al jukebox, con il viso illuminato dalle piccole luci colorate poste sui tasti della lista delle canzoni da scegliere.
Jay strabuzzò gli occhi e preso da un irragionevole imbarazzo, si voltò di nuovo di scatto, rigido come un palo di scopa aggrappato al tavolo, in balia dell’emozione.
«Che ti prende?» chiese l'amico con aria stranita.
«Niente, niente, niente…» rispose a denti stretti sperando di non farsi notare troppo.
«Allora perché sembra che tu ti stia nascondendo?»
«Cosa te lo fa credere?» chiese tentando di passare inosservato.
«Hai qualche conto in sospeso?».
Non ottenendo alcuna risposta, Chaz si voltò verso il jukebox ma non notando nulla di strano ritornò a guardare Jay.
«Izaya!?» lo chiamò Lizzie sventolando un fazzoletto come una diva del cinema, dirigendosi verso il tavolo dei due ragazzi. «Unisciti a noi. Tra poco mangeremo qualcosa insieme e costringeremo il ragazzino a prendersi una sbronza!» continuò, indicando Jay che ad occhi bassi seguiva con l’udito i passi di Izaya che si avvicinava con crescente curiosità.
Non appena lo sentì vicino, l’impazienza prese il sopravvento e senza riuscire ad evitarlo i suoi occhi si scontrarono con prepotenza con quelli del ragazzo appena arrivato che sorrise, rivelando un’espressione molto più bambinesca di quella che la sua immagine pareva ostentare.
Jay si intenerì e ricambiò, dimostrandosi entusiasta. «Ciao!» lo salutò facendosi scappare un tono un po’ troppo allegro, tanto da infastidire Chaz che, ormai, aveva intuito pienamente di chi si trattava.
«Ciao!» rispose il ragazzo, porgendogli la mano che Jay fissò per qualche secondo senza riuscire e presentarsi. Lizzie, che ormai era già seduta accanto a lui, con un calcio ben assestato sotto al tavolo lo risvegliò.
Afferratagli la mano, Jay rimase imbambolato e si accorse di canticchiare nella mente la canzone romantica di sottofondo. Dopo essersi insultato tra sé e sé, prese coscienza di ciò che stava realmente accadendo: stringeva la mano ad Izaya, e sembrava non volesse mollargliela.
Lui aveva il naso rosso, segno di un colossale raffreddore, e gli occhi, colmi di lacrime, erano arrossati e gonfi.
Finalmente divincolarono le mani dalla stretta, dando ad Izaya la possibilità di sedersi di fronte a lui. Si grattò la barba incolta per qualche secondo, fissando i caffè posti sul tavolo. Sembrava un gesto d’imbarazzo, esattamente come lo era il suo di arruffarsi i capelli e rimase stupito giacché non gli era mai sembrato che Izaya potesse essere un tipo particolarmente timido.
Sorrise teneramente, osservando ancora i movimenti pacati che il ragazzo difronte compiva e quando vide i suoi occhi spostarsi su Chaz sentì un brivido di timore lungo la schiena.
Se l’amico aveva deliberatamente maltrattato Lizzie, come minimo, avrebbe azzannato al collo il povero malcapitato.
«Piacere, Izaya!» si presentò a Chaz che, con grande sorpresa di Jay, rispose al saluto con gentilezza ed esaltazione, porgendogli la mano.
E se si fosse sbagliato? Se avesse sbagliato sul conto di Chaz?
Quella reazione sembrava del tutto cozzare con le sue conclusioni.
Tirò un sospiro di sollievo, dicendosi che avrebbe dovuto frenare la fantasia e basarsi su dati concreti.
Quello sembrava un dato concreto, appunto.
“Che ingenuo!” avrebbe pensato Chaz se solo fosse stato nella sua testa. Avrebbe voluto prenderlo a pugni in quel momento stesso, ma onde evitare di destare troppi sospetti costrinse se stesso ad una recita ben fatta.
