"I close my
eyes
Then I won't see
The love you don't feel
When you're holding me
Morning will come and I'll do what's right
Just give me till then to give up this fight
And I will
give up this fight"
I
can’t make you Love me- Bon Iver
8. I can't
make you Love me
Il freddo – che a volte
è così gelido da sembrare
lava incandescente capace di divorare ogni cosa al proprio
passaggio –
dilagò in ogni recesso del corpo di Jay e gli occhi di Chaz,
ardenti come pezzi di carbone abbandonati nel bel mezzo di un fuoco
scoppiettante, trivellarono ostinatamente il suo petto, tanto da fargli
affidare all’ultimo sospiro il compito di trascinare via il
piccolo ma intenso ricordo dei momenti di pace appena vissuti con Izaya.
Jay non proferì parola, ma squadrò con crescente
preoccupazione l’amico davanti a sé, attendendo
con ansia che quest’ultimo trovasse il coraggio di spiegare
ciò che aveva in mente.
Appena entrato, Chaz aveva bene in chiaro cosa dire, ma
nell’attimo stesso in cui la campanella aveva rintoccato il
suo ultimo avviso la sicurezza vacillò, lasciando il posto
al tremore che prese possesso delle sue mani.
Si guardarono per incalcolabili minuti; il rumore della pioggia sempre
più impetuosa riempì il vuoto lasciato dalle
parole inespresse e il continuo vociare dei clienti appena entrati
rubò l’ultimo ed incerto sprazzo di coraggio che
aveva avviluppato, per pochi e brevi istanti, l’animo di
Chaz. «Per quanto sia assurdo, visto l’orario,
sapevo di
trovarti qui. Ormai, questo sembra l’unico posto dove tu
voglia stare.» Il tono di sufficienza con il quale
parlò stizzì
Jay che, nel frattempo, cercava Lizzie così da assicurarsi
la presenza
dell’unica persona che potesse attutire lo scontro dei propri
sentimenti indomabili e contrastanti. Vagò con lo sguardo in
attesa che il sorriso
dell’amica potesse presentarsi in suo soccorso, tuttavia
l’insoddisfatta ricerca cessò non appena Chaz si
sedette al posto lasciato ancora caldo da Izaya.
Si fissarono per qualche secondo in silenzio, scontrandosi con fugaci
sguardi di disillusione e rammarico.
«Era questo che dovevi dirmi?» chiese Jay con
freddezza, rigirandosi tra le mani la tazza vuota di chi era andato via
da troppo poco tempo per poterlo dimenticare.
«In verità, no. Volevo dirti altro ma credo non
abbia più importanza. Ti sei visto con Izaya?»
«Già». Abbassò lo sguardo
concentrandosi sui granelli di caffè adagiati sul fondo
della tazza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di capire le intenzioni
di Chaz, ma l’aria di altezzosità che incombeva
sul viso dell’amico modificò la
disponibilità benevola con la quale aveva intenzione di
accogliere le sue confidenze.
Se prima aveva intenzione di attendere con pazienza una confessione – se
sempre di questo si trattava – stavolta, il suo
atteggiamento non aveva
fatto altro che innervosirlo, donandogli un sentimento di apatica
enfasi tale da rendere l’attesa ancora più
snervante.
«Chaz, se hai da dirmi delle cose, penso sia arrivata
l’ora di farlo, perché sto cominciando a stancarmi
dei tuoi continui sbalzi di umore.»
«Vedo che mi tratti con la stessa pazienza che io riservo a
te!» affermò ironico.
L’ironia: era un aspetto di Chaz assai fastidioso, ancor di
più se
travestita da vittimismo.
«C’è una differenza tra te e me: tu sai
contro cosa combatti, io non lo so. Sto aspettano da giorni di capire
cosa ti frulla nella testa e, onestamente, comincio a stancarmi»
confessò spossato finché un pensiero non lo
rianimò ancora. Si avvicinò a lui
impercettibilmente, dandogli modo di appurare la sua buona fede
attraverso il proprio sguardo.
«Faccio
così paura? Credi che qualsiasi cosa tu abbia da dirmi possa
cambiare ciò che penso di te? Ti sbagli. Io ti ho dato
tempo, ho fatto in modo che tu potessi pensarci su e decidere se
parlarmi o meno ma, a quanto vedo, hai deciso di portare avanti il tuo
silenzio, sfogando su di me le tue frustrazioni».
Chaz si irrigidì: Jay sapeva molto di più di
quello che aveva lasciato sempre
intendere e lo conosceva abbastanza bene da capire che il suo
atteggiamento, nonostante ostentasse
una certa spavalderia nel rimarcare le proprie convinzioni, fosse un
segno di autodifesa. Il sarcasmo di Chaz
era la spada e la determinata chiusura di Jay uno scudo.
