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Autore: Bloomsbury    16/02/2014    16 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"I close my eyes
Then I won't see
The love you don't feel
When you're holding me
Morning will come and I'll do what's right
Just give me till then to give up this fight

And I will give up this fight"
I can’t make you Love me- Bon Iver





8. I can't make you Love me


Il freddo 
che a volte è così gelido da sembrare lava incandescente capace di divorare ogni cosa al proprio passaggio  dilagò in ogni recesso del corpo di Jay e gli occhi di Chaz, ardenti come pezzi di carbone abbandonati nel bel mezzo di un fuoco scoppiettante, trivellarono ostinatamente il suo petto, tanto da fargli affidare all’ultimo sospiro il compito di trascinare via il piccolo ma intenso ricordo dei momenti di pace appena vissuti con Izaya.
Jay non proferì parola, ma squadrò con crescente preoccupazione l’amico davanti a sé, attendendo con ansia che quest’ultimo trovasse il coraggio di spiegare ciò che aveva in mente.
Appena entrato, Chaz aveva bene in chiaro cosa dire, ma nell’attimo stesso in cui la campanella aveva rintoccato il suo ultimo avviso la sicurezza vacillò, lasciando il posto al tremore che prese possesso delle sue mani.
Si guardarono per incalcolabili minuti; il rumore della pioggia sempre più impetuosa riempì il vuoto lasciato dalle parole inespresse e il continuo vociare dei clienti appena entrati rubò l’ultimo ed incerto sprazzo di coraggio che aveva avviluppato, per pochi e brevi istanti, l’animo di Chaz. «Per quanto sia assurdo, visto l’orario, sapevo di trovarti qui. Ormai, questo sembra l’unico posto dove tu voglia stare.» Il tono di sufficienza con il quale parlò stizzì Jay che, nel frattempo, cercava Lizzie così da assicurarsi la presenza dell’unica persona che potesse attutire lo scontro dei propri sentimenti indomabili e contrastanti. Vagò con lo sguardo in attesa che il sorriso dell’amica potesse presentarsi in suo soccorso, tuttavia l’insoddisfatta ricerca cessò non appena Chaz si sedette al posto lasciato ancora caldo da Izaya.
Si fissarono per qualche secondo in silenzio, scontrandosi con fugaci sguardi di disillusione e rammarico.
«Era questo che dovevi dirmi?» chiese Jay con freddezza, rigirandosi tra le mani la tazza vuota di chi era andato via da troppo poco tempo per poterlo dimenticare.
«In verità, no. Volevo dirti altro ma credo non abbia più importanza. Ti sei visto con Izaya?»
«Già». Abbassò lo sguardo concentrandosi sui granelli di caffè adagiati sul fondo della tazza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di capire le intenzioni di Chaz, ma l’aria di altezzosità che incombeva sul viso dell’amico modificò la disponibilità benevola con la quale aveva intenzione di accogliere le sue confidenze.
Se prima aveva intenzione di attendere con pazienza una confessione
  se sempre di questo si trattava  stavolta, il suo atteggiamento non aveva fatto altro che innervosirlo, donandogli un sentimento di apatica enfasi tale da rendere l’attesa ancora più snervante.
«Chaz, se hai da dirmi delle cose, penso sia arrivata l’ora di farlo, perché sto cominciando a stancarmi dei tuoi continui sbalzi di umore.»
«Vedo che mi tratti con la stessa pazienza che io riservo a te!» affermò ironico.
L’ironia: era un aspetto di Chaz assai fastidioso, ancor di più se travestita da vittimismo.
«C’è una differenza tra te e me: tu sai contro cosa combatti, io non lo so. Sto aspettano da giorni di capire cosa ti frulla nella testa e, onestamente, comincio a stancarmi
» confessò spossato finché un pensiero non lo rianimò ancora. Si avvicinò a lui impercettibilmente, dandogli modo di appurare la sua buona fede attraverso il proprio sguardo. «Faccio così paura? Credi che qualsiasi cosa tu abbia da dirmi possa cambiare ciò che penso di te? Ti sbagli. Io ti ho dato tempo, ho fatto in modo che tu potessi pensarci su e decidere se parlarmi o meno ma, a quanto vedo, hai deciso di portare avanti il tuo silenzio, sfogando su di me le tue frustrazioni».
Chaz si irrigidì: Jay sapeva molto di più di quello che aveva lasciato sempre intendere e lo conosceva abbastanza bene da capire che il suo atteggiamento, 