Izaya incrociò le braccia sul tavolo e, finalmente, rivolse ancora i suoi grandi occhi scuri teneramente attorniati dalle rughe di espressione che, quasi sempre, avvolgono gli occhi di chi è abituato a sorridere, su Jay.
Si guardarono per qualche istante.
Gli occhi verdi, quasi trasparenti di uno, si mischiarono a quelli castani e luminosi dell’altro.
Occhi negli occhi, secondi e secondi, che sembravano ore, sembravano vite.
Il sorriso accennato del primo giorno ritornò ad illuminare impercettibilmente il viso di Izaya. Ancora una volta, Jay ebbe la certezza che quel sorriso fosse riferito a lui, ma non ne capiva il motivo. Era divertito? Incuriosito? Cosa voleva dire?
Considerando la sua scarsissima esperienza con gli uomini non riuscì a cogliere le sfumature intrappolate dietro a quell’espressione, poteva significare tutto o niente. La risposta alle sue domande non tardò ad arrivare: «Io ti conosco».
Quelle parole, uscite dalla bocca di Izaya, presero di sorpresa Jay.
Era certo di non averlo mai visto, eppure lui diceva il contrario. Cercò nei suoi ricordi senza trovarvi nulla e fissò ancora il ragazzo davanti a lui con sguardo interrogativo, corrucciando le sopracciglia chiedendo silenziosamente spiegazioni.
«Il giorno della tempesta. Ti ho trascinato dentro mentre tu stavi impalato sul marciapiede».
Era stato lui. Izaya l’aveva salvato e senza rendersene conto l’aveva fatto in ogni modo possibile. Grazie a lui, a quel gesto, il suo cuore era riuscito a sollevarsi da una disperazione così profonda che l’avrebbe certamente consumato se non fosse stato per quelle braccia forti. Ricordò distintamente quel giorno: l’acqua scrosciante, la strada allagata, le scarpe zuppe, i piedi freddi, le lacrime…
Quante lacrime quel giorno.
Il mondo gli aveva urlato contro il proprio disappunto ed Izaya, invece, lo aveva abbracciato e portato in salvo nel luogo più caro, nel bar dove avrebbe riposto con cura il suo cuore e avrebbe accomodato i resti della sua anima lacerata, dove avrebbe curato le proprie ferite.
«Eri chiaramente sconvolto e poi…»
«Aspettate, aspettate…» lo interruppe Chaz agitando le mani. «Com’è che io non so questa storiella?!»
«Perché non c’eri, Chaz!» puntualizzò Lizzie con una punta di vendetta nella voce, come a voler sottolineare che anche lui, nonostante si sentisse l’unico capace di stare accanto a Jay, non c’era stato in un momento così drammatico. Chaz, di proposito, non volle cogliere la sottile provocazione della ragazza e, ignorandola, immobilizzò l’amico con lo sguardo. «Raccontami, Jay!»
«Non mi va!» rispose rafforzando il diniego con un movimento della mano che voleva chiaramente comunicare la sua intenzione di volersi gettare tutto alle spalle.
«Te lo racconto io che è successo» rispose Izaya divertito, sorseggiando il suo caffè appena arrivato.
Aveva gli occhi vispi e lucidi: a Jay faceva tenerezza, a Chaz, invece, scatenava la rabbia.
«Il giorno dell’uragano, il tuo caro amico Jay ha pensato bene di farsi una piacevole passeggiata, io l’avevo già visto passare qui davanti, l’avevo già… notato…» pronunciò quell’ultima parola osservando la reazione di Jay che per un istante perse un respiro. L’aveva visto 
ridotto come uno straccio  camminare come un povero malato mentale in mezzo all’uragano.
L’aveva visto, l’aveva notato.
«…insomma, poi l’ho perso di vista, credevo si fosse messo al sicuro, invece, poco dopo me lo sono visto davanti al bar mentre io, al calduccio, sorseggiavo il mio tè. Stava fermo sul marciapiede, speravo decidesse di entrare, in molti l’avevano già fatto ma lui… no! Stava sotto la pioggia a fare chissà che, con l’aria triste. Quando ho capito che lui non si era reso conto veramente di quello che stava succedendo sono uscito in strada e l’ho trascinato dentro ma… non ci siamo mai presentati.» raccontò tutto senza spostargli gli occhi di dosso.
