decimo
"...And it's hard to hold a
candle
In the cold
November rain
We've been
through this such a long long time
Just tryin' to
kill the pain."
Guns
N' Roses-November Rain
10.
November Rain
La sveglia
suonò imperterrita per quasi mezz’ora fino a che
la mano assonnata di Jay non le diede il colpo di grazia
scaraventandola giù dal comodino.
Gli avvenimenti accaduti qualche giorno prima, la confessione sparata a
brucia pelo da Chaz e la disarmante ironia di Izaya non avevano fatto
altro che confonderlo, alimentando esponenzialmente i suoi dubbi.
Puntò i grandi occhi verdi verso la finestra e si maledisse
di non averla chiusa la sera prima. La luce lo accecò,
spingendolo ad intrufolarsi nel caldo
abbraccio delle coperte.
Dopo l’ennesima serata vissuta con imbarazzo per via
dell’irrequietezza di Chaz e i continui goffi tentativi di
Lizzie di far ritornare tutto alla normalità, appena
ritornato a casa, aveva aperto la finestra per poi sedersi sul
davanzale con
le gambe penzoloni, lasciando che queste ciondolassero nel vuoto
accompagnando il fluire dei suoi pensieri sconnessi. Aveva osservato
l’orizzonte scorgendo i
colori tipici dell’alba appena iniziata e il silenzio delle
prime ore del mattino gli aveva dato modo di
riflettere: sebbene si sentisse tremendamente in colpa per
aver
fatto soffrire Chaz, sapeva di aver fatto la cosa giusta. Chiunque gli
avrebbe dato dell’egoista e forse un
po’ era anche vero, tuttavia non avrebbe mai preso con
leggerezza il
suo cuore, i propri sentimenti, tantomeno quelli di Chaz.
Le parole dell’amico riecheggiarono nella sua mente,
riproponendosi ad ogni sospiro lasciato all’aria, ad ogni
tiro di sigaretta.
“Cazzo, io ti amo Jay. Da così tanto
tempo che non ricordo neanche più come si vive senza
amarti”.
Ogni volta che sentiva ripetersi quelle parole la
voglia di sparire avvolgeva ogni porzione del suo animo.
Si chiese se davvero non se ne fosse mai accorto e dopo minuti e minuti
di riflessioni, di ricordi, la risposta arrivò chiara come
il sole appena sorto: l'aveva sempre saputo.
La paura di perderlo lo aveva reso vittima delle sue stesse ammonizioni
e dovette ammettere, a malincuore, un fatto che diventò
lampante solo in quell’istante: aveva sapientemente rimosso e
sotterrato ogni vago sospetto, con la speranza che non si
ripresentasse. Aveva accusato Chaz di non essere stato sincero ma il
peso della colpa
attribuitagli sarebbe dovuto essere equamente ripartito
perché, tanto quanto le omissioni, anche la sua ignavia nel
cogliere i deboli segnali aveva contribuito ad accrescere la distanza e
ad accumulare le falsità che avevano corrotto il loro
rapporto. Quella finestra aperta fu l’altare sul quale aveva
sviscerato
la propria coscienza, ma nel momento del suo risveglio fu la ragione
che
lo spinse ad alzarsi colmo di preoccupazione e nervosismo.
Fissò il soffitto della sua camera per pochi istanti
cercando un gancio invisibile al quale appigliarsi e dopo qualche
minuto poggiò i piedi sul pavimento, deciso ad affrontare
anche quella giornata con coraggio. La vita di Jay, da quel fatidico
giorno, era diventata una giostra continua di emozioni, negative e
positive; il solo alzarsi dal letto e attraversare le stanze di quella
che non era più casa sua richiedeva una dose di eroismo non
indifferente, ma dopo aver appurato il fatto che nella vita – nella sua
vita – ogni cosa doveva essere
necessariamente vissuta senza cedere alla
voglia di sparire, si levò con fiducia dirigendosi poi al
piano
di sotto.
Scese le scale adagio concentrandosi sulle risate sommesse dei
componenti
della sua famiglia riuniti per la colazione e quando fu abbastanza
vicino si arrestò davanti alla porta chiusa ascoltando le
voci di chi sentiva ancora di amare, e sorrise, riconoscendo nella
familiarità di quei discorsi ordinari momenti della sua
vita neanche troppo lontani.
Aprì la porta.
L’odore del caffè lo
investì tanto da svegliarlo completamente e scrutando i
visi di suo padre e suo fratello minore un nodo nello stomaco lo
costrinse ad una smorfia di amarezza.
Vide suo padre con un’espressione che non ricordava neanche
più di aver mai visto e scorgendo nella
profondità del suo sguardo una complice intimità
condivisa con suo fratello minore, la nostalgia lo soffocò.