nonostante ostentasse una certa spavalderia nel rimarcare le proprie convinzioni, fosse un segno di autodifesa. Il sarcasmo di Chaz era la spada e la determinata chiusura di Jay uno scudo.
«Va bene, caro migliore amico, ti faccio contento, ma non ora. Stasera, quando saremo tutti insieme, ti dirò quello che ho da dire. Ti basta come prova di coraggio?»
«Non ti ho chiesto di provarmi il tuo coraggio. Ti ho chiesto di essere sincero».
L’ultima parola sopraggiunse come un pugno.
Gli occhi di Jay sembravano di ghiaccio ed erano puntati dritti in quelli fiammeggianti di Chaz; tuttavia il fuoco non sciolse il ghiaccio, ma si placò sotto il dominio incrollabile della fredda durezza che si palesò, per la prima volta, nell'espressione dell'amico.
«Non sono, forse, sempre stato sincero?»
«Non lo so. Dimmelo tu» sussurrò fissando le mani nervose di Chaz che si paralizzarono nell'istante in cui l'altro lo esortò a confessare i suoi scheletri nell'armadio.
Chaz si ammutolì davanti la fermezza dell’amico che sembrava non volesse cedere. Si sentì sotto esame, ancor di più nel momento in cui quest’ultimo accorciò le distanze poggiando i gomiti sul tavolo in attesa di una risposta.
Quell’atteggiamento lo fece sentire nudo e tremendamente in colpa: non era stato sincero, eppure aveva fatto l’arrogante, accusandolo di una mancanza che, in realtà, non aveva mai avuto nei suoi confronti.
«Il discorso sta prendendo una piega che non mi piace per niente» ammise imbarazzato agitandosi sulla sedia.
«A me non solo non piace, mi fa male. Non ho mai dubitato di te, ma il tuo modo di comportarti comincia a pesarmi.» Lacrime silenziose si fermarono nei suoi occhi, senza fluire. «Mi sei stato vicino sempre e non pretendo che tu lo faccia ancora, ma non sopporto quando tu dimostri di non avere fiducia in me. Parlami. Non aspettare stasera. Io ho bisogno di sapere cosa ti succede, cosa provi, cosa vuoi dirmi. Forse tu pensi che Lizzie, questo bar e persino Izaya siano diventati più importanti di te, ma ti sbagli. Tu sei ancora in cima alle mie priorità, perché sei la persona più cara che io abbia mai avuto accanto».
Il cuore di Chaz cominciò a battere così velocemente da riuscire a percepirlo distintamente: aveva creduto di averlo perso per sempre, invece c’era e batteva con una furia tale da soffocargli il respiro, le parole. Il cuore non era l’unica cosa che credeva di aver perso, con esso c’era Jay, anzi in esso c’era Jay.
Aveva finalmente afferrato il succo di tutti i suoi problemi: il silenzio, la paura, la sfiducia avevano costruito un muro di omertà così invalicabile da compromettere pericolosamente il loro stesso rapporto, e tutto questo senza neanche rendersene conto.
Aveva creduto fin troppo all’ingenuità di Jay, sottovalutando la sua arguzia.
Era un osservatore 
lo era sempre stato  e anche stavolta aveva vissuto con lui gli stessi timori, ma all’inverso, l’unica cosa che li aveva accomunati era stato il silenzio.
Entrambi avevano taciuto per paura di sbagliare, ma Chaz dovette ammettere la propria colpevolezza e riconoscere la germogliante maturità del suo migliore amico che ormai diventava sempre più adulto. I problemi, i dolori, avevano contribuito a farlo crescere ed evolvere; Jay l’aveva lasciato indietro in quel percorso e Chaz, nella stessa misura, era vittima del proprio regresso.
Si era comportato come un bambino viziato, capriccioso e ostinato e sebbene se ne fosse reso conto non aveva fatto mai nulla per mutare questo stato di cose; aveva insistito con gli atteggiamenti infantili, intestardendosi, modificando continuamente la realtà e le certezze che l’avevano tenuto legato da sempre alla figura gracile ma forte del suo più caro amico, del suo unico amore.
«Sai che c’è, Jay? Non sono in grado di poterti dire con lucidità quello che penso, non adesso. Devo mettere in ordine le idee, devo prepararmi, devo capire fin dove sono disposto a rischiare…»
«Vuoi capirlo che non sono un rischio per te?»
«Lo sei più di quanto credi, perché dalle tue parole dipenderà tutto, compresa la mia sanità mentale. Tu non puoi sapere quanto un segreto può scavare in profondità quando non viene condiviso: distorce tutto e ti fa credere cose che magari non esistono. Adesso, però, alla luce delle tue rassicurazioni, devo pensare a cosa sono disposto a perdere, a quanto posso spingermi senza farmi del male».