«Perché non mi hai detto che eri tu?» chiese Jay a bassa voce, creando un’intimità tale tra i loro sguardi da lasciare tutto il resto del mondo fuori.
«Perché non ci conoscevamo. Sembravi sconvolto, ho voluto lasciarti solo».
Si sorrisero, trasmettendosi pace e calma reciprocamente.
Izaya e Jay erano lì senza esserlo per davvero.
Tutti gli altri erano spariti, nonostante ci fossero.
Il ticchettio della pioggia sulle vetrate scandiva il tempo che sembrava essersi fermato, il vociare intorno dava loro la prova di essere in quel bar, ma nessuno dei due pareva avesse la voglia di ritornare alla realtà. Come inghiottiti da un altro universo, Izaya e Jay parlavano, si guardavano, vivevano.
«Un giorno mi dirai perché hai deciso di farti quella passeggiata!»
«Un giorno ti racconterò tutto».
Persistevano nel crogiolarsi in quella situazione sospesa tra i minuti che si susseguivano sempre più lentamente, affondando nei loro sguardi, nei gesti familiari inusualmente percepiti e non concretamente compiuti. Se avessero potuto si sarebbero sfiorati, anche solo con un dito.
«Va beh! Mi sa che vado a bere qualcosa al bancone!» esclamò Chaz seccato, rompendo quello stato di cose così irritante da costringerlo ad alzarsi con irruenza. Jay, afferrandogli inaspettatamente la mano, lo guardò dritto negli occhi chiedendogli tacitamente di non farlo, di non andarsene.
Chaz sospirò rassegnato, sentendo la pressione di quella stretta così forte da non potervisi sottrarre; rimase al tavolo alla fine, pur sapendo che avrebbe dovuto ancora assistere al corteggiamento di Izaya nei confronti di Jay senza poter fiatare. Mentire l’aveva condannato al silenzio, continuare a negare gli aveva tolto ogni diritto di poter esprimere la delusione. Se avesse agito d’impulso avrebbe lasciato scorgere una parte di sé troppo importante perché potesse essere gettata con noncuranza alla mercé dei totali sconosciuti che, in quel momento, lo osservavano incuriositi.
Decise di rimanere ancora e di temporeggiare, implorandosi di avere ancora pazienza: avrebbe parlato a Jay il prima possibile. L’arrivo di Izaya era stata la ragione scatenante, il motivo principale che l’aveva convinto ad agire; se non avesse confessato sarebbe certamente esploso in un modo e nel momento meno indicati.
Ma non era quello il momento, doveva ancora aspettare, così si sedette controvoglia ostentando una calma così pacata da risultare forzata.
I dubbi si scagliarono ancora su Jay che, però, si arrese ai repentini cambiamenti di umore dell'amico. Sospirò afflitto, ma avrebbe continuato a fare finta di niente in attesa di qualcosa che potesse chiarire i punti oscuri legati a congetture troppo vaghe per essere prese in considerazione; se c’era una verità da scoprire sarebbe toccato all'altro lo sgradevole compito di districare i nodi di quella faccenda.
Così spezzò la magia creata dall’incontro con Izaya e sperò con tutte le sue forze di sbagliarsi sul conto di Chaz, si chiese perché tutta la sua vita e chi l’abitava avevano deciso di ingarbugliarsi tutti insieme e nello stesso momento, ma si ripromise che avrebbe affrontato qualsiasi cosa mantenendo la calma. Le uniche cose ad essere davvero chiare erano l’affetto per Lizzie, l’attaccamento a Chaz e le emozioni che sentiva di provare nei confronti di quel ragazzo che, ormai, sembrava fosse entrato a pieno diritto nei suoi pensieri, sollevandolo dal continuo senso di solitudine e di affaticamento connessi all’impossibilità di poter vivere la propria vita con serenità, come aveva sempre sognato.
   
 
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