Un
valzer continuo di flash lo riportò in quella stessa
cucina,
solo a qualche mese
prima, quando con suo padre
usava
confrontarsi alla pari su ogni tipo di argomento; attimi di sublime
felicità si trasformarono in un ritratto cupo e indelebile,
e la felicità passata originata dalla soddisfazione che
ogni figlio prova quando viene seriamente considerato dal proprio
genitore si dissolse, come i contorni sfumati di un disegno piegato
dall’avanzare del tempo.
Era troppo tardi per scappare e senza alcuna ragione il sorriso di
Izaya si presentò nella sua mente. Pareva rammentargli, con
voce pacata e gentile, le mille rassicurazioni che soleva ripetergli
ogniqualvolta lo trovava particolarmente provato o assorto. “Non
sei tu che devi adattarti a loro. Tu sei così
come sei e devi importi perché meriti rispetto anche solo
per il
coraggio che hai dimostrato, e se non gli starà bene,
allora,
fagli vedere che sei sereno nonostante tutto. Non hai bisogno di loro.”
Concetto semplice e diretto, apparentemente infantile, ma sacrosanto.
«Buongiorno a tutti».
I visi dei presenti si contrassero e Joseph, suo fratello, fu
l’unico a rivolgergli un indolente saluto in risposta.
Da suo padre e sua madre neanche una parola.
Tentò disperatamente di ignorare quel silenzio dicendosi
che avrebbe dovuto sfoggiare tutto il suo orgoglio a testa alta, si
avvicinò ostentando sicurezza e afferrò una fetta
di pane tostato, intrappolandola tra i denti.
I suoi occhi erano più luminosi del solito e i capelli
scompigliati gli donavano un’espressione ancora
più infantile – cosa che normalmente
avrebbe intenerito sua
madre che, con dolci carezze, avrebbe intrecciato le proprie dita alle
ciocche scomposte dei capelli del suo bambino per ravvivare
la cresta ribelle che già in precedenza aveva disapprovato,
ma che aveva scelto di accettare per quieto vivere. Jay
guardò prima suo fratello; poi suo padre e sua madre:
sembravano estranei. Avevano smesso di parlare e sorridere solo
perché il
loro vergognoso figlio era entrato a disturbare la tranquilla
quotidianità che avevano deciso di vivere senza di lui.
Joseph, insperabilmente, riprese a parlare come non aveva mai fatto
prima ed il padre, fiero dell’improvvisa e forbita favella
del figlio, sorrise, rispondendo con interesse alle sue argomentazioni.
Con l’assenza di Jay, il piccolo Joseph poté
godere delle attenzioni che prima erano state di suo fratello e con
grande soddisfazione esibì la nuova posizione guadagnata in
famiglia, come se si trattasse di una promozione di lavoro. Figli di
serie A e figli di serie B;
suo padre aveva sempre ragionato
così e declassando senza tanta fatica il maggiore dei suoi
figli aveva riposto ogni speranza sul minore, augurandosi che questi
non
lo deludesse.
Jay stava impalato, spettatore di quella vita familiare che un tempo
era stata anche sua; avrebbe voluto intervenire nella conversazione ma
qualcosa gli diceva che non sarebbe stato il caso. Posò gli
occhi sul tavolo e si accorse che non gli era stato riservato un posto.
Dove normalmente avrebbe trovato la sua tazza c’era
il cestino del pane e delle marmellate: la madre aveva usato il suo
posto per posizionare le cose necessarie a tutti. Evidentemente, la sua
presenza non era necessaria tanto quanto una marmellata di fragole.
Mise il broncio – come quando era bambino
–
e guardò sua
madre
che con incredibile calma e disinvoltura versava il caffè
per i suoi uomini, ignorando totalmente la presenza di suo figlio.
All’ennesimo schiaffo morale e ai successivi evidenti segnali
di insofferenza da parte dei genitori, Jay gettò il
pane nella pattumiera e senza indugio si allontanò
sommessamente dalla
cucina.
Quel piccolo spaccato di vita stracciò l’ultimo
brandello di speranza; Jay divenne un mendicante di attenzioni estraneo
alla sua
stessa vita, il membro inutile di un quadro familiare imperfetto nella
sostanza ma del tutto pianificato perché risultasse senza
macchia all’apparenza. L’istinto di fare le valige
e scappare si scontrò con
l’impossibilità pratica di mettere in atto i suoi
propositi. Non ci sarebbe stato alcun posto dove andare senza procurare
peso a qualcuno, avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e prendere in
mano la sua vita – l’avrebbe
fatto – anche se non sapeva
esattamente da dove iniziare.