Jay acconsentì abbassando lo sguardo, avrebbe atteso pazientemente con la speranza di essere stato abbastanza chiaro.
Ormai era evidente: Chaz provava qualcosa, ed un misto di dispiacere e insicurezza prese posto nel suo stomaco. Poche ore prima aveva camminato a mezz’aria gustandosi una leggerezza che sentiva di aver perso da tempo immemore e poi, senza alcun preavviso, un nuovo fulmine aveva irrimediabilmente squarciato il suo cielo, rigettandolo nuovamente nella paura. Avrebbe perso Chaz, ogni cellula del suo corpo lo urlava e non avrebbe potuto fare niente per impedirlo.
Con la sfuriata di suo padre pensava di aver raggiunto il numero massimo di problemi e tormenti che normalmente si presentano nella vita di un ragazzo di appena diciotto anni e, invece, ecco presentarsi uno degli ostacoli più grandi della sua vita.
Sarebbe mai stato in grado di accettare la perdita di Chaz?
Molto probabilmente no, ma aveva scelto di affrontare la cosa accantonando l’egoismo, avrebbe pensato prima al suo amico, l’avrebbe supportato…
Chaz si alzò e con gli occhi spenti si voltò, senza neanche salutarlo.
Jay lo vide allontanarsi senza poter fare niente e si rese conto di un fatto lampante che l’avrebbe legato mani e piedi: nonostante i suoi buoni propositi, capì di essere nella tipica posizione scomoda di chi, con un gesto, può distruggere tutto, come può risollevare le sorti di una situazione incerta e instabile. Sapeva, però, che qualsiasi cosa avesse scelto di fare avrebbe inevitabilmente implicato la sofferenza di qualcuno.
Izaya, Chaz, se stesso.
Era giunto il momento di scoprire le carte, avrebbe dovuto stringere ancora i denti prima di riuscire a raggiungere la pace che tanto aveva cercato.
Sembrava di stare su un ascensore in continuo movimento. Tra alti e bassi, la sua vita aveva cominciato a prendere una piega del tutto inaspettata, ma certamente necessaria. La verità era l’unica cosa che lo aveva spinto a mettersi contro i suoi, e ancora la verità sarebbe stata l’unica motivazione a dargli il coraggio di agire con la più totale schiettezza, senza alcuna paura.
Chaz uscì senza voltarsi e Jay crollò sul tavolo, costringendo la sua fronte sulla superficie liscia che aveva visto le sue mani tormentarsi tra loro.
Il panico lo prese di sorpresa e cominciò a piangere, sempre più inconsolabilmente, stringendo i denti.
Il jukebox riempiva il locale con un’allegra melodia, mentre le lacrime di Jay scendevano copiose senza che lui potesse fare qualcosa per fermarle; sentiva di non avere più le forze di lottare e di rinunciare a qualcosa, pensava fosse finito il tempo delle rinunce, ma l’arrivo di Chaz aveva nuovamente aperto ferite non totalmente chiuse, costringendolo a doversi mettere ancora in discussione.
Lizzie, finalmente, uscì dalla cucina e nel mezzo del caos composto dai clienti affamati vide Jay col capo chino sul tavolo.
Quell’immagine la spiazzò così tanto da farla indietreggiare. L’aveva visto piangere altre volte, ma questa volta sembrava che un peso ancor più grande di quello precedente lo stesse schiacciando, così accorse lentamente per paura di innescare uno scoppio colossale. Sapeva che prima o poi sarebbe esploso e sembrava proprio quello il momento.
Arrivata davanti a lui, con la massima cautela gli si affiancò: «Hahn…» La mano di Jay si alzò e fermò il fluire di altre parole dalla bocca di Lizzie. «Sto bene.»
«Hai bisogno di qualcosa?».
Alzò il capo ed un’espressione indecifrabile investì la ragazza con un impetuosità tale da zittirla definitivamente. «Portami una vodka.»
«Sono le sette di mattina…»
«Ti prego: portami una vodka». Lizzie acconsentì senza più controbattere e guardando il posto vacante davanti a Jay capì che qualcosa di grave si era compiuta in sua assenza e chiese silenziosamente perdono sapendo che la sua presenza avrebbe giocato un ruolo fondamentale. Lei non c’era stata, l’aveva lasciato solo e nonostante gli occhi di Jay suggerissero una totale calma, Lizzie poté percepire la furia disperata che lottava sotto la pelle del piccolo uomo che aveva appena concluso una battaglia della quale lei, al momento, non ne conosceva le dinamiche.

   
 
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