«Va bene, caro migliore amico, ti faccio contento, ma non
ora. Stasera, quando saremo tutti insieme, ti dirò quello
che ho da dire. Ti basta come prova di coraggio?»
«Non ti ho chiesto di provarmi il tuo coraggio. Ti ho chiesto
di essere sincero».
L’ultima parola sopraggiunse come un pugno.
Gli occhi di Jay sembravano di ghiaccio ed erano puntati dritti in
quelli fiammeggianti di Chaz; tuttavia il fuoco non sciolse
il ghiaccio, ma si placò sotto il dominio incrollabile della
fredda durezza che si palesò, per la prima volta,
nell'espressione dell'amico.
«Non sono, forse, sempre stato sincero?»
«Non lo so. Dimmelo tu» sussurrò
fissando le mani nervose di Chaz che si paralizzarono nell'istante in
cui l'altro lo esortò a confessare i suoi scheletri
nell'armadio.
Chaz si ammutolì davanti la fermezza dell’amico
che sembrava non volesse cedere. Si sentì sotto esame, ancor
di più nel momento in cui quest’ultimo
accorciò le distanze poggiando i gomiti sul tavolo in
attesa di una risposta.
Quell’atteggiamento lo fece sentire nudo e tremendamente in
colpa: non era stato sincero, eppure aveva fatto l’arrogante,
accusandolo di una mancanza che, in realtà, non aveva mai
avuto nei suoi confronti.
«Il discorso sta prendendo una piega che non mi piace per
niente» ammise imbarazzato agitandosi sulla sedia.
«A me non solo non piace, mi fa male. Non ho mai dubitato di
te, ma il tuo modo di comportarti comincia a pesarmi.»
Lacrime silenziose si fermarono nei suoi occhi, senza fluire.
«Mi sei stato vicino sempre e non pretendo che tu lo faccia
ancora, ma non sopporto quando tu dimostri di non avere fiducia in me.
Parlami. Non aspettare stasera. Io ho bisogno di sapere cosa ti
succede, cosa provi, cosa vuoi dirmi. Forse tu pensi che Lizzie, questo
bar e persino Izaya siano diventati più importanti di te, ma
ti sbagli. Tu sei ancora in cima alle mie priorità,
perché sei la persona più cara che io abbia mai
avuto accanto».
Il cuore di Chaz cominciò a battere così
velocemente
da riuscire a percepirlo distintamente: aveva creduto di averlo perso
per
sempre, invece c’era e batteva con una furia tale da
soffocargli il respiro, le parole. Il cuore non era l’unica
cosa che credeva di aver perso, con esso c’era Jay, anzi in
esso c’era Jay.
Aveva finalmente afferrato il succo di tutti i suoi problemi: il
silenzio, la paura, la sfiducia avevano costruito un muro di
omertà così invalicabile da compromettere
pericolosamente il loro stesso rapporto, e tutto questo senza neanche
rendersene conto.
Aveva creduto fin troppo all’ingenuità di Jay,
sottovalutando la sua arguzia.
Era un osservatore – lo era sempre
stato – e anche stavolta aveva
vissuto
con lui gli stessi timori, ma all’inverso, l’unica
cosa che li aveva accomunati era stato il silenzio.
Entrambi avevano taciuto per paura di sbagliare, ma Chaz dovette
ammettere la propria colpevolezza e riconoscere la germogliante
maturità del suo migliore amico che ormai diventava sempre
più adulto. I problemi, i dolori, avevano contribuito a
farlo crescere ed evolvere; Jay l’aveva lasciato indietro in
quel percorso e Chaz, nella stessa misura, era vittima del proprio
regresso.
Si era comportato come un bambino viziato, capriccioso e ostinato e
sebbene se ne fosse reso conto non aveva fatto mai nulla per mutare
questo stato di cose; aveva insistito con gli atteggiamenti infantili,
intestardendosi, modificando continuamente la realtà e le
certezze che l’avevano tenuto legato da sempre alla figura
gracile ma forte del suo più caro amico, del suo unico
amore.
«Sai che c’è, Jay? Non sono in grado di
poterti dire con lucidità quello che penso, non adesso. Devo
mettere in ordine le idee, devo prepararmi, devo capire fin dove sono
disposto a rischiare…»
«Vuoi capirlo che non sono un rischio per te?»
«Lo sei più di quanto credi, perché
dalle tue parole dipenderà tutto, compresa la mia
sanità mentale. Tu non puoi sapere quanto un segreto
può scavare in profondità quando non viene
condiviso: distorce tutto e ti fa credere cose che magari non esistono.
Adesso, però, alla luce delle tue rassicurazioni, devo
pensare a cosa sono disposto a perdere, a quanto posso spingermi senza
farmi del male».