Arrivato in camera si lasciò andare al primo vero sospiro
della giornata e fece spallucce tentando di ridimensionare
ciò che aveva appena vissuto, ma gli occhi si riempirono di
lacrime ed il mento tremante prese il posto del menefreghismo che aveva
tentato in tutti i modi di dimostrare a se stesso, e crollò
in un silenzioso pianto, pregando disperatamente i suoi occhi di
smetterla. Avrebbe voluto essere solido abbastanza da non sentire il
peso di ciò che aveva visto, ma la sua giovane
età non gli aveva ancora permesso di accumulare abbastanza
forza da
riuscire a sostenere un tale colpo. Odiò la sua debolezza in
ogni modo, strinse i denti e levò lo sguardo dal pavimento
asciugandosi
le lacrime con il dorso della mano. Si alzò di scatto,
afferrando il cellulare abbandonato sul letto: avrebbe chiamato Lizzie,
avrebbe parlato con lei del più e del meno; ma non appena
posò gli occhi sul display vide la data
di quel nuovo giorno appena iniziato pessimamente.
Undici Novembre: il giorno del suo diciottesimo compleanno.
***
Izaya arrivò al locale stropicciandosi
le mani intorpidite dal freddo e suoi occhi si posarono sulla figura
accartocciata di Jay, accovacciato sulla sedia come un bambino in
punizione. Lo squadrò per qualche istante percependo
immediatamente il suo stato d’animo. Si piazzò un
sorriso solare sulla faccia cercando di apparire il più
sereno possibile. I tentavi di Jay di sviare ogni sospetto circa il suo
reale umore, fingendo tranquillità, non raggirarono il
ragazzo
che con passo sempre più cauto si avvicinava a lui
cercando, nel frattempo, l’unica che potesse essere a
conoscenza del malessere che in quel momento stava corrodendo
inesorabilmente l’animo del più piccolo. Non
riuscì a scorgere Lizzie – indaffarata in
chissà
quale faccenda – così dovette
accettare il fatto di misurarsi
con una sofferenza sconosciuta, forse anche più grande di
quello che poteva immaginare, approcciandosi ad essa con
inconsapevolezza. Non gli avrebbe mai chiesto informazioni direttamente
solo per soddisfare una sua curiosità, sapeva di conoscere
anche solo in minima parte la ragione di quegli occhi gonfi e provati
dalle lacrime.
Se avesse potuto seguire l’istinto l’avrebbe
raggiunto e abbracciato, ma il rispetto che provava nei suoi confronti,
–
soprattutto dopo la sua
richiesta di essere lasciato in pace a
riflettere senza dover prendere delle decisioni affrettate – non gli
permise di valicare un limite inviolabile che lui stesso aveva posto
tra loro.
«Ciao, Jay. Sei un raggio di sole oggi.»
«Anche tu non sei male. Ti mantieni sempre bene, nonostante
l’età».
Izaya si sedette difronte a lui incrociando le mani sul tavolo e
analizzò ancora il suo volto: c’era qualcosa di
più della semplice e consueta malinconia, tuttavia
non si azzardò a chiedere nulla, continuò a
punzecchiarlo per risollevarlo. «Dov’è
il simpaticone del gruppo? Non mi
pare di vederlo.»
«Izaya… non fare il cretino! Sai che si
offende.»
«Non mi pare di vederlo nei paraggi e non credo che abbia
messo cimici nel locale.»
«No. Ma quando inizi da subito a prenderti gioco di lui poi
ci prendi gusto e continui per tutta la serata.»
«Dimora ancora nel mio cuore la speranza di vederlo felice
con un ragazzo che non sia tu» recitò
sentitamente, premendosi le mani al petto.
«Izaya…»
«Che ho detto di male? Senti, Jay, Chaz non mi sta affatto
antipatico, anzi lo apprezzo; soprattutto dopo quella delicata e
commovente dichiarazione d’amore, ma se permetti prego
perché lui possa essere felice altrove.»
«Ti vedo particolarmente combattivo oggi, temevo avessi
ceduto le armi.»
«Non posso cedere le armi. Io ti voglio.» La
determinazione negli occhi di Izaya fece scivolare il cuore di Jay
in ogni angolo del suo corpo, colorandogli le guance di rosso,
costringendolo ad abbassare la testa.
«La tua reazione mi suggerisce cose che le tue labbra non
osano pronunciare, piccolo Jay.»
«E la tua sicurezza mi dice che sarebbe ora di chiamare
Lizzie».
Izaya
seguì la
traiettoria dello sguardo di Jay per poterlo catturare e farlo suo.
Voleva dargli prova della determinazione con la quale aveva tutte le
intenzioni di conquistarlo per poi avere tutto il diritto di
proteggerlo a modo
proprio. Il desiderio impellente di prendersi cura di lui era
misterioso quanto
coinvolgente e, di fatto, non
capì mai perché Jay fosse diventato
così importante, ma più il tempo passava
più sentiva che quel ragazzino gli avrebbe cambiato la vita,
l’avrebbe reso felice.
«Scusa, Izaya» la voce squillante di Lizzie
tagliò di netto l’atmosfera che i due erano
riusciti a costruirsi intorno. «Vieni un attimo ad aiutarmi
con questi scatoloni?»
«Arrivo, donna. Le mie forti e possenti braccia sono pronte a
tutto.» Si alzò sgranchendosi le dita delle mani,
si avvicinò a Jay con tenerezza e prima di andare
gli passò delicatamente il dito sul viso: dalla tempia,
all’angolo delle labbra; percorse i lineamenti delicati e
stanchi di Jay con un solo dito, per poi frenare quel bramoso vagare
nel pugno della sua stessa mano. Se si poteva chiamare contatto fisico
quello era stato il primo e se anche solo un dito di Izaya aveva la
capacità di rendere vittima dei brividi la sua pelle, Jay
non osò immaginare cosa avrebbe potuto provocare il resto
della mano. La leggerezza di un dito aveva rimpiazzato la
pesantezza dei suoi pensieri, la delicatezza di un cenno non del tutto
voluto, non pianificato ma figlio di uno slancio
irrefrenabile, aveva aperto la strada verso altre
possibilità che necessitavano solo di essere colte, se solo
non fosse stato così complicato.
Se solo non ci fosse stata in gioco la felicità di troppe
persone.
Izaya si allontanò da lui sentendone già la
mancanza, raggiunse Lizzie con l’intenzione di prenderla un
po’ in giro come al solito, ma non trovando alcun scatolone
da dover trasportare capì che le intenzioni della ragazza
erano altre.
Come un rapinatore lesto e forte, Lizzie cinse il polso di Izaya
trascinandolo nel punto più nascosto del locale.
«Ascoltami bene: oggi è il compleanno di Jay,
compie
diciotto anni. Dobbiamo fare qualcosa.»
«Non c’era bisogno di portarmi in questo luogo
angusto e puzzolente.»
«Non è il momento di
scherzare…»
«Lizzie» la interruppe, cambiando
totalmente sguardo e tono di voce. «I genitori lo hanno
ignorato!?» La ragazza abbassò lo sguardo
lasciando al dispiacere dei
suoi occhi il compito di dare una risposta.
Izaya acconsentì sospirando e fece per andarsene, ma Lizzie
lo trattenne ancora: «Non
dirgli che te l’ho detto».
La fissò per un breve istante scorgendo la pena che
l’aveva aggredita per tutto il tempo prima del suo arrivo e
provò tenerezza per quella donna bella e sola che aveva
scelto di prendersi cura di un ragazzo sconosciuto ma che,
inspiegabilmente, era entrato nel suo cuore. Capì che i
legami nascono e si fondono senza essere necessariamente preventivati
dalla natura o rafforzati dal tanto tempo trascorso insieme. Lizzie era
divenuta una casa per Jay, se ne rese conto in quell’istante,
quella donna così materna senza essere mamma aveva scelto
di prendersi la responsabilità di una vita abbandonata da
chi avrebbe dovuto prendersene cura.
Izaya sorrise, scegliendo in quel preciso momento di diventare la
roccia sul quale tutti avrebbero costruito il loro legame.
Si allontanò e raggiunse Jay spalancando le braccia.
«Diciotto anni. Jay è diventato un uomo.»
«Izaya, Cristo! Ti avevo chiesto di non dire
niente» uscì allo scoperto Lizzie urlando il suo
disappunto.
Jay guardò la scena perplesso, non capendo fino in fondo le
dinamiche di quel piccolo ma divertente spettacolo.
«Lizzie, non potevo non dirlo. Sono felice. Finalmente
potrò averlo senza risultare un molestatore di
minorenni» rispose gongolando, sedendosi di nuovo difronte
a Jay. Gli afferrò le mani accarezzandogliele dolcemente e
con
eccitazione nello sguardo spiattellò d’improvviso
i suoi programmi: «Dai, piccolo Jay, chiama Chaz. Stasera
porterò voi bambini nel luogo della perdizione, a
festeggiare».
Angolo
Autrice.
Ciao! Ringrazio tutti quelli che hanno letto per intero la storie e
tutti quelli che stanno ancora leggendo. Voglio ringraziare chi mi ha
supportato capitolo dopo capitolo e chi mi ha seguita silenziosamente.
Grazie, quindi, a coloro che hanno insierito la storia nelle
seguite/preferite/ricordate e aggiungo un grazie caloroso a SNappy.
Un abbraccio.
Bloomsbury
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