Jay acconsentì abbassando lo sguardo, avrebbe atteso
pazientemente con la speranza di essere stato abbastanza chiaro.
Ormai era evidente: Chaz provava qualcosa, ed un misto di dispiacere e
insicurezza prese posto nel suo stomaco. Poche ore prima aveva
camminato a mezz’aria gustandosi una
leggerezza che sentiva di aver perso da tempo immemore e poi, senza
alcun preavviso, un nuovo fulmine aveva irrimediabilmente squarciato il
suo cielo, rigettandolo nuovamente nella paura. Avrebbe perso Chaz,
ogni cellula del suo corpo lo urlava e non avrebbe
potuto fare niente per impedirlo.
Con la sfuriata di suo padre pensava di aver raggiunto il numero
massimo di problemi e tormenti che normalmente si presentano nella vita
di un ragazzo di appena diciotto anni e, invece, ecco presentarsi uno
degli ostacoli più grandi della sua vita.
Sarebbe mai stato in grado di accettare la perdita di Chaz?
Molto probabilmente no, ma aveva scelto di affrontare la cosa
accantonando l’egoismo, avrebbe pensato prima al suo amico,
l’avrebbe supportato…
Chaz si alzò e con gli occhi spenti si voltò,
senza neanche salutarlo.
Jay lo vide allontanarsi senza poter fare niente e si rese conto di un
fatto lampante che l’avrebbe legato mani e piedi: nonostante
i suoi buoni propositi, capì di essere nella tipica
posizione scomoda di chi, con un gesto, può distruggere
tutto, come può risollevare le sorti di una
situazione incerta e instabile. Sapeva, però, che qualsiasi
cosa avesse scelto di fare
avrebbe inevitabilmente implicato la sofferenza di qualcuno.
Izaya, Chaz, se stesso.
Era giunto il momento di scoprire le carte, avrebbe dovuto stringere
ancora i denti prima di riuscire a raggiungere la pace che tanto aveva
cercato.
Sembrava di stare su un ascensore in continuo movimento. Tra alti e
bassi, la sua vita aveva cominciato a prendere una piega del tutto
inaspettata, ma certamente necessaria. La verità era
l’unica cosa che lo aveva spinto a
mettersi contro i suoi, e ancora la verità sarebbe stata
l’unica motivazione a dargli il coraggio di agire con
la più totale schiettezza, senza alcuna paura.
Chaz uscì senza voltarsi e Jay crollò sul tavolo,
costringendo la sua fronte sulla superficie liscia che aveva visto le
sue mani tormentarsi tra loro.
Il panico lo prese di sorpresa e cominciò a piangere, sempre
più inconsolabilmente, stringendo i denti.
Il jukebox riempiva il locale con un’allegra melodia, mentre
le lacrime di Jay scendevano copiose senza che lui potesse fare
qualcosa per fermarle; sentiva di non avere più le forze di
lottare e di rinunciare a qualcosa, pensava fosse finito il tempo delle
rinunce, ma l’arrivo di Chaz aveva nuovamente aperto ferite
non totalmente chiuse, costringendolo a doversi mettere ancora in
discussione.
Lizzie, finalmente, uscì dalla cucina e nel mezzo del caos
composto dai clienti affamati vide Jay col capo chino sul tavolo.
Quell’immagine la spiazzò così tanto da
farla indietreggiare. L’aveva visto piangere altre volte, ma
questa volta sembrava che un peso ancor più grande di quello
precedente lo stesse schiacciando, così accorse lentamente
per paura di innescare uno scoppio colossale. Sapeva che prima o poi
sarebbe esploso e sembrava proprio quello il momento.
Arrivata davanti a lui, con la massima cautela gli si
affiancò: «Hahn…» La mano di
Jay si alzò e fermò il fluire di altre
parole dalla bocca di Lizzie. «Sto bene.»
«Hai bisogno di qualcosa?».
Alzò il capo ed un’espressione indecifrabile
investì la ragazza con un impetuosità tale da
zittirla definitivamente. «Portami una vodka.»
«Sono le sette di mattina…»
«Ti prego: portami una vodka». Lizzie
acconsentì senza più controbattere e
guardando il posto vacante davanti a Jay capì che qualcosa
di grave si era compiuta in sua assenza e chiese silenziosamente
perdono sapendo che la sua presenza avrebbe giocato
un ruolo fondamentale. Lei non c’era stata, l’aveva
lasciato solo e nonostante gli occhi di Jay suggerissero una totale
calma, Lizzie poté percepire la furia disperata che lottava
sotto la pelle del piccolo uomo che aveva appena concluso una battaglia
della quale lei, al momento, non ne conosceva le dinamiche.
|